BastaBugie n�73 del 27 febbraio 2009

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1 CAMBOGIA
Processo al boia di Pol Pot responsabile di 20mila uccisioni
Autore: Luca Miele - Fonte: 18 febbraio 2009
2 ELUANA: INCREDIBILE, MA VERO! SURREALE CENA PER RINGRAZIARE I GIORNALISTI

Fonte: 13 febbraio 2009
3 ELUANA: DON ALDO TRENTO RESTITUISCE L'ONORIFICENZA A NAPOLITANO

Fonte: 10 febbraio 2009
4 ELUANA: FINI RINCORRE LA SINISTRA... INUTILMENTE E DANNOSAMENTE

Autore: Giovanni Formicola - Fonte: 11 febbraio 2009
5 STORIA DEL GRUPPO EDITORIALE LA REPUBBLICA
La massoneria contro Dio
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: 8 dicembre 2008
6 RISORSE FINITE?
No! Perche' l'uomo le moltiplica...
Autore: Matteo Sacchi - Fonte: 21 febbraio 2009
7 CHI SI CONFESSA DIRETTAMENTE DA GESU' NON TIENE CONTO DI CIO' CHE GESU' HA DETTO

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
8 APPROFONDIAMO L'ISTRUZIONE DIGNITAS PERSONAE SU ALCUNE QUESTIONI DI BIOETICA

Autore: Mons. Rino Fisichella - Fonte: 12 dicembre 2008

1 - CAMBOGIA
Processo al boia di Pol Pot responsabile di 20mila uccisioni
Autore: Luca Miele - Fonte: 18 febbraio 2009

 Minuto. Impassibile. Trincerato dietro un paio di occhiali scuri. Protetto da uno spesso vetro anti- proiettile. A trent’anni dalla caduta di Pol Pot e alla dissoluzione di una delle più sanguinarie dittature del Novecento –le vittime furono due milioni–, il primo dirigente dei khmer rossi è comparso in un’aula di un tribunale cambogiano a Phnom Penh, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Kaing Guek Eav, ai più conosciuto come “Duch”, insegnante di professione, capo torturatore del regime per vocazione. Che ruolo ha avuto –in una delle pagine più terribile della storia recente– l’uomo che ieri appariva rigidamente seduto nell’aula del tribunale? “Duch” guidava le torture nella famigerata prigione di Tuol Sleng o “S-21” dove si calcola abbiano perso la vita, tra il 1975 e il 1979, tra le 15 e le 20mila persone. I (pochi) sopravvissuti alle barbarie del regime lo ricordano così: zelante, scrupoloso, un fanatico delle tecniche di tortura perfezionate negli anni della guerriglia.
  È accusato di crimini contro l’umanità per aver ordinato torture, stupri e più di cento omicidi al giorno. Il suo avvocato, Francois Roux, ha anticipato che chiederà pubblicamente scusa alle vittime e al popolo cambogiano, ma lui in aula è rimasto impassibile. In silenzio.
  Quella di ieri è stata una prima udienza tutta dedicata a questioni procedurali. Il processo entrerà nel vivo solo il mese prossimo, mentre si prevede che il verdetto arrivi solo a settembre. Non sono mancate le polemiche attorno a un procedimento –che può “contare” su un bilancio di 56 milioni di dollari –: qualcuno ha puntato l’indice contro la presunta spettacolarizzazione del genocidio, altri contro la estrema lentezza con cui procede. Solo nel 2010 dovrebbe iniziare il processo a carico di altre quattro figure di primo piano del regime: Khieu Samphan, 77 anni, ex capo di Stato; Ieng Sary, 83 anni, ministro degli Esteri; Ieng Thirith, 76 anni, moglie di Sary e ministro per gli Affari sociali; Nuon Chea, 82 anni, ideologo del regime e soprannominato “fratello numero 2”. Pol Pot, il sanguinario dittatore conosciuto come “fratello numero 1” è morto il 15 aprile del 1998, senza aver mai risposto delle atrocità commesse. Il tribunale chiamato a giudicare i crimini in Cambogia è stato creato nel maggio 2006, dopo otto anni di trattative tra Phnom Penh e le Nazioni Unite, negoziati che hanno fatto mettere in dubbio la volontà del governo di renderlo operativo.
  I comunisti cambogiani presero il potere nel 1975, dopo il collasso dell’apparato militare americano nel vicino Vietnam e lanciarono la loro “rivoluzione” svuotando in poche ore la capitale Phonm Pen. L’intera popolazione della capitale fu mandata ai lavori forzati nelle campagne nella convinzione che così sarebbe stata abbattuta la società “borghese”. La S-21 fu una prigione riservata esclusivamente ai khmer rossi dissidenti che venivano torturati fino a quando non confessavano i loro presunti “tradimenti”. Dopo li attendeva solo la morte. Dinanzi al ghigno dei loro carnefici.

Fonte: 18 febbraio 2009

2 - ELUANA: INCREDIBILE, MA VERO! SURREALE CENA PER RINGRAZIARE I GIORNALISTI

Fonte 13 febbraio 2009

 Un ricco catering nella sua villa seicentesca, quella dove nonni, genitori e poi i figli hanno studiato da avvocati, camerieri in guanti bianchi, i migliori vini friulani: Eluana attendeva ancora sepoltura l’altro ieri sera, quando nelle campagne fuori Udine l’avvocato Campeis -il legale udinese di Beppino Englaro ­ha imbandito la sua tavola per i giornalisti. «So già che mi mancherete molto; con questa cena vi voglio ringraziare per la vicinanza e la collaborazione che ci avete dato... ». C’erano quasi tutti i colleghi della carta stampata, accolti con raffinatezza nel lusso di Villa Campeis. C’era finalmente Renzulli, figura storica del socialismo friulano, dicono il protagonista occulto dell’intera vicenda. In alto i calici: impresa giunta a buon fine. La festa è andata avanti fin quasi all’alba, poi tutti a letto, sazi, ma qualcuno anche turbato: «Ci siamo andati - racconta il collega di un grande quotidiano - : effettivamente era qualcosa di surreale». Al mattino, viso stanco e occhiaie per tutti: bisogna correre a Paluzza, ieri si seppelliva Eluana.

Fonte: 13 febbraio 2009

3 - ELUANA: DON ALDO TRENTO RESTITUISCE L'ONORIFICENZA A NAPOLITANO

Fonte 10 febbraio 2009

Aldo Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per malati terminali di Asunción. Il 2 giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Ieri Trento ha restituito l’onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro. “Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?”. “Ho più di un caso come Eluana Englaro”, racconta Aldo Trento al Foglio. “Penso al piccolo Victor, un bambino in coma, che stringe i pugni, l’unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana? Ieri mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove anni, l’abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi. Celeste ha undici anni, soffre di una leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l’hanno portata soltanto per seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride. Ho portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare una simile operazione come quella su Eluana? Cristina è una bambina abbandonata in una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà. Sono padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta. Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano”. Don Aldo Trento dice di provare un “dolore immenso” per la storia di Eluana Englaro. “E’ come se mi dicessero: ‘Ora ti prendiamo i tuoi figli malati’. Il caso di Udine ha sconvolto tutti, medici e infermieri. L’uomo non si può ridurre a questione chimica. Come può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel mondo? Così ho preso la stella e l’ho portata all’ambasciata italiana del Paraguay. Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo. Ci dicono che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è assurdo anche il cimitero e il culto dell’immortalità che anima la nostra civiltà”.

Fonte: 10 febbraio 2009

4 - ELUANA: FINI RINCORRE LA SINISTRA... INUTILMENTE E DANNOSAMENTE

Autore: Giovanni Formicola - Fonte: 11 febbraio 2009

Adesso che finalmente si è «sistemato», e vita natural durante (la carica di presidente della camera dei deputati è metafisica: semel presidente, semper presidente), potrebbe godersene tutti gl’innumerevoli privilegi e smetterla di rincorrere la legittimazione da parte dell’establishment politico, mediatico e culturale politicamente corretto, ritenendola assolutamente necessaria per fare ancora «carriera».
Una rincorsa, peraltro, che rischia di portarlo in un vicolo cieco.
Infatti, è convinto – così gli hanno detto, e lui non ha avuto tempo per approfondire – che il fascismo è stato un fenomeno – in tutte le sue articolazioni: regime, movimento, base popolare e «dottrina» – di destra. Ed allora, per farsi perdonare gli errori di gioventù e per togliersi di dosso il marchio dell’infamia, fa di tutto per piacere alla sinistra. Per rendersi tale sforzo meno faticoso e problematico, segue la via facile dell’isomorfismo mimetico (lui non sa che cos’è, ma gli assicuriamo che è proprio quello che fa).
Tanto per esemplificare: alla sinistra – anche quella cristiana – piacciono molto e a prescindere gl’immigrati, soprattutto se clandestini, e lui non perde occasione per farsene, in modo un po’ goffo per la verità, paladino, anche in riferimento alle pretese più assurde. Ma questo è ancora poco, e soprattutto è a rischio: infatti, non sono pochi i leader della sinistra europea che hanno praticato politiche sull’immigrazione assai restrittive, da Zapatero al socialista tedesco Schroeder (soprattutto quest’ultimo, che ha stabilito l’obbligo – l’obbligo non la mera possibilità, come fa la vituperata destra in Italia – per i medici di denunciare gl’immigrati clandestini che avessero a curare). Allora, per non sbagliare, si è rifugiato su un terreno più sicuro, dove l’imitazione della sinistra per assomigliarle (e piacerle) il più possibile dà più garanzie di riuscita. E così, se la sinistra – anche quella cristiana – ha in odio ogni posizione che in qualche modo sia riferibile alla Chiesa cattolica, al magistero del Papa e a quello di alcuni (solo alcuni) vescovi, o sia propria della nostra tradizione giudaico cristiana e del migliore Occidente, ma soprattutto del diritto e della verità sociale naturali, allora lui non perde occasione per attaccare la Chiesa e le sue «ingerenze» (non senza qualche perigliosa avventura nel per lui inesplorato territorio della storia), o per marcare il suo dissenso «laico» da chi vorrebbe in qualche modo tutelare il diritto alla vita e della vita, la famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un maschio e una femmina e la libertà d’educazione, cioè i principi non negoziabili alla base di ogni sana filosofia della società e della politica.
Peccato, però, che così facendo, lui s’imprima viepiù quel marchio che tenta di cancellare. Infatti, è ben noto a chi ha studiato, anche non moltissimo, che il fascismo è stato un fenomeno dalle origini decisamente anticlericali se non anticristiane, che è entrato presto in concorrenza con la Chiesa, contestandole le «ingerenze» nell’educazione della gioventù e l’opposizione alle politiche finalizzate alla virilizzazione e purificazione della razza italica, per liberarla da tare genetiche e culturali che la potessero indebolire e farla degenerare. Così com’è noto, senza che sia stato necessario perdere la vista sui libri, che il fascismo fu un fenomeno statalista, anzi tendenzialmente statolatrico, che praticava il culto dell’autorità istituzionale e fortemente inclinato al positivismo giuridico, cioè all’idea del diritto e dei diritti come mera creazione del legislatore, titolare di un potere superiorem non recognoscens. Queste idee sono invero molto di sinistra, e per questo chi ha studiato, anche se non molto, sa che il fascismo fu essenzialmente e intenzionalmente Rivoluzionario e di sinistra, ma che godette di un consenso di destra e per questo dovette moderarsi un po’.
E che altro sono stati, se non un ritorno a tali idee, la sua opposizione al decreto del governo come estremo tentativo per salvare la vita a Eluana Englaro, condannata a morire per fame e per sete, e il suo consenso alla decisione del capo dello stato di non emanarlo, stringendo con lui una sorta di riedizione dello scellerato patto Molotov-von Ribbentrop, stavolta non contro la Polonia e le repubbliche baltiche, ma contro la vita?
Infatti, si è eccepito che il decreto legge era incostituzionale. In realtà, aveva un significativo precedente nei termini: quello emanato nel 1991 dal presidente Cossiga per vanificare una sentenza della Cassazione che avrebbe comportato la liberazione di circa quaranta imputati di reati di mafia, e così tenerli in carcere con provvedimento dell’esecutivo, e quindi era da tale precedente più che legittimato. Ma se anche fosse stato incostituzionale, questo significherebbe solo che il governo ha riconosciuto l’esistenza di una norma non scritta («Non uccidere l’innocente»), che s’impone a ogni legge positiva e a ogni sentenza della magistratura, ed ha tentato di ridarle cittadinanza nell’ordinamento giuridico dal quale era stata espulsa con sentenza dei giudici. È precisamente quello che nessuno statalismo – né comunista, né socialdemocratico, né fascista, né «democratico» – può sopportare. Di qui la predica hegeliana sulla costituzione scritta (infondata giuridicamente, ma quello che qui conta è il paradigma), sulle istituzioni da rispettare, mentre una donna veniva uccisa perché gravemente disabile.
Dunque, schierandosi contro il governo e per il capo dello stato, era convinto di uscire definitivamente dal tunnel, ed invece si è trovato nel vicolo cieco dello statalismo legalista. Un atteggiamento che non riconosce diritti e diritto superiori e sottratti all’arbitrio di giudici e  legislatori, e si rifugia nel formalismo del rispetto delle sentenze – qui comunque invocato come il cavolo a merenda –, delle istituzioni e da ultimo, non potendo mancare il condimento relativista, della volontà soggettiva. Un atteggiamento che avrebbe impedito un processo come quello di Norimberga – a prescindere dal problema del giudice-vincitore e dell’imputato-vinto –, e che è sempre stato il fondamento «giuridico» di ogni totalitarismo, sia in versione soft, che in versione hard.
Insomma, la sistemazione in altissimo loco, pur ambita e simpatetica con la sua personalità, non sembra averlo placato, e continua a correre verso sinistra, pur sempre in affanno, sempre in posizione di retroguardia, sempre in preda all’isomorfismo mimetico. Senza rendersi conto, peraltro, che a sinistra incontra fatalmente anche quel fascismo dal quale cerca invano – e inutilmente – di liberarsi come da un fantasma che lo perseguita, incapace com’è di comprenderlo e così di rimuovere davvero il complesso che lo affligge. Ed in effetti, non foss’altro che per una predisposizione genetica, nell’imitazione della sinistra proprio del fascismo incarna i peggiori vizi statalistici, paganeggianti e persino eugenisti, che lo hanno caratterizzato e che aveva in comune – sebbene questa parte della sua storia sia stata spesso occultata e coperta con un certo pudore– con le socialdemocrazie nordiche e i socialismi reali.

Fonte: 11 febbraio 2009

5 - STORIA DEL GRUPPO EDITORIALE LA REPUBBLICA
La massoneria contro Dio
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: 8 dicembre 2008

Esiste un gruppo editoriale, in Italia, che ha plasmato e continua a plasmare buona parte della cultura del paese. Mi riferisco all’editore L’espresso, che possiede il quotidiano Repubblica (il secondo più venduto in Italia dopo il Corriere della Sera), il settimanale L’espresso e altri 15 quotidiani locali (oltre a due mensili, due trimestrali, tre emittenti radiofoniche nazionali, l’emittente nazionale All Music...). Un vero impero mediatico, insomma, rispetto a cui la stampa cattolica, cosi povera e divisa, fa una assai magra figura.
Tra i giornalisti di spicco che vi collaborano troviamo Umberto Eco, l’autore del celebre romanzo Il Nome della rosa; Natalia Aspesi e Miriam Mafai, vestali del pensiero nichilista al femminile; Aldo Schiavone, ex direttore dell’Istituto Gramsci, che oggi immagina un futuro in cui ha tecnica sconfiggerà la morte e disgregherà finalmente la famiglia tradizionale; Umberto Veronesi, il famoso oncologo che si dedica soprattutto alla difesa dell’evoluzionismo materialista e della clonazione terapeutica e riproduttiva; Corrado Augias, autore di due pubblicizzatissimi libri in cui, senza conoscenza alcuna di esegesi biblica e di filologia, cerca di spiegare al credulone di turno che Cristo non è veramente risorto, e che il Cristianesimo è in realtà un «costantinismo», cioè una «religione civile» forgiata dall’imperatore Costantino per fini politici e di potere; Umberto Galimberti, di cui recentemente si è scoperta l’attitudine a copiare libri altrui, che ha caro il concetto per cui la tecnica sconfiggerà ed eliminerà la religione; il presentatore televisivo Gad Lerner, anch’egli omogeneo alla cultura anticattolica dominante nelle elite, e tanti altri opinionisti che hanno fatto della lotta alle radici cristiane dell’Italia il loro principale obiettivo.
All’origine di questa potentissima corazzata ideologica che ha sostenuto le campagne a favore del divorzio e dell’aborto, e che ora promuove il testamento biologico, oltre che ogni altro cambiamento di costume che vada in una ben precisa direzione, c’è una operazione culturale ben precisa, portata avanti dalla grande finanza laicista del nostro paese, che data a partire dal 1955, quando appunto venne creata la società editrice L’espresso, con Adriano Olivetti come principale azionista. Il 1955 è, non a caso, l’anno di nascita anche del Partito radicale, da una costola del Partito liberale italiano, erede a sua volta di quella borghesia elitaria che aveva (mal) fatto l’unità d’Italia. La storia dell’Espresso e poi di Repubblica, nata nel 1976, è strettamente legata alla figura di Eugenio Scalfari, primo direttore e vero padre ideale del suddetto quotidiano.
Chi e Eugenio Scalfari? Nel suo Scalfari, una vita per il potere, il noto giornalista Giancarlo Perna ricorda che il giovane Eugenio fu un membro del Guf fascista, che esordì come giornalista su Roma fascista, dimostrando una forte passione per il duce, lo stato etico, l’impero, la guerra. Perna ci dice anche che «Scalfari-padre era massone. Una tradizione di famiglia. Il capostipite fu don Antonio, che, a cavallo tra il Sette e l’Ottocento, fondô la Loggia della Calabria uniforme […] Eugenio ha i ritratti degli avi che indossarono il grembiulino appesi nella sua villa di campagna, a Velletri. Su ognuno c’è l’emblema rnassonico scalfariano: uno scudetto a due campi: uno con la scure e l’altro con il ponte […]. Con la caduta del fascismo […] Pietro (padre di Eugenio) fu tra i fondatori della loggia locale».
Ma per comprendere meglio la storia di questo celebre giornalista, occorre leggere il suo ultimo libro, L’uomo che non credeva in Dio (Einaudi, 2008), in cui l’autore rievoca «il laicismo massonico» del padre, la propria «infanzia solitaria», nutrita di «tristezza» e «malinconia», e la propria cupa e disperata visione dell’esistenza. Per Scalfari ogni uomo è solamente una delle «forme che la natura casualmente produce», un insieme di «cellule neuronali» casualmente connesse e intrecciate tra loro, gettate, quasi per uno scherzo maligno, «nel caos di una vita ancora tutta da inventare».
La domanda di senso, scrive Scalfari, «è il tema dominante della nostra specie»: «il filo d’erba vive ma non si pensa e così la farfalla, gli uccelli, il serpente... la vita dell’universo non ha bisogno di senso. Noi ne abbiamo bisogno, la nostra specie ne ha bisogno».
Ma la verità è che questo senso non esiste, che il lungo interrogarsi dell’uomo non porta a nulla ed egli rimane «un animale tra i tanti, una forma tra le innumerevoli forme», segnata però da un io, una coscienza, una personalità distinta, unica e irripetibile, che non è assolutamente un segno della nostra natura spirituale, bensì una condanna, un errore, «una superstizione», una «maschera», una «gabbia», un «capriccioso dittatore»... Meglio sarebbe annullarsi in una natura panteisticamente intesa, «distruggere l’Io», come propongono le religioni orientali. Distrutto l’io, evidentemente, anche l’esigenza di un Dio trascendente, personale, creatore, che sia il senso della vita, scompare, ed insieme a lui perisce anche l’idea di una morale oggettiva, segno della nostra libertà e della nostra grandezza. L’uomo, per Scalfari, come per tutti gli evoluzionisti materialisti, non è libero, non sceglie tra il bene e il male, non aspira alla Giustizia e alla Verità: semplicemente agisce spinto dall’«istinto di sopravvivenza», e null’altro, esattamente come gli altri animali. Perché Socrate è morto per la giustizia? Perché Cristo ha dato la sua vita per gli altri? Perché un uomo può donare tutte le sue ricchezze a poveri che neppure conosce? Non certo per una libera scelta, per la nostra natura spirituale. «Chi mette a rischio la propria vita, scrive, per salvare qualcuno che sta annegando o per difendere un debole […] non obbedisce a concetti ma agisce sotto la spinta emotiva di pulsioni e di istinti» animali, impersonali, oscuri. Ecco perché ciò che ci muove non può essere l’amore, l’altruismo, il desiderio di santità. Ma solo «la volontà di potenza», quella stessa volontà che Scalfari, come giornalista, afferma di sentire fortemente nella propria vita, nel momento in cui scrive di altri, giudica tutti, si pone al di sopra di ogni cosa.
Oggi Scalfari non è più direttore di Repubblica, ma scrive ogni settimana la sua interminabile «predica» domenicale. L’impostazione del giornale rimane infatti quella delle origini. A garantirla un editore come Carlo De Benedetti, che, come racconta Ferruccio Pinotti, in un suo studio molto documentato, benché a tratti un po’ ingenuo, Fratelli d’Italia (Rizzoli), «risulta essere entrato nella massoneria a Torino, nella loggia Cavour del Grande Oriente d’Italia, regolarizzato nel grado di Maestro, il 18 marzo 1975».

Fonte: 8 dicembre 2008

6 - RISORSE FINITE?
No! Perche' l'uomo le moltiplica...
Autore: Matteo Sacchi - Fonte: 21 febbraio 2009

Aiuto! Noi umani siamo sempre di più mentre le risorse sono sempre di meno. Questo è il refrain di buona parte della letteratura ecologista e di molti guru dell’antiglobalizzazione, come Serge Latouche, che vorrebbero indirizzarci verso un’economia che abbandoni lo sviluppo e punti verso una decrescita, più o meno serena. E oltre a Latouche si potrebbero elencare moltissimi altri nomi, noti e meno noti, che hanno costruito una fortuna sul «bio allarme»: Al Gore, Naomi Klein, Jeremy Rifkin, Nicholas Georgescu-Roegen, Vandana Shiva, l’italiano Maurizio Pallante...
Molto meno numerosi gli autori che si sono apertamente schierati contro questa concezione neomalthusiana della realtà. E che scommettono sulla capacità dell’uomo di non provocare nessuna catastrofe ambientale.
Tra questi vanno segnalati due italiani, Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari. Dopo due volumi sulle bugie degli ambientalisti ora sono in libreria con un nuovo saggio - I padroni del pianeta (Piemme, pagg. 206, euro 13,50) - che presenta una tesi che farà venire i capelli dritti a qualunque allarmista o fan del «si stava meglio quando si stava peggio»: le risorse disponibili sono in drastico aumento. E più aumenta la popolazione mondiale e l’industrializzazione, più aumenteranno le risorse. Stupiti? Ecco come Antonio Gaspari, coordinatore scientifico del Master in scienze ambientali dell’Università Europea di Roma, ci spiega le conclusioni a cui è giunto assieme a Cascioli.
Le risorse aumentano? La stampa mondiale non ci dice da anni il contrario?
«Non solo i giornali, anche un pezzo della comunità economico-scientifica ha l’abitudine di descrivere il mondo come se fosse una torta finita, la società come se fosse fissa. Quindi guardando le cose in quest’ottica ogni aumento dei consumi non può far altro che assottigliare le risorse... ».
E invece?
«Invece le risorse crescono molto più della popolazione. La prova è proprio la crisi attuale, una crisi da sovrapproduzione... Produciamo più di quanto possiamo consumare. Chi ritiene le risorse come un dato fisso pensa l’uomo solo come consumatore. Invece l’uomo crea, ridefinisce, sviluppa... Quindi il concetto di risorsa cambia continuamente. L’unica vera risorsa da cui non si deve mai prescindere è il valore del capitale umano e sociale».
Faccia un esempio...
«Lo sviluppo tecnologico dei computer ha trasformato il silicio in un processore, mentre prima era poco più che sabbia... L’uomo non consuma. È piuttosto il motore che crea e moltiplica le risorse. Abbiamo più riserve di petrolio oggi che negli anni Cinquanta. E ai tempi di Marco Polo il petrolio era solo un liquido puzzolente».
Quindi se abbiamo problemi economici non è per colpa della produzione o del livello delle riserve energetiche?
«Il problema maggiore sono proprio le crisi speculative. Siamo più attenti ai titoli e alla carta che alla produzione reale. Basta pensare alla speculazione sul petrolio, i cui prezzi sono saliti in modo esponenziale e in maniera assolutamente scollegata. E l’altro grande rischio è la politica di riduzione delle nascite. È folle: le persone, i giovani, i cervelli sono la medicina, non la malattia».
Faccio l’avvocato del diavolo. Non esistono limiti strutturali allo sviluppo del pianeta?
«I limiti sono relativi, non fissi. È il capitale umano che moltiplica le risorse. Se parliamo di risorse naturali l’Africa batte tutti per ricchezza. Nella realtà è povera a causa dello scarso capitale umano a disposizione per farle fruttare, e in più noi tutti continuiamo a dire agli africani che non devono usare le tecnologie che abbiamo usato noi, colti da non si sa bene quale ecoterrore. E intanto noi diventiamo sempre più vecchi. Senza contare che le risorse di 3/4 del pianeta, quelle marine, non sono state ancora intaccate. Sa qual è la sola cosa folle? Il sottosviluppo, è il sottosviluppo a essere insostenibile».
Eppure in molti postulano il ritorno a un’economia meno globale. A partire dall’agricoltura biologica...
«Gli effetti dell’economia della decrescita sono già belli che dimostrati... Mi ricordo un agricoltore del Mali che ho incontrato a Roma mentre si stava recando a Bruxelles per parlare di Ogm. Mi ha detto: “Io gli europei non li capisco. Noi in Africa l’abbiamo l’agricoltura biologica e ci fa morire di fame e depaupera i terreni. Dove arriva la tecnologia invece i livelli di produzione diventano subito migliori e la gente inizia a star meglio. A meno che il biologico non sia solo un modo per tenere i prezzi alti... ”».
E la questione dell’acqua come risorsa in via di esaurimento?
«Nessuno qui, sia chiaro, sta facendo inni agli sprechi... Ma l’acqua si risparmia proprio con l’agricoltura ad alta tecnologia. Guardi l’esempio di Israele che ha fatto fiorire un deserto. L’agricoltura assorbe il 70 per cento delle risorse idriche: le campagne sull’“usate la doccia e non la vasca” sono ridicole... Sono agricoltura e rete idrica che vanno modernizzate. Scatenare il terrore della scarsità è una bestemmia».
Insomma le campagne anti tecnologiche e di «terrorismo» sulla fine delle risorse non avrebbero motivi logici. Ma allora da dove vengono?
«Ci sono degli “idoli”, dei miti duri a morire che influenzano il nostro modo di pensare. Tra questi l’idea del buon selvaggio che deriva da Rousseau e l’idea folle che la natura starebbe meglio senza l’uomo. Per fare un esempio terra terra: la vicenda di quel ragazzo scappato in Alaska e raccontata nel film Into the wild».
E sono miti sbagliati?
«Se fossimo rimasti dei cacciatori raccoglitori, allora sì che non ci sarebbe bastato il pianeta... E, quanto al buon selvaggio, chiunque abbia vissuto in una foresta sa quanto quell’ambiente sia terribile. Quanto alla Terra senza l’uomo e alla sua incontaminata bellezza... a che serve se nessuno la guarda?».

Fonte: 21 febbraio 2009

7 - CHI SI CONFESSA DIRETTAMENTE DA GESU' NON TIENE CONTO DI CIO' CHE GESU' HA DETTO

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 21 febbraio 2009

 All’Angelus di domenica scorsa il Papa ha ricordato che «i peccati che commettiamo ci allontanano da Dio, e, se non vengono confessati umilmente confidando nella misericordia divina, giungono sino a produrre la morte dell’anima». Ha poi aggiunto che «nel Sacramento della Penitenza Cristo crocifisso e risorto, mediante i suoi ministri, ci purifica con la sua misericordia infinita, ci restituisce alla comunione con il Padre celeste e con i fratelli, ci fa dono del suo amore, della sua gioia e della sua pace». Tuttavia moltissimi solitamente obbiettano: perché confessarsi con un sacerdote?
  Perché non è sufficiente rivolgersi direttamente a Dio? Vediamo alcune ragioni teologiche ed antropologiche.
  Per il credente dovrebbe essere vincolante la volontà di Gesù che, proprio nel giorno di Pasqua, ha affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettere resteranno non rimessi» ( Gv   20, 22-23) Inoltre lo stesso Gesù affida a Pietro le chiavi del Regno dei cieli: 'a te darò la chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Anche San Paolo ( 2 Cor   5, 18-20) dice: «Lasciatevi riconciliare con Dio». Non dice: «riconciliatevi da soli»; bensì: «Lasciatevi riconciliare»; e spiega che «Cristo ha affidato a noi il ministero della riconciliazione». La mediazione del sacerdote scaturisce anche dal fatto che (qui il discorso sarebbe molto lungo) il cattolicesimo è una religione che coltiva la dimensione interiore ed inviolabile, personale del rapporto con Dio, ma non è solo un fatto privato tra il singolo e Dio, bensì comporta (per buone ragioni che non è qui possibile esporre) una dimensione comunitaria ed ecclesiale.
  Dunque il peccato non è solo un’offesa a Dio, bensì rappresenta anche una ferita al Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, in cui ogni credente è inserito: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; è se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui», dice ancora Paolo ( 1 Cor   12, 26). E, come ha già magistralmente spiegato nel V secolo Sant’Agostino, nella polemica contro i donatisti, l’efficacia di ogni sacramento non dipende dalla santità o indegnità del ministro, bensì dalla potenza di Dio, di cui il ministro è strumento. Ancora: l’uomo non è un puro spirito, bensì una sintesi di spirito e corpo, profondamente compenetrati, che sono due dimensioni di un’unica sostanza. Da ciò allora deriva, anche sul piano antropologico, un motivo di ragionevolezza della confessione col sacerdote. Infatti, poiché siamo anche corporei, abbiamo bisogno di gesti e atti corporei per esprimerci, e abbiamo bisogno di gesti corporei nei nostri riguardi. Per esempio, l’amore (genitoriale, amicale, coniugale, ecc.) non è fatto solo di pensieri interiori, bensì si esprime anche attraverso l’abbraccio, il bacio, ecc. Per analogia si può comprendere che anche chi si confessa abbia bisogno di sentire materialmente con le sue orecchie fisiche che il sacerdote gli dica: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
  Ne ha bisogno per essere certo che Dio lo abbia davvero perdonato. Se la confessione fosse solo interiore come potrebbe egli sapere di essere stato perdonato? Solo se avesse una locuzione interiore. Ma, anche in questo caso, come sapere che non si tratta solo di un’autosuggestione?

Fonte: Avvenire, 21 febbraio 2009

8 - APPROFONDIAMO L'ISTRUZIONE DIGNITAS PERSONAE SU ALCUNE QUESTIONI DI BIOETICA

Autore: Mons. Rino Fisichella - Fonte: 12 dicembre 2008

Nella costituzione pastorale Gaudium et spes, i Padri conciliari scrivevano: "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura" (n. 51). È sulla lunghezza d'onda di questo insegnamento che si dovrebbe porre l'Istruzione Dignitas personae. I suoi contenuti non sono altro che una genuina promozione del senso della vita umana e una sua spassionata difesa. Perché la vita umana possa essere promossa è necessario che si crei una cultura favorevole alla sua accoglienza in ogni espressione che ne viene manifestata. È necessario, per questo, l'apporto condiviso di quanti, credenti o non credenti, ritengono che questo sia il momento favorevole per approdare a uno sforzo comune in favore dell'accoglienza della vita personale. Se in alcuni momenti, comunque, diventa urgente giungere anche a una difesa della umana, per paradossale che possa sembrare, significa che questa è in serio pericolo. Non è la visione catastrofica quella che caratterizza l'insegnamento della Chiesa; ciò che preme, piuttosto, è una lettura realistica del momento presente che come ogni epoca storica è sottoposta a tante luci e molte ombre.
Non deve meravigliare, d'altronde, l'impegno del Magistero in questo particolare settore. La Chiesa è stata impegnata in prima persona nel corso dei secoli in difesa di alcuni principi fondamentali che oggi sono patrimonio dell’umanità. Certo, all’epoca fu contestata da frange di benpensanti che proprio in nome del progresso e delle leggi dell’economia preferivano calpestare i diritti fondamentali delle persone. Come dimenticare, ad esempio, l’impegno dei missionari contro la schiavitù nei paesi soggetti alla colonizzazione oppure la difesa dei lavoratori agli inizi dell’ottocento? Oggi la posta in gioco che segnerà i prossimi decenni e la vita della società è determinata dalla difesa della dignità della persona dal suo concepimento fino alla sua morte naturale.
L’Istruzione della Dottrina della fede, per questo motivo, si viene a porre in un momento del tutto peculiare. I suoi contenuti, particolarmente in riferimento alle varie tecniche di sperimentazione sull’embrione susciteranno reazioni diverse. Alcuni preferiranno ignorarli con supponenza come se non li riguardassero, altri rincorreranno la via più facile della derisione ed altri ancora etichetteranno quelle pagine come foriere di buio oscurantismo che impedisce il progresso e la libera ricerca. Molti altri, infine, condivideranno certamente la nostra preoccupazione e la nostra analisi. Al di là degli schieramenti, quindi, ci saranno persone che saranno provocate da queste pagine a formulare qualche interrogativo e, vorranno verificare la validità delle argomentazioni portate. Rimane, in ogni caso, una considerazione che merita di essere riportata per verificare l'ambito all'interno del quale l'Istruzione intende procedere: "La Chiesa giudicando della valenza etica di alcuni risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita" (Dignitas personae, n. 10). Nessuna invasione di campo, pertanto, da parte del magistero della Chiesa quando entra in un ambito specifico come quello della sperimentazione sull’embrione, che è oggetto di più scienze di cui nessuna può arrogarsi il diritto di dire l’ultima parola. Ciò che questa Istruzione intende fare è esprimere il proprio contributo autorevole nella formazione della coscienza non solo dei credenti, ma di quanti intendono porre ascolto alle argomentazioni che vengono portate e con queste intende confrontarsi. Un intervento, pertanto, che rientra pienamente nella sua missione e che dovrebbe essere accolto non solo come legittimo, ma anche come dovuto in una società pluralistica, laica e democratica.
Risulterebbe veramente difficile, anche per un pensiero estraneo alla fede, non ritrovarsi nell’affermazione di Dignitas personae: "Per il solo fatto d’esistere, ogni essere umano deve essere rispettato. Si deve escludere l’introduzione di criteri di discriminazione, quanto alla dignità, in base allo sviluppo biologico, psichico, culturale o allo stato di salute" (n. 8). Ciò che viene affermato, come si nota, è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere venuto alla vita. Il vero punto di confine, quindi, per verificare la competenza dell'intervento e la sua legittimità in difesa della vita è fornito dal venire all’esistenza. Davanti a questo principio, passano in secondo ordine l’intelligenza, la bellezza, lo stato fisico, l’età, la razza o la condizione sociale, ecc. Ciò che veramente conta è la vita che viene posta in essere; vita che, fin dall’inizio, è contrassegnata come umana e che in forza di questo deve essere rispettata da tutti, sempre e senza alcuna eccezione.
Alla luce di questi principi si comprendono i giudizi morali che vengono dati in riferimento ad alcune condizioni peculiari; in primo luogo alla sperimentazione sulle cellule staminali, sull’embrione e sulla clonazione. Ciò che muove il pensiero del magistero in proposito è in primo luogo la difesa dell’ordine creaturale, secondo cui la fecondazione e la nascita di un essere umano vanno conservati e custoditi in quell’orizzonte della natura che riflette non solo la bellezza della creazione, ma la sapienza stessa del mistero d’amore del Creatore che tutto ha organizzato in un ordine insostituibile e perfetto. Non si dovrebbe dimenticare, inoltre, un ulteriore principio che viene più volte riaffermato nel corso dell'Istruzione: l’uguaglianza fondamentale tra gli uomini. Proprio questo principio cozza contro ogni pretesa di clonazione umana o manipolazione genetica diversa da quella terapeutica. Se si vuole, Dignitas personae compie un passo in avanti nei confronti della precedente Donum vitae del 1987, quando si richiama alla difesa della dignità dell'embrione. Nella precedente Istruzione, infatti, per non entrare direttamente nel dibattito filosofico non si entrò nel merito circa la definizione dell'embrione come "persona". Nell'Istruzione odierna si esplicita testualmente che: "La realtà dell'essere umano per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale poiché possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L'embrione umano, quindi, ha fin dall'inizio la dignità propria della persona" (n. 5).
Non sarà da dimenticare, da ultimo, il coraggio con cui Dignitas personae affronta il tema della manipolazione genetica che in molti casi ormai ha tutte le caratteristiche per essere definita eugenetica e, pertanto, intrinsecamente immorale. Questo giudizio si fonda sul presupposto che tale sperimentazione teorizza di fatto la disuguaglianza tra le persone, enfatizzando oltre misura doti e caratteristiche che non costituiscono l’essenza e la peculiarità della persona stessa. In questo senso, l'insegnamento che se ne ricava è quanto mai lungimirante. Esso provoca a riflettere sul rischio di non cadere in nuove forme di schiavitù che già si affacciano all'orizzonte. Si è dinanzi, infatti, a una schiavitù biologica secondo cui una persona si arroga il diritto arbitrario di determinare le caratteristiche genetiche di un altro essere umano. Quanto questa pretesa manifesti una hybris talmente riprovevole non ha bisogno di dimostrazione. Questo comportamento, che ben poco ha dello scientifico, non trova giustificazione alcuna se non l’esercizio del puro potere del più forte sugli altri. Una simile sperimentazione va chiamata con il suo giusto nome e non dovrà essere la Chiesa ad avere timore nel doverne denunciare i pericoli.
Pensiamo che solo una vera educazione al rispetto di sé e degli altri, unita ad una corretta formazione a cogliere il proprio limite possa permettere un rinnovato senso di impegno per la vita. D'altronde, la grandezza della persona consiste proprio nell'avere coscienza del proprio limite e in forza di questo, saper guardare oltre verso una trascendenza infinita che ha voluto imprimere dignità alla vita umana assumendola su di sé e diventando egli stesso persona. Poiché in Gesù di Nazareth "la vita si è fatta visibile" (1 Gv 1,2) e noi ne siamo testimoni, viviamo con la responsabilità di rendere partecipi uomini e donne che incontriamo nel cammino della vita di questo grande mistero che suscita ogni giorno meraviglia e stupore.

Fonte: 12 dicembre 2008

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