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IL VESCOVO IN CLASSE? NON OFFENDE NESSUNO
Il Consiglio di Stato dà torto agli atei dell’Uaar che avevano presentato ricorso contro la presenza del Vescovo in una scuola statale
di Francesco Dal Mas

Il vescovo, quando va in visita ad una scuola, svolge attività essenzialmente culturale, non prettamente religiosa o pastorale. Quindi non infrange alcun principio di autonomia, non discrimina proprio nessuno. A sostenerlo, con tanto di sentenza, è il Consiglio di Stato che ha rigettato, in via definitiva, l’appello dell’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar).
Ricorso presentato contro la sentenza del Tribunale amministrativo del Veneto che autorizzava l’invito di un istituto padovano al vescovo diocesano per una visita alla comunità scolastica. Secondo l’Uaar, che in questi anni si è distinta per contrastare la presenza del vescovo a scuola, quella presenza religiosa, in orario scolastico, era proprio fuori luogo, perché poteva risultare discriminante negli allievi di religione non cattolica o di nessuna religione. Per i giudici del Consiglio di Stato, invece, la presenza del vescovo a scuola non è attività di culto, bensì di cultura.
In precedenza, anche il Tar del Veneto aveva dichiarato inammissibile il ricorso per «carenza di legittimazione attiva dell’associazione ricorrente, che non ha dimostrato l’esistenza, nell’ambito del plesso scolastico nel quale si esaurisce l’effetto del provvedimento impugnato di un soggetto concretamente leso dalla censurata visita pastorale».
Il Consiglio di Stato lo ha rispedito al mittente con un’argomentazione ancora più compiuta. «Nell’autorizzazione concessa dal consiglio d’istituto all’Ordinario diocesano, oggetto del ricorso, non può riconoscersi un effetto discriminatorio nei confronti dei non appartenenti alla religione cattolica, dal momento che – scrivono i giudici del Consiglio di Stato – indipendentemente dalla qualificazione contenuta nel codex iuris canonici, sottolineata dai ricorrenti e che ha invece valore limitato all’ordinamento al quale si riferisce, la visita programmata non può essere definita attività di culto, né diretta alla cura delle anime secondo la definizione contenuta nell’art. 16 legge n. 222 del 1985, ma assume piuttosto il valore di testimonianza culturale, tesa a evidenziare i contenuti della religione cattolica sotto il profilo della opportuna conoscenza, così come sarebbe nel caso di audizione di un esponente di un diverso credo religioso o spirituale».
L’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti non ha alcuna intenzione di fermarsi qui. Ha incaricato i suoi esperti di esaminare l’opportunità di un eventuale ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
La diocesi di Padova, invece, prende atto con soddisfazione del pronunciamento, considerando anche le ripetute contestazioni dell’Uaar, che in taluni casi sono arrivate a plateali proteste con tanto di striscioni e cartelli davanti agli istituti. «La prima decisione del Consiglio di Stato afferma la piena legittimità dell’invitovisita del vescovo alle scuole e pone un precedente giurisprudenziale – è uno dei motivi di soddisfazione della diocesi – valevole in assoluto ed erga omnes».

 
Fonte: Avvenire, 4 maggio 2010