BastaBugie n�156 del 03 settembre 2010

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OMELIA PER LA XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 14,25-33)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 5 settembre 2010)

Vi è una parola chiave nel Vangelo di questa domenica per avere la giusta lettura di tutto il brano. La parola è la seguente: riflettere. Così, nei paragoni che Gesù offre alla nostra meditazione, colui che vuole costruire una torre deve prima riflettere bene su quella che sarà la spesa per vedere se riuscirà a portare a termine l’opera; così, un re che va in guerra contro un altro re dovrà prima valutare con attenzione i mezzi di cui dispone. Allo stesso modo dovrà fare pure il cristiano. Egli, nel seguire Gesù, dovrà avere a disposizione quella virtù che gli consentirà di essere un fedele discepolo sino alla fine, in modo da non rinnegare mai il Signore.
Di quale virtù si tratta? Ce lo fa comprendere Gesù stesso nel brano del Vangelo. Quella virtù è il distacco da tutti i propri averi. Il testo, infatti, si conclude con queste parole: «Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). Sono parole molto esigenti che devono essere rettamente intese. Non si tratta di rinunciare materialmente a tutto, come ad esempio ha fatto san Francesco d’Assisi, ma di non essere attaccati a niente se non al Signore e alla sua volontà. I beni di questo mondo devono essere usati con cuore libero, senza diventarne schiavi.
Per arrivare a questo distacco, bisogna però amare Dio con tutto il nostro cuore. Non c’è via di mezzo: o si ama Dio, oppure il nostro cuore si attaccherà inevitabilmente ai beni di questo mondo. Quanto più si ama, tanto più ci si libera da questi legami. Per quale motivo san Francesco d’Assisi era staccato da tutto e bramava la povertà più di quanto un avaro possa desiderare le ricchezze di questo mondo? Perché amava con tutto il cuore.
L’amore farà sì che metteremo Dio al primo posto nella nostra vita, al di sopra degli affetti più cari e al di sopra della nostra stessa vita. Gesù, infatti, ci dice: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). E, subito dopo, ci dice: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,27).
Riflettiamo! Abbiamo noi questo bene così grande dell’Amor di Dio? Se siamo onesti dobbiamo dire che il nostro amore per il Signore è sempre tanto piccolo e deve ancora tanto crescere. Anzi, per dire la verità tutta intera, dobbiamo aggiungere che tante volte non amiamo per niente il Signore, quando a Lui preferiamo il peccato.
Se veramente ci rendiamo conto di non possedere questo bene inestimabile dell’Amor di Dio, adoperiamoci in tutti i modi per ottenerlo. Lo otterremo innanzitutto con una buona Confessione. Chi vive abitualmente in peccato mortale non sta facendo neppure un passo verso il Signore; anzi, si sta allontanando.
Il secondo mezzo per conseguire il bene dell’Amor di Dio è la preghiera. Cosa c’è di più bello e di più facile della preghiera! Il demonio fa di tutto per non farci pregare. Ci fa credere che sia una cosa inutile, una perdita di tempo. Ci fa venire in mente tante cose da fare, tutte urgenti e indispensabili. Così facendo perdiamo di vista l’unica cosa veramente necessaria a discapito della nostra anima. Non cadiamo in questa tentazione! Preghiamo regolarmente. Solo così riusciremo a riportare vittoria su tutte le tentazioni. Un cristiano che non prega è come un soldato che abbassa le armi di fronte al nemico: perirà miseramente. La preghiera, soprattutto, dilaterà il nostro cuore e ci consentirà di amare veramente, di amare non tanto con il nostro piccolo cuore, ma con il Cuore di Gesù.
Affidiamoci infine alla Madonna, chiediamo a Lei la grazia di mettere in pratica queste esigenti parole del Vangelo. Da soli certamente non ci riusciremo, ma, grazie alla sua potente intercessione, otterremo il bene inestimabile dell’Amor di Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 5 settembre 2010)

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