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Il vaccino di Putin? Coro internazionale di «no». Quello cinese? Meglio, anche se non si sa ancora perché e anche se i rapporti dell'Oms con la Cina all'inizio della pandemia non erano granché chiari. Il meglio di tutti, vedrete, sarà quello di Bill Gates, a cui l'Italia ha dato soldi. Intanto, vediamo via tivù i gioiosi assembramenti nelle piscine di Wuhan, dove nessuno sa nuotare, visto che hanno tutti il salvagente a ciambella ai fianchi. Ma che cosa sappiamo, davvero, di quel pianeta?
Qualcosa che il regime cerca di nascondere, sì, trapela e si sa delle repressioni contro i dissidenti di Hong Kong, contro i cattolici fedeli a Roma, contro i seguaci del Falun Gong; si sa del sistema schiavistico dei «laogai», l'arcipelago di campi di concentramento in cui i detenuti lavorano gratis e sostengono l'export a costo zero che invade il mondo di prodotti a prezzo stracciato. Ma quasi nessuno sa come funziona davvero il singolare «comunismo di mercato» cinese. Per esempio, è vero che oggi la Cina produce qualche miliardario e che almeno duecento milioni di cinesi hanno un potere d'acquisto pari a quello occidentale; meno noto è che tutti gli altri (cioè, l'altro miliardo e rotti) vivono nella miseria più nera. Se in metropoli come Shanghai il salario medio si aggira all'incirca sui duecento euro mensili, nelle campagne circostanti di euro se ne guadagnano solo ventotto. Per giunta, anche nelle città decine di milioni di emigranti (che lasciano le campagne per fame) lavorano senza misure di sicurezza e senza orario per una trentina di euro al mese. Solo il dieci per cento dei lavoratori può vantare un regolare contratto con paga continua. Infatti, pare che molti datori di lavoro falsifichino le ricevute e non paghino i salari con il pretesto di saldarli semestralmente (cosa che poi non sempre avviene). Coloro che, non avendo ricevuto la paga, non possono tornare ai loro villaggi a festeggiare il capodanno cinese, spesso si suicidano per la vergogna. Qualcuno cerca di farsi giustizia da sé ma una efficientissima polizia interviene e la magistratura non va per il sottile nell'infliggere, com'è noto, la pena di morte (con la spesa del proiettile -usato per il colpo alla nuca - a carico dei familiari del condannato).
Scoppiano ogni anno decine di migliaia di tumulti in tutto il Paese, corredati da scontri con la polizia. Operai, contadini, pensionati e perfino ex militari si sono visti spogliati di ogni cosa a beneficio di segretari di partito e dirigenti di industrie o banche. Ma lo si viene a sapere solo quando è in atto una «guerra alla corruzione», cioè un rimescolamento di carte all'interno del potere. Anche l'istruzione, fiore all'occhiello del «grande balzo in avanti» maoista, langue: i figli dei contadini che non possono permettersi le tasse scolastiche mollano la scuola dell'obbligo. Sul versante religioso si sa come stanno le cose. Tuttavia, il regime ha da qualche tempo deciso di incoraggiare il solo confucianesimo, perché predica il sacrificio per il bene comune e la sottomissione ai governanti. Però neanche i cinesi sono scemi e quando vedono i pezzi grossi del partito, pur condannati per corruzione, godersi lussuosi arresti domiciliari mentre il popolo bue finisce alla forca, si arrabbiano.
Il fatto è che il regime tiene la guardia sempre alta nei confronti di coloro che potrebbero capeggiare le proteste: dissidenti, giornalisti, avvocati, attivisti dei diritti umani, leader religiosi. Periodicamente, non pochi esponenti di queste categorie conoscono il carcere e la «rieducazione». Purtroppo non sono molti. Il fatto è che per millenni i cinesi sono stati abituati a pensare i «diritti» come qualcosa di graziosamente concesso dall'imperatore. Sopra il quale non c'era altro. Infatti, l'ideogramma che lo rappresenta ha una linea orizzontale in cima: il cielo. Cioè, sopra l'imperatore non c'era nulla, l'imperatore era l'unico dio. Da qui il pratico ateismo dei cinesi e l'abitudine alla sottomissione allo Stato. Forse l'Occidente potrà davvero fare qualcosa per la Cina (e per se stesso) se, come un tempo in Africa, si farà precedere dai missionari.
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