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EREDITARE LA FAAC ERA FOLLE, MA IL VESCOVO DI BOLOGNA CAFFARRA FU L'UNICO A CREDERCI... E AVEVA RAGIONE
Storia dell'azienda di cancelli automatici che la diocesi di Bologna ha ricevuto in eredità ed ha trasformato in un modello virtuoso (VIDEO: la vicenda della Faac vista da Milena Gabanelli del Corriere della Sera)
di Andrea Zambrano

"Se lo facessi per soldi avrei già lasciato, lo faccio per tutte le famiglie bolognesi che non devono essere licenziate". Quando nel 2014 il cardinal Carlo Caffarra (1938-2017) si trovò di fronte alla decisione più insolita della sua vita non sapeva che 5 anni dopo quella visione avrebbe assunto i contorni della profezia. E così è andata, perché non è certo consueto che una curia episcopale si trovi di punto in bianco a occuparsi di bilanci e strategie aziendali, ma l'accettazione dell'eredità Faac lo proiettò improvvisamente in una partita più grande di lui. Rischiosa, perché occuparsi di impresa è difficile per un manager navigato, figuriamoci per un vescovo digiuno di competenze manageriali; impopolare, perché avere a che fare con maestranze e sindacati, ti espone a critiche e strumentalizzazioni. Ma a conti fatti oggi possiamo dire che quella di Caffarra fu un'intuizione geniale, maturata anzitutto nella fede nella Provvidenza che aveva voluto che quel ricco imprenditore, Michelangelo Manini, che da solo aveva portato la Faac ad essere una delle aziende leader nel mondo di produzione di cancelli automatizzati, lasciasse alla sola curia di Bologna il suo immenso patrimonio, azienda compresa.

PROVVIDENZA E PROFEZIA
Una provvidenza che oggi, grazie a Caffarra, vede la Chiesa di Bologna far fronte alla carità cittadina per circa 5,5 milioni di euro all'anno. In questi anni di gestione ecclesiale la Faac, sotto l'egida del successore di Caffarra, Matteo Maria Zuppi, naviga nel suo segmento di mercato con numeri da capogiro: nel 2014 i dipendenti erano 1000 e il fatturato di 284 milioni di euro. Oggi a fronte di un fatturato di 428 milioni di euro i dipendenti sono più che raddoppiati, 2500, e godono di benefit aziendali che la media degli operai può sognarsi.
"È tutto merito di Caffarra - spiega al Timone l'arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi - fu coraggioso perché le difficoltà dopo l'accettazione dell'eredità furono enormi". Eredità che Caffarra poteva anche non accettare, dato che Manini, nel suo testamento previde in caso di rinuncia della curia di Bologna che il lascito passasse alla Croce Rossa Internazionale e in caso di rifiuto, allo Stato Italiano.
"Invece Caffarra vide lungo e dovette affrontare, prima che gli ostacoli societari, l'opposizione anche nella Chiesa di quanti gli dicevano che la Chiesa non deve occuparsi di fare business". Business no, ma se la ricchezza serve per la promozione della fede e della carità, allora quei soldi dovevano essere benedetti. Infatti, Caffarra si decise e avviò una lunga vertenza con i famigliari di Manini che reclamavano quei beni. La vertenza si concluse con la liquidazione dei parenti e solo a quel punto l'azienda venne data in mano a un trust di tre professionisti.
"Si tratta di una soluzione prevista dal diritto societario anglosassone che in Italia non è molto presente", ci spiega monsignor Gian Luigi Nuvoli economo della Diocesi di Bologna e che nella vertenza Faac fu al fianco di Caffarra sempre, tanto da risultare il suo braccio operativo. "Sì, io ho sempre condiviso le sue idee sulla Faac e mi sono preso anche io la mia bella dose di critiche". E di accuse. Nel 2015 viene accusato di simulazione di reato, un furto avvenuto nella tenuta di Manini. "Venni prosciolto con formula piena da tutte le accuse assieme all'avvocato Moschetti".
Gli ostacoli non mancarono neppure sul fronte societario. La Faac era una multinazionale in utile, molto appetibile e "finalmente" senza comando. Non fu difficile ai tanti competitor provare azioni più o meno esplicite di acquisto dell'intera proprietà. "Siamo stati aggrediti da tantissimi concorrenti", insiste Nuvoli. Ma anche qui Caffarra tenne duro. "Non lo faccio per i soldi", diceva, "lo faccio per le 300 famiglie dello stabilimento di Bologna che rappresenta il cuore e la mente della Faac. Se cediamo verranno tutti assorbiti dai nuovi proprietari che trasferiranno anche la progettazione e la gestione altrove. Non posso permetterlo. Io sto dalla parte delle famiglie". Questo era Caffarra. Tempra emiliana, imprenditore per necessità e riconoscerlo oggi, dopo la sua morte improvvisa avvenuta nel settembre 2017, ripaga seppur in piccola misura della sua enorme perdita per la Chiesa, avvenuta nel bel mezzo di uno scontro teologico morale che lo ha visto consumarsi di dolore, nell'incomprensione e nel dileggio spesso dei vertici ecclesiastici, per la sua Chiesa.

LA CARITÀ PER LA CITTÀ
"Con in testa un preciso obiettivo", ricorda oggi Zuppi al Timone, "ovvero lasciare parte degli utili alla città sotto forma di carità. Una decisione che io, una volta entrato a Bologna ho condiviso senza tentennamenti". Come? Destinando alla carità della Chiesa quasi 5,5 milioni di euro all'anno. Suddivisi, come ha registrato un fortunato servizio giornalistico di Dataroom di Milena Gabanelli (che della gestione ecclesiale Faac si è innamorata fino ad invitare i vertici di via Altabella a prendere in gestione Alitalia) così: 1 milione per la Caritas diocesana che li destina ad affitti, bollette e sanità dei meno abbienti; 1 milione in borse lavoro, tirocini e start up aziendali; un altro milione in sostegno famiglie e aiuto allo studio, ma anche in progetti per le zone svantaggiate della Montagna. La restante parte va poi a progetti specifici che la Curia di Bologna elabora con il Comune per far fronte alla povertà. E alla Chiesa come istituzione che cosa va? "Al momento nulla, - insiste Zuppi - la mia opzione è stata quella di rendere definitiva la grande libertà con la quale elargiamo queste somme. Se gli utili servissero per la Chiesa stessa, per certi versi rischieremmo di essere sospettati di volerci arricchire noi".
Ma aiutare il parroco che non ha soldi per rifare il tetto della sua chiesa non appartiene anche questo alla carità? Chiediamo. "Sì, ma noi eliminiamo un passaggio, perché sia più chiaro che diamo tutto ai più poveri". "Certo, - gli fa eco l'economo - nulla vieta però che in futuro, se mai dovesse esserci bisogno, quei soldi possano essere utilizzati anche per i bisogni della Diocesi".

DOTTRINA E IMPRESA
Rimangono di questa impresa la preveggenza e il coraggio di Caffarra: "Possiamo dire che è stato un profeta - dice Nuvoli - un profeta nel solco della Dottrina sociale della Chiesa". Questa storia dimostra che fare impresa cristianamente si può e possono farla anche strutture ecclesiali. E conferma quanto fosse azzeccato il monito del predecessore di Caffarra e Zuppi, quel cardinal Giacomo Biffi che "diceva che nel Vangelo non c'è scritto che la Chiesa debba essere povera. Sono i cristiani che devono essere poveri, nel senso di non essere attaccati alle ricchezze".

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 3 minuti) la giornalista del Corriere della Sera Milena Gabanelli descrive la storia della Faac, la celebre azienda di cancelli automatici che la diocesi di Bologna ha ricevuto in eredità ed ha trasformato in un modello virtuoso. Tra profitti, welfare dei dipendenti e carità ai più bisognosi.


https://www.youtube.com/watch?v=OdlzW01R7VQ

 
Titolo originale: Caffarra, tempra da capitano d'impresa
Fonte: Il Timone, gennaio 2019 (n. 180)