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TRATTATO DI LISBONA: GLI EUROPEI PRIVATI DEL DIRITTO DI PAROLA, SOLO L'IRLANDA PUÒ SALVARCI DICENDO NO
Trattato di Lisbona? No, grazie.
di Paolo Deotto

Si acuiscono, in seno alla lobby degli oligarchi europei, i timori che al referendum sul Trattato di Lisbona del 12 giugno gli irlandesi voteranno "No". I sondaggi danno al "Sì" ancora un vantaggio, ma i "No" sono aumentati di 5 punti rispetto ai 3 punti del "Sì", mentre gli indecisi sono ancora molti. Intanto l'influente organizzazione irlandese dei coltivatori diretti ha emesso il 27 maggio una dichiarazione che elenca i "10 motivi" per cui gli agricoltori voteranno "No". Viene particolarmente criticata la politica della Commissione della Ue, che comporta tra l'altro "l'abolizione della Politica Agricola Comunitaria" e "conduce alla distruzione del modello dell'agricoltura europea che si fonda sulla azienda a conduzione familiare". Il 31 maggio si è schierato per il "No" anche il più grande sindacato industriale, il SIFTU.
Se gli irlandesi bocceranno il Trattato di Lisbona, colerà a picco il progetto di imporre un governo europeo sovrannazionale con poteri semidittatoriali. E questo - detto francamente - ce lo auguriamo vivamente.
BREVI RIFLESSIONI SUL TRATTATO DI LISBONA E SULL'UNIONE EUROPEA
Non c'è davvero da stupirsi se la Lega chiede che la ratifica del trattato di Lisbona sia sottoposta al giudizio di un referendum. Infatti il grande successo elettorale di Bossi e dei suoi è dovuto principalmente al fatto che la Lega ha mostrato di essere il Partito più vicino all'elettorato, più attento alle necessità quotidiane del popolo. E per converso tutta la politica europeista, e l'attività, e la stessa esistenza dell'Unione Europea, nascono da operazioni di vertice, che in nessun modo hanno interessato la comunità dei cittadini, che avvertono il fatto di "essere europei" principalmente dal vertiginoso aumento del costo della vita, dall'essersi visti imporre una moneta che, sostituendo a un cambio cervellotico la vecchia lira, ha riportato le famiglie a problematiche di sopravvivenza da primi anni cinquanta.
Ora si preannuncia e si prepara l'ennesima operazione di vertice: il Consiglio dei Ministri ratifica l'adesione dell'Italia al Trattato di Lisbona e sottopone la decisione al giudizio del Parlamento. Ma provate a chiedere al cittadino comune, all'uomo qualunque, che tutti i giorni deve fare i conti con una vita sempre più cara, con una criminalità sempre più proterva, con una più che legittima ansia per il futuro, chiedete a questo cittadino cosa ne pensa dell'Europa. Potrebbe rispondervi male, ma probabilmente non vi risponderà affatto, proprio perché questa "Europa" è qualcosa di lontano dalla base, è nata come alleanza monetaria e bancaria, e ha preso la strada di altri organismi sopranazionali, ONU in testa, che ormai vivono di vita propria, di burocrazia elefantiaca e super pagata, e di grondante retorica circa la funzione di mantenimento della pace, piuttosto che di superamento di antichi steccati. Insomma, tutta la solita mercanzia smentita peraltro dai fatti di ogni giorno. Proprio mentre scrivo queste note è in corso a Roma il vertice della FAO, organismo che non ha risolto un solo problema per i popoli alla fame, ma ha risolto brillantemente il problema delle retribuzioni del suo personale. E allo stesso vertice interviene il presidente dell'Iran (esentatemi dal tentare di scrivere il suo impronunciabile cognome), che si sta serenamente dotando di armi atomiche e che parla con la massima naturalezza di distruggere Israele. Il tutto col mondo "libero" che sta a guardare con criminale viltà questo neonazista, senza ricordare che i mostri di tal fatta si eliminano in un modo solo. Eliminandoli.
Scusate la premessa, non credo di essere andato fuori tema. Ma il nuovo inganno che adesso ci viene propinato, il Trattato di Lisbona, si inserisce a mio avviso in tutta questa sporca storia di proliferazione di organismi internazionali, che col tempo dimostrano di servire sempre di più solo a sé stessi, ma che campano (brillantemente) coi soldi nostri.
E, nel caso dell'Europa, c'è un'aggravante in più. Se andiamo al di là dell'alluvionale retorica sul "grande valore" dell'unità europea, possiamo subito porci una domandina facile facile: cosa può rendere sensata e poi duratura un'unione tra popoli e nazioni? Di certo devono esistere delle comuni radici, una comune volontà di vivere valori condivisi, un reciproco riconoscimento delle singole peculiarità, ovvero quel rispetto e quel dialogo che possono essere validi solo se i partecipanti sanno affermare ciascuno la propria identità e proprio sulla base di questa rispettare e condividere le altrui identità. L'Unione Europea nasce principalmente come unione monetaria, e l'Italia vi precipita dentro, a suo tempo frettolosamente spinta da un certo signore che desiderava passare alla Storia, ma che è afflitto da una cronica tendenza a far danni dovunque sia. Il suo nome è Romano Prodi, e, come suol dirsi, basta la parola... il grand'uomo accetta un cambio lira - euro assolutamente iugulatorio, ma che non può colpirlo più di tanto. Lui il suo benessere personale ha dimostrato di saperlo difendere. Ma passi anche la fregatura dell'euro. Ciò che più preoccupa in questa Europa è la totale assenza di valori, di fede, di veri motivi qualificanti per un'unità tra i popoli. Giovanni Paolo II ricorda che le radici dell'Europa sono cristiane, e chiede che questa memoria sia inserita nella "costituzione" dell'Unione. Non è un discorso che riguarda solo i cristiani, ma coinvolge anche tutti coloro che conoscano un minimo la storia del mondo occidentale. Radici cristiane? Orrore! L'Europa vuole essere progressista, moderna, lanciata verso l'affermazione della libertà più totale e beata. Sicché si palesa da subito bigotta, dittatoriale e soprattutto ferocemente anticristiana.
Nel nome della libertà (e nello scempio del corretto uso delle parole) ci si deve dichiarare "aperti" ad ogni sorta di imbecillità, e se è clamorosa, tanto meglio, perché si dimostrerà di essere sempre più liberi e difensori della libertà.
Da secoli il banale, ovvio buon senso ci dice che la famiglia è formata da un uomo e una donna, dal cui fecondo amore si genera la prole. Da secoli lo stesso banale e ovvio buon senso trova nella Chiesa la custode di un ordine morale che ha ricostruito e preservato la civiltà occidentale, e quest'ordine morale è sempre stato accettato anche dai cosiddetti "laici". L'omosessualità, fenomeno assolutamente minoritario, è da sempre considerata una perversione (peraltro in molti casi curabile, perché di natura psichica), e nemmeno l'ultimo dei cretini avrebbe parlato di "famiglia" nel caso di convivenza tra omosessuali. Ma l'Europa è o non è la culla del progresso e della libertà? Quindi, può far tranquillamente orecchie da mercante alla richiesta del Papa e dimenticare le sue stesse radici, e può, anzi "deve" dar spazio a ogni devianza, che cessa di essere tale, dal momento che non esiste più un nucleo fondamentale di valori di riferimento.
Qualsiasi discorso sull'Europa può essere fatto solo tenendo a mente la vicenda di Rocco Buttiglione, professore di filosofia di fama internazionale, ministro, deputato dell'UDC. Buttiglione, designato commissario europeo dal governo Berlusconi (siamo nel 2004), viene "bocciato" dal Parlamento europeo perché ha osato dire che non solo lui è cattolico, ma anche che non ha nessun intenzione di derogare sui principi morali che regolano la famiglia e la sessualità. Col giacobinismo scatenato che sanno avere solo i difensori di una "libertà" che non ha più una definizione, Buttiglione viene messo alla porta. L'Europa è così determinata nel difendere la libertà, da essere dispostissima a togliere la libertà di esprimere la propria fede religiosa e i propri principi morali.
Questa è follia. Del resto, il prosieguo non è stato da meno. Ormai le nuove "idee" circolanti nella libera Europa hanno portato a situazioni che farebbero ridere, tanto è l'idiozia di fondo, se non fosse seriamente minacciata (e questa volta sul serio) la libertà. Così leggiamo serie disquisizioni sulla liceità o meno di esibire il crocifisso, perché potrebbero offendersi i credenti di altre religioni. Così leggiamo che non si devono più usare le parole "padre" e "madre", bensì il neutro "genitori", perché rimarcare la distinzione tra i sessi può offendere coloro che vivono i "nuovi modelli" di famiglia. Così abbiamo paesi che riconoscono come "matrimonio" la convivenza tra due omosessuali, sicché gli stessi potranno anche adottare bambini.
Tutto questo marciume mi appare ben più preoccupante del pur dannoso euro, e del fatto che l'Europa è fondamentalmente l'Europa dei banchieri sulla pelle dei cittadini. Da una crisi economica ci si può sollevare, da una totale confusione morale sarà ben più difficile. Riporto una frase da un articolo che Marcello Veneziani pubblicò su "Libero", proprio circa la citata vicenda di Buttiglione: "Non andrà lontano un'Europa così meschina, che ha paura della sua ombra e che somiglia piuttosto ad un club di mercanti, nichilisti e giacobini, più contorno di tecnocrati e omosessuali militanti. Mi fa un po' schifo sentirmi europeo, ogni giorno di più. Quest'Europa che ha avuto paura di citare nella sua carta d'identità le sue accertate origini cristiane, fregandosene pure dell'appello del Papa. Quest'Europa che per aver espresso un'opinione diversa sui gay e sulla famiglia, boccia un rispettabile filosofo, colpevole di essere cattolico e di aver annunciato che non avrebbe mai derogato ai suoi principi morali. Dovremmo cercarli con la lanterna politici che usano riferirsi ai principi, e invece li cacciamo e li trombiamo... Quando uno Stato o una Civiltà non ha il coraggio della propria identità e provenienza o deve ricorrere a odiose discriminazioni perché ha paura di non essere al passo delle lobbicine che somministrano il politically correct, allora il suo destino è una indecorosa decadenza. Lo insegnava un sociologo ed economista tutt'altro che bigotto, Vilfredo Pareto." Sottoscrivo in pieno.
Ora questa Europa, che ha già vacillato sotto i colpi di precedenti referendum che hanno bocciato la sua originaria "costituzione", vuole riprendere quota con il Trattato di Lisbona, che subito cerca di mettere una pezza, peraltro peggiore dello strappo, parlando di "eredità culturali, religiose e umanistiche" dell'Europa. Sia ben chiaro che bisogna restare nel generico. Non parliamo di radici cristiane, restiamo a queste indefinite "eredità", che proprio perché indefinite possono essere adattate, come la plastilina, a ogni profilo. E poi lo stesso Trattato, con la "buona" ragione di rendere più efficienti le strutture dell'Unione (efficienti per cosa, non si sa, visto che finora non si è capito a cosa siano servite...) inizia a introdurre le decisioni "a maggioranza" laddove prima era richiesta l'unanimità. Introduce la figura di un Presidente del consiglio e apre uno spazio assolutamente non ben definito ai poteri comunitari in materia di politica estera. Quanto e come tutto ciò possa tradursi in una riduzione della sovranità nazionale, è tutto da chiarire. E, come dovrebbero ricordare soprattutto i sinistri adoratori della Costituzione Una e Intoccabile, la sovranità, in Italia, appartiene solo al popolo. Non sarebbe quindi ammissibile toglierne qualche fettina, in modo surrettizio.
Di sicuro il tema è estremamente delicato e un referendum potrebbe essere lo strumento ideale per decidere, anche perché le recenti elezioni hanno dimostrato che il popolo italiano è molto più lucido e consapevole dei suoi politici. Né si giustifica la fretta di "concludere" la ratifica entro l'anno, se non con la preoccupazione di stabilizzarsi che hanno quanti beneficiano delle molte greppie che ha creato l'Europa. Di sicuro il popolo, unico titolare della sovranità, ha diritto di avere il tempo di documentarsi e riflettere su argomenti di questa portata. E ciò anche in considerazione di un'altra spada di Damocle che ci grava sulla testa: l'ammissione della Turchia nell'Unione Europea. Nel marasma morale e identitario dell'Europa, manca solo, come la ciliegia sulla torta, l'ingresso di un Paese che si va nuovamente e pesantemente islamizzando. Potrebbe essere l'ottimo ponte per incrementare ulteriormente la penetrazione dell'Islam in un'Europa che starebbe a vedere, fiera di mostrare, con la sua totale mancanza di identità e di dignità, quanto è "libera" e "aperta". L'Islam, che non ha mai abbandonato la perniciosa idea del "califfato" mondiale, non aspetta altro. Non ci dirà neanche "grazie", perché come infedeli (e un tantino cretini) non lo meriteremo.
In conclusione, se è vero che i parlamentari sono i rappresentanti legittimi del popolo sovrano, è altrettanto vero che su argomenti di particolare gravità è giusto e corretto che il rappresentante chieda una verifica al rappresentato. Il referendum appare lo strumento più idoneo per esprimere un giudizio sulla ratifica del Trattato di Lisbona, che si tradurrebbe in una ratifica "definitiva" dell'Unione Europea, di questo modello di Unione.  Ricordandosi comunque che lo stesso Trattato di Lisbona prevede esplicitamente una possibilità: il recesso di uno Stato membro. E chi ha detto che si debba a tutti i costi continuare a far parte di questa Unione di squinternati?

 
Fonte: fonte non disponibile, 4 Giugno 2008