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Léon Poliakov, l'ebreo russo naturalizzato francese, fu forse il maggior storico del secolo scorso dell'antisemitismo e della persecuzione degli israeliti, e fu presente tra l'altro al processo di Norimberga come consulente della delegazione francese. Situazione paradossale, la sua, visto che la Francia avrebbe dovuto stare dalla parte degli imputati e non di certo da quella dei giudici: nei quattro anni di occupazione tedesca fu zelante e convinta collaboratrice della politica sterminatrice dei nazionalsocialisti. Furono le polizie e le milizie di Vichy a riempire con brutalità i treni di ebrei francesi (la comunità giudaica più numerosa d'Europa, almeno dieci volte superiore a quella italiana), i treni, dunque, che andavano verso i lager tedeschi.
Un paradosso, come quello della stessa Francia, la cui capitale fu conquistata in sole quattro settimane dai tedeschi ma che, a guerra finita, pretenderà di avere una zona di occupazione in Germania, Berlino compresa, come se avesse vinto e non perso la guerra. Quasi come al Congresso di Vienna, dove i francesi sedettero come vincitori di Napoleone, dopo averlo seguito in massa per tanti anni nei suoi massacri in Europa e presentandosi come oppositori solo dopo che il Còrso fu battuto.
Cose, è chiaro, che dico sorridendo ironico e che non incrinano di certo la mia amicizia di sempre e la mia gratitudine di cattolico e di studioso per quanto quella grande Nazione ci ha dato e, in parte, ancora ci dà per la causa della fede, seppur falcidiata nel post-concilio.
IL PAPATO ERA FAVOREVOLE AGLI EBREI
Ma, uscendo da queste divagazioni, torniamo a Poliakov in quanto storico dell'antisemitismo non accomodante, anzi spesso duro al limite del fazioso. Quanto ai cattolici dirà, in sintesi, che il papato era favorevole agli ebrei e li difendeva con vigore quando la loro condizione peggiorava in modo tale che la Chiesa giudicasse inaccettabile. Diveniva severa quando la loro condizione superasse, sul piano della ricchezza e dell'influenza, quella dei cristiani.
Nel 1514 fu istituita all'università di Roma una cattedra di ebraico dove il docente era un celebre dotto ma era pur sempre un giudeo convertito. Sta di fatto che, come io stesso ho più volte ricordato, lo Stato Pontificio è il solo in tutta Europa dove gli ebrei non siano mai stati espulsi.
Ci volle un'ideologia post e anticristiana, ne 1643, per fare ciò che i cristiani non avevano mai fatto in quasi duemila anni. Scrive Poliakov: "Malgrado gli alti e i bassi a seconda del temperamento dei papi che si succedevano, si constata sorprendentemente una fiduciosa speranza che il ghetto riponeva nei suoi sovrani, i Vescovi di Roma e forse anche una segreta comprensione, un furtivo e riconoscente ammiccamento fra l'ebraismo e i Sovrani Pontefici". Ma, qui, Poliakow aggiunge una cosa che non solo io ma, immagino, quasi tutti - battezzati o circoncisi che siano - ignoravano e ignorano: "Il fatto è che, in ebraico, il termine Papa veniva tradizionalmente indicato, a Roma, col vocabolo afifior la cui etimologia è discussa ma che per molti studiosi è una deformazione di avi Pior. E, cioè, "padre Pietro". Se è così, è un segno ulteriore del sentimento che, nonostante tutto, unì per tanti secoli gli ebrei al pontefice".
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