BastaBugie n�664 del 13 maggio 2020

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IL LOCKDOWN PER IL CORONAVIRUS E' STATO INUTILE, ANZI... DANNOSO
Le statistiche negli Usa confermano che l'84% dei pazienti ricoverati in ospedale non viaggiava, non lavorava, non frequentava luoghi pubblici (infatti il 66% ha contratto il coronavirus in casa)
Autore: Stefano Magni

"Questa è una sorpresa: la maggioranza assoluta della gente (contagiata, ndr) era a casa". La scoperta fatta dal governatore di New York, Andrew Cuomo, è quella di una prima statistica completa su dove siano avvenuti i contagi di Covid-19 nello Stato più colpito in assoluto negli Usa. Il 66% dei malati ospedalizzati hanno contratto la malattia mentre era a casa.
"Pensavamo che forse prendessero i mezzi pubblici e abbiamo preso provvedimenti speciali sui mezzi pubblici, ma invece, no, questa gente era letteralmente a casa", ha proseguito il governatore dello Stato di New York, che descrive la scoperta come "uno shock". La statistica è stata pubblicata dopo un sondaggio nei 100 ospedali della città simbolo degli Stati Uniti, su un campione di 1000 pazienti. Il primo luogo di contagio è, appunto, casa propria, con il 66% dei pazienti che ha contratto il Covid nelle quattro mura della propria abitazione, al secondo posto ci sono le case di riposo (18%). Pochissimi i casi di contagio in carcere (meno dell'1%) e fra i senza tetto (appena il 2%). Circa l'84% dei pazienti ricoverati in ospedale non viaggiava, non lavorava, non frequentava luoghi pubblici. La maggioranza schiacciante (73%) ha più di 50 anni. Circa la metà sono cittadini di etnia ispanica o afro-americani. Quasi nessuno è un lavoratore in aziende ritenute essenziali e dunque ancora aperte in tempo di epidemia.

IL FALLIMENTO DEL LOCKDOWN A NEW YORK
"Se vi isolate in casa, se prendete le giuste precauzioni, non contagerete la vostra famiglia" era il mantra di Cuomo, che ha imposto uno dei più duri lockdown degli Stati Uniti (in cui ogni Stato decide autonomamente sulla sua politica sanitaria). Questa notizia giunge alle sue orecchie come una clamorosa smentita. Il problema del lockdown che si riscontra a New York e negli altri Stati nordamericani che lo hanno imposto è molto simile a quello che si riscontra anche in Italia.
La statistica italiana su dove sono avvenuti i contagi è stata pubblicata dall'Istituto Superiore della Sanità il 24 aprile: il 44% è nelle case di riposo, il 24% nelle proprie case, il 10,8% in ospedale o ambulatorio e solo il 4,2% sul posto di lavoro. Le percentuali sono dunque invertite rispetto al caso di New York, ma risulta sempre che, nel corso del lockdown i due principali luoghi del contagio sono la casa di riposo e casa propria, cioè le due "trincee" che in teoria avrebbero dovuto proteggere soprattutto le fasce più deboli della popolazione, anziani e malati. Questo vuol dire che non sono state prese sufficienti precauzioni, né la gente è stata sufficientemente ben informata: i motivi del contagio in casa possono essere molteplici, come un familiare ammalato, un virus entrato attraverso una spesa, una consegna, forse, ma è solo un'ipotesi, anche l'aria condizionata.

IN UN LUOGO CHIUSO I MALATI CONTAGIANO I SANI
Ma queste statistiche dovrebbero suggerire anche altro. Finora il lockdown è stato adottato da governi locali e nazionali, fra cui quello italiano, in modo acritico come se fosse l'unica misura possibile per spezzare la catena dei contagi. Pur essendo economicamente e socialmente costosissima, questa strategia è diventata un fine in sé, invece di essere considerata per quello che è: un espediente per permettere alla sanità di riorganizzarsi dopo lo shock iniziale e mettere in piedi una struttura per individuare, tracciare e isolare gli infetti. La durata prolungata di un lockdown a oltre due mesi (come in Cina e in Italia) o oltre un mese (come New York) rischia di creare la falsa impressione che, se rimanessimo tutti in casa, il morbo si estinguerebbe. Cosa che non avverrà mai. Finché non si scoprono cure risolutive, o non si trova quantomeno il modo di individuare, con la maggior precisione possibile, i malati per metterli in quarantena (separandoli dai sani), il morbo non passa. La quarantena, da che mondo è mondo, è infatti per i malati contagiosi. Non per tutti, sani e malati indiscriminatamente. Il lockdown è come una quarantena imposta a tutti ed è ovvio che in ogni luogo chiuso i malati contagino i sani. Gli esempi migliori di lotta al coronavirus, come Taiwan e Corea del Sud, dimostrano che si è potuto ingabbiare il virus anche senza chiudere i cittadini in casa.

Nota di BastaBugie: Roberto Marchesini nell'articolo seguente dal titolo "L'impatto psicologico del Covid-19 sugli italiani" parla del sondaggio del Barometro Salute Mentale sull'impatto dell'emergenza sulla popolazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 maggio 2020:
Finalmente abbiamo una valutazione degli effetti psicoogici del Covid-19 sulla popolazione italiana.
Dopo tanti articoli sugli ipotetici danni del virus sulla psicologia degli italiani, ecco presentato uno strumento di valutazione. Si tratta del Barometro Salute Mentale: un progetto dell'Ordine degli Psicologi del Lazio in collaborazione con la Facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza Università di Roma e con l'ENPAP - Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi.
L'obiettivo dello strumento è fotografare lo stato di salute mentale e il benessere psicologico della popolazione italiana, durante e dopo l'emergenza legata all'epidemia da Covid-19. I partecipanti vengono divisi per sesso e fasce d'età; dopodiché indicano quale emozione prevale durante la quarantena. Dai dati raccolti fino a oggi si nota che l'età è una variabile che influenza molto sul modo di vivere l'emergenza virale.
Le persone più giovani (<30), ad esempio, riferiscono più frequentemente reazioni ansiose. È la reazione più in linea con le comunicazioni confuse e allarmanti prodotte dai media, da molti medici e dal governo. In qualche modo, conferma quanto avevamo osservato circa la maggior vulnerabilità, da parte dei giovani, rispetto ai messaggi mainstream.
Le persone tra i 30 e i 39 anni manifestano più frequentemente rabbia e preoccupazione per le proprie relazioni. Generalizzando, sono le persone che vivono in modo più attivo la loro vita e le loro relazioni; hanno, in poche parole, fame di vita. Sentono che le misure per il contrasto del virus stanno sottraendo loro tempo prezioso, stanno facendo perdere loro incontri, contatti, opportunità.
Tra i 40 e i 49 anni emerge un maggior attaccamento alle relazioni. Hanno costruito una stabilità affettiva e relazionale, hanno raggiunto la maturità emotiva; apprezzano più di altri l'importanza della famiglia e delle relazioni.
Dai cinquant'anni in su si intensificano le preoccupazioni legate all'isolamento e al senso di solitudine. Questa fascia comprende i tanti anziani che popolano la nostra penisola e che ne costituiscono la fascia d'età più fragile. Va considerato anche che il virus colpisce più frequentemente e in modo più violento proprio questa popolazione. Per questo motivo, il tratto più frequente che queste persone manifestano è quello della solitudine.
Lo strumento presenta, ovviamente, delle importanti limitazioni, sia per quanto riguarda la selezione del campione che per il metodo usato (auto-valutazione). Sono dati che, quindi, vanno presi per quello che sono. Tuttavia possono dare una valutazione, per quanto grossolana, dell'impatto dell'emergenza sulla nostra popolazione.
Abbiamo fornito ai nostri lettori un piccolo vademecum per vivere al meglio questo periodo. Ricordiamo inoltre che il governo ha di nuovo dato la possibilità di svolgere attività all'aria aperta (con le dovute precauzioni): approfittiamone.


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Titolo originale: New York, Cuomo scopre che il lockdown è una falsa sicurezza
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08-05-2020

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