BastaBugie n�88 del 29 maggio 2009

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SAMURAI: IL MARTIRIO DEI 37.000 CATTOLICI GIAPPONESI

Autore: Andrea Galli

Nel dicembre del 1637 circa trentasettemila kirishitan, cioè cristiani, si asserragliarono nel castello di Hara, nell’allora provincia di Hizen, nell’Isola di Kyushu, la più a sud dell’arcipelago nipponico. Ventimila tra contadini e commercianti, inquadrati militarmente da seicento ronin, samurai decaduti, più diciassettemila donne e bambini al seguito, decisi a resistere fino alla morte per rivendicare la libertà di culto e sfidare un potere feudale giunto a livelli di torchiatura fiscale e di crudeltà inauditi. A guidarli era un giovane di soli sedici anni, Amakusa Shiro, figlio di un samurai cristiano e creduto – per il suo carisma e una serie di miracoli che gli furono attribuiti – l’«inviato dal cielo» citato in una misteriosa profezia attribuita a San Francesco Saverio, ritrovata nel testo lasciato dietro di sé da un gesuita in fuga dalla persecuzione anticattolica.
Era un popolino proveniente dalle isole Amakusa e dalla penisola di Shimabara, costretto a professare la fede nel segreto, pena la morte, odiato dai bonzi buddisti quanto dallo shogunToku­gawa
Ieyasu, che vedeva in ogni presenza cristiana un cavallo di Troia degli imperi marittimi di Portogallo e Spagna. Un popolino che, abituato a tirar di roncola più che di spada, aveva però scelto di uscire dalle catacombe e sfidare in armi le autorità locali: prima aveva tentato di assaltare i castelli di Hondo e Tomioka, poi aveva resistito alle rappresaglie, infliggendo pesantissime perdite alle spedizioni dei daimyo, i feudatari locali, poi era arrivato vicino all’inaudito, cioè la presa della fortezza principale della zona, quella di Shimabara, del daimyo Matsukura Katsuie. Infine, impossibilitato a continuare lo scontro in campo aperto contro un esercito via via sempre più imponente, grazie ai rinforzi provenienti dal resto del Giappone, si era rifugiato in un grande fortilizio abbandonato, a ridosso dell’oceano. Sapendo che da lì, salvo miracoli, non sarebbe più uscito vivo. Le navi che erano servite per approdare al castello furono distrutte e il legno fu usato per rinforzare le mura diroccate. Sui bastioni furono innalzate grandi bandiere bianche crociate e i kirishitan si apprestarono a combattere invocando l’aiuto di Iesu Kirisuto (Gesù Cristo), di Mariya e dei santi. Niente messe, perché di missionari o sacerdoti autoctoni per celebrarle non ne erano rimasti – quelli che non erano riusciti a lasciare il Paese erano stati trucidati –, solo rosari ed esortazioni mistiche dell’Inviato del Cielo. Per cinque mesi i ribelli resistettero all’impossibile, anche alle cannonate di una nave olandese guidata dal calvinista Nicolas Koekebakker, che aveva messo a disposizione per l’annientamento dell’insurrezione papista le sue bocche da fuoco. Fino alla capitolazione, per sfinimento, mancanza di viveri, munizioni, sabotaggi interni, il 12 aprile del 1638.
I kirishitan furono massacrati e tutti decapitati. La spianata attorno al castello fu disseminata di pali con le loro teste mozzate, come un immenso campo di macabri girasoli. La testa di Amakusa Shiro fu portata a Nagasaki come trofeo e avvertimento per i restanti seguaci di Iesu Kirisuto e del gran regnante di Roma.
Per raccontare la vicenda della ribellione di Shimabara, la Masada della Chiesa giapponese, poco conosciuta in Occidente, Rino Cammilleri, saggista prolifico e di lungo corso, ha scritto quello che probabilmente è il più bello tra i romanzi storici che finora ha firmato: Il Crocifisso del Samurai (Rizzoli, pagine 276, euro 18,50). Lo ha fatto miscelando una trama di fantasia che vede protagonisti tre seguaci di Amakusa Shiro – il giovane Kato, la sua amata Yumiko, prelevata dalle guardie di un daimyo e torturata pubblicamente con l’unica colpa di essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non aveva potuto pagare le tasse alle autorità – e un racconto degli accadimenti di quel 1637 di sangue e della grande persecuzione dei decenni precedenti. Un’immersione in un Giappone arcaico e feroce, dove sulla fiorente Chiesa nata dalle missioni gesuitiche e francescane si abbatté una violenza che ha avuto pochi uguali nella storia. E dove gli shogun della dinastia Tokugawa, dopo aver preso il potere nel 1603 chiusero sempre più il proprio impero ai rapporti con gli stranieri – dopo la ribellione di Shimibara per oltre duecento anni il Giappone divenne sakoku, quasi totalmente blindato e autarchico – e i cristiani si eclissarono. Riemersero alla luce, come per miracolo, alla fine di un tunnel plurisecolare, solo nel 1865, quando i missionari tornarono in quella lande.

Fonte: 13 maggio 2009

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