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Condannati. Per una pratica che la legge italiana vieta, categoricamente, e che loro erano andati a fare all'estero, pensando di poter aggirare l'ostacolo. Niente di clamoroso, se si fosse trattato di una vicenda fiscale o finanziaria. Ma la pratica in questione è quella dell'utero in affitto, ed ecco allora che giornali, trasmissioni televisive e persino qualche associazione urlano allo scandalo, chiamando «vittime» i colpevoli e giustificando come il più naturale dei gesti quello di far partorire un bambino a un'altra donna per poi chiamarlo figlio, registrandolo come tale una volta arrivati in Italia.
In ogni caso, se ce ne fosse stato bisogno – ma evidentemente ce n'era – ieri il tribunale di Brescia ha riportato la questione alla realtà. I giudici hanno condannato a cinque anni e un mese, per alterazione dello stato civile, una coppia di Iseo (Brescia) che ha fatto nascere in Ucraina due gemelli con fecondazione eterologa (attraverso l'impianto del seme dell'uomo nell'ovulo di una donna ucraina) e con il suo utero in affitto. L'esame del Dna, almeno, ha stabilito che i due bambini sono effettivamente figli dell'uomo, un cinquantenne bresciano. Che padre, dunque, è diventato davvero. Ma non della moglie, anche lei bresciana.
Peccato che nel corso del processo la coppia abbia sempre negato la tesi della Procura di Brescia, con la donna che ripetutamente ha dichiarato di aver partorito lei i due bambini, nati in Ucraina nel maggio del 2011. La madre dei due gemelli, tra l'altro, è stata anche sottoposta a una perizia medico legale per la presenza di un taglio addominale che per la donna sarebbe il segno del parto cesareo. I medici non sono stati in grado di stabilirne l'effettiva natura e il Tribunale ha trasmesso gli atti del processo alla Procura per capire se un medico possa aver favorito la coppia nel compiere il reato, simulando addirittura un finto parto.
Ora la palla passa al tribunale di Cremona, dove sul banco degli imputati è finita un'altra coppia (stavolta di Crema) cui è già stato tolto un bambino di un anno e mezzo partorito con la stessa tecnica, sempre in Ucraina, ma probabilmente anche con un seme diverso da quello del padre. Un figlio comprato, insomma, in nome di un diritto che in Italia – per fortuna – non esiste.
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