BastaBugie n�176 del 21 gennaio 2011

Stampa ArticoloStampa


1 SI CHIUDE L'ANNO DELLA BEATA MADRE TERESA: PORTAVA AI POVERI SIA IL PANE CHE CRISTO (NO ALL'UMANITARISMO RELATIVISTA)
E ricevendo il premio nobel per la pace disse: ''L'aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente''
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana
2 LA DIRIGENZA DEL ''MOVIMENTO PER LA VITA'' NON TOLLERA OPINIONI LEGITTIME, MA CONTRARIE ALLE LORO
Le scorrettezze del direttore di ''Sì alla vita'' contro chi ha sottoscritto l'appello al Papa sul prossimo incontro ad Assisi
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona
3 COSA CI VUOL DIRE DIO CON LA BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
Tra le altre cose, abbattendo il comunismo, per una via miracolosamente pacifica, egli ha probabilmente scongiurato una nuova (e stavolta fatale) guerra mondiale
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
4 GIOVANNI PAOLO II SARA' PROCLAMATO BEATO IL 1° MAGGIO 2011
Il corpo sarà trasferito nella basilica di San Pietro: Benedetto XVI ha derogato all'attesa dei cinque anni, ma non ha acconsentito a farlo ''santo subito'' come chiedevano alcuni suoi collaboratori
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana
5 VINCONO I SI AL REFERENDUM SULL'ACCORDO PER LA FIAT MIRAFIORI, VINCE LA CISL E I SINDACATI RIFORMISTI
Ha perso la Fiom-Cgil che ha dimostrato ancora una volta di essere un sindacato ideologico (contro la crescita economica, favorendo la perdita dei posti di lavoro): adesso tocca alla Fiat realizzare gli investimenti promessi
Autore: Carlo Costalli - Fonte: La Bussola Quotidiana
6 BUONISMO: IL CANCRO DELLA VOLONTA'
Essere accondiscendenti e sorridenti con tutti porta alla catastrofe; l'uomo retto, al contrario, ama la verità senza compromessi
Autore: Luca Marcolivio - Fonte: L'Ottimista
7 NUOVO ALLARME CATASTROFISTA: LE UOVA ALLA DIOSSINA PROVENIENTI DALLA GERMANIA
Ecco perché non dobbiamo lasciarsi cogliere da facili forme di isterismo del tutto ingiustificate
Autore: Giuseppe Bertoni - Fonte: La Bussola Quotidiana
8 L'ALTO TASSO DI SUICIDI NEI PAESI EX COMUNISTI E IN CINA E GIAPPONE INDICA CHE DOVE NON C'E' DIO, L'UOMO SI PERDE NELLA SUA ANGOSCIOSA SOLITUDINE
Ecco perché ama la vita chi crede in un Dio personale che ci ha creato, che ci guarda e ci conosce e il cui amore rende preziosa ogni singola esistenza
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio
9 IN GRAN BRETAGNA ARRIVA LA TASSA SUL DIVORZIO (SCORAGGERA' LE SEPARAZIONI, MA FORSE ANCHE I NUOVI MATRIMONI?)
Il ministro Miller: ''Non ci dobbiamo vergognare di tutelare la famiglia tradizionale perché sappiamo bene che il matrimonio è alla base di una società sana''
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: Avvenire
10 QUOTE ROSA? E' LA NATURA UMANA (MASCHILE E FEMMINILE) A DIRE DI NO
Come mai se le donne sono più degli uomini, risultano eletti più uomini? Evidentemente sono le donne a preferirlo (nonostante viviamo in tempi di ideologia femminista)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Bussola Quotidiana
11 SCOPERTA SENSAZIONALE: IL QUINTO VANGELO (CIOE' IL VANGELO CHE NON ESISTE MA CHE IL MONDO VORREBBE)
Ecco l'introduzione al simpatico libro del Cardinal Biffi che dipinge un nuovo vangelo conforme alla mentalità oggi dominante
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Il Quinto Vangelo (Edizioni Studio Domenicano
12 OMELIA PER LA III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 4,12-23)
Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini
Autore: Padre Francesco Pio Pompa - Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - SI CHIUDE L'ANNO DELLA BEATA MADRE TERESA: PORTAVA AI POVERI SIA IL PANE CHE CRISTO (NO ALL'UMANITARISMO RELATIVISTA)
E ricevendo il premio nobel per la pace disse: ''L'aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente''
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana, 28-12-2010

Il Papa ha voluto concludere personalmente, il 26 dicembre, l'anno dedicato alle celebrazioni del centenario della nascita della beata Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), pranzando nell'Aula Nervi con 350 senza tetto e con le suore di Madre Teresa che li assistono. «Celebrare cento anni dalla sua nascita – ha detto il Papa – è motivo di gratitudine e di riflessione». Madre Teresa «ha saputo riconoscere in ognuno il volto di Cristo, da Lei amato con tutta se stessa: il Cristo che adorava e riceveva nell'Eucaristia continuava ad incontrarlo per le strade e per le vie della città, diventando un'immagine viva di Gesù che versa sulle ferite dell'uomo la grazia dell'amore misericordioso».
Dell'anno centenario della Beata Madre Teresa, che in questi giorni si chiude, dovrebbero rimanerci due pensieri. Il primo è che la grande piccola suora non confuse mai la carità cristiana con un generico umanitarismo. Certo, portava il suo amore a tutti e non soltanto ai cristiani. Ma a chi non conosceva Cristo, dopo l'indispensabile pane materiale, non mancava mai di porgere anche il pane vivo del Vangelo. I poveri – ha ricordato il Papa quest'anno nell'esortazione apostolica Verbum Domini – sono sempre «bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita. La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all'annuncio della Parola». L'offerta del pane o delle coperte che rinunciasse esplicitamente all'evangelizzazione sarebbe solo una mezza carità, o peggio una forma implicita di relativismo. Caritas in veritate, secondo il titolo dell'enciclica del 2009 del Papa: la carità materiale delle medicine e del cibo non dev'essere mai disgiunta dalla carità della verità.
Il secondo pensiero, che si tende spesso a dimenticare, è che in molti suoi interventi e discorsi la beata Madre Teresa ha ricordato con parole accorate il dramma dei poveri più poveri e più abbandonati: i bambini uccisi con l'aborto. Anche quando la si invitava a parlare d'altro, trovava spesso occasione d'inserire un riferimento alla difesa della vita. Trascurando le convenzioni e il gergo politicamente corretto che di solito circonda il Premio Nobel, quando le fu assegnato il riconoscimento nel 1979 – che era, tra l'altro, l'«Anno del bambino» proclamato dalle Nazioni Unite – stupì il pubblico di Oslo denunciando con parole fortissime l'aborto.
«La pace oggi – disse – è minacciata dall'aborto, che è una guerra diretta, un'uccisione compiuta dalla stessa madre. Anche il bambino non ancora nato è nelle mani di Dio. L'aborto è il peggior male e il peggior distruttore della pace. Noi non ci saremmo se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li abbiamo desiderati e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti si preoccupano dei bambini dell'India e dell'Africa, che muoiono di fame e malattie, ma milioni muoiono per espressa volontà delle madri. L'aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente. All'inizio dell'"Anno del bambino" ho chiesto: facciamo in modo che ogni bimbo possa nascere e che ogni non desiderato possa diventare desiderato. L' Anno è alla fine: i bambini li abbiamo veramente desiderati?».
Invitata a parlare alle Nazioni Unite nel 1985, ritorna sullo stesso tema: «Impediamo che vengano uccisi i bambini non ancora nati. L'aborto è una grave minaccia per la pace. Quando eliminiamo un bambino non nato stiamo cercando di eliminare Dio».
L'anno della Beata Madre Teresa è stato una grazia per la Chiesa. Ma dobbiamo evitare di cadere nella retorica che la riduce all'icona di un semplice, banale umanitarismo, buono per tutte le ideologie e per tutte le stagioni. Madre Teresa non era così. Il suo cuore era grande, era per tutti. Ma un posto speciale nel cuore della Beata lo occupavano i bambini non nati. Chi li uccide, secondo il pensiero di Madre Teresa, sta cercando più o meno consapevolmente di uccidere Dio.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 28-12-2010

2 - LA DIRIGENZA DEL ''MOVIMENTO PER LA VITA'' NON TOLLERA OPINIONI LEGITTIME, MA CONTRARIE ALLE LORO
Le scorrettezze del direttore di ''Sì alla vita'' contro chi ha sottoscritto l'appello al Papa sul prossimo incontro ad Assisi
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona, 16/01/2011

Su Avvenire del 16 gennaio 2010 è comparso questo articolo, a firma Piergiorgio Liverani, attuale direttore del mensile del Movimento per la Vita, "Sì alla vita":

"Adesso che Il Foglio ha pubblicato una pagina intera (martedì 11) scritta da un gruppetto di buoni cattolici, i quali, però, convinti di saperne più del Papa, gli hanno intimato: «Santità, fugga lo spirito di Assisi» (dovrebbe andarci in ottobre) e lo hanno invitato a non fare «confusioni», adesso, dicevo, tutto è più chiaro. All'inizio dell'autunno scorso, quando anche le foglie cominciavano a cadere, più o meno i medesimi firmatari (che non nomino, per evitare loro occasione d'insuperbirsi) avevano sferrato ripetuti incomprensibili e assai poco credibili attacchi in batteria (prima su Libero e poi sul Foglio, con seguito di alcuni siti Internet) contro il Movimento per la Vita e la sua attuale dirigenza. Capita di avere amici o compagni che sbagliano, pazienza. Adesso, però, è chiaro: non era il Movimento il loro vero bersaglio. Quella era soltanto una prova con un falso obiettivo, troppo poco importante per le loro ambizioni. Così, visto che le grandi manovre avevano sollevato un po' di chiasso, adesso giocano a carte scoperte.
Il loro vero obiettivo è il Papa, anzi i Papi, perché il fuoco amico è diretto anche contro il suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II. Questa volta, però, il tiro è andato male.
 Sul "laico" Corriere della sera (mercoledì 12), quei compagni che sbagliano si sono sorbiti una lavata di capo fin troppo dura addirittura dallo storico Alberto Melloni (cattolico, ma spesso severo e talvolta ingiusto, con le strutture e il governo della sua stessa Chiesa), il quale ha parlato di «zelo untuoso e cortigiano, che cerca di impossessarsi di qualche brandello del suo [del Papa] magistero per bastonare coloro che la pensano diversamente»: forse «qualche sponda interna alle congregazioni di curia»?
 La loro tecnica è quella dell'alternanza tra l'«adulazione intimidatoria», il «ricatto laudativo» e l'«insensatezza eretica o stupida»...".

Ho letto e riletto questo articolo, perché non potevo crederci. Sono abbastanza abituato ad essere insultato, e di solito non mi sembra opportuno rispondere. Ma in certi casi occorre farlo. Perché trovo allucinante che Liverani usi Avvenire per spacciare menzogne e per esercitare la sua piccola vendetta, che ha un unico scopo: screditare alcune persone e non, invece, contraddire le loro idee con onestà e correttezza.
Liverani, da buon impiegato di "Sì alla vita", è arrabbiato ferocemente col sottoscritto (cioè il pazzo che in altri tempi sarebbe andato "al rogo"), perché si è fatto portavoce di una critica alla dirigenza del MpV attuale che proviene dalla base e da tanti fondatori storici del MpV stesso.
Non ha esitato, recentemente, a scrivere ben quattro facciate di menzogne, a cui avevo già risposto, dimostrando, credo, la scompostezza delle accuse (https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1477).
Quattro facciate di un mensile pro life piene di menzogne, per attaccare una persona del Movimento, accusata di essere contro il Movimento!
Vediamo allora il modo di procedere in quest'ultimo articolo.
Liverani parte da una lettera aperta al Santo Padre su una possibile riedizione di Assisi 1986 (http://blog.messainlatino.it/2011/01/santita-abbiamo-paura-per-lincontro-di.html), per poterne additare i firmatari al pubblico ludibrio: guardate questi cattolici che insegnano al Papa cosa deve fare!
Sfugge, al Liverani, che la questione Assisi non è di fede, e che nella santa libertà del cristiano è implicita la possibilità di discutere scelte e strategie, ancor più quando non è così certa la loro provenienza, nel pieno rispetto dei dogmi e della Rivelazione (vedi: http://www.mascellaro.it/node/47944).
Sfugge al Liverani che nella storia della Chiesa ci sono stati innumerevoli casi in cui dei Papi hanno sbagliato in atti di governo, pur non venendo meno al dogma della fede. Gli sfugge, ancora che la storia della Chiesa è zeppa di dispute tra Paolo e Pietro, il santo Papa che negò Cristo tre volte; tra san Ippolito, antipapa, e san Callisto, Papa; tra Iacopone da Todi e Dante e Bonifacio VIII; tra Caterina da Siena e i Papi dell'epoca, che lei riprendeva, incoraggiava, ecc...
Gli sfugge che anche dei miseri cristiani come i firmatari di quell'appello, hanno il diritto di esprimere, al loro Papa, un semplice parere, quand'anche fosse sbagliato e ridicolo, specie se lo fanno appellandosi all'autorità di Papi precedenti, senza certo proporre né una dottrina loro, né alcuna disobbedienza in materia vincolante...
Ma l'importante per Liverani è utilizzare, forzando, una lettera legittima, onesta, che potrebbe essere condivisibile o meno, ma che non tocca affatto l'integrità della Fede, né mina l'autorità papale, per tornare sull'argomento MpV. Dice Liverani che i firmatari dell'appello al Papa, cioè i feroci nemici del Papa - ben mascherati invero, dal momento che fino ad ora nessuno aveva mai notato questa inimicizia, ma piuttosto il contrario -, sarebbero "più o meno i medesimi firmatari" che hanno sollevato la polemica contro il dirigente nazionale del MpV italiano, Carlo Casini, su Libero e sul Foglio.
 "Più o meno" non significa nulla. Forse per questo Liverani non fa nomi e cognomi (limitandosi ad una battuta infelice). Altrimenti dovrebbe dire che il primo a scrivere sulle manovre piemontesi di Carlo Casini su Libero, è stato il giornalista cattolico Andrea Morigi, che non è affatto uno dei firmatari dell'appello al Papa!!!
Ma Liverani, appunto, non fa nomi, solo battute acide, e così può dire ciò che vuole, alla faccia della deontologia professionale.
Poi Liverani prosegue che ora sì, ha capito tutto: "Adesso, però, è chiaro: non era il Movimento il loro vero bersaglio. Quella era soltanto una prova con un falso obiettivo, troppo poco importante per le loro ambizioni. Così, visto che le grandi manovre avevano sollevato un po' di chiasso, adesso giocano a carte scoperte. Il loro vero obiettivo è il Papa".
Dunque, coloro che hanno criticato la dirigenza Casini (nell'ordine: Mario Paolo Rocchi, fondatore del MpV, Francesco Migliori e Silvio Ghielmi, altri fondatori del MpV, Morigi, Agnoli, Movimento per la vita ambrosiano al completo, e poi decine di altri movimenti per la vita locali, da Benevento a Biella, e poi Corrispondenza Romana, BastaBugie ecc...), essendo secondo Liverani gli stessi che hanno scritto al Papa, avrebbero un obiettivo, ora chiaro: attaccare nientemeno che il Papa!
Peccato che il solo ad aver firmato sia le critiche a Casini, sia la lettera al Papa (tutt'altra cosa!), sia stato il sottoscritto (accanto a cui, al massimo, si possono mettere anche Palmaro e de Mattei, altri due giornalisti che non condividono la linea Casini, e che, come il sottoscritto, non hanno mai criticato il Pontefice, bensì solo sottoscritto la lettera aperta su Assisi. Però Palmaro non ha mai criticato il MpV sul Foglio, bensì si è limitato a rispondere a varie accuse di Anzani, e lo stesso dicasi per de Mattei, che ha sempre espresso le sue perplessità altrove). Quante bugie e semplificazioni! E' bene ripetere: avremmo fatto tutto, pur essendo per lo più persone diverse, per attaccare il Papa, e "per ambizione"! Forse per sottrargli il ruolo di pontefice... da spartire poi tra tutti noi...
Si possono arrivare a dire amenità simili in buona fede? E' possibile impostare una discussione sull'insulto, la calunnia, la maldicenza? Da parte di un ex direttore di Avvenire? Con quale serietà?
Ma non è tutto. Liverani ci gode a riportare contro il sottoscritto, principale bersaglio dell'articolo, le parole di Melloni, cioè di una cattolico che critica e condanna, non solo questo, ma anche gli altri Papi del passato, ad ogni piè sospinto (lo ammette Liverani stesso, ma stavolta, appunto, va bene anche lui), un cattolico che considera le posizioni pro life, quindi anche quelle del MpV, con grande fastidio.
Però anche Melloni può tornare utile, benché anche lui abbia screditato i firmatari della lettera senza opporre alcuna argomentazione, ma solo aggettivi volgari e insultanti, che Liverani trova, visto il suo rancore, appropriati: "La loro tecnica è quella dell'alternanza tra l'«adulazione intimidatoria», il «ricatto laudativo» e l'«insensatezza eretica o stupida»".
Per Liverani come per Melloni, siamo intimidatori e adulatori, stupidi ed eretici...
Questo arriva a dire il direttore di un giornale che non esita a mentire sino al punto di cambiare la versione di un articolo on line rispetto a quella cartacea, dopo che il sottoscritto gli ha fatto presente alcune cosette, da lui negate (http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2106); il direttore di un giornale che per far credere ai suoi lettori che Francesco Migliori, storico presidente del MpV, starebbe oggi con lui e non col cattivo Agnoli, o col cattivissimo Palmaro, pubblica una foto di Migliori proprio nell'articolo contro il sottoscritto, pur sapendo benissimo che al contrario la posizione di Migliori coinciderebbe con la mia e non con la sua (http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2122); il direttore di un giornale che per mesi ha ignorato volutamente Marisa Orecchia ed Olimpia Tarzia, cioè le uniche portatrici di buone novità nel fronte pro life italiano, negando ai suoi lettori il diritto di conoscere l'opera delle due reprobe (in quanto non gradite al capo...).

Fonte: Libertà e Persona, 16/01/2011

3 - COSA CI VUOL DIRE DIO CON LA BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
Tra le altre cose, abbattendo il comunismo, per una via miracolosamente pacifica, egli ha probabilmente scongiurato una nuova (e stavolta fatale) guerra mondiale
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 15 gennaio 2011

Per noi cristiani non sono gli ecclesiastici a fare i santi, ma è Dio (la Chiesa semplicemente li riconosce e invita a farsi loro amici). I santi sono anzitutto uomini veri, la cui persona è resa affascinante, autentica, meravigliosa dall'amicizia con Gesù.
La loro vita però è un messaggio accorato di Dio a una certa generazione, a un'epoca e poi – più ampiamente – anche a tutte le altre.
Allora la beatificazione di Karol Wojtyla impone anzitutto questa domanda: cosa ha voluto dire Dio all'umanità del XX e del XXI secolo mandando un uomo così?
Perché quest'uomo è stato addirittura prefigurato e accompagnato da tanti segni anche soprannaturali ed è stato posto davanti al mondo intero con la sua elezione come Vicario di Cristo e con uno dei pontificati più lunghi della storia?
Secondo me il Cielo ha voluto dirci anzitutto due cose decisive.
PRIMO MESSAGGIO
Per capire la prima bisogna tornare a quel 16 ottobre 1978. Il pontificato di Paolo VI – apertosi con le luminose speranze del Concilio – si era concluso, come lui stesso dichiarò amaramente, sotto neri nuvoloni.
La tempesta che aveva colpito la Chiesa era gravissima. Il post-concilio e il Sessantotto furono dirompenti.
Circa 70 mila sacerdoti lasciarono l'abito, la pratica religiosa crollò verticalmente, l'anarchia e la contestazione nel mondo ecclesiastico sostituirono l'obbedienza, i cattolici – come disse Ratzinger – si trovarono portati qua e là da ogni vento di ideologia.
La solitudine dell'anziano papa Montini fu resa ancor più drammatica dall'esplosione della violenza politica e del terrorismo in Italia, un paese dilaniato dai conflitti.
La sensazione generale era che la Chiesa e il papato fossero ormai allo stremo e che il cattolicesimo fosse diventato residuale, una cosa per vecchiette e per bambini.
La sera del 16 ottobre 1978 quando quell'uomo giovane e vigoroso si affacciò col suo sorriso alla terrazza di San Pietro, infrangendo subito tutti i cerimoniali, con la libertà e la serena forza di chi è stato destinato fin dalla nascita a una missione grandiosa, tutti, perfino i più lontani dalla Chiesa, capirono che era accaduto qualcosa di inaudito.
Tutti rimasero a bocca aperta davanti al Papa venuto dall'Est, intuendo che era l'alba sorprendente di un giorno nuovo e che sarebbero accadute cose inimmaginabili. Dio stava "parlando".
E papa Karol ci ha incantati subito. Ha catturato i cuori soprattutto della mia generazione e di tutte le nuove generazioni che si sarebbero affacciate sulla scena da allora in avanti: finalmente un uomo vero!
Di tutti i personaggi costruiti dai media, o comunque dal potere, chi poteva reggere il confronto? Assolutamente nessuno. E infatti per ventisette anni si sono visti, sulle tv del mondo intero, tutti i potenti dei più diversi stati e regimi che davanti a lui apparivano impacciati e insicuri come scolaretti.
Tutti ne subivano il fascino, tutti (a cominciare da Gorbacev che pare abbia addirittura pianto) si sentivano in soggezione nonostante il calore umano e la cordialità di quell'uomo.
Milioni di giovani sono corsi a incontrarlo ai quattro angoli del pianeta, incantati da un uomo che sentivano finalmente come padre vero, che comprendeva il loro desiderio di felicità, che svelava loro il senso della vita e che lo testimoniava con eroismo, con umanità e con gioia. Incantati dalle sue parole e soprattutto dalla sua persona, dalla sua libertà.
Era totalmente diverso dal cliché clericale, secondo cui i cristiani sono ometti impauriti dalla vita.
Era il papa che a vent'anni era stato operaio, poeta, attore di teatro, "combattente" nella tragedia della sua terra invasa da nazisti e comunisti e devastata; il Papa che poi era stato seminarista clandestino, giovane prete che amava andare in montagna con i suoi studenti e amava sciare e nuotare, il papa che era stato un intrepido vescovo quarantenne che si era opposto agli abusi della tirannia comunista a Cracovia e che poi ha partecipato al Concilio e poi è stato il ciclone che ha abbattuto il moloch planetario del comunismo, con la forza inerme della sua testimonianza, il papa che ha sfiorato più volte il martirio.
Ebbene quest'uomo dalla vita leggendaria, che ha percorso tutti i continenti, era la prova vivente che l'amicizia di Gesù rende più uomini e non meno uomini. Rende più autentici, più liberi, più umani, più ragionevoli, più felici.
SECONDO MESSAGGIO
La seconda cosa che il Cielo ci ha detto mi pare la seguente: quest'uomo è il santo della Chiesa del silenzio, della Chiesa dei martiri, del secolo in cui si è perpetrato il più grande macello di cristiani in duemila anni di storia.
Egli appare anzitutto come il sigillo di Dio sull'età del comunismo. Sul secolo che ha visto consumarsi l'esperimento criminal-politico più vasto, duraturo e sanguinario della storia per l'eliminazione di Dio e della Chiesa dal mondo.
Giovanni Paolo II che sale agli onori degli altari dimostra che si realizza la profezia della più grande profetessa di tutti i tempi, Maria di Nazaret, quando proclamò: "Dio abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili".
Con la glorificazione di quest'uomo, che ha conosciuto sulla sua pelle il totalitarismo nazista e quello comunista e che ha rischiato il martirio per mano degli uni e degli altri, la Chiesa – in qualche modo – glorifica milioni e milioni di martiri del nostro secolo che sono stati massacrati nei Gulag, nei lager e in mille altri modi e il cui nome è scritto nei cieli, ma resta ignoto sulla terra.
Soprattutto quei martiri del comunismo che la Chiesa stessa – prima di Wojtyla – si vergognava di nominare, di celebrare e di indicare alla venerazione del popolo, per soggezione verso la prepotenza ideologica del comunismo mondiale.
La stessa soggezione che indusse qualche sventato ecclesiastico a evitare, al Concilio, con metodi scorretti, la condanna del comunismo, richiesta dai vescovi dell'Est europeo.
E' evidente infatti che il comunismo per la Chiesa è stato una tragedia di natura teologica, come hanno dimostrato fior di pensatori, a cominciare da Augusto Del Noce. Del resto tutti i pontefici ne hanno denunciato la natura satanica e soprattutto lo ha fatto la Madonna a Fatima.
Il suo pontificato stesso, trascorso sotto il segno di Maria, è stato il capolavoro della Madonna che lo ha accompagnato da Medjugorije con le più lunghe apparizioni pubbliche di tutti i tempi.
GRATITUDINE
Giovanni Paolo II è stato infatti il Papa che ha re-insegnato alla cristianità la grandezza, la bellezza e la potenza della Madonna.
E questo è stato decisivo per la Polonia (che si riprese la sua libertà, ai cantieri di Danzica, inalberando l'icona della Madonna di Chestokowa) e grazie alla Polonia per tutto l'Est europeo e per il mondo.
Dunque bisogna prendere esempio da Giovanni Paolo il Grande, dal suo coraggio che gli faceva gridare a nome delle vittime davanti a tutti i tiranni.
E bisogna affermare a chiare note – senza timidezze – che oggi viene beatificato il Papa che – dopo aver denunciato la natura satanica del comunismo – con la forza della fede lo ha abbattuto.
Anche per questo è un santo a cui tutta l'umanità deve essere grata. Perché – come ho dimostrato, carte alla mano, nel mio libro (in queste poche righe sarebbe impossibile) – abbattendo il comunismo, per una via miracolosamente pacifica, egli ha probabilmente scongiurato una nuova (e stavolta fatale) guerra mondiale.
Attraverso di lui la Madonna ha salvato l'umanità da una autodistruzione che sarebbe stata definitiva.

Fonte: Libero, 15 gennaio 2011

4 - GIOVANNI PAOLO II SARA' PROCLAMATO BEATO IL 1° MAGGIO 2011
Il corpo sarà trasferito nella basilica di San Pietro: Benedetto XVI ha derogato all'attesa dei cinque anni, ma non ha acconsentito a farlo ''santo subito'' come chiedevano alcuni suoi collaboratori
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-01-2011

Papa Wojtyla sarà proclamato beato il 1° maggio a Roma. Benedetto XVI ha promulgato poco fa il decreto che riconosce come miracolosa la guarigione dì una suora francese ammalata del morbo di Parkinson avvenuta per intercessione di Giovanni Paolo II.
Il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha sottoposto al Pontefice il decreto, dopo che nel giro di poche settimane prima i medici della consulta della Congregazione, poi i teologi e infine la plenaria dei cardinali e vescovi membri del dicastero avevano riconosciuto l'inspiegabilità della guarigione e l'intercessione di Papa Wojtyla. Era l'ultimo, definitivo passo necessario per arrivare alla cerimonia di beatificazione.
E le sue spoglie saranno trasferite nella basilica di San Pietro – come già avvenuto in tempi recenti per il beato Giovanni XXIII – ma, al contrario di quanto avvenuto per Papa Roncalli, il corpo non sarà esposto, ma la bara non sarà aperta e sarà nascosta da una lapide.
Nel giugno 2005, Benedetto XVI, da poco eletto, decise di derogare all'attesa dei cinque anni necessari prima dell'apertura del processo di beatificazione. Da parte dell'entourage dei collaboratori di Wojtyla venne avanzata la richiesta a Ratzinger di procedere subito con un processo di canonizzazione, saltando la tappa della beatificazione.
Il Papa consultò la Congregazione dei santi e poi decise di non creare scorciatoie. Certo, il processo è stato rapidissimo, checché se ne dica. L'unico paragone possibile è quello con la beata Madre Teresa di Calcutta, molto stimata e personalmente conosciuta da Giovanni Paolo II, che decise di derogare all'attesa dei cinque anni. Ma in quel caso non c'erano milioni di documenti e di pagine scritte, non c'erano da vagliare gli atti di un pontificato lunghissimo e per di più avvenuto in momenti cruciali per la storia dell'umanità come quelli del secolo scorso.
Il 1° maggio quest'anno è la domenica della Divina Misericordia, istituita da Papa Wojtyla, che è morto la sera della vigilia della festa, nel 2005. Il 1° maggio è anche la festa laica del lavoro, ma il Pontefice polacco ci rientra a pieno titolo, avendo fatto anche l'operaio. Già il giorno dei funerali, alla fine dei quali alcuni gruppi di fedeli organizzati srotolarono i famosi striscioni con la scritta «santo subito», l'allora cardinale Joseph Ratzinger fece un'omelia commovente, chiedendo a Giovanni Paolo II di benedire tutti dalla finestra del cielo.
E da Papa, il 2 aprile 2008, ricordando il terzo anniversario della morte del predecessore, disse: «Egli nutriva una fede straordinaria» in Cristo risorto, e «con lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta. Tra le tante qualità umane e soprannaturali, aveva infatti anche quella di un'eccezionale sensibilità spirituale e mistica. Bastava osservarlo quando pregava: si immergeva letteralmente in Dio».

Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-01-2011

5 - VINCONO I SI AL REFERENDUM SULL'ACCORDO PER LA FIAT MIRAFIORI, VINCE LA CISL E I SINDACATI RIFORMISTI
Ha perso la Fiom-Cgil che ha dimostrato ancora una volta di essere un sindacato ideologico (contro la crescita economica, favorendo la perdita dei posti di lavoro): adesso tocca alla Fiat realizzare gli investimenti promessi
Autore: Carlo Costalli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 17-01-2011

La vittoria dei 'sì' al referendum sull'accordo per la Fiat Mirafiori segna una svolta, rappresentando uno spartiacque fra quel vecchio modello sindacale ideologico e antagonista che evidentemente, anche per il contesto storico globale, ha fatto ormai la sua epoca, e un sindacato riformista e partecipativo che in molti da tempo auspichiamo.
Le trattative, lunghe e a tratti dolorose, che hanno portato alla stesura dell'accordo hanno visto in prima linea la Cisl di Bonanni - che in questi mesi è stata sottoposta a vergognosi attacchi e linciaggi inaccettabili con affermazioni che rappresentano un'intollerabile istigazione alla violenza – assumere, insieme agli altri sindacati (escluso la Fiom Cgil), un atteggiamento responsabile e coraggioso.
Ha prevalso una visione realistica e responsabile anche tra gli operai, e non solo fra gli impiegati: è un fatto inequivocabile e importante. E' la prima volta che si vince un referendum a Mirafiori in materia di flessibilità, nonostante l'estrema politicizzazione, le minacce e le provocazioni di questi giorni. Dalla Fiom e da altri ambienti della sinistra la vicenda Mirafiori è stata utilizzata con cinismo per partecipare alla costruzione della sinistra politica in Italia.
Dicevamo che con questo voto i lavoratori si sono assunti una responsabilità. Anzitutto rispetto al loro destino personale, valutando che l'investimento aziendale ed un incremento salariale valgono il sacrificio di una turnazione più impegnativa, dieci minuti di pausa in meno e lo spostamento della mensa a fine turno. E ancora che l'aumento della produzione, un futuro della Fiat (e conseguentemente del lavoro in Fiat) a Torino ed in Italia valgono la sfida di un diverso assetto contrattuale che introduce sostanzialmente due novità: il mancato pagamento dei primi giorni di malattia per gli assenteisti, la sanzione per quei sindacati che dovessero programmare gli scioperi nei turni straordinari.
Ancora una volta si è trattato di assunzione di responsabilità. A fronte di un investimento - che potrebbe essere fatto in molte altre parti del mondo - la Fiat ha chiesto la corresponsabilità dei lavoratori e dei sindacati con un impegno scritto: il nuovo contratto. I sindacati (escluso la Fiom-Cgil) si sono assunti questa responsabilità e hanno gettato le basi di un nuovo rapporto di maggiore partecipazione dei lavoratori ai destini dell'impresa.
Ma intanto diciamo chiaramente che ha vinto la CISL. E ha perso la Fiom che ha dimostrato ancora una volta di essere sindacato ideologico, conservatore che assume posizioni strumentali che nei fatti vanno contro la crescita economica e sociale scoraggiando conseguentemente gli investimenti produttivi con pesanti ricadute occupazionali.
Ha perso, autoescludendosi dalla rappresentanza in fabbrica, ed ha fatto una campagna intrisa di falsità e forzature ideologiche pericolose. E' finita un'epoca. Iniziano nuove relazioni industriali che ci auguriamo più partecipate, non più antagoniste. La vittoria del 'sì' è la risposta di chi ha scelto con senso di responsabilità il lavoro piuttosto che l'incertezza per il futuro.
Questo voto è certamente un bene per i lavoratori Fiat e per tutto l'indotto (spesso non considerato abbastanza) e rappresenta un segnale positivo per tutto il sistema Paese perché vuol dire che in Italia si può ancora investire.
E' auspicabile adesso che tutti abbassino i toni e si impegnino a rispettare la volontà dei lavoratori ritrovando le ragioni del dialogo e dell'unità all'interno di Mirafiori. E' necessario lavorare per più coesione sociale, ma non tornare al consociativismo 'bloccante' che è ben altra cosa. Adesso tocca alla Fiat realizzare gli investimenti promessi. L'Italia che vuole ripartire dal lavoro e dall'industria aspetta e vigila.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 17-01-2011

6 - BUONISMO: IL CANCRO DELLA VOLONTA'
Essere accondiscendenti e sorridenti con tutti porta alla catastrofe; l'uomo retto, al contrario, ama la verità senza compromessi
Autore: Luca Marcolivio - Fonte: L'Ottimista, 25 Novembre 2010

Una premessa: stiamo per descrivere un vizio tipico di questi tempi, del quale ben pochi possono dirsi esenti. Il buonismo è un vero e proprio virus che si manifesta in forme più o meno acute e del quale tantissimi sono i portatori sani. Buonisti sono sempre e solo gli altri; il buonismo è un vizio la cui ammissione è un tabù, pena l’emarginazione e la derisione. Se da un lato l’inclinazione al cinismo (che del buonismo, in fin dei conti, è il rovescio della medaglia) incute sempre una sottile ammirazione, quasi un timore reverenziale, il buonista sarà sempre e solo una buffa e patetica macchietta, incline alla retorica dell’accondiscendenza, del sorriso facile, dei buoni sentimenti, del compromesso inteso soltanto nella sua accezione nobile.
Ciononostante il buonismo è la vera malattia morale di questo secolo perché si ricollega alla decadenza dei tempi attuali, a quella paralisi della volontà, quell’inettitudine borghese che, all’inizio del secolo scorso, stimolò la riflessione di giganti della narrativa come Kafka, Musil e Svevo. Il buonismo è la declinazione nazional-popolare del “pensiero debole”, del politically correct anglosassone, del relativismo teoretico e morale. Il buonista è un uomo tarato da una pugnace ossessione per gli altri, per tutto ciò che è altro in senso sia personale che ideale, sia concreto che astratto. Da un lato è convinto che l’erba del vicino sia sempre più verde, dall’altro, poiché gli è stato insegnato che l’invidia è un difetto, deve ostentare ammirazione per quel vicino. Non è un uomo sicuro di sé, affatto: nasconde dietro sorrisi, i suoi assillanti sensi di colpa, è terrorizzato dall’idea di non essere apprezzato. Il buonista è continuamente alla ricerca di mediazioni e, non credendo nell’esistenza di una Verità ultima, dovrà adeguarsi alle tante verità contingenti che individua intorno a sé. Anche a livello mentale è fondamentalmente un pigro e parla per slogan, per luoghi comuni, per “sentito dire”, non è incline alla riflessione profonda, né alla messa in discussione delle sue piccole certezze quotidiane. Un po’ come il dottor Adattati, protagonista del racconto Un uomo tranquillo di Stefano Benni, che ha “una sola idea chiara, irrinunciabile, trainante: non avere idee”. All’arrivo del nuovo capoufficio Adattati va nel panico, al pensiero di dover rinunciare alle abitudini e ai discorsi del precedente dirigente (“una vaga misoginia con sospette fantasie lolitiche, il gusto della citazione latina, la pipa, le scarpe inglesi, la squadra del Deportivo, l’attore B., il conducatore televisivo T., le barzellette un po’ spinte, i temperini a ghigliottina, la sfiducia nei medici e i discorsi sull’ulcera”) cui si era camaleonticamente adeguato.
Il buonista manifesta spesso sentimenti o ideali umanitari, tuttavia lo fa soprattutto per dare una buona immagine di sé. Non ha una vera consapevolezza degli effetti delle proprie azioni: il vecchio aforisma “Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno” (Samuel Johnson) gli è del tutto estraneo. La qualità indiscussa del buonista è quella di non adirarsi quasi mai, eppure qualora gli capiti di essere sbugiardato, è facile vederlo in preda al panico o all’isteria, oppure rimanere silente e attonito. La sua etica non è mai fondata su Verità oggettive, quanto sullo spirito dei tempi, al quale tende ad attenersi in modo maniacale e quasi dogmatico, e in nome del quale sa ergersi, quando vuole, a severo censore e fustigatore di costumi. È forte coi deboli e debole coi forti.
Il buonista, spesso e volentieri, è un candido, una sorte di ‘utile idiota’ a volte dotato di un discreto carisma che i più spregiudicati sono abili a strumentalizzare. Non mancano quindi i casi in cui il buonista è un vero e proprio lupo travestito da agnello, un freddo calcolatore che, studiando nel dettaglio i tic e gli stereotipi dei “candidi di successo”, tenta di riprodurne i modelli comportamentali su grande scala. Lo aveva previsto con un secolo di anticipo Vladimir Soloviev che descrive il suo Anticristo come un “filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali”, un “convinto spiritualista”, un “asceta” che afferma di credere in Dio ma, in realtà, ama solo se stesso.
Figlio del pensiero liberal, del ’68, di quella che Plinio Correa de Oliveira chiamava la “quarta rivoluzione” (dopo la riforma protestante, l’illuminismo giacobino e la terza il socialismo marxista), il buonismo ne incarna il “volto umano”, assimilabile dai moderati e anche dai conservatori.
Sul piano sociale questa attitudine ha portato danni irreparabili in ambito pedagogico e qui è più pertinente parlare di “lassismo” o “permissivismo”. Sulla scia delle teorie di Benjamin Spock, si sono diffuse prassi “antiautoritarie” che hanno sottratto bambini e giovani al senso del sacrificio e della disciplina. Si è, in altre parole, ritenuto che l’amore genitoriale potesse limitarsi soltanto all’aspetto affettivo, senza alcun potere correttivo o sanzionatorio. Niente punzoni, solo comprensione e ascolto. Le conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: droga, comportamenti devianti, imbarbarimento dei costumi, mancanza di rispetto per i soggettivi educativi, siano essi la famiglia o la scuola.
Il massimo del paradosso, tuttavia, il buonismo lo esprime nei dibattiti sull’immigrazione e sul multiculturalismo: anche in questo ambito il buonista non è in grado di guardare serenamente la realtà oggettiva, schiavo com’è dei suoi “pregiudizi al contrario”, per cui lo straniero è sempre e comunque una persona da accogliere, una vittima dei nostri antenati colonialisti brutti, sporchi e cattivi. E anche qui le conseguenze sono state nefaste: sfruttamento della manovalanza extracomunitaria, microcriminalità diffusa, rigurgiti di razzismo, ghettizzazione, difficoltà di integrazione, per non parlare dell’ascesa del fondamentalismo islamico.
Ci troviamo, insomma, di fronte ad un autentico “cancro della volontà”, un ottenebramento della ragione e dell’autonomia di giudizio. Il buonismo non ha nulla a che vedere con la bontà, né con l’onestà o la rettitudine: ne è soltanto una grottesca caricatura. L’uomo veramente buono ha una mente ed un cuore molto più profondi. Sa guardare oltre le apparenze e la sua fame di giustizia lo spinge a battaglie controcorrente. L’uomo buono si inchina umilmente dinnanzi alla Realtà e la osserva senza le lenti deformanti dall’ideologia. Ama la Verità senza distinguo e la afferma con vigore, se necessario. È consapevole che per cambiare il mondo servono scelte coraggiose e che, per portarle avanti, non bisogna avere paura di perdere il consenso, di finire in minoranza o di farsi nemici. Ed è proprio nelle mani di tali uomini buoni e coraggiosi il futuro dell’umanità.

Fonte: L'Ottimista, 25 Novembre 2010

7 - NUOVO ALLARME CATASTROFISTA: LE UOVA ALLA DIOSSINA PROVENIENTI DALLA GERMANIA
Ecco perché non dobbiamo lasciarsi cogliere da facili forme di isterismo del tutto ingiustificate
Autore: Giuseppe Bertoni - Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-01-2011

Il primo pensiero è stato … ci risiamo, la diossina è tornata; dopo Seveso (1976), il Belgio (1999) e più recentemente – anche se ben meno rilevante – Caserta e la mozzarella di bufala alla diossina. Adesso le uova alla diossina, provenienti dalla Germania, con tanto di allarmi e divieti. Qual è la situazione reale? E quanto è pericolosa questa diossina?
In realtà veri problemi per la salute umana si ebbero solo a Seveso dove lo stabilimento "famoso" liberò una quantità rilevante di questo "veleno" ed in area relativamente piccola. Ma quali i danni per la salute ad essa attribuiti? Sicuramente una sorta di acne (cloro-acne), da tutti noi osservata sul volto dell'allora presidente ucraino che si disse oggetto di avvelenamento da parte del KGB. Peraltro è sospettata essere cancerogena ed assai più probabilmente causa di immuno-depressione, di disturbi endocrini, di mortalità embrionale, di epatotossicità.
Cosa è la diossina e da dove proviene? Non è una sola sostanza, ma un "nugolo" (molte decine) di composti con alcune similarità strutturali e biologiche che si considerano far capo – anche come riferimento tossicologico – al TCDD (2, 3, 7, 8 tetraclorodibenzo-p-diossina). È prodotto di inquinamento industriale? In parte sì, poiché utilizzato nei liquidi dielettrici e nella produzione di diserbanti sino a fine anni '70; tuttavia, ben prima dell'era industriale ed ancora oggi, la sua presenza è "costante" poiché si tratta di sostanze assolutamente naturali e presenti ovunque (come si vedrà poi a livelli veramente molto bassi) per due ragioni: 1) si formano in molti processi "spontanei" ove vi sia una combustione (incendi, eruzioni vulcaniche, stufe, sigarette ecc.); 2) sono estremamente stabili e facilmente solubili nei grassi. Per tali ragioni, una volta formatasi (raggruppiamole come diossina), si deposita su ogni cosa comprese le piante e – se mangiate da uomini ed animali – in essi si accumula più o meno velocemente. Gli animali che mangiano altri animali ne accumulano più velocemente (ciò vale in particolare per i pesci che infatti ne sono generalmente più ricchi … pesce grande mangia pesce piccolo …!).
Perché allora non si considera normalmente un problema? Solo perché i livelli sono sempre molto bassi e tali da portare all'ingestione giornaliera di 80-120 pg/giorno (pg o picogrammo che è un milionesimo di milionesimo di grammo), mentre la quantità giornaliera da non superare (per prudenza) è di circa 700-800 pg/giorno.
Ancora una volta si confermano due cose spesso trascurate: la prima è che vi sono sostanze naturali tossiche, la seconda che è la dose a fare il veleno. Come dunque può raggiungere livelli a rischio per la salute? Tralasciando le situazioni naturali, si verifica solo nel caso di contaminazioni massicce; ricordo l'esplosione del reattore chimico di Seveso, l'errata aggiunta di fluido dielettrico agli oli di friggitoria riciclati  nella alimentazione animale (Belgio) e lo spargimento di rifiuti industriali - mafia permettendo – sui terreni del casertano.
Nel caso attuale vi è stato un altro errore "banale" (ma a dir poco criminale), poiché partite di grassi alimentari sono state mescolate con altri grassi destinati alle cartiere in quanto contaminati da diossine (il problema grosso è stata la produzione dei due tipi nello stesso impianto).
Attenzione, erano comunque grassi lavorati in impianti per fare biodiesel (immagino da olii di colza o girasole), quindi gli animali sono le "vittime", non la causa.
Al di là di tutto ciò e della gravità dell'accaduto, specie se è vero che le autorità tedesche (o parte di esse) hanno minimizzato l'accaduto e sono intervenuti tardivamente, il quesito è: dobbiamo davvero preoccuparcene? Non essendo in possesso di dati oggettivi sulle concentrazioni di diossina nelle uova, nelle carni di pollo e suino (forse anche nel latte) di quelle aziende – non di tutta la Germania – non sono in grado di esprimere un parere serio. Peraltro, credo che anche i tedeschi non soffriranno di problemi rilevanti proprio perché le partite contaminate non sono enormi, ma anche perché fra gli animali non si sono manifestate anomalie, dunque l'accumulo in essi non è stato gravissimo.
Dopodiché concordo con il suggerimento di mangiare preferibilmente italiano (od almeno non tedesco per qualche tempo), senza tuttavia lasciarsi cogliere da facili forme di isterismo del tutto ingiustificate.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-01-2011

8 - L'ALTO TASSO DI SUICIDI NEI PAESI EX COMUNISTI E IN CINA E GIAPPONE INDICA CHE DOVE NON C'E' DIO, L'UOMO SI PERDE NELLA SUA ANGOSCIOSA SOLITUDINE
Ecco perché ama la vita chi crede in un Dio personale che ci ha creato, che ci guarda e ci conosce e il cui amore rende preziosa ogni singola esistenza
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio, 1° dicembre 2010

Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”: così scriveva Albert Camus nel “Mito di Sisifo”. Questa frase ritorna attuale oggi con il dibattito sull’eutanasia, che andrebbe a mio avviso affrontato, appunto, insieme al problema del suicidio (e a quello della disgregazione familiare e della solitudine, metafisica e quotidiana).
Non è infatti un caso che la richiesta di legalizzazione dell’eutanasia cresca con il crescere, nel nostro occidente, del ricorso agli anti depressivi e al suicidio. Recentemente l’Oms ricordava che nel 2000 sono morte per suicidio circa un milione di persone, ben più che in tante guerre e calamità messe insieme, mentre “negli ultimi 45 anni il tasso di suicidio è cresciuto del 65 per cento in tutto il mondo, in particolare tra i giovani”. Uno psicoterapeuta come Viktor Frankl, che sperimentò la durezza del lager, disse che quando c’è un perché, tutti i come diventano sopportabili. Se so perché vivo, se la preziosità della vita mi è chiara, se la vita come dono è un’idea radicata, ogni circostanza, benché dura, diventa più facilmente tollerabile.
Scriveva ancora Frankl, il quale definiva il nostro tempo “l’epoca del vuoto esistenziale”: “Se una persona è riuscita a porre le basi del significato che essa cercava, allora è pronta a soffrire, a offrire sacrifici, a dare anche, se fosse necessario, la propria vita per amore di quel significato. Al contrario, se non esiste alcun significato del suo vivere, una persona tende a togliersi la vita ed è pronta a farlo anche se tutti i suoi bisogni, sotto ogni aspetto, sono stati soddisfatti”. L’uomo è capace di adeguarsi a tutto, o quasi: solo che lo spirito sostenga il corpo, e se stesso; solo che lo spirito non sia ancora più debole del corpo. Se c’è un perché, tutti i come divengono più o meno sopportabili. E non vi è dubbio, a mio parere, che il perché vero sia solo e soltanto Dio, dal momento che tutti gli altri, in un momento o nell’altro, possono cedere. Un Dio personale che ci ha creato, che ci guarda e ci conosce e il cui amore rende preziosa ogni singola esistenza. Un Dio che manca ad esempio ai grandi popoli cinese e giapponese. Che, non a caso, hanno da secoli un triste primato dei suicidi.
In Cina e Giappone infatti il ricorso al suicidio è estremamente diffuso, amplissimo, e, quel che più interessa, accettato culturalmente. Parlando dei cinesi J. J. Matignon scriveva, all’inizio del Novecento, che il suicidio “si riscontra in tutte le classi e a tutte le età”, ed è spesso dettato anche da motivi che per la nostra cultura sono del tutto “futili”: per vendetta, per rancore, per collera o gelosia, per questioni di onore… “Capita che un mendicante attui la sua vendetta tagliandosi la gola davanti alla vostra porta”. Dall’India alla Cina, ricorda Marzio Barbagli, “darsi la morte per colpire un nemico, immolandosi con lui o facendogli ricadere addosso la colpa della propria morte, è una scelta messa a disposizione per secoli da culture diverse”. In entrambi questi paesi, poi, vi sono dei suicidi, come quello della moglie o della concubina sulla tomba del marito, che sono considerati meritori ed auspicabili. Un altissimo tasso di suicidi si registra anche in Giappone: 24, 4 ogni 100 mila abitanti, almeno 4 volte di più che in Italia, visto che il numero reale è in verità ben più alto. Il Giappone ha anche un primato nel numero dei giovani suicidi. Kamikaze e harakiri “sono le parole della lingua giapponese più conosciute nel mondo”. Qualche anno fa la “Guida al suicidio perfetto” dello scrittore Wataru Tsurumi, in cui si spiegava come uccidersi buttandosi dalla finestra o sotto il treno, divenne un bestseller con 550 mila copie in otto mesi.
Perché questo dramma? A prescindere dalle mille motivazioni che possono stare dietro un suicidio, è difficile non notare che anche nel ricco Giappone, come in Cina, l’uomo non è creatura unica, irripetibile, di un Dio che la ama fino a morire per lei. “I giapponesi – ricorda il nunzio apostolico in Giappone, Alberto Bottari de Castello-, non hanno un rapporto personale con Dio. Il concetto dell’individuo, che è al centro della cultura occidentale, non fa parte del loro Dna culturale. Si identificano con il gruppo, la società, l’azienda, la nazione. Quando un cristiano arriva alla decisione di togliersi la vita sa che sta per infrangere una regola sacra: la vita gliel’ha data Dio e solo Dio gliela può togliere. Il giapponese tentato dal suicidio non ha questo freno. Non ha il concetto del peccato. Non ha nessuno, non ha niente, all’infuori del proprio mondo materiale e culturale, a cui chiedere aiuto. Ma nel suo mondo chiedere aiuto è disonorevole, e allora deve risolvere all’interno di se stesso il dramma della propria infelicità, divenuta insopportabile. I cristiani, anche nei momenti più bui, possono sempre tendere la mano verso Dio. I giapponesi no. Hanno otto milioni di dei, migliaia di meravigliosi templi, santuari, altari, altarini, due religioni ufficiali, il buddismo e lo shintoismo, ma vivono senza il Dio unico onnipotente e misericordioso, senza il concetto di Dio padre di tutta l’umanità e presente in ciascuno di noi, sempre”. Nello stesso tempo in Giappone il buddismo è una religione atea che crede nella reincarnazione, cioè che nega, appunto, l’unicità di una vita personale. Il suicidio quindi non è considerato eticamente negativo, anzi è talora contemplato come possibile “soluzione” ad un determinato problema.
Maurice Pinguet, già direttore dell’Istituto franco-giapponese di Tokyo, nel suo “La morte volontaria in Giappone”, nota anzitutto il profondo immanentismo che caratterizza la cultura di questo popolo, e in secondo luogo mette in luce come in Giappone siano sempre esistite forme di suicidio che la cultura cristiana rifiuta: ad esempio il “suicidio di solidarietà”, in cui i genitori “coinvolgevano i loro figli nella morte, convincendoli, o a loro insaputa”. Infatti alla madre giapponese che uccide il figlio “non viene in mente che il bambino possa rappresentare una esistenza distinta, posta sin dalla nascita, o dal concepimento, sotto la sovranità di Dio”. Vi è poi, sempre nella cultura giapponese, il “suicidio di accompagnamento”: alla morte dell’imperatore, del sovrano, del padrone, funzionari, vassalli, servi lo hanno spesso accompagnato nella morte, eliminandosi. Vi è infine il suicidio come rituale, svolto con precisione e solennità: harakiri è l’atto di uccidersi lentamente, aprendosi il ventre, estraendone le viscere, “senza battere ciglio”. Del resto, se tutta la vita dell’uomo è qui ed ora, come protestare altrimenti la propria innocenza? Come lavarsi di una colpa, che altrimenti rimarrà per sempre? Come cancellare la vergogna? Come salvare l’onore?
Una conferma a questa ipotesi, e che cioè l’ateismo contribuisca a togliere alla vita umana quella sacralità religiosa che è spesso un utile antidoto alla scelta estrema di eliminarsi, viene dai paesi comunisti, in cui l’ateismo è stato imposto e diffuso a tutti i livelli. In un celebre film intitolato “Le vite degli altri” si ricorda che negli anni 70 e 80, Russia, Ungheria e Germania dell’est, tutti e tre paesi comunisti, avevano il primato mondiale dei suicidi, benché i regimi, che pure catalogavano tutto, nascondessero le cifre relative al disastroso fenomeno. Infatti erano stati proprio molti teorici del socialismo a spiegare che, una volta instaurata l’eguaglianza economica e materiale, alcolismo, prostituzione, furti e suicidi, sarebbero spariti. In verità con l’avvento del regime bolscevico i suicidi iniziarono a crescere. Il Partito comunista cercò allora di condannarli come “una forma di individualismo borghese”. Il suicidio, per i comunisti atei, era considerato una appropriazione indebita della vita, che apparteneva non a Dio, come si era detto sino a quel momento, ma al partito, allo stato, alla comunità. Tanto che chi si suicidava subiva l’espulsione postuma dal partito e altre pene, ad esempio riguardo al suo funerale. Ma l’efficacia di queste posizioni fu inesistente. Non uccidersi perché la vita è un dono di Dio, è un messaggio che può essere convincente, come dimostrano i bassi tassi di suicidio del medioevo e sino all’esplosione ottocentesca (vedi: Marzio Barbagli, Congedarsi dal mondo, Il Mulino). Non farlo perché Stalin non vuole, è un dogma meno credibile.
“Nel 1924-25 – scrive Barbagli – vi fu un forte aumento dei suicidi”, non solo tra gli avversari del comunismo, ma “tra gli iscritti al partito”, tra coloro che professavano la fede del regime. Stalin condannò il fatto spiegando che il suicidio era il mezzo più semplice per lasciare il mondo, tradendo il partito e sputando “per l’ultima volta sul partito”. “In ogni caso, continua il Barbagli, il governo smise di pubblicare statistiche e studi sull’argomento”. Possiamo quindi ipotizzare un aumento sempre crescente di suicidi in occasione del terrore, così come c’era stato all’epoca del terrore giacobino e della ghigliottina. Ma con la morte di Stalin la crescita dei suicidi non calò e il numero rimase alto sino alla fine. Il crollo del regime, la morte definitiva della fede comunista segnò un ulteriore incremento. Veniva cioè a mancare anche l’ultima forma di “senso”, per quanto labile. Nel 1994 si arrivò alla cifra impressionante di 43 suicidi per 100. 000 abitanti! “Pur essendo diminuito negli anni seguenti, continua Barbagli, nel 2004 il tasso di suicidio in Russia (34 per 100. 000 abitanti) era da due a tre volte superiore a quello degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa occidentale”.
Anche oggi le macerie spirituali lasciate dal materialismo ateo sono ben evidenti, visto che gli ex paesi dell’ateismo di stato hanno contemporaneamente il triste primato dei divorzi, degli aborti e quello, appunto, dei suicidi. L’Oms dunque rivela oggi che al primo posto nella classifica dei paesi con il più alto numero di suicidi nel 2009 si trovano la Bielorussia, con 35, 1 suicidi ogni 100. 000 persone; al secondo posto viene la Lituania, al terzo la Russia, al quarto il Kazakistan, al quinto l’Ungheria, al sesto il Giappone, all’ottavo l’Ucraina... ben 6 dei primi 8 paesi di questa terribile classifica sono ex paesi comunisti (senza contare che mancano le cifre vere per la Cina).
Eppure non è sempre stato così, dal momento che prima della rivoluzione del 1917 “la percentuale dei suicidi in Russia era una delle più basse al mondo” (Moskovskji Komsomolets). Quanto alla Lituania, seconda nella classifica del 2010, ma prima in quella del 2009, Alvydas Navickas, presidente dell’Associazione lituana di suicidiologia e vicerettore dell’Università di Vilnius, sintetizza così la storia del suo paese: “Prima della Seconda guerra mondiale, si suicidavano 8 lituani su 100.000. La maggior parte della popolazione viveva in campagna, frequentava la chiesa: esisteva una comunità forte con una routine stabile. In seguito scoppiò la guerra e venne il regime sovietico: Stalin deportò gli agricoltori più ricchi e installò la maggior parte nei Kolchoz (cooperative agricole). Vodka e alcol prodotti in casa iniziarono a scorrere come anestesia, quotidianamente. Nella decade degli anni ottanta l’indice crebbe ogni anno fino a 30 suicidi su 100. 000 persone. Con la caduta dell’Urss il tasso ha subito un forte rialzo, fino a toccare il tetto, tra il 1994 e il 1995, di 46 su 100. 000” (http://www.cafebabel.it/article/33596/stalin-disoccupazione-maltempo-suicidi-lituania.html).
E’ a questo punto inevitabile ricordare quanto scriveva alla fine dell’Ottocento il grande Dostoevskij, nel suo romanzo “I Demoni”, in cui illuminava la mentalità degli atei rivoluzionari del suo tempo. L’autore russo faceva dire ad uno dei suoi personaggi che a frenare la volontà degli uomini di suicidarsi è anzitutto l’idea di “un altro mondo” dopo la morte (idea che non toglie, ma al contrario conferisce valore, proprio a questo mondo concreto in cui viviamo ogni giorno).
Ma quando l’ateismo trionferà, continuava il rivoluzionario, prefigurazione dei comunisti del 1917, l’uomo, messo da parte Dio, affermerà la sua totale libertà: “La piena libertà ci sarà allora, quando sarà indifferente vivere o non vivere”. Un giorno “vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. A chi sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. Mentre l’altro Dio non vi sarà… Possibile che nessuno su tutto il pianeta, avendola finita con Dio e avendo posto fede nell’arbitrio, osi proclamar l’arbitrio, nel senso più completo?”. Conclusione? “Io sono obbligato a uccidermi, perché il mio arbitrio è uccidere me stesso”.
Dostoevskij aveva visto giusto: la proclamazione di una libertà illimitata da parte dell’uomo, di una sua autonomia morale, di una sua autodeterminazione totale, luciferina, è anche l’affermazione della sua drammatica solitudine, con le ovvie conseguenze.
Ecco perché oggi sono proprio certi atei come Maurizio Mori, il consigliere di Beppino Englaro, a proclamare la fine della “sacralità della vita”, respingendola come un concetto cristiano che non ci appartiene più, e a collegare il presunto diritto all’aborto, con quello all’eutanasia (o “suicidio assistito”). Riaffermando così il principio dell’autodeterminazione assoluta già proclamato dal rivoluzionario di Dostoevskij. Dichiarava qualche anno orsono il socialista francese Jacques Attali, già consigliere del presidente Mitterrand, e oggi di Sarkozy: “La logica socialista è la libertà, e la libertà fondamentale è il suicidio. Di conseguenza il diritto al suicidio diretto o indiretto è dunque un valore assoluto di questo tipo di società”. Qualche anno prima, su California Medicine, aveva affermato, coerentemente, che la vita non è più da considerare un valore assoluto, ma “relativo”, e ciò significa che accanto al “controllo e alla selezione delle nascite” occorrerà porre la “selezione delle morti”, cioè all’eutanasia, per motivi personali, ma anche economici, politici.
Laddove manca Dio, è la vita dell’uomo a perdere valore, e a sfociare più spesso nel suicidio, individuale o legalizzato e statalizzato che sia. Scriveva a ragione il già citato Pinguet, parlando però, stavolta, del nichilismo occidentale: “In un mondo che non ha altra vita che quella quaggiù, altra volontà che quella del soggetto, l’uomo diviene il solo giudice della totalità dell’essere che resta in bilico sul filo di rasoio della sua decisione. Là dove brillava l’onnipotenza divina, una vertiginosa implosione ha scavato il suicidio nichilista, buco nero nel quale l’assolutezza della libertà dovrebbe farsi inghiottire”.

Fonte: Il Foglio, 1° dicembre 2010

9 - IN GRAN BRETAGNA ARRIVA LA TASSA SUL DIVORZIO (SCORAGGERA' LE SEPARAZIONI, MA FORSE ANCHE I NUOVI MATRIMONI?)
Il ministro Miller: ''Non ci dobbiamo vergognare di tutelare la famiglia tradizionale perché sappiamo bene che il matrimonio è alla base di una società sana''
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: Avvenire, 11 gennaio 2011

Il governo di David Cameron sta cercando di mettere in atto il progetto che tanto aveva annunciato durante la campagna elettorale lo scorso maggio, vale a dire quello di trasformare un "Grande Stato" (riferendosi a quello costruito da tredici anni di guida laburista) in una "Gran Società". Il suo ambizioso programma è oggi ostacolato da una crisi finanziaria che lo costringe a fare tagli pesanti a molti servizi pubblici. Ma nelle riduzioni Cameron non intende far rientrare la famiglia che considera essere la pietra miliare di una "Grande Società". E proprio per incoraggiare la famiglia e il matrimonio tradizionale, ha detto ieri il sottosegretario conservatore al ministero del Lavoro e delle Pensioni, Maria Miller, e scoraggiare separazioni, soprattutto se la coppia ha figli, «stiamo considerando di imporre una tassa sul divorzio». La tassa, già criticata dall'opposizione – che la considera, invece, un deterrente al matrimonio –, potrebbe presto riguardare tutte le coppie sposate con figli. In caso di separazione, queste ultime dovranno pagare una quota che servirà per finanziare il sistema che gestisce e supervisiona l'affidamento e il mantenimento dei figli. La misura verrà annunciata a breve dalla stessa Miller. «L'obiettivo – ha detto la donna – è quello di convincere i genitori che il divorzio deve essere l'ultima soluzione possibile. Nel progetto c'è infatti anche un programma che cerca di aiutare I genitori a individuare e risolvere possibili problemi e contrasti in famiglia. Ma questo è solo un inizio. Io credo fermamente che tutto il sistema vada rivisto in favore del concetto di famiglia». A quanto si apprende, la Miller chiederà che sia aperta una consultazione pubblica per trovare il modo migliore di tassare le coppie che divorziano. Sarà la Child Maintenance and Enforcement Commission (Cmec), l'agenzia che supervisiona il lavoro della Child Support Agency (Csa) a gestirà la nuova imposta. La Miller, madre di tre bambini, ha dichiarato recentemente, nel corso di numerose interviste, che il suo partito «non si vergogna di appoggiare la famiglia tradizionale.
Più di nove su dieci ragazzi di 15 anni si vogliono sposare prima o poi nella vita. Il matrimonio fornisce stabilità e sarebbe una follia ostacolarlo. Ecco perché abbiamo anche pensato di introdurre una serie di esenzioni fiscali per aiutare chi si impegna nel matrimonio. Perché sappiamo bene che il matrimonio è alla base di una società sana».

Fonte: Avvenire, 11 gennaio 2011

10 - QUOTE ROSA? E' LA NATURA UMANA (MASCHILE E FEMMINILE) A DIRE DI NO
Come mai se le donne sono più degli uomini, risultano eletti più uomini? Evidentemente sono le donne a preferirlo (nonostante viviamo in tempi di ideologia femminista)
Autore: Vittorio Messori - Fonte: La Bussola Quotidiana, 15-12-2010

Uno dei dogmi portanti dell’ideologia egemone, cioè il politicamente corretto, afferma c’è una   congiura degli uomini per tenere sottomesse le donne, per escluderle dai ruoli sociali importanti. E’ lo stesso dogma che ha portato a quell’aberrazione giuridica che sono le quote rosa, negazione dell’eguaglianza.
Ebbene, a proposito di emarginazione femminile, leggevo qualche giorno fa la notizia di una ricerca condotta da un istituto di sociologia di una università inglese su come vengono recepiti i curriculum che i giovani inviano per essere assunti. I sociologi hanno quindi mandato diversi curriculum a circa 200 aziende, le maggiori della Gran Bretagna. Ovviamente ogni curriculum era inviato con la foto del candidato, oltre ai dati.
Analizzando le risposte, i sociologi hanno avuto la sorpresa di scoprire che il maggior numero di risposte positive – ovvero di inviti a svolgere un colloquio – era per uomini di bell’aspetto, mentre il maggior numero di risposte negative riguardava donne, esse pure  di bell’aspetto.
Andando a fondo della cosa, i sociologi hanno rilevato che in Gran Bretagna la selezione del personale nelle grandi aziende è curata in massima parte da donne che facevano di tutto per non assumere altre donne, specie se carine. In altre parole, lo sbarramento al lavoro viene da  femmine che non vogliono la concorrenza di altro personale femminile.
E’ una storia interessante, perché come sempre la realtà si preoccupa di smentire lo schema ideologico.
Tutto ciò mi ha fatto ricordare anche dell’esame di Comportamenti Elettorali che sostenni quando facevo Scienze Politiche a Torino. Uno degli aspetti interessanti era la constatazione che in tutto l’Occidente le elettrici sono in maggioranza rispetto agli elettori, il che vuole dire che, se volessero, le donne potrebbero tranquillamente dominare il mondo con gli strumenti democratici. Ma il fatto è che le donne in maggioranza non votano per  le donne. Queste sono elette in gran parte da elettori uomini. La stessa cancelliera tedesca Angela Merkel ebbe modo di dire che se fosse stato per le femmine non sarebbe mai arrivata alla guida della Germania. Quote rosa? Bisogna convincerne prima quelle che si vorrebbero difendere dalla "prepotenza maschile".

Fonte: La Bussola Quotidiana, 15-12-2010

11 - SCOPERTA SENSAZIONALE: IL QUINTO VANGELO (CIOE' IL VANGELO CHE NON ESISTE MA CHE IL MONDO VORREBBE)
Ecco l'introduzione al simpatico libro del Cardinal Biffi che dipinge un nuovo vangelo conforme alla mentalità oggi dominante
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Il Quinto Vangelo (Edizioni Studio Domenicano, 2007)

La notizia sarebbe ancora sotto segreto. Una ristretta commissione di esperti sta faticando con la tranquilla impazienza dei dotti a dare una perfetta edizione critica di tutto il materiale di cui sono avventurosamente venuto in possesso.
In questo genere di lavoro di solito si va per le lunghe. E', gente precisa, puntigliosa. E se c'è in taluni un residuo di italica disinvoltura, è intimidito e come raggelato dal pensiero di quel che potranno dire e scrivere i sapienti d'oltralpe. Sicché ci vorranno degli anni.
D'altronde è urgente a mio parere che questi antichi frammenti si conoscano. La carità mi spinge a violare l'impegno al riserbo, col rischio di incorrere nell'ira dei miei colleghi occhialuti e taciturni. Sono persone miti, inoffensive, laboriose come le api. Nulla è però più duraturo e micidiale dei loro risentimenti, quando vengono stuzzicati nel loro proprio campo.
Tanto più grande e meritevole apparirà il mio amore per la cristianità e per le sue attuali controversie. Ma forse è meglio che cominci a spiegare tutto dal principio.
In principio c'è il commendator Giovanni Migliavacca, anzi Migliavacca commendator Giovanni, come ha impavidamente stampato sui suoi biglietti da visita.
Ci fosse un "trattato sull'industriale milanese", verrebbe riprodotto in copertina come uno dei più perfetti esemplari. Cosa fabbrichi non ho mai ben capito, Qualunque cosa sia, riesce a venderla a tutte le latitudini. Ai suoi tempi ha fatto le "tecniche" alla sera e parla il francese e l'inglese con la stessa difficoltà dell'italiano. Le sue impiegate, di bella presenza, dovrebbero sapere tre lingue. Ma quanto più è bella la presenza, tanto meno si formalizza sulla glottologia. Ma non c'è da pensare male: in ufficio è paterno, ma serio. La segretaria gli serve come l'Enciclopedia Treccani nel soggiorno della sua cosa. Arredano l'ambiente: le guarda con soddisfazione, ma non le tocca. Non vuole complicazioni, né con la moglie né con la cultura.
E' cattolico convinto. Sua moglie difatti va a messa tutte le domeniche libere e sua figlia ha studiato dalle Marcelline.
A parole è fiero oppositore del governo, per via delle tasse. In fondo al cuore spera che le cose non cambino. Egli si è fatto tutto nel ventennio democristiano, e all'epoca del "miracolo economico" è riuscito anche a piazzarsi sui mercati internazionali davanti ai concorrenti francesi e inglesi, ai quali è rimasta sempre in fondo al cuore la persuasione di essere stati raggirati: l'avevano preso per un italiano - spaghetti, mandolino, "dolce far niente" - e quando si sono accorti che era un milanese era già troppo tardi.
Le sue convinzioni sociali sono ben definite: dal Po, in giù sono tutti "terroni", ma la colpa è di Garibaldi che ci ha messo insieme; la politica è una cosa sporca ed è per i meridionali che non sanno far altro, però i sottosegretari si invitano a pranzo anche se sono della Basilicata.
I preti devono interessarsi solo di quel che succede in chiesa, ma anche in chiesa non devono proibire di cantare l'"Ave Maria" durante il matrimonio della sua "bambina", perché "lui paga".
Gli operai fanno sciopero perché non hanno voglia di lavorare come invece lavora lui, che è sulla breccia dall'alba a mezzanotte.
Naturalmente, come tutti i milanesi è convinto di avere il "cuore in mano". Non sfugge a nessuna colletta, a nessuna richiesta. In Valsassina, dove ha la casetta del "vikend" mantiene il riscaldamento all'asilo dei paese. E se il Milan vince il campionato, i frati di Padova ricevono un assegno di sei cifre.
Rispetta tutte le opinioni, tranne quelle dei sindacati e dei tifosi dell'Inter.
Rispetta gli animali, i preti, i carabinieri, a patto che restino tutti a una certa distanza.
Io sono un prete. E tuttavia è mio amico.
E' mio amico fin dall'infanzia. Pur essendo più anziano di me di qualche anno, è stato mio compagno di giochi nel cortiletto dei nostro caseggiato popolare, dalle ringhiere perennemente pavesate di camicie e di mutande, donde occhieggiavano di tanto in tanto le nostre madri a rassicurarsi che la nostra scapestraggine restasse nel limite dei sopportabile.
Poi io ho fatto il prete e lui i soldi, ma siamo rimasti amici lo stesso.
Nell'aprile del '67 - proprio poche settimane prima della "guerra dei sei giorni" - il comm. Giovanni Migliavacca mi dice a bruciapelo: "Vieni a fare un giro con me in Palestina?".
Era a causa del Padre Mariano della televisione. L'aveva sentito una sera che era a letto con l'influenza parlare del paese di Gesù, Nazaret, Gerusalemme, Betlemme, nomi che gli ricordavano il presepio e i pomeriggi domenicali all'oratorio, e gli era venuto il ghiribizzo - come una nostalgia - di andarli a vedere di persona. E aveva trovato naturale pensare a me, prete, come accompagnatore.
La proposta mi provocò una crisi di coscienza. Potevo senza rimorsi spendere tanti soldi per un viaggio, sia pure per un pellegrinaggio in Terra Santa? E' vero che io vedevo tanti miei confratelli - i più informati sui nuovi sviluppi del cristianesimo post-conciliare - andare un po' in tutte le parti dei mondo a dialogare sull'impegno e sul disimpegno, sulla comunità primitiva e sulla povertà evangelica.
Si parlava anzi in quei giorni di un prossimo raduno internazionale alle Isole Bahamas per la riscoperta della Chiesa dei poveri. Io però non sarei andato a dialogare e perciò non avevo scuse.
"Ma ghe pensi mi per la grana", ripeteva spazientito il Migliavacca. Era per la mia coscienza cascare dalla padella nella brace: potevo compromettermi in questo modo con un tipico rappresentante del capitalismo e correre così il rischio di venire perfettamente "integrato nel sistema"?
Alla fine il desiderio fu più forte delle mie titubanze. E così una mattina d'aprile salivo sull'aereo dietro il mio commendatore, con l'eccitazione e la vergogna di un adolescente d'altri tempi che varcasse per la prima volta la soglia di una casa di peccato.
Il resoconto del nostro soggiorno palestinese mi porterebbe fuori argomento. Ai nostri fini basti dire che, esaurita la visita ai luoghi santi e qualche approssimativa devozione, il commendator Giovanni Migliavacca si era abbandonato anche là all'istinto dell'uomo d'affari, e, vestito mezzo americano e mezzo arabo, s'aggirava tutto il giorno per le stradette e le bottegucce tutto intento a farsi spennare da quei musi levantini. Ci vedevamo a cena, quando ritornava carico di tutta la paccottiglia del Medio Oriente.
Una sera mi viene in albergo con un involto misterioso pieno di carte sbrindellate. "Tieni, questa è roba per te che hai studiato il latino. Ho capito subito io che sono stracci del "tempo di Carlo Codiga" o almeno dei Lombardi alla prima crociata".
Già avevo cominciato a canzonarlo, come facevo, ma qualcosa in quei brandelli mi colpì. Si trattava senza dubbio di pergamene di una antichità impressionante. Benché sbiaditi e quasi cancellati dalla polvere e dalle macchie, i segni che vi erano mi apparvero subito come caratteri greci, gli stessi dei più antichi codici del Nuovo Testamento. Metteva conto di considerarli con un po' di attenzione.
L'esame degli esperti, dopo il nostro ritorno, diede risultati sensazionali. Erano frammenti - ci si assicurò della metà del secondo secolo, di uno scritto cristiano che poteva benissimo risalire alla fine del primo. Pagine di un "quinto evangelo" sobrio nella forma e originale nel contenuto, capace di gettare una luce nuovissima sull'autentico insegnamento di Gesù.
Finanziati dall'impagabile commendatore - che si dimostrava tanto più entusiasta quanto meno ci capiva - ci si accinse in équipe, com'è d'obbligo oggi, a preparare l'edizione critica, una fatica che è solo ai suoi inizi.
Quando vedrà la luce, sarà un trauma per il mondo dei dotti. Migliaia di volumi pubblicati dalla cultura tedesca, francese, anglosassone per risolvere la questione sinottica e il problema dell'origine degli evangeli dovranno essere mandati al macero e tutto si dovrà ristudiare da capo. Centinaia di professori universitari vivono oggi ignari i loro ultimi anni di tranquillità prima della disperazione e dell'infarto.
Ma io non posso aspettare l'edizione critica. Ed ecco perché.
Un vento nuovo spira in questi anni sulla cristianità. Idee giovani e vigorose lievitano il popolo di Dio. Sacerdoti, teologi, teologhesse enunciano concetti ogni giorno più sorprendenti, nei linguaggi più disparati, tra la meraviglia attonita degli abitanti di Gerusalemme: è una nuova Pentecoste.
Io sarei stato dall'inizio tra gli ammiratori senza riserve di questo moderno multiforme "annuncio", se non avessi incontrato una difficoltà; tutti questi maestri dichiaravano di voler tornare ai genuini insegnamenti di Gesù, come sono contenuti negli scritti del Nuovo Testamento, senza incrostazioni, senza "superstrutture"; eppure le loro dottrine non mi apparivano suffragate dai testi sacri a nostra disposizione.
Non che mi sembrassero sbagliate. Anzi, mi tutte belle e affascinanti, ma non ne vedevo il fondamento evangelico. Mi mancava il loro collegamento con Cristo e questo mi metteva a disagio. Forse, nei rari momenti di silenzio interiore, metteva a disagio anche, i loro sostenitori.
Ed ecco che quasi per miracolo il collegamento mi veniva offerto dalle cartacce raccolte chissà dove dal commendator Migliavacca Giovanni. Ognuno di quei frammenti sembrava costituire la prova finora mancante alla genuinità biblica delle nuove dottrine. Tutto mi diventava chiaro.
Nessuno si meraviglierà allora dell'entusiasmo che mi ha afferrato alla scoperta, e della mia impazienza, per la quale non ho saputo attendere la famosa edizione scientifica, che ho preannunciato, e mi sono deciso a pubblicare questi testi in una traduzione forse un po' spigliata, ma sostanzialmente fedele, e con un modesto commento illustrativo.
Se incorrerò nel biasimo dei miei colleghi, che pubblicheranno tra non molto in modo impeccabile il testo originale e l'esame comparato delle sue fonti spero almeno di avere la riconoscenza di tutti quei pensatori - si fa per dire - che troveranno in queste brevi pagine una base sicura per i loro ardimenti.
A qualcuno potrà non garbare l'idea del vecchio manoscritto. Non vorremmo si arrivasse addirittura a mettere in dubbio la buona fede nostra o del nostro amico commendatore.
Questi ritrovamenti sono capitati con molta frequenza in questi ultimi secoli, anche ai migliori scrittori; Perché sarebbero interdetti solo al signor Migliavacca? Il quale è decisissimo a non mostrare le sue preziose pergamene a nessun curioso che ne facesse richiesta. E ha invece disposto che alla sua morte vengano consegnate alla Biblioteca Ambrosiana, dove resteranno, custodite con uguale amore, assieme alle pagine autografe del celebre Anonimo manzoniano.

CARD. GIACOMO BIFFI
La fede che diventa cultura

Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!

Fonte: Il Quinto Vangelo (Edizioni Studio Domenicano, 2007)

12 - OMELIA PER LA III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 4,12-23)
Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini
Autore: Padre Francesco Pio Pompa - Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23 gennaio 2011)

Il Vangelo della Santa Messa ci suggerisce di riflettere sul tema della vocazione.
La vocazione è una manifestazione dell'Amore infinito ed eterno di Dio, è un dono gratuito, che viene direttamente dal Cuore di Dio.
La vocazione è essenzialmente una chiamata divina. Dio chiama e l'uomo deve rispondere. Qualora la chiamata di Dio rimanesse senza risposta la vita dell'uomo sarebbe una vita fallita e triste.
A cosa Dio chiama l'uomo? Dio, fin dall'eternità, per amore, ci ha chiamati, innanzitutto, alla vita naturale, a vivere da uomini, e continuamente ci chiama alla vita soprannaturale, a vivere da figli di Dio, da cristiani; ci chiama, cioè, a corrispondere a quel grado di santità che desidera da noi, con il suo aiuto e la nostra fattiva collaborazione.
La condizione per santificare la nostra vita è di viverla nello stato di vita (matrimonio, celibato, professione religiosa, sacerdozio), dove la Volontà di Dio ci chiama. È vero che i battezzati hanno un'origine e un destino comuni, ma è altrettanto vero che ognuno ha la sua missione da compiere.
San Matteo, nel Vangelo della Santa Messa, descrive la chiamata dei primi Discepoli di Gesù. Sono i primi a subire il suo fascino. Si tratta di alcuni pescatori della Galilea, in particolare i due fratelli Simone e Andrea e i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni.
Gesù Cristo, volendo scegliersi dei collaboratori, ha prediletto non i grandi della terra, non gli uomini di scienza e di prestigio, ma poveri ed ignoranti pescatori, semplici e sinceri.
Il Maestro divino invita loro a seguirlo: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Egli l'invita non solo con la voce, ma con un'illuminazione interiore, mediante la quale comprendono la necessità di mettersi alla sua sequela, comprendono che è necessario lasciare tutto, famiglia e lavoro, per seguire Gesù.
L'Evangelista mette in evidenza proprio la prontezza e la generosità della loro risposta: «Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono» (ivi, 22).
Gesù, invitando gli Apostoli a seguirlo, affida loro una grande missione: «Vi farò pescatori di uomini» (ivi, 19). Quindi questi primi Discepoli da pescatori di pesci diventano pescatori di anime. Ad essi viene affidato il compito di diffondere la luce del Vangelo fino agli estremi confini della terra.
Ogni battezzato è chiamato a cooperare a questa sublime missione di evangelizzazione, ma non tutti nello stesso modo. Vi è una vocazione nativa, comune, ordinaria, essendo iscritta nella carne e nel sangue dell'uomo, la più adatta alle tendenze della vita umana. Vi è anche una vocazione che si può definire sacra, in quanto esige un intervento speciale di Dio, che conduce sulla strada della consacrazione a Dio, che conduce ad una vita protesa verso le più alte vette della santità. Questa è, appunto, la vocazione al sacerdozio, alla vita religiosa, ecc., la vocazione all'amore più grande.
Anche la nostra risposta dovrebbe essere pronta e generosa come quella di questi primi Discepoli.
Anche noi dovremmo abbandonare le reti, ossia tutto quello che è terreno e che ci impedisce di percorrere la via della santità, la quale implica rinuncia, sacrificio, generosità.
I Santi sono coloro che hanno risposto prontamente e generosamente alla chiamata di Gesù. Quale missione, ad esempio, ha affidato il Signore a Padre Pio? Essere vittima per il mondo. Lo lascia chiaramente intendere lui stesso, sin dal 29 novembre 1910, a padre Benedetto da San Marco in Lamis, al quale chiede per iscritto un permesso particolare: «Da parecchio tempo sento in me un bisogno, cioè di offrirmi al Signore vittima per i poveri peccatori e per le anime purganti. Questo desiderio è andato crescendo sempre più nel mio cuore, tanto che ora è divenuto, sarei per dire, una forte passione. L'ho fatta, è vero, più volte questa offerta al Signore, scongiurandolo a voler versare sopra di me i castighi che sono preparati sopra dei peccatori e sulle anime purganti, anche centuplicandoli su di me, purché converta e salvi i peccatori ed ammetta presto in Paradiso le anime del Purgatorio, ma ora vorrei fargliela al Signore questa offerta con la sua obbedienza. A me pare che lo voglia proprio Gesù. Son sicuro che ella non troverà difficoltà alcuna nell'accordarmi questo permesso».
San Pio da Pietrelcina è stato vittima per i peccatori, vittima crocifissa per i peccatori. Egli considerava il dolore come un «dono di Dio». Una volta tossiva da far compassione, tanto che il confratello padre Lino da Prata gli disse: «Padre, passi a me la sua tosse». E lui rispose sorpreso: «E che, i doni si regalano?». Il professor Nicola Bellantuono, al termine di una Confessione, gli chiese invece se le stimmate fossero dolorose e Padre Pio reagì: «Credi che il Signore me le abbia date per bellezza?». Allora il professore si offrì: «Padre, date qualche cosa anche a me». E il Frate, quasi irritato: «I monili del Signore non si regalano!».
Ci aiuti il nostro Santo a cooperare generosamente al dono della vocazione, ad essere fedeli ad essa. Dalla nostra generosità e fedeltà dipende la salvezza di tanti nostri fratelli e sorelle!

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23 gennaio 2011)

Stampa ArticoloStampa


BastaBugie è una selezione di articoli per difendersi dalle bugie della cultura dominante: televisioni, giornali, internet, scuola, ecc. Non dipendiamo da partiti politici, né da lobby di potere. Soltanto vogliamo pensare con la nostra testa, senza paraocchi e senza pregiudizi! I titoli di tutti gli articoli sono redazionali, cioè ideati dalla redazione di BastaBugie per rendere più semplice e immediata la comprensione dell'argomento trattato. Possono essere copiati, ma è necessario citare BastaBugie come fonte. Il materiale che si trova in questo sito è pubblicato senza fini di lucro e a solo scopo di studio, commento didattico e ricerca. Eventuali violazioni di copyright segnalate dagli aventi diritto saranno celermente rimosse.