BastaBugie n�31 del 23 maggio 2008

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1 IL GOVERNO DE-CATTOLICIZZATO DI BERLUSCONI RIUSCIRÀ AD ACCONTENTARE I CATTOLICI?

Autore: Michele Brambilla - Fonte: fonte non disponibile
2 IL MIGLIOR SITO DI LITURGIA CATTOLICA WWW.MARANATHA.IT È STATO PREMIATO... ANZI È MEGLIO DI NO!

Autore: Paolo e Giovanni - Fonte: fonte non disponibile
3 STATO ITALIANO: I NOSTRI FIGLI A LEZIONE DI ABORTO, SESSO ORALE, PRESERVATIVO (CON I NOSTRI SOLDI)
Lo Stato insegna “a farlo” ai nostri figli
Fonte: Tempi
4 INTERVISTA A MONSIGNOR GUIDO MARINI, MAESTRO DELLE CELEBRAZIONI PONTIFICIE
Così ho rifatto il look stile vintage al Papa
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: fonte non disponibile
5 CHE TEMPO FARÀ

Autore: Anna Bono - Fonte: fonte non disponibile
6 I DISASTRI DEL FEMMINISMO
Dopo trent’anni di “uome”, qualcuno finalmente comincia a restituire alle donne un po’ di femminilità.
Autore: Claudio Risè - Fonte: fonte non disponibile
7 LA PARZIALITÀ DELLA STAMPA INGLESE
Ma davvero quelli di sinistra sono “i migliori” ?
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
8 ABORTO: FINALMENTE TUTTA LA VERITÀ E NIENT'ALTRO CHE LA VERITÀ
Sulla copertina di questo libro c’è una sedia vuota.
Autore: Mario Palmaro - Fonte: fonte non disponibile

1 - IL GOVERNO DE-CATTOLICIZZATO DI BERLUSCONI RIUSCIRÀ AD ACCONTENTARE I CATTOLICI?

Autore: Michele Brambilla - Fonte: fonte non disponibile, 9 maggio 2008

Senza cattolici, ma è un male?
Giuliano Ferrara, la cui intelligenza ci pare non sia messa in dubbio neppure da chi lo detesta, ha subito colto un aspetto singolare del nuovo governo Berlusconi: l’assenza di ministri cattolici. Più che di assenza, potremmo parlare di scomparsa.

C’erano sempre stati, i cattolici: ovviamente con la Dc, ma anche con i precedenti governi sia di centrodestra che di centrosinistra. È singolare che questa tabula rasa sia stata operata proprio dalla coalizione che, tradizionalmente, fa il pieno di consensi nell’elettorato cattolico. Eppure, così è successo: i centristi dell’Udc non sono stati rimpiazzati con altri ex dc; Formigoni è stato convinto a restare in Lombardia anche (e non solo) per servire la causa; perfino il suo fedele Lupi - ciellino pure lui - s’è dovuto accontentare della vicepresidenza della Camera, dopo che per giorni era stato indicato come sicuro ministro della Salute. E dunque: è un tradimento dell’elettorato cattolico? È presto per dare risposte.
Tuttavia, una cosa la si può dire fin da ora. Pensare che il desiderio dei cattolici sia quello di avere al governo uomini e donne dalla sicura fedeltà personale ai valori della Chiesa, è piuttosto infantile. La sinistra, ad esempio, ha sempre molto insistito sulla non coerenza di uomini come Casini, Fini e Berlusconi che - da divorziati - parlano in difesa della famiglia tradizionale. È un argomento comprensibile, ma piuttosto demagogico. Il cattolico non vuole un governo di virtuosi: vuole un governo che tuteli i propri valori. Per il semplice motivo che i ministri non sono santi da indicare alla devozione dei fedeli, ma amministratori della cosa pubblica. Può sembrare paradossale per chi è estraneo al mondo cattolico: ma per un credente è molto meglio un politico che predica bene (in Parlamento) e razzola male (in privato) che non il contrario. Meglio un libertino che dice di no ai Dico, insomma, che un integerrimo padre di famiglia che legifera contro la famiglia.
Vedremo se il governo de-cattolicizzato di Berlusconi riuscirà ad accontentare i cattolici che lo hanno votato. Ma una cosa è sicura: il cattolico crede che una cosa è giusta o sbagliata a prescindere da chi la fa. Quindi, sarà soddisfatto se sulla scuola, sulla famiglia e sulla vita il governo farà quel che ha sempre promesso di fare; non se i ministri o i viceministri avranno una patente da devoti.

 

Fonte: fonte non disponibile, 9 maggio 2008

2 - IL MIGLIOR SITO DI LITURGIA CATTOLICA WWW.MARANATHA.IT È STATO PREMIATO... ANZI È MEGLIO DI NO!

Autore: Paolo e Giovanni - Fonte: fonte non disponibile, 11 maggio 2008

L'associazione WeCa -Webmaster Cattolici (fatta con uomini del famigerato "padre" Zanotelli ma che operano nella Conferenza Episcopale Italiana) attribuisce al sito www.maranatha.it  il premio "miglior sito cattolico".
Poi, resisi conto, che vi sono tutti i sussidi necessari alla Messa Vetus Ordo (quella in latino, liberalizzata da Benedetto XVI), compie un clamoroso dietrofront!
Ecco la mail che abbiamo ricevuto il 3 maggio 2008:

Gentile Webmaster,
sono lieta di comunicarle che il sito www.maranatha.it ha vinto il I Premio Miglior Sito Web Cattolico nella categoria Enti, Associazioni, Aggregazioni.
La premiazione si svolgerà il prossimo 14 maggio 2008 a Roma presso l'Auditorium dell'Enel in viale Regina Margherita, 137, in occasione del Forum su Internet organizzato dall'UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana).
La invitiamo a partecipare per ricevere il Premio assegnato al vostro sito.
Le spese di viaggio saranno rimborsate dall'Associazione Webmaster Cattolici Italiani.
In attesa di un vostro cortese riscontro le porgo cordiali saluti.
Per WeCa
Rita Marchetti
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Ecco la mail che abbiamo ricevuto il 7 maggio 2008:
Vi scrivo in merito alla vostra partecipazione alla cerimonia per il I Premio Miglior Sito Web Cattolico, in qualità di vincitore nella categoria  "Enti, associazioni, aggregazioni.
Ho tentato senza successo di contattarvi telefonicamente per l'invio delle indicazioni per l'ospitalità e gli spostamenti.
Siamo lieti di poterci occupare dell'organizzazione del Vostro viaggio, di cui attendiamo i dettagli.
Vi ricordo che durante la cerimonia   verrà consegnato un attestato di fronte alla stampa e ai membri dell'UCSI.
In tale occasione, inoltre, verranno presi accordi per l'erogazione del premio per il  Miglior Sito nella categoria  "Enti, associazioni, aggregazioni" .
WeCa si farà carico del rimborso dei costi di viaggio per una persona (viaggio in treno + pernottamento nelle strutture convenzionate).
Allego i miei riferimenti telefonici in attesa di un ricontatto.
Un caro saluto e a presto
Fabio Bolzetta
WeCa - ospitalita Doc.
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Commento della redazione di Maranatha.it:
Maranatha.it NON ha vinto il "I Premio Miglior Sito Web Cattolico" sopra annunciato. La WeCa-WebCattolici ci ha notificato via telefono nella persona prima della loro segretaria e successivamente da due telefonate del loro Vice Presidente Francesco Diani di http://www.siticattolici.it/  che non siamo noi i vincitori, ma che ci avrebbero dato una menzione speciale (sic).
Abbiamo prontamente espresso la nostra sorpresa e incredulità delle loro giustificazioni riferite e la modalità via telefono del loro annuncio, anzichè ricevere una formale lettera della loro associazione come hanno fatto con le due lettere precedenti.
Maranatha.it non sarà presente alla premiazione e rifiuta premi di facciata per coprire azioni che a noi non  sono assolutamente chiare e che non fanno certamente bene alla Santa Chiesa Cattolica Romana Apostolica.
Noi continuiamo con lo stesso entusiasmo di sempre a lavorare nella Vigna del Signore, fin quanto Lui vorrà.
Vogliamo continuare ad offrire questo servizio alla Santa Chiesa Cattolica Romana Apostolica, in memoria dei nostri cari genitori Mamma Luisitta e Papà Luigi che con una lunga degenza di 11 anni abbiamo potuto assistere, per grazia di Dio, 24 ore al giorno, e per cui è nato www.maranatha.it.
Non è assolutamente necessario per noi stessi ricevere alcun premio.
Dedichiamo con tutte le forze il nostro lavoro alla Santa Chiesa, ai nostri fratelli credenti e non, a tutti color che cercano Dio con cuore sincero e sopratutto al Santo Padre, Benedetto XVI, cui auguriamo una lunga vita e tanta salute.
Con serenità e con gratitudine a Nostro Signore Gesù Cristo, nostro Redentore e Salvatore, e in obbedienza al Santo Padre Benedetto XVI, Vicario di Cristo, vi salutiamo di vero cuore e vi chiediamo una preghiera per i nostri cari e per noi stessi perchè lo Spirito Santo ci illumini e ci dia forza e coraggio.
In preghiera, in Cristo, con Maria, un abbraccio a voi tutti e alle vostre famiglie, con tanto affetto.
Pace e Bene.

Fonte: fonte non disponibile, 11 maggio 2008

3 - STATO ITALIANO: I NOSTRI FIGLI A LEZIONE DI ABORTO, SESSO ORALE, PRESERVATIVO (CON I NOSTRI SOLDI)
Lo Stato insegna “a farlo” ai nostri figli
Fonte Tempi, 8 maggio 2008

Ragazzini e ragazzine di 13-14 anni affidati a funzionari che li istruiscono all’aborto, al sesso orale, all’uso del preservativo eccetera. Siamo in un sexy-shop? No, siamo in una qualsiasi scuola media statale italiana. Tale “servizio educativo” costa allo Stato 20 euro l’ora. Insomma, lo paga il contribuente. Come sapete, cari lettori, anche questo è un portato della cosiddetta “cultura liberal”. Insieme a quelle storiacce di malagiustizia che ben si comprendono in un paese dove molestare i bambini con violenti programmi scolastici e televisivi non è reato. Ma se solo c’è un piccolo sospetto o un sentito dire che riguardi la famiglia, come all’epoca di tutti i più biechi totalitarismi: raus, via i bambini dalle famiglie e lo Stato faccia le veci di mamma e papà. In Italia, poi, con tutto il piagnisteo “de sinistra” che abbiamo avuto fino allo scorso 15 aprile, non poteva mancare l’introduzione nella scuola statale della cosiddetta “educazione all’affettività”. Già, un bambino che non conosca tutti i generi di accoppiamento e di “diversità” sessuali che razza di “buon cittadino” è? Prima c’è “l’informazione”. Poi, se c’è tempo, in “area valoriale” magari ci si domanda se c’è differenza tra biologia e amore. Aveva ragione il filosofo inglese Roger Scruton quando, in sede di bilancio dell’introduzione nelle scuole inglesi dell’educazione sessuale, scriveva: «I genitori hanno accettato l’educazione sessuale pensando che i bambini devono imparare a distinguere il vizio dalla virtù e il desiderio dall’amore, e che per questo è necessaria una certa quantità di conoscenze di carattere biologico. Ma probabilmente non l’avrebbero pensata nello stesso modo se avessero saputo che, nel giro di pochi anni dopo la sua istituzione, l’educazione sessuale sarebbe stata usata per promuovere il vergognoso culto del sesso in età minorenne».

Fonte: Tempi, 8 maggio 2008

4 - INTERVISTA A MONSIGNOR GUIDO MARINI, MAESTRO DELLE CELEBRAZIONI PONTIFICIE
Così ho rifatto il look stile vintage al Papa
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: fonte non disponibile, 2008-05-12

Parla monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni pontificie: "Indossa la vecchia ferula di Pio IX. E' più leggera".
A Genova, dov’è cresciuto, invece che Marini lo chiamavano don «Guidino», perché è alto e magro. A Roma, dov’è arrivato per scelta di Benedetto XVI lo scorso ottobre, si è fatto stimare per la sua gentilezza ma anche per la sua decisione di mettere fedelmente in pratica le idee liturgiche di Ratzinger. Monsignor Guido Marini, classe 1965, è da qualche mese il nuovo maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, succeduto all’omonimo Piero Marini, per molti anni artefice delle liturgie di Giovanni Paolo II e degli inizi dell’attuale pontificato. Se dal punto di vista del nome non ci poteva essere passaggio più soft, l’arrivo di don Guido - plurilaureato, già cerimoniere e cancelliere di due arcivescovi genovesi - non è passato inosservato, grazie al recupero di alcuni paramenti tradizionali. Sono stati riesumate mitrie antiche e il Pontefice ha cambiato pure pastorale abbandonando quello moderno d’argento per prendere una «ferula» (bastone sormontato dalla croce) di Pio IX. Al punto che, durante il recente viaggio negli Usa, la stampa ha parlato di un Papa «vintage». Il Giornale ha incontrato il cerimoniere nel suo ufficio, dal quale si gode una delle più belle vedute su piazza San Pietro. Innanzitutto per chiedergli la ragione del recupero dei preziosi copricapi dei predecessori: ad esempio, lo scorso Natale, Ratzinger ha usato mitrie appartenute a Paolo VI, Giovanni XXIII e Benedetto XV.
«I paramenti adottati, come anche alcuni particolari del rito - spiega il maestro delle cerimonie - intendono sottolineare la continuità della celebrazione liturgica attuale con quella che ha caratterizzato nel passato la vita della Chiesa. La chiave interpretativa della continuità è sempre il criterio esatto per leggere il cammino della Chiesa nel tempo. Questo vale anche per la liturgia». «Come un Papa cita nei suoi documenti i Pontefici che lo hanno preceduto, in modo da indicare la continuità del magistero della Chiesa - continua Marini - così nell’ambito liturgico un Papa usa anche paramenti e suppellettili sacre dei predecessori per indicare la stessa continuità anche nella celebrazione. Vorrei però far notare che il Papa non usa sempre paramenti antichi. Ne indossa spesso di moderni. L’importante non è tanto l’antichità o la modernità, quanto la bellezza e la dignità, componenti importanti di ogni celebrazione liturgica».
Un altro vistoso cambiamento, più recente, è l’abbandono della moderna croce pastorale d’argento di Paolo VI. Ratzinger ne ha infatti adottata una più grande, di Pio IX. «Ovviamente - spiega Marini - vale ancora ciò che ho appena detto a proposito della continuità. In questo caso, però, c’è anche un elemento di praticità: la ferula di Pio IX risulta più leggera e maneggevole. Tanto che il Papa ha deciso di usarla abitualmente, come si è visto anche negli Stati Uniti».
In qualche occasione, come nel concistoro per la creazione dei nuovi cardinali, è stato ripristinato l’alto trono papale. Nostalgie per il potere temporale? «Nessuna nostalgia - risponde con il sorriso sulle labbra il capo dei cerimonieri pontifici -. Il cosiddetto trono, usato in particolari circostanze, vuole semplicemente mettere in risalto la presidenza liturgica del Santo padre».
Infine, è stata notata, da quando monsignor Marini ha preso possesso dell’incarico, la presenza di una croce al centro dell’altare, come si usava un tempo. Anche in questo caso, il cerimoniere ci tiene a far comprendere il significato profondo di una scelta che non ha nulla di nostalgico: «La posizione della croce al centro dell’altare indica la centralità del crocifisso nella celebrazione eucaristica e l’orientamento esatto che tutta l’assemblea è chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal Signore viene la salvezza, Lui è l'Oriente, il sole che sorge a cui tutti dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono della grazia».
Il telefono squilla in continuazione. Ci sono da mettere a punto gli ultimi dettagli per le liturgie che Benedetto XVI celebrerà a Savona e a Genova il 17 e 18 maggio. Chiediamo se sia difficile fare il maestro delle cerimonie. «È un compito impegnativo non solo per la quantità del lavoro, ma anche e soprattutto per la responsabilità che comporta. Ho avvertito molto la responsabilità di vivere con totale fedeltà al Santo padre il compito che mi è stato affidato, tenendo conto che la liturgia che sono chiamato a servire e “organizzare” è la liturgia della Chiesa, del Papa».

Fonte: fonte non disponibile, 2008-05-12

5 - CHE TEMPO FARÀ

Autore: Anna Bono - Fonte: fonte non disponibile, 16 maggio 2008

Giunge a proposito la pubblicazione del volume dedicato a confutare le teorie cosiddette ecocatastrofiste - Che tempo farà. Falsi allarmismi e menzogne sul clima, Edizioni Piemme - scritto da Riccardo Cascioli e da Antonio Gaspari, già autori di Le bugie degli ambientalisti 1 e 2. Proprio nei giorni scorsi infatti sulla rivista Nature sono stati riportati i risultati di una ricerca svolta dai ricercatori dell'Istituto per le scienze marine di Amburgo che, grazie ad un nuovo e più preciso modello climatico, sono giunti alla conclusione che nei prossimi 15 anni la temperatura, almeno in Europa e in America settentrionale, resterà invariata e solo in seguito, non prima del 2020, incomincerà a salire. I ricercatori di Kiev condividono con l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo istituito dalle Nazioni Unite per monitorare i cambiamenti climatici, l'ipotesi della causa antropica del global warming. Tuttavia ritengono che, al contrario di quanto sostiene l'IPCC, nel periodo di tempo considerato la natura sarà in grado di neutralizzare il riscaldamento dovuto alle attività umane, con particolare efficacia nell'emisfero settentrionale, grazie soprattutto all'Atlantic Multidecadal Oscillation, AMO, il ciclo delle temperature oceaniche determinato dalle correnti che dai tropici raggiungono l'Europa.
Soltanto pochi mesi or sono, in occasione della Conferenza nazionale di climatologia svoltasi nel settembre del 2007 a Roma, l'allora ministro italiano dell'ambiente Pecoraro Scanio, ignaro dell'esistenza dell'AMO e convinto sostenitore dell'ideologia ecocatastrofista, dava invece per certo che la temperatura in Italia fosse in aumento e in misura doppia rispetto al resto del pianeta, annunciava l'ineluttabile riscaldamento delle acque dei mari Tirreno, Ionio e Adriatico, prossimi a diventare paludi salmastre, e chiedeva per il proprio ministero non meno di un miliardo di euro per poter contenere, con il coinvolgimento di tutti gli altri ministeri, i danni conseguenti. Si trattava tra l'altro di avviare al più presto la costruzione di 2.000 chilometri di dune artificiali per salvare dalle inondazioni e dai fenomeni di erosione le coste adriatiche ove possibile, vale a dire dove non lo impediva l'esistenza di insediamenti urbani.
Il libro di Cascioli e Gaspari "Che tempo farà" (edizioni Piemme) si propone di contribuire a fare chiarezza sui fenomeni climatici e meteorologici illustrando metodi, efficacia e limiti delle scienze del clima affinchè sia possibile distinguere tra ideologie e ricerche dotate di fondamento. La prima, ovvia avvertenza è quella di non attribuire alle proiezioni sul futuro della Terra un valore di previsione che non hanno e non possono avere: proprio in quanto tali e qualsiasi sia il fenomeno considerato, la loro funzione peraltro utilissima è dirci che cosa succederà in futuro in condizioni determinate ma non possono evidentemente prevedere quali condizioni si verificheranno e quali no.
L'unica certezza, in attesa di sapere se il fattore antropico è rilevante come sostiene una parte dei climatologici o se invece è ininfluente come afferma un numero crescente di studiosi, è che il clima varia di continuo, e non sempre con effetti negativi, a causa di innumerevoli fattori sui quali l'umanità non ha modo di intervenire: dall'andamento delle macchie solari alle attività vulcaniche alle traiettorie dei meteoriti. Se questo è vero, allora ciò che importa davvero è adattarsi al suo mutare, cosa che in effetti l'uomo ha sempre fatto fin dalle origini e con efficacia crescente man mano che sviluppava tecnologie sempre più evolute. Da soli i documenti in appendice valgono l'acquisto del libro. Vi si trovano tradotti in italiano il testo integrale della lettera inviata nel 2005 ai colleghi dal professor Chris Landsea, uno dei massimi esperti in uragani, per spiegare le ragioni delle sue dimissioni dall'IPCC in seguito alle gravi manipolazioni dei dati scientifici da lui elaborati e l'articolo di Hendrik Tennekes, docente di ingegneria aeronautica all'Università della Pennsylvania, pioniere nella progettazione di modelli scientifici, scritto per denunciare l'uso strumentale della scienza in particolare da parte dell'IPCC.

Fonte: fonte non disponibile, 16 maggio 2008

6 - I DISASTRI DEL FEMMINISMO
Dopo trent’anni di “uome”, qualcuno finalmente comincia a restituire alle donne un po’ di femminilità.
Autore: Claudio Risè - Fonte: fonte non disponibile, 1 maggio 2008

Ormai i dati sono fin troppi. Il modello della donna cattiva e vincente, della “Uoma”, come la chiamava un settimanale femminile italiano nei propri manifesti pubblicitari alla ricerca di uno sperato (ma mancato) rilancio, della donna-Ego, che calpesta il mondo pur di affermare se stessa, si è rivelato per le donne una straordinaria fregatura. Molte hanno ormai fatto tutto quello che il sistema culturale ha loro proposto: messo se stesse al primo posto rispetto a tutti gli altri, limitato le proprie disponibilità sentimentali, rimandato nell’avere bambini, abortito quando sembrava opportuno. Ora si ritrovano, in tutto l’Occidente, spesso sole e infelici, a volte i bambini non arrivano più, o loro non ce la fanno più ad averli, gli uomini sono stati allontanati, ma non ne vengono altri, la solitudine morde, cattiva, e buona parte della vita è passata. La carriera a volte è arrivata, ma nel suo tipico modo: viene e poi se ne va, ti lascia ancora prima che tu possa farne veramente qualcosa, come del resto capita, da sempre, alla gran parte degli uomini. Non è un caso che per la prima volta il ritmo di aumento nel consumo di alcool e droghe è più alto tra le ragazze che tra i maschi: una prospettiva di vita così non è per niente allettante. Trent’anni dopo il femminismo, la femminilità viene negata con una sistematicità deprimente: dalla scuola, dal mercato, dal modello culturale, dalle politiche legislative. E mentre alcune frange diventano ancora più cattive e violente, e sono quelle/i da cui partono insulti e pomodori a Giuliano Ferrara, o il sasso che mette nei guai le costole delle sue candidate, molte altre, le più numerose, capiscono. Anche gli Stati, gli studiosi, i think tank dei grandi paesi d’Occidente cominciano a pensare come cambiare strada. Stanno per riscoprire, sembra, il valore essenziale della donna per la società: quello di essere non già la copia più “glamour” dell’uomo (ottima da usare nei manifesti o nelle pierre), bensì un centro di equilibrio affettivo e relazionale indispensabile perché la comunità non impazzisca. E non perda il gusto della vita, e il sapere/potere della riproduzione, che è molto meno tecnoscientifico di quanto gli ultimi trent’anni abbiano voluto credere, e molto più affettivo, relazionale, istintuale.
Allora ecco il professore di Berkeley Neil Gilbert scrivere la verità finora indicibile, che è costata la carriera a suoi colleghi più anziani: le donne hanno voglia di fare i bambini, e il mercato e i politici al servizio del mercato non glielo consentono. Ma ormai i costi del disagio femminile, e maschile, prodotti dalla falsa ipotesi che i due abbiano uguali desideri e bisogni sono così alti che è meglio pensare a come consentire alla donne di fare prima i bambini, e poi, se vogliono, la carriera. Ed ecco i conservatori inglesi pensare a uno stipendio per le donne che si occupano dei loro figli; e i laburisti costretti a corrergli dietro. Mentre in America partono ambienti di lavoro “misto”, dove le mamme possono portarsi i loro bambini invece di lasciarli a casa a una baby sitter.
Insomma un universo, quello del rapporto tra la donna, la famiglia e il lavoro, finalmente in movimento. Dopo gli ultimi trent’anni, che non hanno emancipato nessuno, e massacrato tutti.

Fonte: fonte non disponibile, 1 maggio 2008

7 - LA PARZIALITÀ DELLA STAMPA INGLESE
Ma davvero quelli di sinistra sono “i migliori” ?
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 13.5.2008

Al “Sunday Times”, Gianni Alemanno, nuovo sindaco di Roma, ha dichiarato: “Non sono fascista, né ex fascista, né postfascista”. E il domenicale britannico ha titolato: “L’Italia aveva bisogno del fascismo, dice il nuovo Duce”. Quando si dice l’obiettività della stampa inglese. 
 
Del resto Alemanno è nato molti anni dopo la fine del ventennio. Dunque non può essere stato né fascista, né ex fascista. Semmai può essere definito ex missino che è altra cosa. Ex fascisti sono coloro che aderirono al Pnf durante il regime, magari da giovani, ai Littoriali. E talora, arrivata la democrazia, diventarono grandi firme, intellettuali o politici, anche di sinistra. Il “Sunday” dovrebbe intervistare loro. Prendiamo Eugenio Scalfari che ha appena pubblicato un libro di meditazioni autobiografiche, esaltato su tutti i giornali (domenica, per dire, da Barbara Spinelli sulla “Stampa”) e celebrato anche alla Fiera del libro di Torino. Un capitolo comincia così: “Sono stato balilla a sei anni, balilla moschettiere a dieci, avanguardista a quattordici, fascista universitario a diciassette. Fui espulso dal Guf nel gennaio del ’43. Fino a quel momento, cioè per undici anni di seguito dall’infanzia all’adolescenza sono stato fascista e mi sono sentito fascista. Ho aderito senza particolari difficoltà agli slogan sulla giovinezza, sulla romanità, sul destino eroico della nazione, sulla lungimiranza politica del Duce e sulla sua funzione storica”. A parte alcuni particolari di questa autobiografia su cui ci sarebbe da “divertirsi”, Scalfari ricorda, sia pure di sfuggita, che proprio in quegli anni e con quelle idee e parole d’ordine entrò nella professione giornalistica, scrivendo su “Roma fascista”, e con articoli molto brillanti che già mostravano il suo notevole talento: “pensavo di essere uno dei pochi veri e sinceri fascisti…”. Alemanno ha oggi dichiarato al giornale inglese che odia “tutti i totalitarismi” e che il fascismo “deve essere condannato”. Ma al Sunday non basta. Lo mette nel mirino per aver detto che il fascismo ebbe dei caratteri modernizzatori perché – ad esempio – bonificò le paludi e costruì un quartiere come l’Eur. Il giornalista inglese – che dev’essere di scarse letture - non sa che questa è una semplice constatazione che si ritrova nelle pagine dello storico serio. E non implica affatto l’essere fascisti. Tanto è vero che il già citato Scalfari, nel suo libro, oggi fa la stessa analisi per quanto riguarda l’aspetto politico-comunicativo: “Nacque con il fascismo il partito di massa, un’intuizione moderna (come parecchie altre, a cominciare dalla personalizzazione della politica e del partito nella figura del Capo) fondata su alcuni strumenti di notevole efficacia di carattere culturale e di un tipo specifico di scenografia”. Dunque Scalfari attribuisce a Mussolini “un’intuizione moderna” della politica. A nessuno verrebbe in mente oggi di criminalizzare questa semplice constatazione. Peraltro non è affatto detto che la “modernità” significhi per forza positività. Così come, non si può giudicare il leader del comunismo sovietico, Lenin, come un “fascista” o un “filofascista” per aver detto ai comunisti italiani che “In Italia c’era un solo uomo capace di compiere la rivoluzione, Mussolini, e voi ve lo siete lasciati scappare”. E’ curioso. Abbiamo avuto un presidente della Camera, Bertinotti, che ancora si dice comunista e nessuno ha avuto da ridire quando è stato eletto alla terza carica dello Stato. E’ arrivato Fini che non è mai stato fascista (neanche era nato nel ventennio), è stato solo del Msi, anzi è stato quello che ha liquidato il Msi, e ne viene fuori un caso, pur essendo considerato da tutti un convinto democratico. Abbiamo un presidente della Repubblica che è stato comunista, anzi dirigente del Pci al tempo dell’Unione sovietica, ma nessuno ha da eccepire. Perché nessuno discute oggi la sua sicura fede democratica. Così per Veltroni, che ha il suo bel passato comunista. Se però il nuovo sindaco di Roma militò in gioventù nel Msi (ripeto: non ex fascista, ma ex missino), allora si parla di fascismo. Certo, Alemanno è figlio di una stagione nella quale i giovani di destra e di sinistra ricorsero anche alle mani. “D’Alema può concedersi frivolezze come ‘sono un vecchio bolscevico’, e confessare di aver tirato una bottiglia molotov negli anni duri” (Edmondo Berselli, La Repubblica, 3.2.2005). Ma Alemanno no. D’Alema ha fatto il presidente del Consiglio e il ministro degli esteri senza che il “Sunday Times” lanciasse allarmi. Il bello è che c’è perfino da dubitare che D’Alema abbia mai veramente lanciato quella molotov. Per esempio, Luigi Manconi (che in gioventù fu in Lotta continua e poi è stato classe dirigente di questo Paese) dice che la molotov di D’Alema è “cosa della quale dubito seriamente” (Corriere della sera, 4.1.2001). Ma perché per un politico diessino-democratico è quasi un titolo d’onore, o almeno una simpatica civetteria, il ricordo di una monelleria, aver tirato una molotov in gioventù e per Alemanno dev’essere una colpa indicibile? A chi – come il sottoscritto – ha sempre detestato le ideologie e allora non ebbe mai simpatia né per il comunismo, né per il fascismo, militando in Comunione e liberazione che fu il bersaglio di tante violenze degli estremisti, questo doppiopesismo dà la nausea. Mi sembra che riveli – questo sì – una discutibile cultura democratica.

Fonte: fonte non disponibile, 13.5.2008

8 - ABORTO: FINALMENTE TUTTA LA VERITÀ E NIENT'ALTRO CHE LA VERITÀ
Sulla copertina di questo libro c’è una sedia vuota.
Autore: Mario Palmaro - Fonte: fonte non disponibile

Guardatela. Osservatela in silenzio e pensateci almeno per qualche minuto: ogni volta che un essere umano viene abortito, una sedia rimane vuota. Per quanto ci si possa agitare, strillare, urlare, e dire che non è vero niente, che era solo un grumo di cellule, un’escrescenza, una vita in potenza; per quanto ci si voglia tappare le orecchie, girare la testa dall’altra parte, chiudere gli occhi; per quanto si mettano in atto tutte queste forme di fuga vigliacca dalla realtà, non c’è modo di uscirne: quel posto nel mondo rimarrà per sempre, inesorabilmente vuoto.
E’ quella sedia vuota a inchiodare purtroppo la donna. Anzi, la madre. Perché, anche se ha abortito, lei è stata mamma, sia pure per pochi giorni, o poche settimane, o pochi mesi. Lei sa che c’era un figlio, che anzi c’è un figlio. E che dunque rimarrà, per sempre, mamma. Le amiche, i medici, il conduttore del talk show, la femminista incartapecorita, la ministra progressista le hanno detto e ripetuto mille volte di non darsi troppa pena. Le hanno spiegato che tanto, prima o poi, quando sarà il momento giusto, o quando troverà l’uomo giusto, o quando sarà nella casa giusta, o quando avrà il lavoro giusto; quando, insomma, si verificherà la congiunzione astrale favorevole, ne farà un altro, di figlio. Magari sano e bello, non “malato e quindi infelice” come quello che ha deciso di togliere di mezzo.
Ma la donna lo sa: quel particolare figlio, proprio lui, non tornerà più. La colpa di questa tragedia è – paradossalmente – la grandezza dell’uomo. Che è persona. Non è una macchina, un gioiello, un utensile, un libro: tutte cose interessanti, magari preziose. Ma cose fungibili, cioè sostituibili, rimpiazzabili. L’orologio si rompe? Semplice: ne compri un altro. L’auto è vecchia e perde olio? La cambi. Il figlio è handicappato? Lo abortisci e ne rifai uno sano. Già. Ma, strano a dirsi, con l’essere umano il paradigma consumistico non funziona: la sedia, quella sedia che rappresenta il posto speciale dedicato a quel bambino che si sarebbe chiamato Luca, o Giacomo, o Veronica, o Andrea; quella sedia rimane vuota.
Lo so: in questo mondo impazzito, la donna troverà una quantità industriale di “amici” che le suggeriranno la risposta illuminata. E che le diranno che in questa vita di posto non ce n’è per tutti, e che soprattutto non c’è un posto uguale per tutti; e che parlare è facile, ma bisogna provare di persona che cosa vuol dire far nascere un bambino quando non te lo aspetti, o quando non hai un posto bello, grande, pulito e luminoso dove accoglierlo. Frasi persuasive, piene di apparente buon senso.
Ma bastano cinque minuti di silenzio perché nella coscienza di quella madre riaffiori una consapevolezza che spazza via tutte le scuse pietose: nessuno può decidere se la vita di un altro, un altro che c’è già e che non è soltanto sperato o immaginato; un altro che poi è mio figlio; nessuno può decidere se quella vita sarà brutta e dolorosa al punto che è meglio per te morire. Anzi: che è meglio per me fare tutto quello che serve per farti morire.
E così, ancora una volta, la sedia, la sedia di quel “mio” figlio, rimane vuota. E mi inchioda. Ci inchioda alle nostre responsabilità collettive, politiche, giuridiche.
Perché – lo abbiamo detto – questo vuole essere un libro onesto. Onesto fino al punto di dire come stanno realmente le cose.
E’ un libro nel quale si vuole spiegare razionalmente, ragionevolmente, che cos’è l’aborto volontario. L’aborto è l’uccisione di un essere umano innocente. Questa verità può esser detta in molti modi: si possono cambiare le parole, limare le frasi, esercitarsi nella difficile arte dell’antilingua. E’ una verità che può essere detta con molte intenzioni diverse: per il gusto un po’ feroce di ferire e umiliare la donna che ha abortito; o per il desiderio sincero e amorevole di salvare un innocente da una fine terribile, e una madre da un rimorso oscuro quanto palpabile.
L’uomo è capace di entrambe queste cose, perché l’uomo può essere, come scriveva Fichte, “santo o bandito”.
Ma poi, alla fine, contano i fatti. E il fatto rimane sempre quello, inesorabilmente. Perché non c’è nulla di più ostinato dei fatti: con l’aborto di uccide.
Questo vuole essere un libro onesto, al punto da trarre con rigore tutte le conseguenze logiche che la ragione ci impone: se l’aborto uccide, e uccide un innocente, non può essere giusto che la legge consenta alla donna di praticarlo. Nessuna persona sana di mente potrebbe affermare contemporaneamente che deportare il popolo ebreo in un campo di concentramento è un’orribile violenza; e che però, d’altra parte, le leggi che lo consentono sono buone.
So benissimo che da un po’ di tempo c’è una strana teoria che circola nel dibattito culturale e politico italiano. E l’idea è pressappoco questa: l’aborto è una gran brutta cosa. Addirittura un omicidio, si dice con linguaggio aspro e diretto. Ma, nonostante questo, la donna deve poter scegliere. Deve – se la logica ha ancora un senso – poter uccidere suo figlio.
Insomma: “aborto no, legge 194 sì”. Che sarebbe come dire: “Rubare no. Legalizzazione del furto sì”. Ecco, questo è un libro onesto, nel quale non leggerete nulla del genere. Perché all’uomo è chiesto, anzi è imposto, di trarre con coraggio le conseguenze della verità che riconosce davanti ai suoi occhi. Lo si deve fare anche se questo obbliga a posizioni scomode, di minoranza, o addirittura di minoranza nella minoranza. Anche se, insomma, c’è da pagare un prezzo.
Questo è un libro onesto, in cui non si dirà che le argomentazioni addotte per giustificare l’aborto e la sua legalizzazione sono tutte stupide o prive di fondamento. Ci sono molte ragioni interessanti, perfino convincenti, in base alle quali motivare la soppressione del proprio figlio non ancora nato. Così come ci sono ragioni molto interessanti, e perfino convincenti, per motivare la soppressione di un proprio figlio già nato, o della propria moglie, o del proprio marito, o di una persona che ci odia visceralmente, o di un collega che ci ha fatto del male per una vita.
Quando un uomo agisce, lo fa sotto l’effetto di motivazioni molto articolate, sia emotive che razionali.
Il punto è che, di norma, queste motivazioni non giustificano la commissione di un delitto. Possono aiutarci a capire le ragioni del colpevole, possono muoverci a pietà nei suoi confronti, possono perfino spingerci a invocare clemenza quando arriverà l’ora del verdetto umano. Ma il delitto rimane e – seppure talvolta assai mitigata – la colpa anche.
Dunque, anche nel delitto di aborto valgono questi ragionevoli ed elementari principi: le circostanze non possono essere ignorate; le motivazioni non sono tutte identiche, e ci sarà pure - sul piano della giustizia – una differenza tra la donna che abortisce perché deve andare in ferie, e la donna che abortisce perché ha subito una violenza carnale. Tuttavia, l’aborto dispiega in entrambi i casi il suo effetto feroce: c’è una vittima innocente. E non c’è argomento al mondo che possa rendere l’uccisione dell’innocente un atto lecito.
Questo è un libro onesto, nel quale si dirà anche che, se in uno Stato civile si vuole vietare un comportamento perché consiste nell’uccisione di un innocente, allora si è costretti a stabilire delle sanzioni penali. Lo so: anche fra gli oppositori all’aborto si è diffusa ormai da tempo una posizione molto diversa. Si dice che lo Stato dovrebbe affermare la illiceità dell’aborto, ma nello stesso tempo si dovrebbe evitare qualsiasi sanzione alla donna.
Intendiamoci: questo è un discorso che tiene in debito conto la mentalità corrente, la quale ha ormai accettato l’aborto legale come una cosa normalissima. Ma, pur comprendendo queste cautele, si deve avere il coraggio di dire che il ragionamento non regge: se vuoi vietare una condotta perché ritenuta delittuosa, devi stabilire una sanzione per chi la commette. Potrai poi discutere sull’entità e sulla natura di quella pena; potrai ad esempio escludere il carcere, e ricorrere a strumenti alternativi alla detenzione. Ma senza pena, non c’è tutela giuridica effettiva del bene in questione.
Questo è un libro onesto, che non vuole aggrapparsi a una descrizione della vita umana che sembri uscita da uno spot pubblicitario. Gli appelli zuccherosi contro l’aborto, quelli per intenderci che cercano di negare l’esistenza dei problemi, delle fatiche, dei drammi e delle tragedie di cui è impastata la vita, non ci appartengono. E non li troverete in questo libro. La donna – e la società in genere – non deve essere presa in giro. Ci sono situazioni in cui la gravidanza nasce da un problema, e genera altri problemi. Ci sono figli concepiti che stanno per essere paracadutati in un mare di guai. Ci sono figli concepiti che portano essi stessi un mare di guai. Ci sono figli concepiti che sono essi stessi il primo movente per la commissione del delitto di aborto: una relazione extraconiugale; una madre poco più che ragazzina; una famiglia già numerosa in una casa troppo piccola con uno stipendio solo, ancora più piccolo; una diagnosi impietosa dell’ecografista.
Si possono negare tutte queste realtà? No. Si può affermare che lo Stato, la Chiesa, la Caritas, il volontariato, l’Onu, l’Esercito della salvezza, il Dalai Lama possano organizzare una società così perfetta che queste cose non accadano mai più? Assolutamente no: sarebbe una follia il solo pensarlo. Sarebbe – per i credenti – un’eresia: quella di chi crede che sia dato all’uomo scacciare il male per sempre da questo mondo.
Dunque, realismo: i moventi per abortire ci sono e ci saranno sempre. Possiamo e dobbiamo contrastarli. Ma, alla fine, ci resterà davanti sempre – speriamo meno frequente di oggi - una richiesta, che è l’espressione di una volontà: io questo figlio non lo voglio, o non posso averlo. Fatemi abortire.
E allora è qui che si gioca – in tutta la sua formidabile potenza – la forza del diritto. Che serve proprio qui, in quella regione dell’umano in cui la morale, la coscienza individuale, l’affetto, l’aiuto degli altri non possono fare più nulla. Il diritto è lo strumento con cui la collettività impedisce – con la minaccia e con la forza – la commissione di un delitto. Il diritto ti dice: se lo fai, sarai punito. Se obbedisci al divieto per intima convinzione morale, meglio per te. Ma se anche hai motivi meno nobili, a me basta che tu, ad esempio, non uccida tua suocera, anche se ne avresti la voglia. E perfino qualche ragione. Vedremo come con alcuni piccoli esempi si possa comprendere che tutta la vita di relazione è puntellata da questo strumento lucido e insieme ruvido della norma giuridica.
Questo, l’avete ormai capito, è un libro onesto. Nel quale non leggerete che “se la donna è libera non abortisce”. Perché questa è una menzogna. Ognuno di noi – tu che leggi e io che scrivo – sa perfettamente di quanto male sia capace ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E non per causa di una società ingiusta, di un’infanzia travagliata, di un sistema fiscale sbagliato, di una città costruita da architetti disumani. Sì, viviamo magari circondati da queste cose, e ne siamo poco o tanto condizionati.
Ma il male che sappiamo fare ce lo fabbrichiamo in casa nostra, nel nostro cuore. Liberamente. E anche la donna incinta è questa realtà, vive questa inclinazione, soffre del contrasto assurdo eppure umanissimo tra il vedere il bene ed essere tentata di fare il male. Questa è la condizione della donna che sta per andare ad abortire, ed è per questa sua identità con la nostra condizione di uomini – di peccatori direbbe un cattolico – che non riesco a essere scandalizzato dalla donna che vuole abortire. Sta per uccidere, sta per sbagliare. Come un marito che scoprendo il tradimento della moglie la stia per ammazzare. Come un banchiere che, potendo stornare soldi non suoi dalla cassa, stia per metterseli in tasca.
Di queste persone diremmo che “se fossero libere non ucciderebbero, non ruberebbero”? Per favore, non scherziamo. La donna che vuole abortire è – fino a prova contraria – libera. Consapevoli che ogni caso è una storia a sé, e che l’aborto è un romanzo che oscilla dalla ragazza albanese incolpevole, costretta ad abortire dai suoi protettori; alla manager rampante che si sbarazza del figlio per fare carriera; passando per altre mille sfumature e situazioni.
Ma alla donna – se non vogliamo ridurla a uno stato animalesco, se non vogliamo mortificare la sua dignità di persona – va riconosciuta la condizione di soggetto libero anche qui, quando per abortire esercita quel libero arbitrio, che è il presupposto della nostra responsabilità.
Anche la donna è pienamente umana quando sta per compiere quel gesto disumano. E’ la sua umanità che le rende possibile anche il compimento volontario di quel gesto. Ecco perché lei, poveretta, non mi scandalizza.
Ciò che invece mi scandalizza è che una società, le sue leggi, i suoi intellettuali, e perfino certi suoi teologi e certi suoi pastori di anime, dicano a questa donna: “Devi poter scegliere di fare quello che vuoi fare. Intendiamoci, noi ti diamo i mezzi per non farlo: soldi, pannolini, coperte, vestitini, alloggi, incentivi, acqua minerale, viaggi premio, palloncini colorati e passeggini usati. E quando ti avremo dato tutto questo, siamo sicuri che diventerai libera, noi ti renderemo libera. E tu non abortirai più”.
No: in questo libro non troverete scritta questa idea, perché questo non è un libro di favole. Lo scandalo non è che una donna possa essere tentata di abortire. Perché ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, un uomo è tentato di uccidere, rubare, tradire, violentare, sfruttare, mentire, uccidersi. Lo scandalo è che una società e uno stato possano dire a quella donna: “Ecco, accomodati, ti ho preparato un luogo pulito e sicuro dove tu possa farlo gratuitamente”.
Lo scandalo è anche che coloro che sanno che cosa sia l’aborto, che conoscono la verità, siano solo capaci di dire: “noi ti offriamo pannolini, ma poi scegli tu, devi essere libera”.
Sì, questo è un libro onesto, in cui non troverete mescolate in una poltiglia appiccicosa le ragioni della ragione e le ragioni della fede. Perché non c’è nulla di più deleterio che confondere le idee della gente su questo punto. Qui si cercherà di mostrare come l’aborto sia un fatto antigiuridico, e non semplicemente un fatto immorale, o un peccato. Nessuno direbbe che l’omicidio è un male “dal punto di vista cattolico”. Perché ogni uomo rivendica, giustamente, la capacità di poter formulare un giudizio severo sull’uccisione di un passante, di un poliziotto, di un tabaccaio. Un giudizio che chiede non vendetta, ma giustizia.
Ecco: per l’aborto vale un ragionamento analogo.
Ma in questo libro, alla fine, troverete anche le ragioni della fede, e chi vorrà potrà leggerle e confrontarsi con esse. Sono ragioni bellissime. E sono anche le uniche ragioni che permettono di riempire quella sedia tragicamente vuota.
Nella luce della fede cattolica, abbiamo la certezza che la nostra vita non finisce qui, che non si precipita nel nulla quando verrà il giorno inesorabile della nostra morte. Così, anche le mamme che hanno detto di no al loro figlio invisibile, possono scoprire che l’ultima parola per loro non è quella della disperazione. E che c’è un Dio, e un Dio misericordioso, anche per le donne che hanno abortito.
Incontrarlo non è difficile: l’importante è riconoscere che uccidere un innocente non è lecito né all’uomo e né alla donna. Mai. Allora le madri scopriranno che, nonostante tutto, quel figlio respinto le attende su quella sedia.
Che non è più vuota.

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