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SENTENZA SUL CROCIFISSO 2
Il rischio gravissimo della neutralità religiosa dello Stato
da Corrispondenza Romana

Un mito aleggia in Europa: quello della “neutralità religiosa” dello Stato e delle stesse istituzioni comunitarie. In nome di questo mito il laicismo ha combattuto ieri gli Stati confessionali cattolici e oggi pretende opporsi all’islamismo radicale, senza rendersi conto che è proprio grazie a questa “neutralità” religiosa dell’Occidente che l’Islam avanza in Europa.
Il principio della neutralità religiosa dello Stato è figlio dell’illuminismo e, prima ancora, di alcune correnti radicali dell’umanesimo e del protestantesimo. Tra il XVI e il XVII secolo, mentre cattolici e protestanti si affrontavano sui campi di battaglia, nacque il partito dei “politici”, che non credevano in nessuna religione e che auspicavano un’Europa “laica”, formata da Stati indifferenti in materia religiosa. Lo stesso principio era rivendicato dai gruppi più fanatici della Rivoluzione protestante, come gli anabattisti, che consideravano “demoniaca” l’alleanza tra Chiesa e Stato, perché demoniaco era per essi, come già per i catari e i manichei, il concetto stesso di Stato.
L’illuminismo raccolse l’eredità di questi ambienti eterodossi e teorizzò, con Voltaire, una società fondata sul principio di “tolleranza” religiosa: tolleranza estesa a tutte le sette, tranne che ai cattolici, considerati il male da estirpare. Nell’Ottocento, il pastore calvinista francese Alexandre Vinet proclamò il principio «libera Chiesa in libero Stato», poi ripreso dal conte di Cavour e dai risorgimentalisti italiani. La libertà dello Stato veniva intesa come assoluta indipendenza da ogni vincolo religioso e morale, e dunque come sostanziale agnosticismo, mentre la libertà della Chiesa coincideva con la stretta libertà di coscienza dei singoli. La formula «libera Chiesa in libero Stato» non ha niente a che fare con la sentenza evangelica «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25).
La formula del Vangelo distingue infatti due diverse autorità, lo Stato e la Chiesa, ma non attribuisce il potere sulla vita pubblica al primo e quello sulla vita privata alla seconda. La competenza della Chiesa, maestra di fede e di morale, si estende, secondo il mandato di Gesù Cristo, al campo della Verità rivelata e a quello della legge naturale, iscritta da Dio direttamente nel cuore di ogni uomo.
Lo Stato, pur distinto e autonomo dalla Chiesa, non ha diritto di legiferare contro la fede, perché ciò significherebbe interferire nella vita della Chiesa; ma non ha diritto di legiferare neppure contro l’espressione pubblica della morale naturale, perché la legge morale viene prima delle legge dello Stato e dallo Stato non può essere contraddetta.
Se lo Stato non si conforma alla legge divina e naturale, entra in conflitto con la Chiesa. La neutralità dello Stato, intesa come assenza di scelta da parte dello Stato è un’astrazione che non ha riscontri nella realtà.
La neutralità può avere senso solo nel contesto di una dottrina o di una giurisprudenza che ne precisino il significato. La nozione astratta di neutralità in materia di religione apre altrimenti la strada a un gioco interpretativo nel quale vince colui che riesce a nascondere meglio i presupposti scelti per fondare la presunta neutralità. In un Paese come gli Stati Uniti, ad esempio, la neutralità religiosa dello Stato trae il suo significato dalla presenza di una pluralità di confessioni religiose, nate dopo la Riforma protestante dalla comune matrice cristiana. Ma nell’Europa di oggi, in cui la principale divisione non è tra le religioni, ma tra la religione e la sua negazione da parte del secolarismo, non esiste una scelta neutrale ed equidistante tra le due posizioni. Nelle concrete condizioni storiche della nostra società, il muro vuoto degli spazi pubblici, non è più neutrale della presenza di un crocifisso nelle piazze o sui muri delle scuole. Il mito della “piazza nuda” è peraltro crollato, anche negli Stati Uniti, come ha ben dimostrato il libro più noto di padre Richard John Neuhaus (1936-2009), The Naked Public Square. Religion and Democracy in America (Eerdmans, Grand Rapids, Michigan, 1984), che ha aperto la strada a una serrata critica al secolarismo da parte di liberali «aggrediti dalla realtà».
 Un altro noto studioso americano, Joseph Weiler, intervenendo recentemente a Strasburgo in un dibattito sulla sentenza della Corte di Giustizia europea contro l’Italia, ha definito inadeguata la linea di difesa del nostro governo, secondo cui il diritto all’esposizione del Crocifisso si fonda sul fatto che esso è anzitutto un’icona culturale. Ciò equivale a dire che se il Crocifisso fosse un simbolo prevalentemente religioso, senza significato storico-culturale, perderebbe il suo diritto ad essere esposto pubblicamente. Ma in questo caso si accetterebbe la violazione del principio della libera espressione, anche pubblica, dei simboli religiosi. I cristiani – ha detto Weiler, che è ebreo praticante – dovrebbero ribellarsi a un concetto talmente riduttivo del loro principale simbolo religioso. Nell’omelia tenuta il 2 ottobre 2005 per l’apertura del Sinodo dei Vescovi, Benedetto XVI ha ribadito che Dio non può essere «bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato». «La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata e gli rifiuta il dominio pubblico – ha aggiunto il Papa – non è tolleranza, ma ipocrisia». Si tratta dello stesso concetto affermato da Pio XII nell’allocuzione concistoriale del 20 febbraio 1946: «La Chiesa […] dovrà più energicamente che mai respingere quella falsa e angusta concezione della sua spiritualità e della sua vita interiore che vorrebbe confinarla, cieca e muta, nelle mura del Santuario».
La Chiesa ha il diritto di diffondere il suo messaggio non solo privatamente, ai singoli individui, ma anche pubblicamente, a tutte le nazioni (Mt 28,19 ss.). La dittatura in atto del secolarismo relativista conferma che non c’è alternativa tra il Crocifisso e la sua negazione. Rimuovere un Crocifisso da un luogo pubblico non è un gesto neutrale, privo di significato, ma una scelta di principio non meno significativa dell’esporlo e onorarlo pubblicamente.
La sentenza della Corte europea di Strasburgo, che il 3 novembre 2009 ha intimato all’Italia di togliere i Crocifissi nelle scuole e nei luoghi pubblici, ha avuto però almeno un effetto salutare: quello di imporre la discussione su di un tema centrale, che non riguarda solo il Crocifisso e non concerne solo l’Italia: il problema del rapporto tra politica e religione nell’Europa post-cristiana di oggi, aggredita da due sponde, ugualmente inaccettabili, quella islamica e quella secolarista.
C’è da augurarsi che i cattolici prendano coscienza di questo problema e rivendichino con fermezza i loro diritti.

 
Fonte: Corrispondenza Romana, 22/5/2010