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OMELIA PER LA X DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 7,11-17)
Ragazzo, dico a te, alzati!
da Maranatha.it

Il Cristo mediatore perfetto di salvezza è il Cristo vincitore della morte.
Per Luca la risurrezione operata a Nain (vangelo) è un segno della venuta dei tempi messianici; per dire questo costruisce il suo racconto sul modello del miracolo di Elia (prima lettura), facendo notare in una serie di particolari la infinita superiorità di Gesù.
Quando al v. 22 dello stesso capitolo Gesù per definire la sua identità dirà: «I morti risuscitano», enuncerà un fatto già avvenuto. Questa speranza messianica si fondava su Is 61,1; 55,5-6; 26,19. In questo contesto il giudaismo prevedeva, per la fine dei tempi e l'inaugurazione dell'èra messianica in cui il Messia avrebbe guarito tutte le sofferenze e deficienze umane, una risurrezione generale dei figli di Israele morti prima di allora e attendeva che Elia tornasse sulla terra per presiedere alla inaugurazione di questi tempi.
Ma il miracolo che Gesù compie, se rivela il dominio sulla morte, ne è però solo un segno, in quanto la rianimazione di un cadavere è solo una vittoria momentanea, non definitiva. La liberazione totale dalla morte e da ogni male - e perciò la «salvezza definitiva della vita» - è solo la «risurrezione di Gesù». La risurrezione di Gesù non è una rianimazione del corpo, ma una «animazione» nuova, gloriosa, diversa da quella della incarnazione. È l'ingresso di Cristo in una condizione nuova di esistenza. La risurrezione di Gesù è l'atto divino per mezzo del quale Dio salva oggi noi e l'umanità intera nella nostra esistenza umana. La salvezza dunque non è nell'uomo come tale o nell'umanità; neppure nel loro progressivo sviluppo, anche se protratto all'infinito.
È necessario un «passaggio», un intervento divino assolutamente nuovo: il passaggio dell'uomo in Dio, cioè la pasqua di Cristo, che Dio stesso attua nel Figlio suo fatto uomo.
Un passaggio dell'uomo in Dio che investe tutto l'uomo, corpo e spirito, storia ed universo. Luca, illuminando di luce pasquale il racconto del miracolo, dice: «Il Signore ne ebbe compassione».
Ora Gesù è «Signore» in quanto è risorto. Ciò vuol dire che solo nella risurrezione Gesù si è rivelato pienamente Dio e pienamente uomo. La risurrezione, portando il Cristo all'approdo totale nel mondo del Padre, ha abolito per sempre i limiti impostigli dalla sua assunzione dei pesi della esistenza umana segnata dal peccato e così ha tolto i veli che impedivano di vedere la sua «gloria». Con la morte-risurrezione, inoltre, si è completata l'incarnazione: la dimensione umana di Gesù si è totalizzata e così la traduzione del Figlio in termini umani è giunta al suo compimento, ossia il Figlio è divenuto pienamente uomo e l'uomo è divenuto pienamente Figlio.
Credere alla risurrezione, allora, significa pure credere che la filiazione divinizzante e la liberazione dal peccato sono ormai una realtà, sono Gesù risorto, che porta ogni uomo che si abbandona sinceramente a lui alla piena comunione filiale-trinitaria col Padre.
Questo è anche il vangelo di Paolo. Egli annuncia ciò che ha «veduto», Cristo risorto. L'esperienza del Risorto è alla radice della sua vocazione, della sua missione (seconda lettura).
Anche oggi è vivo l'interrogativo: Cristo è soltanto il precursore di un regno futuro, l'araldo di un'etica ancora da definire, oppure è già il regno, nell'intimo della sua persona? I primi cristiani hanno resistito alla tentazione di ridurre Gesù all'ufficio di un nuovo Elia e hanno trasferito questo parallelo su Giovanni Battista. Anche noi, oggi, non dobbiamo accettare che Gesù venga ridotto a semplice precursore di una umanità rinnovata: egli è già questa umanità. In lui il futuro è già presente. Guardando il mondo, questo teatro immenso dove si svolge l'azione meravigliosa dell'uomo, abbiamo alternativamente la sensazione di una gigantesca e paurosa apparenza e vanità o di una realtà assoluta e consolante. Dipende da come la guardiamo: se la guardiamo con l'occhio della fede nella risurrezione, cioè della fede che il mondo e la storia sono salvati per sempre dalla vanificazione del non essere, rimaniamo fiduciosi perché la nostra storia è, nel tempo, la storia della morte e risurrezione di Gesù. L'umanità ha davanti a sé non il nulla senza fine ma la vita in pienezza senza fine. Cristo risorto è il futuro dell'uomo.

 
Fonte: Maranatha.it, (omelia per il 09/06/2013)