BastaBugie n�21 del 21 marzo 2008

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1 IL MOMENTO DELLA VERITÀ: LA CINA SI GIOCA I GIOCHI
Le proteste tibetane attendono da Hu un gesto di dialogo
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte:
2 IL DISPREZZO DEL MASCHILE GENERA SOLO INSICUREZZA
L’ultima campagna choc di Oliviero Toscani
Autore: Claudio Rise' - Fonte:
3 L’URANIO IMPOVERITO SUL BANCO DEGLI IMPUTATI: ASSOLTO!

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:
4 LA TESTIMONIANZA DI MARTIRI CRISTIANI BAMBINI IN IRAK

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:
5 GOVERNO PRODI: PER NON DIMENTICARE
Vita, morte e nessun miracolo dell'esecutivo di centro sinistra. Dalla tutela della vita umana e della famiglia naturale ai rapporti con la Chiesa: un bilancio fallimentare.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:
6 LA CARITÀ AI SEMAFORI VA FATTA?
Roma, dall’Eur al Circo Massimo. Dall’alba al tramonto. Gli schiavi ai semafori. E nessuno sembra accorgersene.
Autore: Danilo Paolini - Fonte:
7 I NEONATI AL VAGLIO DELLA LEGGE, MA CON GLI STESSI DIRITTI DEGLI ADULTI
Diamo a tutti una chance anche ai grandi prematuri.
Autore: Carlo Bellieni - Fonte:

1 - IL MOMENTO DELLA VERITÀ: LA CINA SI GIOCA I GIOCHI
Le proteste tibetane attendono da Hu un gesto di dialogo
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte:

 Mentre Pechino si prepara a celebrare le Olimpiadi della pace e della fraternità, vi sono notizie di spari e uccisioni di manifestanti a Lhasa. È la risposta della Cina al 'terrorismo' tibetano, fatto di proteste, marce di monaci e di laici, negozi dati alle fiamme, auto della polizia bruciate.
  A quasi 50 anni dalla rivolta repressa nel sangue, che ha portato all’esilio del Dalai Lama e di decine di migliaia di tibetani, una nuova fiammata rischia di far divampare un incendio violento. Sono proprio i Giochi ad aver acceso la scintilla.
  Atleti tibetani hanno chiesto di partecipare sotto la bandiera del proprio Paese, ma Pechino ha detto no. Per le cerimonie d’inizio e fine delle Olimpiadi sono previste performance di danzatori tibetani sorridenti sotto la bandiera cinese, mentre a Lhasa e in tutto il Paese la popolazione rischia il genocidio. Un genocidio anzitutto economico: le alte terre himalayane, ricche di minerali, sono battute da scienziati cinesi che cercano filoni di rame, uranio e alluminio, mentre alla gente non resta che l’abbandono dei pascoli e il lavoro nelle fabbriche dell’occupante. Il turismo è controllato da milioni di coloni cinesi, che violentano la cultura ancestrale. Pechino dice che tutto ciò serve per lo sviluppo locale.
  Potrebbe essere vero, se non vi fosse pure il genocidio culturale e religioso: nessun insegnamento del credo e della lingua tibetani; nessun riferimento, né lode al Dalai Lama; controllo ferreo sui monasteri e sui civili con lo spiegamento di oltre 100mila soldati. Nel 1995, il controllo di Pechino è giunto fino a determinare il 'vero' Panchen Lama, eliminando quello riconosciuto dal Dalai Lama. E, dallo scorso settembre, tutte le 'reincarnazioni' dei Buddha (fra cui quella del Dalai Lama stesso, ormai 70enne), per essere 'vere', devono avere l’approvazione del Partito comunista. Le proteste di questi giorni, guidate soprattutto da giovani monaci e laici, sono il frutto della disperazione davanti al lento morire di un popolo impotente. Tale sentimento è indotto anche da Pechino. In tutti questi anni, il Dalai Lama ha proposto alla Cina una soluzione pacifica, che prevede l’autonomia religiosa dl Tibet, con la rinuncia all’indipendenza. Vi sono stati incontri fra rappresentanti del governo tibetano in esilio e le autorità occupanti. Ma il governo di Pechino, alla fine, ha sempre sbattuto la porta in faccia agli interlocutori, sospettando mire indipendentistiche del Dalai Lama, che oggi desidera soltanto essere un leader religioso. La mancanza di segni di speranza porta a gesti disperati. Non è difficile prevedere che la situazione a Lhasa diventi sempre più incandescente e possa spingere il regime a soluzioni estreme, con la scusa di combattere 'il terrorismo separatista'. Per la Cina è il momento della verità: dopo essersi preparata a diventare un Paese moderno in vista dell’appuntamento dei Giochi, deve mostrare di essere tale anche nel risolvere gravi crisi sociali.
  L’apertura di un dialogo con il Dalai Lama sarebbe il migliore passo.
  Sembra quasi una nemesi storica che a decidere debba essere il presidente Hu Jintao. Nel marzo del 1989 scoppiò in Tibet una delle periodiche rivolte, conclusa con un massacro e la legge marziale, decretata proprio da Hu Jintao, a quel tempo segretario del Partito a Lhasa. Pochi mesi dopo vi fu il terribile massacro di Tiananmen a Pechino. Ma a quasi 20 anni da quei fatti Hu Jintao si trova di fronte agli stessi problemi. La repressione non ha risolto nulla: è tempo per un altro tipo di soluzione.


2 - IL DISPREZZO DEL MASCHILE GENERA SOLO INSICUREZZA
L’ultima campagna choc di Oliviero Toscani
Autore: Claudio Rise' - Fonte:

Vi descrivo le foto della campagna 'Contro la violenza sulle donne', affidata a Oliviero Toscani, che campeggiano da ieri sull’ultimo numero del settimanale Donna Moderna, oltre che sui siti Internet dei principali quotidiani.

A sinistra un bambino completamente nudo, con sopra la testa il proprio nome: Mario, impresso su una striscia nera e sotto i piedi la scritta: carnefice, anche quella su un graffito nero­sporco. A destra una bimba ricciolina, anche lei nuda, con sopra la testa la scritta: Anna, sempre su una striscia nera, e sotto i piedi la scritta: vittima (sempre sul nero). La pelle bianca dei bambini contrasta col nero-sporco delle scritte, e la violenza delle due parole: carnefice, vittima. Quei due bambini sono già due vittime.

Bisogna avere un cuore ben duro per non provare pietà per queste creature innocenti, esposte sulla stampa nude in un tempo di pedofilia fuori controllo, per veicolare un messaggio di odio fra i due sessi. Quello dei carnefici, i maschi, e quello delle vittime, le femmine. Designati come tali fin dall’infanzia. Perché, il loro status di carnefice, e di vittima, è evidentemente impresso nella loro appartenenza di genere. Un marchio in questo caso scritto sotto due creature prepuberi, ma che, secondo la violenza contro l’infanzia applicata in manifesti recentissimi, potrebbe essere stampato su un braccialetto da neonato: Mario, maschio, carnefice. In un’intervista sul settimanale, alla domanda: «Perché non è Anna a diventare carnefice?», Toscani risponde: «Un po’ dipende dal sangue, dal Dna, non c’è dubbio». La spiegazione conferma, ma è pleonastica.

Quando sotto una figura umana, caratterizzata dal colore della pelle, o dal sesso, si scrive carnefice, il messaggio è: quelli con quella pelle, o quel sesso, sono carnefici.

Messaggi di questo tipo dovrebbero far diminuire l’insopportabile violenza maschile? Ne dubito fortemente. Sarebbe la prima volta che una campagna di discriminazione razziale, fin dall’infanzia, rende più mansueto il gruppo discriminato. I maschi sono già disperati, per non poter salvare i loro figli dall’aborto quando la madre decide altrimenti, per non poterli crescere se si separano, per la moda di discredito sociale che accompagna il loro genere. Infatti, il suicidio tra i maschi è tre volte più frequente che fra le femmine: nel 2004 (ultimo dato disponibile), in Italia vi hanno ricorso 924 femmine contro 3.154 maschi (anche le donne uccise da maschi, purtroppo, sono state il triplo degli uomini uccisi dalle donne: 114, contro 21). Al di là di questi dati estremi, ma ugualmente significativi, è di queste ore il risultato di un’indagine organizzata da una brava psicologa, Gianna Schelotto, in una serie di scuole, da cui è risultato che 6 ragazzi su 10 (il 62%) tra i 14 e i 16 anni preferirebbero risvegliarsi donne.

Buon segno? Non tanto.

Antropologia, sociologia, e psicologia, misurano come il malessere identitario alimenti i comportamenti più nefasti.

L’uomo tranquillo e generoso è quello che sa bene che la sua identità ha un valore, e il mondo lo riconosce. Il male bashing, il disprezzo del maschile, genera solo insicurezza, e devianza. Donne, uomini, e certamente i bambini innocenti spregiudicatamente utilizzati per veicolarlo, hanno tutto da perdervi.


3 - L’URANIO IMPOVERITO SUL BANCO DEGLI IMPUTATI: ASSOLTO!

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:

Il 6 dicembre 2007 il ministro della difesa Parisi ha riferito alla commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito che i militari italiani morti per tumore in undici anni di missioni all’estero sono settantasette. La cifra -ha però chiarito onestamente- configura un’incidenza inferiore alla media della popolazione maschile nello stesso periodo considerato. Parisi ha giustamente concluso che l’unico effetto sortito finora dal balletto di cifre sull’argomento è stato quello di creare ingiustificato allarme tra i nostri soldati impegnati in teatri operativi come Balcani, Afghanistan, Iraq e Libano.

Ma il presidente della commissione, Felice Casson (Pd), non sente ragioni e vuole l’audizione dei capi del Sismi che si sono succeduti dal 1996 al 2006 per accertare in quali luoghi sia stato usato l’uranio impoverito. Insomma, sul banco degli imputati c’è sempre lui, l’uranio impoverito, che ha sul collo addirittura una commissione d’inchiesta apposita.

Già, perché la stessa parola «uranio» fa venire in mente la bomba atomica, le radiazioni e, dunque, i tumori maligni. Eppure, più che i capi del Sismi, si dovrebbe ascoltare gli scienziati, almeno per sapere se il colpevole è stato trovato o si sta condannando un innocente senza processo. Un amico medico mi ha spiegato che di radiazioni viviamo attorniati, essendo esse emanate da un’infinità di minerali. Tra le più pericolose ci sono quelle «gamma», emesse dagli apparecchi ospedalieri per radiografie.

Ma basta uno schermo al piombo per neutralizzarle. Per giunta, per poter giovarsi a qualunque scopo (civile o militare) della radioattività, occorrono grandi quantità di minerali contenenti materiali radioattivi. Il piombo, dicevamo, la blocca per via della sua alta densità e un foglio di piombo è sufficiente perché i rilevatori «geiger» di radiazioni smettano di ticchettare.

Il piombo ha gli atomi così strettamente vicini da impedire il passaggio delle radiazioni «gamma» e, a maggior ragione, quelle, molto più deboli, «alfa» e «beta». Perché in guerra si usano talvolta munizioni all’uranio al posto di quelle tradizionali di piombo? Per la semplice ragione che l’uranio ha peso atomico 238 ed è più denso del piombo (peso atomico 207), perciò più efficace contro la corazza dei carri armati. Si tratta di uranio “impoverito” perché, appunto, ha perso gran parte della sua carica radioattiva e non può essere più utilizzato come combustibile per centrali atomiche. Usarlo per certi tipi di proiettile è un sistema ingegnoso per riciclare tale metallo. Metallo, attenzione, non gas o polvere.

Ciò significa che il proiettile all’uranio impoverito penetra l’acciaio delle corazzature e, al massimo, si fonde con esso per il calore dell’esplosione. Per giunta, essendo “impoverito” è scarsissimamente radioattivo. Dunque, non si espande nell’aria e, qualche eventuale scheggia (di dimensioni minutissime), dato il suo peso ricadrebbe a pochi metri.

Per avere una (innocua) traccia di radioattività sugli uomini occorrerebbe che un soldato andasse a piazzarsi proprio sul punto d’impatto e ci stesse alcune ore seduto sopra. Eppure, questa storia della letalità dell’uranio impoverito sembra avere la forza del pacificamente accertato. Non sarà che tutto fa brodo pur di dare addosso al «satana» americano?


4 - LA TESTIMONIANZA DI MARTIRI CRISTIANI BAMBINI IN IRAK

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:

Il 12 febbraio 2008 in Iraq sono stati rilasciati i quaranta bambini sequestrati e rapiti da un gruppo di terroristi a Baghdad mentre si recavano a scuola.
Tre di questi bambini sono cristiani e i rapitori avevano imposto loro di convertirsi all’islam, pena la morte. Si tenga presente che per diventare musulmani basta pronunciare la formula detta shahada, cioè affermare davanti a due testimoni musulmani che c’è un solo Dio ed è Allah e Maometto è il suo Profeta. Eppure quei tre bambini si sono rifiutati, dichiarandosi disposti a morire pur di restare cristiani.
Chissà, forse i rapitori si sono spaventati loro, di fronte alla prospettiva di creare dei martiri. Martiri un po’ diversi da quelli a cui sono abituati, visto che nessuno li ha indotti tramite promesse paradisiache e finanziamenti alle famiglie.
Diversi, anche, perché non suicidi-omicidi. Diversi, infine, perché possiamo immaginare tre bambini che resistono alla pressione psicologica dell’essere soli in mezzo a quaranta coetanei musulmani e a quella fisica delle armi puntate alla tempia.
Tre bambini. Severo esempio per noi, qui al caldo, che magari troviamo pesante una piccola rinuncia quaresimale.


5 - GOVERNO PRODI: PER NON DIMENTICARE
Vita, morte e nessun miracolo dell'esecutivo di centro sinistra. Dalla tutela della vita umana e della famiglia naturale ai rapporti con la Chiesa: un bilancio fallimentare.
Autore: Mario Palmaro - Fonte:

Maggio 2006: Comunisti e Radicali al potere. La formazione di Governo è sostenuta da 21 partiti, e conta 103 membri tra ministri e sottosegretari: è l'esecutivo più numeroso di sempre.
Ma, soprattutto, è il primo governo della storia repubblicana a vedere la partecipazione diretta di Rifondazione Comunista e dei Radicali italiani, divenendo così l'unico governo sostenuto dall'intera sinistra parlamentare, cosa che non accadeva più dal 1947.
 
Maggio 2006: la sperimentazione sugli embrioni. Non sono ancora trascorsi quindici giorni dalla nascita dell'esecutivo, che il ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi ritira, a Bruxelles, l'adesione italiana a una moratoria nell'uso degli embrioni come cavie di laboratorio, voluta dal governo Berlusconi insieme a Germania, Polonia, Slovenia, Austria e Malta. È il 30 maggio 2006. Mussi auspica apertamente «il cambiamento della legge 40».
Infuria la polemica politica. Ma, pur di salvare la ghirba del Governo, i cattolici che sostengono la maggioranza bocciano una mozione presentata dall'opposizione, nella quale la tutela dell'embrione è affermata in maniera inequivocabile.
 
Giugno 2006: l'anticamera dell'eutanasia. I partiti di governo lanciano nella mischia il senatore Ignazio Marino, "cattolico", che il 27 giugno 2006 presenta - insieme alla capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro - un disegno di legge sul "Testamento biologico", anticamera dell'eutanasia. Questa iniziativa - guardata con approvazione anche da settori dell'opposizione - sembra destinata al successo, e viene fermata solo dalla caduta del Governo.
 
Settembre 2006: al Papa ci pensino le Guardie Svizzere. Romano Prodi è a New York per intervenire all'Onu. È il 19 settembre e un giornalista gli domanda che cosa ne pensi dell'allarme lanciato da Ali Agca, che ha parlato di pericoli per il viaggio in Turchia del Papa. «Che cosa vuole che sappia, io, della sicurezza del Papa in Turchia? Non so nulla, in proposito, vedranno le sue guardie...» è la sconcertante risposta del premier.
 
Novembre 2006: la droga raddoppia. Il ministro della Salute Livia Turco, "cattolico", emana un decreto sul tema delle droghe: viene innalzato da 500 a 1000 milligrammi il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per uso personale. È il 13 novembre 2006. Si scatenano aspre polemiche e dopo alcuni mesi il decreto viene affondato da una decisione del TAR.
 
Febbraio 2007: i Dico per le unioni tra omosessuali. È la sera dell'8 febbraio 2007 quando tutti i principali telegiornali si aprono con le immagini del Ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini e del Ministro della Famiglia Rosy Bindi che annunciano con toni trionfalistici il disegno di legge sui Dico. La sigla - che significa "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi" - indica la volontà del Governo Prodi di riconoscere una serie di diritti alle coppie di fatto, anche dello stesso sesso. È il provvedimento più contestato di tutta la breve vita dell'esecutivo di centro sinistra. Il Ministro Bindi si giustifica dicendo che alla stesura del decreto «hanno collaborato molti giuristi cattolici», guidati da Renato Balduzzi (presidente del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e da Stefano Ceccanti (ex presidente della FUCI - Federazione Universitaria Cattolica Italiana). La Chiesa e le opposizioni intervengono duramente, e ne scaturisce una mobilitazione che sfocia nel Family Day, a Roma, il 12 maggio 2007. Anche esponenti della maggioranza prendono poco alla volta le distanze dai Dico, che naufragano.
 
Il rapporto con la Chiesa cattolica. La vicenda dei Dico porta il Governo al minimo storico nei rapporti fra potere politico e Chiesa in Italia. Alcuni cattolici che fanno parte dell'esecutivo tentano di far credere che i Dico siano compatibili con il Magistero, e vengono apertamente sconfessati dalla Conferenza episcopale. I partiti della sinistra al governo (comunisti, verdi, socialisti) e i radicali aprono il fuoco contro "l'ingerenza del Vaticano nella politica italiana". I rapporti con la Chiesa resteranno tesi per tutta la legislatura.
 
Luglio 2007: arrivano i CUS. Di fronte al fallimento clamoroso dei Dico, la maggioranza non demorde e si inventa i CUS (Contratti di Unione Solidale). È il 12 luglio del 2007. I due conviventi, anche dello stesso sesso, ricorreranno al notaio o al giudice di pace. L'ideatore è il senatore Cesare Salvi. L'iter del provvedimento sembra più facile di quello toccato ai Dico, ma viene bruscamente interrotto dalla fine del governo.
 
Luglio 2007: attacco alla legge 40 del 2004. Il Ministro della Salute Livia Turco - con l'appoggio di ampie fette della maggioranza - avvia un progetto di riforma delle Linee Guida della Legge 40 sulla fecondazione artificiale. Obiettivo: rendere più permissiva la legge in vigore, aggirando alcuni divieti in essa contenuti. Proprio quando il Ministro sta per pubblicare il regolamento, il governo cade. Ma in queste settimane la Turco potrebbe ancora emanare le nuove regole, che affosserebbero la legge vigente.
 
Gennaio 2008: il bavaglio al Papa. C'è lo zampino del Governo nella vergognosa vicenda della Sapienza: mentre monta l'ostilità contro la visita del Papa, Prodi e i suoi ministri tacciono. Parleranno soltanto quando il Pontefice annuncerà di aver rinunciato. Il Ministro degli interni Giuliano Amato -rivela Andrea Tornielli su il Giornale - avrebbe consigliato il Papa di inventarsi una malattia diplomatica e restarsene a casa.
 
Che fine hanno fatto i protagonisti? A futura memoria, è interessante ricordare che cosa fanno oggi i protagonisti di questi atti. Romano Prodi ha annunciato che non si ricandiderà. Fabio Mussi e Cesare Salvi sono esponenti di spicco della Sinistra Arcobaleno, che candiderà come premier Fausto Bertinotti. Livia Turco è una dirigente del nuovo Partito Democratico guidato da Walter Veltroni. Rosy Bindi è stata candidata alle primarie del Partito democratico e ne è elemento di spicco. Barbara Pollastrini è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito democratico. Del quale fanno parte anche Ignazio Marino, Giuliano Amato e Anna Finocchiaro.
 
Conclusioni
 
Di fronte a fatti così eloquenti, si impongono alcune considerazioni. La prima: il Governo Prodi ha progettato una serie di attentati alla legge naturale e alla libertà di parola della Chiesa, che non si sono concretizzati solamente per la sua fine prematura. Dunque, la caduta del Governo Prodi è stata provvidenziale. Secondo: è la prima volta nella storia repubblicana che è il governo (e non il Parlamento) a farsi direttamente promotore di iniziative così numerose di marca anti-cattolica. Terza e ultima considerazione: il giorno in cui ognuno di noi dovrà andare a votare, sarà bene non dimenticare questi venti mesi di autentico assedio ai valori che contano. La minaccia continua.


6 - LA CARITÀ AI SEMAFORI VA FATTA?
Roma, dall’Eur al Circo Massimo. Dall’alba al tramonto. Gli schiavi ai semafori. E nessuno sembra accorgersene.
Autore: Danilo Paolini - Fonte:

Lo scorso anno i quotidiani romani titolarono: «Smantellata la banda del cappottino». Ma il sollievo è durato poco. Sono tornati quasi subito. Ogni mattina qualcuno li scarica lungo la via Cristoforo Colombo, uno o due per ogni semaforo, dall’Eur fino a Porta Ardeatina, e poi ancora giù per via Baccelli fino al Circo Massimo. Restano fino al tramonto. Quando scatta il rosso sfilano lenti tra le auto in colonna con una mano a coppa, lo sguardo spento, il volto annerito dalla polvere e dallo smog, i capelli simili a ciuffi di stoppa.
  In genere non parlano, né bussano al finestrino. Si fermano qualche secondo, se la moneta non arriva, passano oltre.
  Difficile stabilirne l’età: potrebbero avere 20 anni come 80, ma per lo più danno l’impressione di una gioventù avvizzita per mortificazione. I loro sfruttatori li preferiscono afflitti da deformità agli arti o da problemi mentali. Si dice che li reclutino (li comprano?) nei sanatori dell’Europa dell’Est, in Romania o chissà dove. Si dice che qui, nella Capitale d’Italia o nei suoi paraggi, li tengano ammucchiati in posti simili a stalle, in condizioni che nemmeno le bestie. Per muovere i passanti alla compassione, li lasciano ai semafori nudi, con indosso soltanto un vecchio cappotto, sempre troppo largo oppure troppo corto. Quando va bene.
  Qualcuno, infatti, deve accontentarsi di un sacco della spazzatura, di quelli neri, tenuto insieme con lo spago, le braccia e le gambe indifese che spuntano fuori grottesche, tragiche. Ai piedi, feriti e piagati, al massimo un paio di ciabatte da mare sformate. Uno strazio. Non si può notare quell’ignobile 'uniforme' senza comprendere che dietro a un tale scempio di dignità umana c’è una regia senza scrupoli. Criminali. Qualche mese fa, a un semaforo dell’Eur, un camionista impietosito ha preso un pacchetto che teneva sul cruscotto e lo ha passato dal finestrino aperto al 'cappottino' di turno: dentro c’erano due grandi pezzi di pizza a taglio, probabilmente il pranzo del camionista. «Se hai fame mangia, ma soldi non te ne dò», gli ha detto. Non era crudeltà. Era consapevolezza che niente sarebbe finito nelle tasche di quel povero ragazzo. Che le tasche nemmeno le ha. Era il rifiuto di contribuire, anche solo con pochi centesimi, agli sporchi affari della «banda del cappottino». Signor questore, signor comandante provinciale dei carabinieri, è davvero impossibile mettere fine a questa ignominia, fermare gli aguzzini, liberare quegli infelici? Signori candidati sindaci, che in questi giorni di campagna elettorale fate appello all’orgoglio di essere romani, c’è ancora posto per gli schiavi a Roma? La risposta, in entrambi i casi, dovrebbe essere «no»: non è impossibile dire basta, e non c’è posto per gli schiavi.
  Ma, allora, è un’altra la domanda che s’impone: perché continua ad accadere?


7 - I NEONATI AL VAGLIO DELLA LEGGE, MA CON GLI STESSI DIRITTI DEGLI ADULTI
Diamo a tutti una chance anche ai grandi prematuri.
Autore: Carlo Bellieni - Fonte:

Chissà perché si parla di prematuri solo sottolineando quali far vivere e quali morire, e non si tratta mai dei grandi progressi che la medicina ha fatto nell’ultimo decennio nella loro cura? Questa visione necrologica della neonatologia è stigmatizzata dall’ultimo editoriale della prestigiosa rivista Acta Paediatrica, e sottende l’idea che il bambino abbia “qualcosa” di meno dell’adulto, in una società fatta per soggetti “normali”, cioè sani e adulti. Già: nessuno esiterebbe ad intervenire qualora si trovasse in presenza di un autista ferito in un incidente stradale gravissimo, a rischio di morte o di disabilità: perché è diverso per il neonato? Vediamo di capire.
Sopravvivenza e malattia. Sappiamo oggi che nascendo a 22 settimane dal concepimento, si ha una possibilità su 10 di farcela, mentre a 23 settimane le possibilità sono una su quattro. Non sono valori trascurabili. Certo, molti di questi bambini avranno problemi di salute, di diverso tipo e diversa gravità, ma al momento della nascita non possediamo strumenti per fare previsioni sul singolo bambino. I progressi nel campo neonatale hanno consentito traguardi prima impensabili: oggi sopravvive il 90% dei nati sotto il chilo di peso, contro il 10% di 40 anni fa. Recenti lavori mostrano che i centri che provano ad assistere tutti i nati dalle 22 settimane in su, non hanno un tasso di handicap maggiore di quelli che invece operano una assistenza selettiva. Anzi, per un recente studio svedese, i centri “selettivi” invece di diminuire il tasso di handicap, lo incrementano .
Rispettare i genitori. Sappiamo anche che la nascita prematura è un evento spesso improvviso e traumatizzante per i genitori; e che le cure devono essere intraprese immediatamente all’uscita dall’utero. Dunque c’è purtroppo tempo per spiegare ai genitori le possibili patologie che potrebbero attendere il bambino, cosa che richiederebbe diverse ore e che verrà fatta in un momento successivo. Tuttavia i genitori devono costantemente essere tenuti informati di tutti i passaggi delle manovre mediche e delle risposte del piccolo paziente. D’altronde, non si capisce su cosa dovrebbero “decidere” i genitori o i medici, dato che la situazione, pur drammatica, è semplice: se c’è una chance, va data; se non c’è non si deve insistere. A meno che non si pensi che la disabilità futura sia un motivo per non rianimare. Ma, a parte che alla nascita non possiamo saperlo, a meno di avere una sfera magica, questo non è moralmente accettabile. Semmai è importante non insistere se gli interventi sono inutili.
Leggi e decreti. Il Ministero della Salute e il Comitato Nazionale di Bioetica hanno istituito delle commissioni per valutare il tipo di cure da dare a questi piccolissimi. Il parere della commissione del Ministero è ora al vaglio del Consiglio Superiore della Sanità. Ribadiamo il concetto di fondo: i neonati hanno diritto alle stesse cure dei pazienti adulti. Non sono cure sperimentali (si usano da 30 anni); non sono cure straordinarie (si tratta solo di mettere un tubicino di 2 millimetri di diametro in gola per dare aria ai polmoni), non possono essere subordinate alla ipotetica disabilità (se fosse così, si giungerebbe a curare solo chi si prevede ritornerà in piena salute). Viviamo una cultura che accetta solo chi si sa integrare e pensa che alla difficoltà grave esistenziale si possa rispondere solo facilitando l’uscita di scena, per le categorie che si devono accontentare delle briciole, cioè anziani, piccolissimi e disabili. Siamo certi, però, che chi deve decidere sa bene che non esiste una “zona grigia” in cui la vita umana valga solo a certe condizioni. Diamo a tutti una chance: è il compito del medico chiamato a far bene il proprio dovere.


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