BastaBugie n�52 del 17 ottobre 2008

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1 PREMIO NOBEL NEGATO AL FISICO PIÙ CITATO NELLE RIVISTE SCIENTIFICHE MONDIALI: MOTIVO, PERCHE' E' CATTOLICO!

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Fonte non disponibile
2 PIÙ AUTO, MENO INQUINAMENTO
Incredibile, ma vero
Autore: Francesco Ramella - Fonte: Fonte non disponibile
3 GB, SENTENZA-CHOC
L'ecoterrorismo non e' reato
Autore: Cara Ronza - Fonte: Fonte non disponibile
4 L'INGANNO DELL'AUTODETERMINAZIONE
La libertà che non può essere chiesta
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
5 L’ADDIO A CARLO MARONGIU
Malato di sla, testimone di vita
Autore: Marco Piras - Fonte: Fonte non disponibile
6 BALLESTRA
L'inchiesta (truffa) delle mezze verità (cioè delle menzogne)
Autore: Anotnella Mariani - Fonte: Fonte non disponibile
7 QUEL CHE INSEGNA OGGI LA ROMA DEL PAPA

Autore: Antonio Socci - Fonte: 23.9.2008
8 LEHMAN BROTHERS SCIOLTA DALLA LOBBY DEL CLIMA

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire
9 ERA UNO DEGLI INVENTORI DELLO SCANNER
Il milionario convertito
Autore: Nello Scavo - Fonte: Fonte non disponibile

1 - PREMIO NOBEL NEGATO AL FISICO PIÙ CITATO NELLE RIVISTE SCIENTIFICHE MONDIALI: MOTIVO, PERCHE' E' CATTOLICO!

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Fonte non disponibile, 9 ottobre 2008

Il premio Nobel vietato ai cattolici: premiati due scienziati giapponesi per una scoperta del cattolico prof. Nicola Cabibbo

Grande scalpore ha suscitato in Italia l’assegnazione del Nobel per la Fisica ai giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa.
Gli scienziati italiani sono in rivolta perché il premio è stato assegnato per la scoperta indicata genericamente, in ambito scientifico ed universitario, con il nome Matrice Cabibbo-Kobayachi-Maskawa (o matrice Ckm, dalle iniziali dei tre ricercatori).
Il vero padre della scoperta, che non è stato neanche menzionato, è il prof. Nicola Cabibbo, già professore di fisica delle particelle elementari all'Università di Roma, nonché Presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal 1983 al 1992 e dell'Enea, e dal 1993 Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze.
In merito alla vicenda, Roberto Petronzio, Presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), ha dichiarato di “essere lieto che il premio Nobel sia stato attribuito a questo settore della fisica che sta avendo sempre più attenzione da tutto il mondo e dal quale ci aspettiamo fondamentali scoperte che aumenteranno la nostra comprensione sull'Universo”.
“Tuttavia – ha sottolineato – non posso nascondere che questa particolare attribuzione mi riempie di amarezza”, perché Kobayashi e Maskawa “hanno come unico merito la generalizzazione, peraltro semplice, di un'idea centrale la cui paternità è da attribuire al fisico italiano Nicola Cabibbo che, in modo autonomo e pionieristico, ha compreso il meccanismo del fenomeno del mescolamento dei quark, poi facilmente generalizzato dai due fisici premiati”.
Critico anche il Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), il fisico Luciano Maiani, il quale ha ricordato che “il lavoro di Cabibbo ha rappresentato una svolta storica per l’Europa”, ed ha commentato che "non c’è confronto con il lavoro svolto da Kobayashi e Maskawa: il loro contributo è stato indubbiamente importante, ma la strada era stata aperta dal lavoro di Cabibbo".
Per Enzo Boschi, fisico e presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), "il premio Nobel per la fisica andava assegnato solo ed esclusivamente a Nicola Cabibbo, che nel 1963 ha aperto il più grande filone della fisica moderna”.
Secondo il Presidente dell’INGV, l’esclusione di Cabibbo dal Nobel è “probabilmente la più grande ingiustizia che l'Accademia Svedese delle Scienze abbia mai fatto in tutta la sua storia".
Fabio Malaspina, docente di fisica al master di Scienze Ambientali della Università Europea di Roma, si è chiesto se l’esclusione di Cabibbo non sia dovuta al suo essere cattolico.
“Speriamo che nel futuro il Comitato renda note le motivazioni della sorprendente scelta – ha precisato Malaspina – altrimenti sarebbero confermate le voci che vedono, dopo la premiazione di Madre Teresa di Calcutta, i cattolici ‘estromessi’ a priori dalla competizione”.
Altri due, infatti, i casi eclatanti di esclusione di illustri cattolici dall'ambito premio svedese: il professor Jerome Lejeune, il medico che scoprì e cercò di curare la trisomia 21 (sindrome down), escluso dal Nobel perché si opponeva all’aborto; e Papa Giovanni Paolo II a cui fu negato il Premio Nobel per la Pace, perché a capo di uno stato, la Città del Vaticano, che, secondo la commissione giudicatrice dei Nobel, “discriminerebbe le donne”.
Alla domanda sul perché i cattolici sarebbero discriminati, Malaspina ha riposto: “La premiazione di Cabibbo forse avrebbe messo di nuovo in luce che tanti credenti sono stati grandi scienziati e che scienza e fede non sono in contrapposizione come alcuni matematici, che hanno ampi spazi sui mass-media, cercano di farci credere”.
“Forse e purtroppo – ha osservato –, sono gli stessi atteggiamenti mentali, le stesse incrostazioni culturali, ad aver tenuto il Papa fuori da 'La Sapienza' ed il fisico Cabibbo lontano dal premio Nobel”.

Fonte: Fonte non disponibile, 9 ottobre 2008

2 - PIÙ AUTO, MENO INQUINAMENTO
Incredibile, ma vero
Autore: Francesco Ramella - Fonte: Fonte non disponibile, 23-9-2008

Insostenibile politica europea dei trasporti
 
Si è svolta ieri l’undicesima edizione della giornata internazionale “In città senza la mia auto”, iniziativa promossa dalla Direzione Ambiente della Commissione Europea. Il tema centrale scelto per l’edizione 2008 della manifestazione è stato: “Aria pulita per tutti”. L’obiettivo della manifestazione era quello di rendere consapevoli i cittadini europei della insostenibilità dell’attuale assetto della mobilità ed in particolare del “drammatico incremento del contributo dell’auto all’inquinamento atmosferico nelle aree urbane”.
Ora, non vi è dubbio che tra gli abitanti dei Paesi UE vi sia una conoscenza quanto mai approssimativa dell’assetto del sistema dei trasporti e del relativo impatto ambientale, ma l’evento di ieri non contribuisce a migliorare la situazione.
Partiamo dal tema della qualità dell’aria. In base ai risultati di un sondaggio realizzato qualche anno addietro, la netta maggioranza degli europei ritiene che le condizioni della qualità dell’aria stiano aggravandosi. Nulla di più lontano dalla realtà dei fatti: a partire dagli anni ’50, l’inquinamento atmosferico nei centri urbani è andato via via diminuendo. Il piombo è scomparso dall’atmosfera e sorte analoga è toccata ad altri inquinanti come l’ossido di carbonio ed il benzene. La concentrazione delle polveri sottili (PM10) ha conosciuto un’evoluzione altrettanto positiva: dai 200 – 300 microgrammi per metro cubo si è passati agli attuali 40-50 con una riduzione superiore all’80%. Nel perseguimento di tale risultato il contributo avuto dalle politiche suggerite dalla UE e adottate dalle amministrazioni locali volte a limitare l’utilizzo del trasporto individuale, è stato pressoché nullo. Un solo intervento regolatorio ha giocato un ruolo decisivo, ossia l’imposizione di vincoli sempre più stringenti in termini di emissioni veicolari: grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte dalle case automobilistiche, è stato possibile avere una forte crescita della mobilità e, al contempo, la riduzione delle immissioni in atmosfera.
Esistono ancora limitati margini di miglioramento se paragonati ai successi già conseguiti nel passato.
Per quanto concerne le polveri sottili (PM10), l’impatto complessivo degli spostamenti delle persone in ambito urbano è, oggi, stimabile intorno ai 15 microgrammi per metro cubo, un terzo del totale. Tale apporto è destinato a ridursi ulteriormente nei prossimi decenni, in assenza di ulteriori interventi regolatori, grazie al progressivo rinnovo del parco veicolare. Misure volte a limitare l’utilizzo dell’auto in città non possono che avere ricadute marginali come dimostra, ad esempio, il caso dell’Ecopass milanese. Peraltro, come evidenziato in una ricerca a cura dell’Accademia francese delle scienze, non si rileva alcun impatto dell’inquinamento atmosferico sulla speranza di vita delle persone. Nella Pianura padana la vita media è leggermente superiore a quella che si registra in Norvegia pur in presenza di una concentrazione di polveri pressoché doppia (causata soprattutto da sfavorevoli condizioni meteorologiche). E, se restringiamo il confronto all’Italia, si rileva come non vi sia alcuna correlazione fra livelli di PM10 dei vari capoluoghi provinciali e vita media. La cattiva qualità dell’aria è un problema del passato e non del futuro.
Quanto detto per l’inquinamento atmosferico, si può ripetere per gli altri impatti ambientali correlati all’utilizzo dell’auto. La rumorosità dei veicoli è drasticamente diminuita e si sono ridotti, seppure in misura più limitata, i consumi e le emissioni unitarie di anidride carbonica. Per quanto concerne quest’ultima esternalità, occorre inoltre sottolineare come l’attuale livello di tassazione dei carburanti sia pari a circa venti volte rispetto a quello richiesto per compensare i danni arrecati alla collettività.
Occorre poi aggiungere che, anche in questo, grazie soprattutto alla innovazione tecnologica dei veicoli, il livello di sicurezza degli spostamenti in auto è radicalmente cresciuto rispetto al passato. Il sistema della mobilità è dunque assai più sostenibile oggi rispetto al passato e non appare opportuna l’adozione di ulteriori misure restrittive all’utilizzo dell’auto rispetto a quelle messe in atto finora. Anche perché chi si sposta in auto offre un contributo fondamentale ad un altro aspetto della sostenibilità, spesso dimenticato ma non per questo meno importante: quella dei conti pubblici. Dalle tasche degli automobilisti vengono prelevate risorse pari all’incirca ad un quarto delle entrate complessive dell’erario. La spesa pubblica per la costruzione e la manutenzione delle strade risulta essere pari a meno della metà rispetto agli introiti fiscali.
Opposta è la situazione dei trasporti collettivi che assorbono ingenti risorse pubbliche. L’ordine di grandezza dei sussidi per bus, tram, metropolitane e ferrovie in Europa è stimabile prudenzialmente intorno ai 70 miliardi di Euro per anno. Tale flusso di risorse è immutato, se non in crescita, da molti decenni. Parte di questa somma è correlata ad un obiettivo redistributivo, ossia il soddisfare le esigenze di mobilità di coloro che non dispongono di un’auto. Ma oggi buona parte degli utenti del trasporto pubblico locale e delle ferrovie è costituita da persone che si muovono verso le aree centrali delle città, distolti dall’uso dell’auto dalla congestione. Queste categorie hanno redditi molto articolati al proprio interno e certamente non contraddistinguono più le categorie svantaggiate sul piano strettamente economico. Un’altra componente dei sussidi è teoricamente finalizzata ad una ripartizione modale più favorevole ai trasporti collettivi. I risultati conseguiti in tale ambito sono stati però sostanzialmente nulli. Anche senza arrivare ad indire una “giornata senza treno”, non sarebbe inutile se a Bruxelles come a Roma si cominciasse  a riflettere su questo aspetto finora del tutto trascurato della sostenibilità dei trasporti.

Fonte: Fonte non disponibile, 23-9-2008

3 - GB, SENTENZA-CHOC
L'ecoterrorismo non e' reato
Autore: Cara Ronza - Fonte: Fonte non disponibile, 22-9-2008

La legge non è uguale per tutti. Soprattutto se si è attivisti di Greenpeace e si hanno difensori influenti come James Hansen. Il direttore del Centro di studi spaziali Goddard della Nasa, teorico delle sciagure da riscaldamento globale e consigliere di Al Gore, non ha esitato a volare da Washington DC a Maidstone, nel Kent, per sostenere la causa di Emily Hall, Huw Williams, Ben Stewart, Kevin Drake, Will Rose e Tim Hewke, che un anno fa in ottobre, animati da buone intenzioni, hanno scalato e dipinto la ciminiera di una centrale elettrica a carbone di Kingsnorth, procurando alla società che la possiede danni per 35mila sterline (circa 44mila euro).
La notizia che la E.os, multinazionale energetica con base a Dusseldorf, stesse per costruire un'altra centrale a carbone, ancorché di nuova generazione, nella vicina penisola di Hoo, convinse allora i sei militanti ecologisti a manifestare il proprio dissenso al Primo ministro britannico Gordon Brown andando a scrivere per il lungo sulla ciminiera di Kingsnorth "Gordon bin it", cioè "Gordon cestinalo" (il progetto della nuova centrale).
Fermati dalla polizia, i contestatori non riuscirono a portare a termire l'impresa e sulla ciminiera restò impresso soltanto un minaccioso "Gordon". Trascorsi 11 mesi dalla loro impresa mediatica, sostenuti dalla rete ecologista globale, i sei di Greenpeace si sono presentati all'inizio di settembre davanti al tribunale di Maidstone. Tra i difensori influenti che hanno deposto a loro favore, oltre a James Hansen, anche Zac Goldsmith, conservatore trendy e direttore della rivista The Ecologist.
Il processo è durato otto giorni, è stato minuziosamente seguito dalla stampa e si è concluso l'11 settembre con una piena assoluzione. Un verdetto pesante per la giurisprudenza inglese, soprattutto per la sua motivazione, che prefigura scenari inquietanti: i sei di Kingsnorth sono stati assolti perché "la difesa del clima non costituisce reato" e, soprattutto, perché in certi casi può perfino legittimare atti illegali. La sentenza si rifà pericolosamente al Criminal Damage Act del 1971, che giustifica i danni causati ad una proprietà, se questi evitano danni ancora maggiori.
Da oggi vandalizzare gli edifici e chissà quanti altri crimini, se perpetrati in nome dell'ambiente, diventano leciti esattamente come abbattere la porta di una casa in fiamme per spegnere l’incendio che la divorerebbe. Le conseguenze del verdetto di Maidstone, però, non sono solo prevedibili nel futuro. Già adesso, come avverte l'editorialista americano Iain Murray, l'industria energetica inglese e il governo di Sua Maestà che intendeva sostenerla trovano davanti a sè un ostacolo difficile da superare.

Fonte: Fonte non disponibile, 22-9-2008

4 - L'INGANNO DELL'AUTODETERMINAZIONE
La libertà che non può essere chiesta
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 09/10/08

Non c’è un’«autodeterminazione di Stato». Se un malato decide di rifiutare le cure, o di essere lasciato morire, non può pretendere che i medici e l’autorità pubblica collaborino. Il suicidio è un atto malvagio: il fatto che sia scelto liberamente non ne cambia la sostanza.

 Spesso si invoca l’autodeterminazione per giustificare il testamento biologico, l’eutanasia e l’obbligo del medico di assecondare il malato, anche quando quest’ultimo chiede di sospendere terapie salvavita chiaramente proporzionate. Ora, a parte il fatto che obbligando i medici in nome dell’autodeterminazione del malato si calpesta quella dei primi, il concetto di autodeterminazione è molto denso: con qualche semplificazione diciamo che l’uomo si autodetermina, in misura più o meno ampia, ogni volta che sceglie di compiere o non compiere un’azione. Già per Aristotele quando scegliamo un’azione, con ciò stesso determiniamo noi stessi, perché determiniamo (come minimo) la nostra qualità morale: se scegliamo di compiere delle azioni buone siamo buoni e se scegliamo di esplicare delle azioni malvagie siamo malvagi. Perciò autodeterminarsi non è in sé un bene morale: la bontà/malvagità dipende dalla bontà/malvagità dell’atto che scegliamo di compiere.
 Se l’autodeterminarsi fosse già in sé un bene morale a prescindere dalle azioni che scegliamo, sarebbe un bene morale scegliere di torturare, di violentare un bambino, di assassinare, ecc. Insomma, l’autodeterminazione è un’azione moralmente buona se sono buone le azioni che essa sceglie. Ora, suicidarsi è un atto malvagio, dunque autodeterminarsi suicidandosi è un atto malvagio. Come, poi, si individua la bontà delle azioni è un altro complesso problema. Inoltre (eccetto casi rarissimi), quando apparentemente disponiamo solo di noi stessi, in realtà incidiamo anche sugli altri: per esempio, il suicida priva gli altri del contributo che egli solitamente (e, a volte, doverosamente) fornisce loro e provoca un dolore lacerante nelle persone che gli vogliono bene. E chi si suicida con l’assistenza e l’approvazione dei suoi cari incide negativamente su chi prova disapprovazione e dolore per tale suicidio assistito.
 Vito Mancuso (sul Corriere della Sera di lunedì) chiede: che cosa se ne fa un uomo della libertà di coscienza «se poi, a livello pratico, non può autodeterminarsi deliberando su se stesso?». Si può rispondere che la coscienza del soggetto non determina il bene/male, nondimeno è giusto che un soggetto adulto decida quali azioni compiere e (già per san Tommaso, S. Th., I-II, q. 96, a. 2) lo Stato deve consentirgli di compierle, tollerando quelle malvagie che danneggiano gli altri solo poco e indirettamente e vietando quelle che ledono gli altri gravemente e direttamente.
  Dunque se io sono malato e rifiuto di iniziare delle terapie salvavita chiaramente proporzionate, come si devono  comportare gli altri e lo Stato? Essi hanno il dovere di implorarmi a iniziarle. Ma se non riescono a convincermi?
  Come si evince anche dalla più diffusa (non l’unica) interpretazione dell’articolo 32 della Costituzione, se essi riescono ad appurare (cosa spesso molto difficile) che io sono lucido e autonomo (il che avviene di rado), devono tollerare a malincuore che io rifiuti tali terapie, sebbene questo mio atto (un suicidio) sia malvagio: non devono impormele coercitivamente perché (questo è il punto) farebbero violenza sul mio corpo. Almeno così mi pare (ma ritengo importanti anche le ragioni di chi la pensa diversamente). Tollerare a malincuore un atto malvagio è, tuttavia, ben diverso da cooperare a compierlo, come invece fa chi – già solo sospendendo delle terapie salvavita – asseconda la volontà di morire di un uomo, uccidendolo come egli chiede o come ha chiesto redigendo il testamento biologico.
Inoltre il testamento biologico di chi non riesce più a comunicare e che ha scritto in passato che esige di non iniziare/sospendere delle terapie proporzionate non va assecondato, anche perché è un dato di fatto che, nella maggior parte dei casi, le persone che inizialmente chiedono l’eutanasia cambiano successivamente idea: l’esecuzione del testamento sarebbe proprio la trasgressione della loro volontà. Non siamo certi che abbiano cambiato idea, però è la cosa più probabile e, se siamo in dubbio sulla volontà attuale del soggetto, per il principio di precauzione dobbiamo somministrargli terapie proporzionate perché si deve optare per il bene del malato. Che è il rimanere in vita: l’esserci dell’uomo determina già la sua dignità inviolabile.

Fonte: Avvenire, 09/10/08

5 - L’ADDIO A CARLO MARONGIU
Malato di sla, testimone di vita
Autore: Marco Piras - Fonte: Fonte non disponibile, 20-09-2008

Una folla arrivata da tutta la Sardegna e da diverse parti d’Italia ha preso parte giovedì alle esequie di Carlo Marongiu, il vigile del fuoco di Narbolia affetto da Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Per quasi undici anni Carlo ha combattuto contro la malattia che lo costringeva all’immobilità impedendogli di parlare ma non di comunicare. Con l’aiuto della moglie Mirella e dei familiari – che non l’hanno mai lasciato solo – aveva scritto, col movimento degli occhi e una lavagna trasparente con le lettere dell’alfabeto, la sua testimonianza di fede e di amore per la vita nel libro «Pensieri di uno spaventapasseri». «La speranza non deve mai mancare nell’anima del malato – scriveva – e quando si affievolisce bisogna chiedere aiuto perché il Signore la ravvivi». La sua diocesi di Oristano si era attivata con una sottoscrizione per l’acquisto di un sintetizzatore vocale. L’iniziativa, nata da una proposta dell’arcivescovo Ignazio Sanna, aveva permesso di ridare voce a Carlo e ad altri malati di Sla della diocesi. Nell’omelia funebre Sanna ha espresso la sua gratitudine a Dio «per aver conosciuto e stimato un uomo giusto, uno sposo e un padre esemplare, un malato di Sla che ha spostato le montagne con la fede e l’ironia. Il suo ricordo sarà benedizione per tutti coloro che dalla sua tenacia hanno avuto conforto nella lotta per la vita».

Il bellissimo libro scritto da Carlo Marongiu può essere richiesto a Carlo Marongiu - Viale Emilio Lussu, 13 - 09070 Narbolia (OR)
Carlo Marongiu - Pensieri di uno spaventapasseri - San Paolo, 2006 - Euro 6

Fonte: Fonte non disponibile, 20-09-2008

6 - BALLESTRA
L'inchiesta (truffa) delle mezze verità (cioè delle menzogne)
Autore: Anotnella Mariani - Fonte: Fonte non disponibile, 09/10/08

Quando l’«inchiesta » è a senso unico. La giovane scrittrice Silvia Ballestra confeziona un libro sull’aborto a tesi precostituite, eludendo il confronto con le smentite ai suoi pregiudizi.

 Primo: avere una tesi. Secondo: dimostrarla.
 Ma senza realmente ascoltare nessuno, né captando i segnali della società. Così, se la tesi è che oggi il diritto di abortire in Italia non è garantito, che la Chiesa con un manipolo di «laici devoti» criminalizza le donne e le costringe ad abortire all’estero perché qui ci sono solo obiettori, beh, il gioco diventa facile: si descrivono i volontari del Movimento per la vita come fanatici che brandiscono feti, i giornalisti che osano obiettare come beceri misogini che idolatrano la disabilità dei bambini, e i medici abortisti come gli unici veri amici delle donne. Un bel risultato, per un’'inchiesta '.
  Di pensiero unico laico e – bisogna dire – un po’ veterofemminista si nutre l’ultimo libro di Silvia Ballestra, scrittrice residente a Milano e ora convertita al giornalismo investigativo. Piove sul nostro amore (Feltrinelli, 176 pagine, euro 14) si presenta – e viene amichevolmente recensito – come un reportage sull’aborto oggi in Italia, di cui l’autrice ha sentito l’urgenza nel momento in cui Giuliano Ferrara ha lanciato la sua «lista pazza» pro-life.
La Ballestra si è intrufolata in incognito nei corsi di formazione per volontari del Movimento della vita, ma partendo da casa già «allarmata e lievemente impressionata», salvo poi essere ben lucida quando sbeffeggia relatori e partecipanti in parti uguali (il paragone più lusinghiero: «Nazisti dell’Illinois»). Nel capitolo «La vita, non la conoscono» si rievoca la drammatica vicenda di Seveso. Il succo è che grazie alla nube tossica l’aborto legale arrivò in Italia e che per merito di medici generosi e illuminati tante donne affrontarono la «tragedia delle eventuali malformazioni dei feti». In 56 abortirono, 800 proseguirono la gravidanza, scrive la Ballestra rievocando il clima di acceso dibattito tra i gruppi radicali e femministi (ovviamente: illuminati) da una parte e cattolici («completamente frastornati») dall’altra. L’autrice dimentica di dire che nel clamore ideologico di allora le uniche vittime furono proprio i 56 (o 33) feti abortiti: perché fu accertato che nessuno di loro aveva malformazioni, come documenta Carlo Casini nel suo libro A 30 anni dalla legge 194, come d’altra parte nessuno dei bambini nati in seguito.
 Ma contano le battaglie, non le donne, né tantomeno i bambini. E nemmeno la verità. Altrimenti perché ignorare la drammatica autocritica del professor Candiani, all’epoca di Seveso primario ostetrico alla Mangiagalli, che dopo aver autorizzato ed eseguito le 'interruzioni', nel 1988 confessò che quello fu l’episodio più triste della sua vita e che le donne furono «condizionate da pittoreschi personaggi che incitavano all’aborto con sinistri avvertimenti»? E allora, chi non «conosce» la vita?
 Incomprensibile poi la chiusura della Ballestra al dialogo o al confronto: sbeffeggia i volontari ma non parla con nessuno di loro offrendone un’immagine grottesca. Né si pone domande di fronte alla testimonianza di una 17enne pugliese che racconta il suo aborto e che confessa: «In verità io non sono sicura di aver scelto, io temo di non avere avuto scelta». Ecco, la scelta.
  Se è sicura, Silvia Ballestra, che l’aborto sia un diritto, è ugualmente convinta che esso sia sempre una scelta, trent’anni fa come oggi? O piuttosto è una strada obbligata, lungo la quale non si offre un’alternativa a chi in cuor suo l’attende? La 194, che sarebbe così gravemente boicottata dai medici obiettori, è in verità gravemente disapplicata nella sua parte preventiva.
  Ma questo l’'inchiesta ' nemmeno lo considera.

Fonte: Fonte non disponibile, 09/10/08

7 - QUEL CHE INSEGNA OGGI LA ROMA DEL PAPA

Autore: Antonio Socci - Fonte: 23.9.2008

A proposito delle recenti polemiche sul 20 settembre e sulle multe alle prostitute…
 
Ieri Paolo Franchi, sul Corriere della sera, metteva in guardia dal tentare qualsiasi “revisionismo storico” sul Risorgimento per non cadere nel “ridicolo” e non mettere in pericolo lo stesso stato nazionale. In pratica Franchi scomunica il cosiddetto “uso pubblico della storia”.
Gli consiglierei di leggersi qualche libro di Paolo Mieli, storico anticonformista nonché direttore del Corriere della sera su cui lui scrive. Mieli infatti si spinge da anni, con intelligenza, proprio verso quei “lidi fino a qualche tempo fa inimmaginabili” che paventa Franchi. L’attuale direttore del Corriere è arrivato a sottoporre ad analisi critica – per usare le parole di Franchi - proprio i “miti fondativi della storia nazionale”. Anche perché è davvero stravagante che chi fa professione di laicità voglia imporre il bigottismo dei miti, che diventano dogmi storiografici intoccabili.
Nel volume intitolato “Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo”, Mieli inizia proprio così: “Ma perché la Sinistra italiana (diciamo meglio: parte della Sinistra) si accanisce a tal punto contro il cosiddetto uso pubblico della storia spingendosi a dar la caccia agli untori anche nel proprio campo? Davvero pensa che esista qualcuno che abbia ordito una congiura per mandare all’aria lo Stato democratico e repubblicano, rivisitando criticamente il Risorgimento, il fascismo e il comunismo?”. Poi dimostra che da 2.500 anni “politica e storia sono sempre andate assieme”, aggiunge che da 2.500 anni “il mestiere dello storico” è sempre stato di “revisionare criticamente” ciò che è stato tramandato. E conclude – Mieli – che i problemi di oggi derivano proprio “da quel che è rimasto in ombra nella discussione su come è nata l’Italia”. Per esempio: “il dibattito storiografico sul Risorgimento fu quasi del tutto sordo alle ragioni dei vinti”.
Infine Mieli, nel volume “Le Storie. La storia” cita un convinto risorgimentale come Alfonso Scirocco che scriveva: “Gli interrogativi sulle scelte operate nel 1861 e confermate nei decenni successivi sono legittimi. Nascono da un’esigenza attuale, quella di trarre dall’indagine intorno alle radici dell’Italia odierna risposte convincenti sulla debolezza del nesso nazione-società-Stato, che sembra non avere avuto fin dall’inizio la saldezza desiderata”. Anzi, il suddetto direttore del Corriere concludeva uno di questi suoi saggi affermando che “le divisioni sono benefiche” e auspicava che, anche sul Risorgimento, “ci si possa sanamente dividere e contrapporre senza avvertire il pericolo che vada a morire l’intera dialettica democratica”.
Esattamente il contrario dell’editoriale di Franchi che si chiudeva proprio evocando il rischio della “morte” (di che?) a causa del “revisionismo storico”. Un’ultima puntura polemica a Franchi. Sia l’editorialista, sia altri storici, in questi giorni hanno fatto di tutta l’erba un fascio, accomunando gli sconfitti del 20 settembre 1870 a Porta Pia, agli sconfitti del 1945. Mi sembra ingiusto e assurdo. Non tutti i vinti hanno torto. I nazisti erano un esercito occupante che, fra l’altro, in Italia, si macchiò di stragi orrende. Mentre lo Stato Pontificio era uno stato sovrano, più antico e anche più italiano di quello piemontese (nel quali i Savoia parlavano addirittura francese). Quindi nel 1870 vinsero gli occupanti e gli aggressori. Nel 1945 vinsero i liberatori. C’è una bella differenza. Non confondiamo storie diverse. E mi pare giusto che dopo 130 anni il Comune di Roma possa ricordare anche i romani che difesero lo stato pontificio (peraltro Pio IX aveva dato ordine di resa per evitare inutili spargimenti di sangue).  (...)
1) quello stato pontificio era del tutto legittimo (come e più degli altri stati italiani: il Regno delle due Sicilie, quello piemontese e il Granducato di Toscana); 2) il potere temporale dei papi nascendo fu la salvezza dell’Italia: lo ha dimostrato uno storico anticlericale come Edward Gibbon; 3) l’invasione dello stato pontificio da parte dello stato piemontese, con la confisca di una quantità immensa di beni appartenenti alla Chiesa (e la persecuzione dei religiosi, cacciati dai conventi) è una clamorosa ingiustizia e non ha alcun fondamento giuridico e morale; 4) i Patti Lateranensi sono stati solo un parziale risarcimento; 5) la conquista militare piemontese degli altri stati italiani è stato il peggior modo di fare l’unità d’Italia. Perché l’hanno fatta contro gli italiani. Così ci è stato inflitto uno stato centralista e burocratico, che ha defraudato il Meridione (e non si è più ripreso), che si è fondato sul debito pubblico, e ha dato inizio a una industrializzazione assistita che ha viziato fin dalla nascita la nostra economia. E’ infine lo “Stato etico” ed elitario del Risorgimento (dove votava una piccolissima minoranza) che ci ha portato all’immane tragedia della Grande Guerra e al fascismo.
Tragedie dovute al fatto che la casta risorgimentale al potere in sostanza tenne fuori dallo Stato gran parte della nazione che era contadina e cattolica. “L’Italia” ha scritto Ernesto Galli della Loggia “è l’unico Paese d’Europa (e non solo dell’area cattolica) la cui unità nazionale (…) sia avvenuta in aperto, feroce contrasto con la propria Chiesa nazionale”. Così, cito ancora Mieli, “tra il 1861 e il 1915, il popolo anziché essere una riserva di consenso, costituì un problema per le élites liberali che fecero l’Italia. Con conseguenze drammatiche nella definizione dei modi di fare e di intendere la politica”. Com’è noto a tutti – eccetto ai faziosi – Pio IX era un convinto patriota italiano e il suo progetto di Italia federale era di gran lunga il più realistico e pacifico. Attraverso il Rosmini tentò di mettere d’accordo i vari stati italiani, fra estate 1847 e autunno 1948, sul modello dello Zollverein tedesco (che poi è la via che è stata praticata dalla comunità europea).
Quel progetto, che era realizzabilissimo, avrebbe risparmiato alla nostra nazione una gran quantità di vite umane e una enorme dissipazione di denaro pubblico. Inoltre ci avrebbe evitato tutti i problemi – a partire dalla questione meridionale – che ci portiamo dietro da due secoli. E avrebbe valorizzato le diverse identità culturali locali, di cui l’Italia è ricca. Il progetto d’Italia federale di Pio IX fallì per colpa del no del Piemonte che coltivava il suo progetto di espansione dinastica grazie all’appoggio di forze e potenze internazionali che avevano interesse a spazzar via il papato e ad avere un’Italietta succube e sottomessa alla loro politica estera. Oggi che si torna a parlare di federalismo si può riconoscere una certa lungimiranza a Pio IX ? Anche perché il federalismo di quel momento storico innescava una dinamica unitaria fra i diversi regni italiani, quello di oggi rischia di innescare spinte centrifughe. Perciò, paradossalmente, va realizzato con il sentimento nazionale da cui era animato Pio IX, che può essere il punto di incontro ispirativo sia dei federalisti, sia di chi ha a cuore l’unità nazionale.
Certo l’episodio del 20 settembre scorso, col vicesindaco Cutrufo, può essersi prestato ad equivoci. Ma sarebbe intelligente se proprio dal Comune di Roma venisse la spinta culturale e politica a superare antiche faziosità e a coniugare il federalismo col sentimento nazionale, le identità con l’unità. Questa sarebbe grande politica.

Fonte: 23.9.2008

8 - LEHMAN BROTHERS SCIOLTA DALLA LOBBY DEL CLIMA

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire, 1 ottobre 2008

Lehman Brothers era davvero una banca strana: solo l’anno scorso aveva pubblicato un voluminoso e influente rapporto che prevedeva l’evoluzione del clima da qui al 2100, ma non era stata capace di prevedere che sarebbe fallita nel giro di un anno.

Cosa ancora più curiosa è che molto probabilmente non si tratta di due episodi scollegati. Lehman Brothers era infatti molto coinvolta nel business del Carbon Trading (Commercio del carbonio) voluto dal Protocollo di Kyoto, e strettamente legata alla “lobby del clima”: consulente scientifico di Lehman Brothers era James Hansen, direttore alla NASA dell’Istituto Goddard per gli Studi Spaziali, considerato anche il “padre” dell’effetto serra ovvero della traduzione in politiche radicali delle incerte teorie scientifiche sul riscaldamento globale.
Non solo, Lehman Brothers era anche la banca di riferimento della società creata da Al Gore nel 2004, la Generation Investment Management (GIM), che si occupa appunto di “commerciare” il carbonio, un’attività questa che potremmo anche meglio definire come speculazione finanziaria sull’aria calda.
I legami con Al Gore non finiscono qui: l’Alliance for Climate Protection, di cui il Nobel per la Pace guida il Consiglio d’Amministrazione, ha come Managing Director quel Theodore Roosevelt IV che figura anche come Managing Director della Lehman Brothers, con un incarico speciale nel rapporto con i clienti più importanti della banca. Theodore Roosevelt IV, tra l’altro, non è esattamente un neofita dell’ecologismo. Al contrario egli è noto come un “conservazionista” militante, vice-segretario della Wilderness Society nonché amministratore del Museo Americano di Storia Naturale, del World Resources Institute, dell’Institute for Envirnoment and Natural Resources all’Università del Wyoming, e della Trout Unlimited, società conservazionista che si occupa di proteggere i pesci d’acqua dolce. Per finire Theodore Roosevelt IV è anche il segretario del Pew Center for Global Climate Change, un centro studi che promuove una nuova economia basata sulla teoria dei cambiamenti climatici.
Non sorprende perciò che Lehman Brothers negli ultimi anni abbia investito notevolmente nel business del Carbon Trading e che abbia prodotto un rapporto in due parti (febbraio e settembre 2007) dall’eloquente titolo “The Business of Climate Change”, che vuole convincere gli investitori a sostenere l’economia della “de-carbonizzazione” dimostrando gli alti profitti attesi grazie anche alle ingenti sovvenzioni pubbliche che il sistema del Protocollo di Kyoto genera. Va ricordato anche che quel rapporto ha avuto grande eco tra i leader politici, sui mass media e, ovviamente, dai Verdi è stato portato come prova schiacciante della giustezza della loro posizione: “Se lo dice anche Lehman Brothers!”…  Quel rapporto è stato adottato, ad esempio, dai governi di Spagna ed Argentina come base per le politiche climatiche, oltre a essere stato osannato negli editoriali di autorevoli giornali di mezzo mondo.
Ci si aspetterebbe ora che qualcuno riflettesse sui legami tra finanza e lobby del clima, tra coloro che dominano i mercati e i movimenti ecologisti, e quanto questo incide sulle tasche della gente comune. E ci si aspetterebbe anche che qualcuno dei grandi opinionisti nostrani mettesse in rilievo la follia di dare per certa la previsione del tempo che ci sarà fra cento anni da parte di chi non è neanche in grado di vedere il proprio fallimento incombente.

Fonte: Avvenire, 1 ottobre 2008

9 - ERA UNO DEGLI INVENTORI DELLO SCANNER
Il milionario convertito
Autore: Nello Scavo - Fonte: Fonte non disponibile, 11/09/2008

 È stato uno degli inventori dello scanner. Il successo, i soldi, poi la figlia che si converte ed entra in un convento di clausura. Una rivoluzione.

Per cavarsela ha dovuto darsi un nome americano. È con quello che passerà alla storia dell’elettronica. L’ingegner Rick Tan, cambogiano nato e cresciuto buddista, è stato tra gli inventori dello scanner. Una vera rivoluzione, applicata dal campo medico a quello tipografico. «Una rivoluzione? Per un po’ l’ho creduto anch’io». A piedi nudi, seduto a gambe incrociate nella posizione del loto, Rick afferra una Bibbia e con quella indica la parete in fondo: «La vera rivoluzione è quella lì». Mentre si avvicina al grande crocifisso, Rick ricorda di quando era diventato milionario, degli incarichi di prestigio. «E poi una bella villa in California, auto extralusso, vacanze a cinque stelle». Quel che si dice una vita da fare invidia. «Poi alcuni anni fa mia figlia va a chiudersi in un convento di clausura negli Stati Uniti, e mio figlio quasi si faceva prete ». Per dirla nel gergo informatico: «Ho rischiato di fare tilt».
  Abituato com’era a trovare una soluzione grazie alla scienza, alla matematica e alla logica, «quella volta sono entrato in crisi sul serio». La moglie non disapprovò la scelta della loro ragazza. «Ed è grazie a lei che ho cominciato a cercare di rispondere a una domanda: chi è questo Gesù che ha fatto perdere la testa a mia figlia?». La risposta è in quello che Rick ha fatto dopo. Si è ripreso il suo nome khmer, Vierac, e adesso è a Phnom Penh.
  La villa in California? Venduta. Le auto Lexus da centomila dollari? Vendute anche quelle. «E con i soldi diamo una mano ai missionari qui in Cambogia». Non ha paura di correre nel fango con padre Mario Ghezzi e raccogliere nelle bidonville i bambini malati. In un Paese senza assistenza sanitaria gratuita, Vierac li porta in ospedale a sue spese. E se dentro a una palafitta c’è una vecchia moribonda, Vierac e padre Mario si arrampicano e restano per ore dove nessuno resisterebbe più di cinque minuti. La vita di adesso per l’ingegner Tan è anche una rivincita sull’odio. «Mio padre? Chissà in quale fossa lo hanno gettato». Tra le cataste di scheletri rinvenuti nei campi della morte di Pol Pot, gli spettrali “killing fields”, potrebbe esserci quello del professor Tan. Quando i khmer rossi presero Phnom Penh, il papà di Vierac studiava a Parigi. «Gli dissero di tornare, che non gli sarebbe accaduto nulla». E il professore tornò. «Nessuno lo ha mai più visto», racconta il figlio. Sparito come ogni altro studioso. Era l’Anno Zero dell’era di Pol Pot. Basta intellettuali, basta libri, in mente solo l’utopia della purezza contadina. Perché fosse chiaro quale idea di istruzione avesse il regime, il peggiore centro di tortura fu stabilito nel liceo francese di Phnom Penh, che da quel momento sfornava 300 cadaveri al giorno. Anche per questo il ragazzo che si faceva chiamare Rick appena possibile fuggì in America. Adesso per lui è come riprendere la lettura di un libro dissepolto dalle macerie. «E purtroppo ora mi è più facile capire anche il grande limite filosofico della religione buddista, che in Cambogia ha forti inclinazioni animiste. La concezione del Kharma, del destino che non si può mutare, è un freno all’emancipazione dei poveri». La gente crede di doversi rassegnare alla cattiva sorte, «così facendo si spera di poter meritare la reincarnazione in un essere più avvantaggiato, più ricco». Perciò il cristianesimo è una rivoluzione che investe la sfera religiosa, ma non lascia immutato il contesto sociale. Come ogni innovazione incontra forti resistenze: «Gesù ci insegna a mettere a frutto i talenti ed essere così di aiuto al prossimo». E lo scanner, davvero non ne ha più uno in casa? «Certo che ce l’ho, mi serve per duplicare i passi del Vangelo e per tradurre in lingua khmer il catechismo ».

Fonte: Fonte non disponibile, 11/09/2008

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