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I 50 MILIONI DI CINESI SCOMPARSI NEI LAOGAI: PERCHE' NESSUNO FA NULLA?
di Angelo Picariello

 Si chiamano laogai, sono i lager cinesi. Una tragedia dai numeri impressionanti, che ricorda quella dei gulag, ma che a differenza di essi sopravvive tranquillamente al crollo del regime comunista. Anzi. Proprio il boom economico crea, e finanzia, quella cortina fumogena dietro la quale questo crimine può continuare senza interruzioni. A 20 anni da piazza Tien an Men, nul¬la, sotto questo profilo, sembra cambiato
  Harry Wu, fondatore della Laogai Re¬search foundation, cattura la platea del Meeting nella giornata iniziale, gremendo oltre la capienza la sala A1, a parlare di 'Tien an men: la Cina 20 anni dopo'. Basta una cifra, approssimativa: circa 50 milioni di cinesi sa¬rebbero scomparsi nei laogai. Numeri in gra¬do di superare gli orrori nazisti e dei cam¬pi di concentramento russi messi insieme. E se Alexandr Solgenitsin ha coniato il ter¬mine gulag, Harry Wu dedica tutto il suo impegno di esule cinese a far conoscere la parola laogai, i campi di lavoro cinesi, dei quali si sa ancora molto poco. Da Rimini lancia il suo j’accuse al regime cinese. Raccontando semplicemente la sua auto-biografia di Controrivoluzio¬nario   (il libro pubblicato da San Paolo in collaborazione con Mondo e missione)  che testimonia di una tristissima linea di continuità fra il regime comunista e quello attuale, nella persecuzione dei cat¬tolici. Harry Wu, nato nel 1937 a Shangai da famiglia benestante (il padre era dirigente di banca), cattolico, come racconta alla gente del Meeting, ci è diventato da ragazzo, a 12 anni. Dieci anni do¬po, nel 1959, il suo arresto, nel pieno del regime di Mao «per il solo fatto di aver a¬vanzato una domanda sui fatti di Ungheria». Passerà 19 anni nei laogai, in 12 diversi campi di lavoro. Fuggito negli Usa al termine della pena, Wu, oggi citta¬dino americano, da lì si batte a tempo pieno per far conoscere i crimini del Par¬tito comunista cinese, che in realtà pro¬seguono.
  Ma persino gli Usa che lo ospitano non hanno il coraggio di una presa di posizione chiara. «Nel luglio 2008 – raccon¬ta – sono stato chiamato alla Casa Bian¬ca da Bush e ho spiegato la situazione dei diritti umani in Cina. Ma le ultime due amministrazioni Usa si sono solo riempite la bocca di questo tema senza fare molto in concreto per fermare le violazioni dei diritti umani in Cina», dice riferendosi anche a Clinton e lasciando il giudizio sospeso su Obama. Lungo l’elenco di violazioni che Harry Wu snocciola dal palco di Rimini: la repressione degli oppositori politici, la pianificazio¬ne forzata delle nascite attraverso la legge del figlio unico (parla di «30 milioni di aborti in un solo anno»), il traffico di or¬gani: «Il 95% dei 30mila trapianti annuali in Cina – denuncia – avviene con orga¬ni di detenuti uccisi».

 
Fonte: Avvenire