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Il Corriere della sera, venerdì scorso. Intervista di Marco Cremonesi a Umberto Bossi. Titolo: «Bossi ed Eluana. 'Se capita a me lasciatemi morire'». Quella frase nell’intervista non c’è.
Diciamo che è una libera interpretazione (forzatura?) del titolista protetto da anonimato.
Bossi confida di aver detto alla moglie che «non avrebbe dovuto permettere accanimenti». Quanto al testamento biologico, annota il titolista, «non si farà». Ma perché? Bossi ribatte a Cremonesi che gli chiede se non sia qualcosa di analogo al testamento tradizionale: «No, qui non si tratta di trasmettere dei beni, si tratta di rinunciare alla vita. Per prima cosa, una cosa del genere non dovrebbe essere fatta quando una persona è già malata.
Perché lì la volontà è già deviata, dal dolore e ancor più dalla paura. Mentre se lo si fa quando si sta bene, molto spesso è per motivi ideologici.
Uno viene convinto dai mass media. Dai fetentoni come lei». Touché.
I giornalisti tutti fetentoni? Bossi, si sa, ama esagerare. Ad esempio, ci sono dei gentleman (anzi, gentlewoman) per nulla affetti da ideologia acuta come Mariangela Maturi, che il 21 novembre sul Manifesto esordisce con toni rispettosi e misurati: «La guerra santa dei cattolici contro la volontà di Eluana e di suo padre non conosce ravvedimenti». La colpa dei cattolici?
Pregare. Davanti alla Corte di Strasburgo. La preghiera sarebbe dunque una forma di 'guerra santa'.
La giornalista gentildonna scruta nelle coscienze da ineffabile inquisitrice laica e sentenzia che la (buona) fede non c’entra nulla: «Salgono alla ribalta tutte le forze che di speculazioni e battaglie etiche si nutrono». Nel mirino del Manifesto è il Movimento per la vita, reo di aver «ingaggiato una battaglia a colpi di firme da presentare al Parlamento europeo». Guerre, battaglie... a colpi di preghiere e di firme. Noi pensavamo che pregare e raccogliere firme fossero pacifici diritti di pacifici cittadini. Invece siamo dei guerriglieri. Non si finisce mai di imparare.
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