BastaBugie n�116 del 27 novembre 2009

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KARL RAHNER: LO PSEUDO PROFETA DEL CONCILIO TRADITO

Fonte: Corrispondenza Romana, 21/11/2009

A 25 anni dalla morte, la figura dello studioso gesuita Karl Rahner (+ 1984) è ancora e sempre più oggetto di disputa e di controversia.
Gli uni, in genere di orientamento progressista, gli attribuiscono meriti teologici tali da dichiararsi volentieri suoi discepoli e da paragonarlo nientemeno che a san Tommaso d’Aquino, già definito Dottore Comune della Chiesa; gli altri (tra i quali spiccano i nomi di Cornelio Fabro, Giuseppe Siri, Julio Meinvielle e Antonio Galli), lo vedono al contrario come una delle cause prossime dell’attuale sbandamento teologico, filosofico, etico e politico del mondo cattolico.
In un’opera profondamente meditata e ben scritta (Giovanni Cavalcoli, Karl Rahner. Il Concilio tradito, Fede e Cultura, 2009, 24 €), il domenicano padre Cavalcoli – forte di una ricerca in materia di almeno 20 anni e di tante pubblicazioni sul tema – affronta di petto il difficile pensiero rahneriano, scovandone, con sottile analisi, tutte le ragioni di perplessità e di riserva.
Senza negarne gli aspetti positivi (cfr. in tal senso le pp. 11-12), i quali in definitiva attengono alla sua notevole capacità speculativa e alla sua vastissima cultura, Karl Rahner è sicuramente uno dei principali responsabili della cosiddetta “svolta antropologica” (Fabro), e cioè, in definitiva, della riduzione della teologia ad antropologia (a seguito di quanto già vanamente tentò Feuerbach), come conseguenza, stavolta, dell’assunzione della modernità come categoria filosofica di riferimento.
L’opera, che merita di essere letta dai fedeli consapevoli dell’immane crisi in atto a dai pastori che vogliano liberarsi dalla velenosa eredità rahneriana, è divisa in 5 parti. La prima, la più ardua e la più importante, analizza e confuta passo dopo passo la gnoseologia del gesuita, mostrandone le dipendenze da Fichte, Kant, Hegel e Heidegger, e la chiara congruenza con l’impostazione immanentistica condannata dalla Chiesa nell’enciclica Pascendi. 
Le altre parti del volume sono dedicate alla teologia, all’antropologia e alla cristologia del gesuita, concludendo con il confronto, tra Rahner e il Magistero cattolico, su tanti elementi della dottrina cristiana, come la grazia, il peccato, i sacramenti, il libero arbitrio, etc. etc. In tutti questi punti, la visione rahneriana del cristianesimo, si distacca, ove più ove meno, dalla dottrina dogmaticamente definita: anche quando il gesuita usa il Concilio, a cui partecipò come perito, lo fa in modo assolutamente strumentale, con lo scopo di insinuare virtualità ermeneutiche in esso chiaramente non presenti. Nondimeno secondo il domenicano, «il linguaggio del Concilio, che si è sforzato di tenere un tono modernamente pastorale, manca a volte, su punti importanti di dottrina, della desiderata chiarezza ed univocità» (p. 8): proprio questo ha permesso e forse favorito l’ondata neo-modernista che ha travolto il pensiero cattolico già durante lo svolgimento dell’assise ecumenica.
Come risolvere il problema, scongiurando quella che Augusto del Noce definì «l’auto-eutanasia del cattolicesimo»?
Secondo Cavalcoli, le autorità cattoliche dovrebbero «intervenire con coraggio e chiarezza» (p. 344), per confutare gli errori presenti e indicare vie alternative: «Un’opera utile da compiere a questo proposito […], è, come auspica Mons. Gherardini nel suo recente libro, quella di mettere in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicitazioni della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare il bene e il progresso della Chiesa nella Verità» (p. 345).
Conclude il poderoso volume di oltre 350 pagine (e quasi 700 note) una fondamentale bibliografia ragionata e critica verso il rahnersimo: auspichiamo vivamente che questo testo, come quello prima citato del Gherardini, siano segni propizi di una nuova stagione teologica “post-conciliare”, stavolta però tutta centrata su Dio e il culto (anche intellettuale…) che Gli è dovuto.

Fonte: Corrispondenza Romana, 21/11/2009

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