BastaBugie n�102 del 28 agosto 2009

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1 1500 ANNI DI GLORIOSA STORIA CATTOLICA ITALIANA: POI IL DISASTRO DELL'UNITA' D'ITALIA (PRECISIAMO I FATTI)

Autore: Angela Pellicciari - Fonte: Libero
2 LA CATTOLICA VERGINE MARIA E LA CONVERSIONE DI UN PASTORE PROTESTANTE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti
3 FACCIAMO UNA SERIA RIFLESSIONE SULL'IMMIGRAZIONE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti
4 IL MONDO NUOVO DEL PROFESSOR VERONESI: UN PIANETA DI DONNE CON IL CERVELLO DA UOMO

Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire
5 INCREDIBILE, MA VERO: LA MORTALITA' MATERNA CRESCE DOVE L'ABORTO E' LIBERO

Autore: Aracely Ornelas - Fonte: SVIPOP
6 IN RUSSIA LO STATO COPRE GLI ASSASSINI: LA DENUNCIA DEI FIGLI DELLA POLITKOVSKAJA

Fonte: Avvenire
7 LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO IN CINA: MENO BAMBINI, PIU' MAIALI

Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio
8 PER CAPIRE IL CONCILIO VATICANO II BISOGNA LEGGERE IOTA UNUM DI ROMANO AMERIO

Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio

1 - 1500 ANNI DI GLORIOSA STORIA CATTOLICA ITALIANA: POI IL DISASTRO DELL'UNITA' D'ITALIA (PRECISIAMO I FATTI)

Autore: Angela Pellicciari - Fonte: Libero, 20 agosto 2009

Un lungo dibattito estivo è stato suscitato dagli interventi di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere a proposito dell’inadeguata celebrazione del centocinquantenario dell’unità d’Italia. Galli della Loggia accusa la classe politica, di destra come di sinistra, di ignorare l’importanza culturale, civile, morale, dell’unificazione italiana, e, pertanto, di limitarsi ad interventi celebrativi in molti casi ridicoli.
Galli della Loggia è persona che leggo con attenzione e che stimo e conosco da molti anni. Nella risposta che ha dato ad uno studente leghista sul Corriere di ieri, ci sono però affermazioni che faccio fatica a ricondurre all’autore di un testo come La morte della patria e alle garbatissime osservazioni rivolte all’allora presidente della Repubblica Ciampi che quell’analisi combatteva.
“Il Risorgimento -scrive il professore- volle anche dire la possibilità di parlare e di scrivere liberamente”. A mio modo di vedere la tesi andrebbe corretta così: il Risorgimento è stato l’epoca in cui tutti i liberali ed i massoni (esiguissima minoranza della popolazione) potevano dire tutto quello che volevano mentre la stragrande maggioranza delle popolazione, cattolica, no. Basti dire che il liberale Cavour impediva la diffusione nel Regno di Sardegna delle encicliche del papa, nonostante l’articolo primo dello Statuto definisse la chiesa cattolica unica religione di stato e nonostante l’articolo 28 difendesse la libertà di stampa! Per restare all’oggi, non ho ancora trovato un editore disposto a ristampare un testo fondamentale dell’Ottocento italiano come le Memorie per la storia dei nostri tempi di don Giacomo Margotti, testo che, caso veramente curioso, è scomparso da tutte le biblioteche nazionali...
Galli della Loggia celebra la scomparsa del processo “settario” nel tanto magnificato Lombardo-Veneto. Il Risorgimento avrebbe messo fine ad un processo in base al quale “si era mandati a morte nel giro di 48 ore da una corte marziale senza neppure uno straccio di avvocato”. Beh, qui la cosa diventa quasi imbarazzante. Sì, perché dall’unità d’Italia in poi la legge marziale è stata ripetutamente introdotta in tutto il Meridione, con conseguenze drammatiche per tutta la popolazione. Un piccolo, insignificante, esempio della violenza bruta (altro che avvocato difensore) che accompagna la conquista sabauda. Il Regno d’Italia introduce la leva obbligatoria sconosciuta alle popolazioni italiane e la nuova abitudine va imposta per le spicce. Ecco cosa scrive il quotidiano torinese L’Armonia il 5 luglio 1861: “A Baranello un Francesco Pantano, capitolato di Gaeta, per sottrarsi al servizio militare, cui era richiamato, riparò in un suo podere, ed ivi sorpreso mentre dormiva, invece di essere arrestato, fu ucciso a colpi di baionette”.
Ancora: nei 150 anni di storia italiana abbiamo visto “un intero popolo smettere di morire di fame, non abitare più in tuguri, non morire più come mosche”. La rivoluzione industriale che in Inghilterra (come Marx descrive in modo inappuntabile nella IV sezione del primo libro del Capitale) riduce la popolazione alla fame, in Italia, grazie alla capillare presenza cattolica, non aveva provocato gli stessi guasti. Tanto che da noi, a detta delle tante testimonianze lette, nessuno moriva di fame, mentre all’estero sì. A provocare la miseria generalizzata della popolazione viceversa è stato proprio il Risorgimento grazie al quale gli italiani, ridotti sul lastrico, sono stati forzati ad un’emigrazione di massa, sconosciuta nei millenni precedenti.
“A morire come mosche” poi gli italiani sono stati costretti da quella guerra immorale, infame, spaventosa, che è stata la prima guerra mondiale. Guerra voluta dall’élite risorgimentale e massonica per liberare gli italiani dal pacifismo cattolico e forgiare un nuovo popolo di eroi guerrieri. Si sa come è andata a finire.
Gli italiani sono stati liberati sì dalla miseria, ma solo grazie al “miracolo economico” creato dalla classe dirigente al potere dopo la seconda guerra mondiale, di estrazione cattolica. La Democrazia Cristiana però, ha avuto a mio parere un enorme difetto culturale: non ha contrastato la vulgata filorisorgimentale e, quindi, antitaliana.
Il vero “disastro educativo” della scuola italiana è sì, a mio parere, l’aver adottato in massa, a livello di insegnati come di libri di testo, “una storia del nostro Paese inverosimile e grottesca”, ma non nel senso indicato da Galli della Loggia. Il disastro va piuttosto individuato nell’approccio ai 1.500 anni di tradizione cattolica. Questi vengono vituperati in ogni modo perché vituperato, sconosciuto ed irriso è il pensiero cattolico. Producendo così l’assurdità che la nazione che ha prodotto e possiede, da sola, più del cinquanta per cento dei beni artistici e culturali del pianeta, disprezza sé stessa e non capisce più l’origine di quel surplus di bellezza che la caratterizza.
Celebriamo l’Italia, ma assumiamo tutta la sua grande storia, non solo i miseri cento anni dopo la sua unità politica.

Fonte: Libero, 20 agosto 2009

2 - LA CATTOLICA VERGINE MARIA E LA CONVERSIONE DI UN PASTORE PROTESTANTE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti, 18 agosto 2009

La newsletter francese «Une minute avec Marie» mi ha mandato un aneddoto che val la pena divulgare. Un ex pastore presbiteriano scozzese, poi fattosi prete cattolico, raccontò di dovere la sua conversione a un curioso episodio occorsogli. Aveva molti irlandesi, cattolici, nel suo distretto e si adoperava per attirarne i bambini ai suoi sermoni. Li fermava per strada, offriva caramelle e chiedeva loro di recitare con lui qualche preghiera. Una volta, una piccola di otto anni, dopo aver detto, dietro suo invito, il Padrenostro, attaccò l’Avemaria. Il pastore la fermò, dicendole che si deve adorare Dio solo. La bimba cambiò preghiera e cominciò il Credo. Ma, alle parole «..nacque da Maria vergine…», si bloccò e, sbuffando, disse: «Oh, eccola di nuovo! E allora, come si fa?». Il pastore rimase di stucco. L’aveva detto migliaia di volte, il Credo, e non si era mai accorto che Maria sta proprio al centro della fede cristiana. Da lì partì una lunga riflessione da parte sua. Dopo anni di studio e approfondimento, passò al cattolicesimo e si fece prete.

Fonte: Antidoti, 18 agosto 2009

3 - FACCIAMO UNA SERIA RIFLESSIONE SULL'IMMIGRAZIONE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti, 20 agosto 2009

Quando una parola in sé neutra comincia a prendere la desinenza –ismo cominciano i guai. Il sociologo Massimo Introvigne, sul sito del Cesnur (luglio 2009) ha recensito un libro del giornalista americano (Financial Times) Christopher Caldwell: Reflections on the Revolution in Europe. Immigration, Islam, and the West (Penguin, Londra 2009). Val la pena di riprenderlo perché una volta tanto un giornalista straniero trascura “papi” Berlusconi e si occupa di cose serie. Cioè, del suicidio europeo per mano degli immigrazionisti di sinistra (preti compresi) e di destra (tra i quali Caldwell inserisce Gianfranco Fini). L’immigrazionismo di sinistra vuole che «per fare ammenda del passato coloniale» e del neo-imperialimo delle multinazionali «l’Europa debba tollerare dagli immigrati comportamenti che non sopporterebbe mai dai suoi cittadini». L’immigrazionista di destra invece richiede il rispetto della legge. Ma «un immigrato che non mette bombe nelle metropolitane, non brucia le automobili del quartiere e non picchia i poliziotti –ma nello stesso tempo vive e pensa secondo valori antitetici a quelli europei– è veramente una risorsa per l’Europa oppure rimane un problema?». Problema aggravato, per dirla tutta, dai musulmani. «La Gran Bretagna riceve mezzo milione di nuovi immigrati extra-comunitari ogni anno» e già vi operano un’ottantina di «corti islamiche» autorizzate a risolvere controversie tramite la sharìa. In Norvegia si è addirittura verificato un caso di integrazione alla rovescia: tutte le allieve di una scuola hanno messo il velo, convinte di essere più carine. Si sostiene che gli immigrati «sono una risorsa» perchè fanno i lavori che gli europei non vogliono fare più. Invece, «con i loro bassi salari, spesso tengono in vita temporaneamente posti di lavoro comunque destinati a sparire (…) a causa del progresso tecnologico e della disponibilità di prodotti a costi minori provenienti dalla Cina». Per giunta, quando gli immigrati si naturalizzano, neanche loro vogliono più fare certi lavori. Si dice anche che sono gli immigrati a «pagare le nostre pensioni». Ma essi «di solito hanno lavori poco remunerati, dunque pagano contributi relativamente bassi». E poi, «anche loro invecchiano e diventano pensionati. Inoltre, fin da subito, hanno problemi di salute di cui la previdenza sociale si deve fare carico». Senza contare che «in Germania e in Francia il 70 x cento degli immigrati extra-comunitari non lavora - o perché è troppo giovane o perché è disoccupato - dunque non paga contributi, mentre costituisce un costo per il sistema del welfare». Insomma, non è detto «che sia meno costoso per l’Europa accogliere milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine». Questo vale anche per i terzomondiali laureati: «così facendo si sottraggono ai Paesi d’origine proprio quelle élites che sarebbero loro indispensabili per uscire dal sottosviluppo». Ora, i sondaggi e l’avanzata dei partiti di destra evidenziano che gli europei sono in maggioranza contrari all’immigrazione extracomunitaria massiccia e continua. «Il fatto che il parere della maggioranza degli elettori europei sia ignorato non sarà per caso il vero problema della democrazia?». Problema nel problema sono i musulmani, difficilmente assimilabili: «nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’arrivo in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti». Per giunta, l’Europa «è talmente immersa nel relativismo da non avere affatto le idee chiare su quale cultura voglia difendere e proporre agli immigrati. Sembra che le reazioni si producano solo in un campo, che comprende il femminismo e i diritti degli omosessuali» (il che dimostra chi comanda davvero in Europa). Così, in Olanda si è deciso di «proporre ai nuovi immigrati i “valori olandesi” riassunti in un video che devono obbligatoriamente vedere. Vi si vedono, tra l’altro, due omosessuali che si scambiano effusioni in pubblico e una bagnante in topless. Non è certo che la maggioranza degli olandesi si riconosca in questi valori. Per contro, è certissimo che il video confermerà gl’immigrati musulmani nel loro sentimento di superiorità rispetto all’Occidente decadente. In altri Paesi i corsi sulla cittadinanza proposti agl’immigrati esaltano il diritto all’aborto».

Fonte: Antidoti, 20 agosto 2009

4 - IL MONDO NUOVO DEL PROFESSOR VERONESI: UN PIANETA DI DONNE CON IL CERVELLO DA UOMO

Autore: Marina Corradi - Fonte: Avvenire

 «Le donne non si fermano: la vittoria dell’approvazione della Ru486 è parte di un progetto non scritto di affermazione del loro futuro ruolo». L’incipit dell’articolo del professor Umberto Veronesi su   Repubblica è uno squillo di tromba; come l’annuncio di prossime certe e trionfali vittorie da parte di un condottiero, o un generale. Alla definizione della pillola abortiva come ulteriore tappa della liberazione femminile non erano arrivati, almeno apertamente, i più accesi fautori dell’aborto da bere. A dirla tutta, a uscir fuori al naturale, ci ha pensato il maestro di pensiero della medicina politicamente corretta.
  La pillola dell’aborto, «metodologia meno traumatica», come un’altra pietra d’inciampo sgomberata da un vittorioso storico cammino femminile. In cui bisognerà, dice il professore, «ridisegnare gli spazi» fra procreazione e impegno pubblico delle donne: senza dimenticare una «superiorità» femminile, quella per cui una donna può fare un figlio senza un uomo, solo con una provetta di seme. Quella per cui una donna potrà un giorno clonare se stessa, e un uomo no.
  È lo scenario di una egemonia femminile superomistica, quella tratteggiata da Veronesi. E in questo radioso avvenire la pillola abortiva è un passo avanti. Verso il futuro Dominio delle Donne. O delle Superdonne. Fantastico. Peccato che questo disegno sia un evidente esempio di delirio di onnipotenza maschile. Pensateci: il famoso oncologo, nell’immaginare la rivoluzione femminile, altro non fa che disegnare il mondo come sarebbe, quando lo comandassero delle donne con un cervello assolutamente maschile.
  Donne educate da una cultura di potere, per le quali il sogno è liberarsi agevolmente di 'ostacoli' quali un figlio per essere più pronte a inseguire carriera o successo. Ora, è vero che di donne così ce ne sono sempre di più; aggressive, abili, perfettamente omologate al modello socialmente vincente. Ma che questa sia davvero rivoluzione femminile, è ciò che potrebbe dire un osservatore molto superficiale. Uno che, delle donne, non conosca la radicale, spesso tacita alterità. Scritta nei geni, nel corpo, perfino in quel ritmo che ogni mese scandisce il tempo dell’età feconda, come una domanda: vuoi che un altro viva? Come una profonda vocazione all’altro, che non si contenta degli idoli o balocchi del potere maschile. L’immaginazione di Veronesi di un mondo di Amazzoni autosufficienti è pura deriva di onnipotenza maschile. E solo un uomo può pensare mondi simili: clonando, con antica arroganza, la sua misura del vivere e sovrapponendola alle donne. Ma le autistiche Amazzoni che fanno figli da sole, sono fortunatamente un orizzonte futuribile e lontano.
  Drammaticamente attuale invece è la questione della pillola abortiva. E il messaggio dell’oncologo delle donne, del medico 'democratico', è: è un passo avanti nella vostra liberazione. Un veleno che annienta un figlio, è un pezzo di liberazione conquistata. Pare di risentire gli echi della battaglia, quando alle ragazze degli anni Settanta l’aborto legalizzato venne raccontato come una conquista e quasi una promozione sociale. Rieccoci: dai giornali giusti i maestri giusti conducono i loro corretti sermoni. Mia figlia ha dodici anni: è della generazione che crescerà nella nuova vulgata.
  Con una pillola che educa a pensare che quel problema è, in fondo, un problema da poco. Solo una pillola: fra qualche anno sarà possibile non mancare neanche un giorno al lavoro. Così vi vogliono, bambine: produttive, efficienti, competitive. Concrete, e senza rimpianti. Dei veri uomini. È questa, la rivoluzione millantata.
  Dimenticarsi di sé, di una propria natura, di un’accoglienza all’altro come scritta addosso: nella generosità del grembo, nello sguardo.
  Dimenticarsi di sé nel radioso, livido Mondo Nuovo del professor Veronesi.

Fonte: Avvenire

5 - INCREDIBILE, MA VERO: LA MORTALITA' MATERNA CRESCE DOVE L'ABORTO E' LIBERO

Autore: Aracely Ornelas - Fonte: SVIPOP, 14-8-2009

La più grande organizzazione abortista mondiale, la International Planned Parenthood Federation (IPPF) ha ammesso recentemente che c’è un’allarmante “impennata” di mortalità materna in Sud Africa, smentendo il ritornello abortista secondo cui leggi liberali sull’aborto fanno diminuire la mortalità materna. Tra il 2005 e il 2007 in Sud Africa c’è stato un aumento di morti materne del 20%, malgrado dal 1996 questo paese abbia una legge sull’aborto tra le più permissive del Continente africano.
Se la maggior parte delle morti è attribuibile all’infezione da HIV/AIDS, l’IPPF ammette che una porzione rilevanti di decessi “è dovuta a complicazioni dell’aborto”, in un paese in cui la procedura è legale e ampiamente disponibile.
Negli ultimi anni i Paesi in via di sviluppo sono stati pressati dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle organizzazioni abortiste come l’IPPF, al fine di depenalizzare l’aborto come mezzo per diminuire i tassi di mortalità materna. I dati ammessi dall’IPPF sono però soltanto l’ultimo fatto – in un crescendo di prove – che mostra con chiarezza che il nesso è esattamente l’opposto, ovvero l’aborto legale coincide con alti tassi di mortalità materna.
Ad esempio, la nazione africana con il più basso tasso di mortalità materna è Mauritius, secondo il Rapporto 2009 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma le leggi di Mauritius, nel continente, sono tra le più protettive per il bambino non nato. Allo stesso modo il Rapporto mostra come i paesi che negli ultimi anni hanno ceduto alle pressioni internazionali depenalizzando l’aborto, come l’Etiopia, non hanno affatto visto diminuire la mortalità materna. Il tasso di mortalità materna in Etiopia è 48 volte più alto che a Mauritius.
Secondo l’OMS, il paese dell’America Latina con il più basso tasso di mortalità materna è il Cile, che addirittura protegge la vita del non-nato nella sua Costituzione. Il paese con il più alto tasso – 30 volte superiore a quello del Cile - è invece la Guyana, che ha introdotto l’aborto già nel 1995 e praticamente senza alcuna restrizione. Ironicamente, una delle due principali giustificazioni usate nella Guyana per liberalizzare l’aborto è stata quella di “conseguire l’ottenimento della maternità sicura” eliminando le morti e le complicazioni dell’aborto insicuro.
Il Nicaragua poi è stato al centro di una fortissima azione di lobby internazionale abortista da quando tre anni fa ha modificato la sua legge per garantire piena protezione alla vita prenatale. Ad esempio la Svezia ha tagliato i suoi 20 milioni di dollari di aiuti allo sviluppo come misura di ritorsione. Più recentemente, Amnesty International ha pubblicato un rapporto affermando che i tassi di mortalità materna sono cresciuti in Nicaragua a causa di questa legge. Analisti hanno però contestato i dati di Amnesty mentre le statistiche del governo nicaraguense mostrano che al contrario i tassi di mortalità materna sono in diminuzione dal 2006.
Allo stesso modo, le statistiche dell’OMS per l’Asia meridionale e orientale mostrano che il Nepal, dove non c’è alcuna restrizione all’aborto, ha il più alto tasso di mortalità materna della regione. Il più basso è invece nello Sri Lanka, con un tasso 14 volte minore di quello del Nepal. Ebbene, secondo l’organizzazione di legali Center for Reproductive Rights – che è parte della lobby abortista – lo Sri Lanka ha la legge sull’aborto tra le più restrittive al mondo.
A livello mondiale, il paese con il più basso tasso di mortalità materna è l’Irlanda, paese che proibisce l’aborto e la cui Costituzione protegge esplicitamente i diritti del non-nato.

Fonte: SVIPOP, 14-8-2009

6 - IN RUSSIA LO STATO COPRE GLI ASSASSINI: LA DENUNCIA DEI FIGLI DELLA POLITKOVSKAJA

Fonte Avvenire

Coraggiosa denuncia di Vera e Ilja Politkovskij, i figli della giornalista Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006 a Mosca per la sua denuncia delle atrocità commesse dai russi in Cecenia. Con una lettera aperta, pubblicata in prima pagina dalla 'Novaja Gazeta', il giornale per il quale lavorava la giornalista, i due figli denunciano: «Lo Stato manifesta il suo pieno disinteresse a far luce sull’uccisione della nostra mamma». Dopo l’assoluzione degli imputati nel processo di primo grado per ragioni confuse (insufficienza dell’inchiesta e vizi di forma) i due giovani, attraverso i loro avvocati, avevano chiesto che gli atti fossero rimessi alla procura per rifare le indagini, ma il giudice del nuovo processo, apertosi il 5 agosto scorso, aveva respinto l’istanza.Vera e Ilja spiegano che la loro richiesta aveva lo scopo di «ottenere che proprio il mandante si trovasse dietro le sbarre, e non solo dai complici secondari del delitto». «Tuttavia – continuano i due figli – per ragioni a noi completamente incomprensibili, questo ci è Stato negato. Il giudice ha deciso che nella stessa aula verranno discusse le stesse prove che un anno fa i giurati ritennero insufficienti per pronunciare una sentenza di condanna».
  «Noi – continuano i figli della Politkovskaja – continuiamo a ritenere che sul delitto non si è fatta luce. Intanto il tempo per una valida indagine si riduce sempre di più, ma invece di utilizzarlo con efficacia, gli organi dello Stato preferiscono inscenare un’imitazione di dibattimento giudiziario sul conto di personaggi secondari il cui ruolo nel delitto non è chiaro e la cui partecipazione ad esso non è chiaramente dimostrata». I due giovani continuano: «Noi non riteniamo necessario prendere parte a questo show e dargli così legittimità, ma seguiremo attentamente il dibattimento per non dare la possibilità di seppellire definitivamente le speranze che si faccia luce sull’omicidio di nostra madre». Il processo «si sta trasformando in farsa, in un tentativo di distogliere l’attenzione pubblica dalla domanda fondamentale: chi è il mandante del delitto?». «Lo Stato – concludono Vera e Ilja Politkovskij – in sostanza copre i reali assassini».

Fonte: Avvenire

7 - LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO IN CINA: MENO BAMBINI, PIU' MAIALI

Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio, 18 luglio 2009

Quando i primi missionari gesuiti arrivarono in Cina, nel XVI secolo, rimasero affascinati dal popolo cinese, dalla sua intelligenza e dalle sue tradizioni, e cercarono di diventare anch'essi cinesi, nel vestiario e nelle usanze.
C'è una cosa, però, scrivevano alcuni di loro, che ci lascia interdetti: i cinesi uccidono spesso i loro figli, e, soprattutto, le bambine. Oggi sappiamo che prima che il cristianesimo si affermasse, l'infanticidio era considerato legittimo in tutte le civiltà, compresa l'antica Roma. Perché i bambini non godevano di grande considerazione e a farne le spese erano soprattutto le bambine, considerate sovente più costose e meno utili.
Il libro che esce in questi giorni, "Strage di Innocenti. La Politica del Figlio Unico in Cina", per l'editore Guerini, a cura della Laogai Foundation di Harry Wu e di Antonello Brandi ci racconta però una verità ben più spaventosa: l'infanticidio è oggi, in Cina, un fenomeno massiccio, di proporzioni mostruose, che coinvolge milioni di vittime innocenti; affidato non più solo alla libera iniziativa dei genitori, ma determinato e imposto dallo stato comunista.
In Cina vi è infatti una pianificazione familiare che prende il nome di "politica del figlio unico", e che dietro le conclamate giustificazioni economiche e sociali, consiste, in pratica, "in aborti e sterilizzazioni forzate, pestaggi, multe e distruzione delle proprietà". Accade in questo grande paese che lo stato pianifichi non solo la produzione industriale e agricola, ma anche la riproduzione: "Le nascite devono essere stabilite dallo stato. Per le donne che hanno più di due bambini o che aspettano il primo figlio senza l'approvazione di una 'cellula del controllo della popolazione', la punizione è rapida e dolorosa".
Nella Cina odierna, insomma, l'utopia comunista trova piena applicazione secondo le sue più antiche formulazioni. Lo stato cinese infatti non è soltanto il detentore della proprietà, ma, come nella "Città del Sole" di Campanella, anche il sostituto del padre e della madre, a cui spetta il "diritto totale e incondizionato", come scriveva il comunista russo Preobrazenskij, di "intervenire con le sue regole fin nella vita sessuale...". Così la pianificazione quinquennale di Stalin diviene pianificazione rigida sulla famiglia: "Lo stato decide quanti bambini può avere una famiglia e a che distanza di tempo l'uno dall'altro, in base alle esigenze dello sviluppo economico.
Secondo la politica demografica della Cina ogni coppia può avere solo un bambino; in zone rurali una coppia può avere un secondo figlio solo se il primo è femmina; e solo una minoranza nazionale di coppie può avere due figli. Tutte le nascite devono essere approvate in anticipo, in base alle quote assegnate dal governo centrale; i bambini in tutte le aree della nazione devono nascere secondo i numeri imposti per quel dato anno: 'I trasgressori saranno puniti'".
Per comprendere quanta importanza il governo dia al suo controllo sulla salute riproduttiva dei cittadini, basti segnalare alcuni degli slogan in voga nel paese: "Meglio dieci tombe che una nascita fuori piano"; "Una sterilizzazione fa onore a tutta la famiglia"; "Meno bambini, più alberi! Meno bambini, più maialini da fattoria"...
Eppure la politica del figlio unico non è all'origine della dittatura cinese: dal 1949 al 1964, infatti il governo incoraggiò fortemente la crescita della popolazione, in nome della potenza del paese, in perfetta linea con la concezione che le dittature statolatriche hanno della famiglia, come mezzo per la produzione di cittadini, lavoratori, contribuenti e soldati. Dal 1965 al 1978, invece, lo stato fece retromarcia ed incentivò la pianificazione familiare volontaria. Solo nel 1979 si è affermato il controllo demografico obbligatorio, condotto da oltre 500 mila addetti sparsi sul territorio, con poteri immensi.
Ma quali sono le ricadute sociali e umane di una simile politica, che contempla sterilizzazioni forzate di massa, aborti tardivi definiti ipocritamente "parti indotti", e infanticidi? Sarebbe facile immaginarlo ricordando quanto successo nella Russia comunista dopo il 1917, allorché la legalizzazione del divorzio e dell'aborto aveva causato l'aumento esponenziale degli uxoricidi, degli aborti, degli infanticidi e dell'abbandono di bambini negli orfanotrofi, tanto che Stalin aveva dovuto fare parziale marcia indietro per evitare il collasso della struttura sociale e il decremento demografico. Ebbene oggi in Cina la politica del figlio unico porta con sé un rapido "invecchiamento della popolazione", con le inevitabili conseguenze che questo comporterà nel lungo periodo per gli anziani e la loro tutela; un sistematico abbandono di bambini, che dà vita ad un intenso traffico di esseri umani, e l'eccidio delle bambine": "in Cina vi sono 119 neonati ogni 100 neonate mentre la media mondiale è di 107 maschi e 100 femmine". Connesso a quest'ultimo fatto si registrano "un aumento della criminalità" e la crescita di "industrie del sesso" e della prostituzione, quando non si arriva addirittura al rapimento delle donne (migliaia di vietnamite vengono vendute ai cinesi che, rimasti senza connazionali, le comperano come mogli). Vi sono infatti decine di milioni di cinesi "che non possono sposarsi perché le loro potenziali spose sono state uccise o abbandonate alla nascita". A ciò si aggiunga l'incremento continuo del suicidio, di madri che non riescono a sopportare le violenze subite sul loro corpo e sui loro bambini dentro o fuori dal grembo materno: "Infatti, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità la Cina ha la maggior percentuale del mondo di suicidi femminili ed è l'unica nazione dove la maggioranza dei suicidi sono compiuti da donne e non da maschi, come in tutti gli altri paesi. Secondo un reportage della Bbc News, ogni anno in Cina circa 1,5 milioni di donne tentano di suicidarsi e circa 500 al giorno vi riescono". A ciò si aggiungano, per concludere, l'alto tasso di "bambini senza esistenza legale", cioè bambini non "dichiarati", "non registrati dalle famiglie anche a rischio di multe e punizioni, per poter avere un secondo figlio", che dunque vivranno senza possedere alcun diritto riconosciuto; e i bambini abbandonati nei casi di divorzio: "Infatti, quando due coniugi divorziano e desiderano avere un figlio con il nuovo partner, dato che la regola impone di averne soltanto uno, non è raro che abbandonino il primo".

Fonte: Il Foglio, 18 luglio 2009

8 - PER CAPIRE IL CONCILIO VATICANO II BISOGNA LEGGERE IOTA UNUM DI ROMANO AMERIO

Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio, 5 agosto 2009

Fino a ieri introvabile, il capolavoro di Romano Amerio Iota Unum è adesso disponibile in due diverse edizioni uscite a distanza di pochi mesi. La prima ristampa si deve alla casa editrice Fede e Cultura (645 pagine, 40 euro), con prefazione di mons. Luigi Negri e interventi di don Divo Barsotti e del padre Giovanni Cavalcoli. La seconda edizione, per i tipi di Lindau (752 pagine, 29 euro), è curata dal principale discepolo di Amerio, Enrico Maria Radaelli, autore di un’ampia postfazione.
Gli esperti di diritto di autore saranno certamente in grado di spiegare questo singolare caso di concorrenza, che il rapporto qualità-prezzo fa pendere decisamente a favore del testo di Lindau. Noi non possiamo che rallegrarci del duplice evento, che rimuove la coltre di silenzio addensata su uno dei maggiori filosofi italiani del Novecento, da quando, nel 1985, Ricciardi pubblicò la prima edizione di Iota Unum, con il sottotitolo Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. L’opera fu seguita da tre ristampe e tradotta in sei lingue, raggiungendo decine di migliaia di lettori in tutto il mondo, ma venne ignorata dal mondo cattolico ufficiale e dagli stessi avversari chiamati a confronto.
La mole e la ricercatezza stilistica resero più difficile la diffusione del testo, il cui valore non sfuggì però ai più attenti interpreti del nostro tempo, quali Augusto Del Noce. Romano Amerio, nato da padre astigiano a Lugano nel 1905 e morto in questa stessa città, il 16 gennaio 1997, prima di divenire rigoroso analista della crisi postconciliare, fu studioso raffinato di Campanella e di Manzoni. Iota unum apparve nello stesso anno del Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger, che, nella sua celebre intervista a Vittorio Messori, avviava una riflessione sul Concilio Vaticano II, poi culminata nell’altrettanto noto discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, sull’“ermeneutica delle continuità”.
Amerio da parte sua aveva partecipato ai lavori conciliari come “esperto” del vescovo di Lugano, e poi, per un ventennio, aveva seguito accuratamente le vicende ecclesiali, prima di consegnarne a queste pagine la spietata ma oggettiva diagnosi. In Iota unum, egli porta alla luce, con deferente franchezza, le responsabilità delle stesse gerarchie ecclesiastiche per la grave crisi che oggi soffre la Chiesa.
La causa di questa crisi risale, a suo avviso, alla perdita di un principio ultimo e trascendente, che unifica e ordina tutti i valori secondari del mondo, sostituito da «uno pseudoprincipio immanente che rifiuta di trovare fuori del mondo le ragioni del mondo e fuori della vita nel tempo il destino dell’uomo» (§332). La religione dell’immanenza si dissolve nel mondo, incorporandone quella pluralità di valori disconnessi e indipendenti tra loro, che la minano e distruggono dall’interno.
Al cuore del problema sta il rapporto tra Caritas e Veritas, ovvero la necessità di non separare, come è accaduto dopo il Concilio, la carità dalla verità. In questo Amerio anticipa sorprendentemente Benedetto XVI che, nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate, ha ribadito che la carità si radica nella verità, perché «solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta» (n. 3).
Amerio difende i “praembula razionali” della fede contro il fideismo di coloro che vogliono privarla della sua dimensione veritativa. Sul piano logico e gnoseologico, la principale minaccia viene dal “pirronismo”, l’indirizzo scettico degli antichi sofisti oggi riproposto dai “neoterici”, i relativisti che inseguono le “novità” ad ogni costo. «Il fondo dell’attuale smarrimento, mondiale ed ecclesiale – afferma il filosofo di Lugano – è il pirronismo, cioè la negazione della ragione» (§148). Negazione della ragione significa dissolvimento di ogni certezza, e perdita della verità. La “filosofia del dialogo” affermatasi nel postconcilio esprime il passaggio dalla verità alla “ricerca della verità”, un tema di fondo a cui Amerio dedica alcune tra le pagine più felici del suo libro. Per la teologia neoterica, osserva, la nota della fede, anziché la stabilità dell’assenso, è la mobilità della perpetua ricerca.
Tale concezione dinamica della fede deriva dal modernismo, per il quale la fede è funzione del sentimento del divino e le verità concettuali sono mutevoli espressioni di quel sentimento. «La parte erronea di questa concezione sta nel prendere per umiltà una disposizione d’animo che è invece di squisita superbia. Chi infatti alla verità preferisce la ricerca della verità che cosa preferisce? Preferisce il proprio moto soggettivo e l’agitazione vitale dell’io a quel valore per fermarsi nel quale il moto soggettivo gli è dato» (§165).
L’errore per cui si stima più la ricerca che il possesso della verità è una forma dell’indifferentismo e del relativismo contemporaneo. Quello che nell’ordine logico è il pirronismo, nell’ordine metafisico è il “mobilismo”, un carattere della Chiesa conciliare secondo cui tutto è movimento e non c’è nessuna parte del sistema cattolico che non sia in fase di mutazione. Il mobilismo è la mentalità che stima il divenire sopra l’essere, il moto sopra la quiete, l’azione sopra il fine (§157-158). La sistemazione teoretica più compiuta del mobilismo è la filosofia del divenire di Hegel, abbondantemente penetrata nella cultura cattolica e negli atteggiamenti pratici del clero e dei laici. Al mobilismo Amerio contrappone la filosofia tomistica e platonico-aristotelica delle “essenze”.
Nella lettera con cui il 31 agosto 1985 presenta a Del Noce Iota Unum, egli spiega chiaramente il fine per cui lo ha scritto: «difendere le essenze contro il mobilismo e il sincretismo propri dello spirito del secolo». Del Noce gli risponde di ritenere che «quella “restaurazione cattolica” di cui il mondo ha bisogno abbia come problema filosofico ultimo quello dell’ordine delle essenze».
L’essenza, in filosofia, è la specifica identità di ogni cosa. Esiste, anche per la religione cattolica, una essenza propria, che è ciò che la rende immutabile e uguale a sé stessa nel tempo. È impossibile per il cattolicesimo variare nella sua essenza, ma è proprio a questa variazione sostanziale che tendono i “neoterici” del XX secolo. «Tutta la questione circa il presente stato della Chiesa è chiusa in questi termini: è preservata l’essenza del cattolicesimo?» (§318). Solo nella fedeltà a questa immutabile essenza sta la soluzione della crisi epocale che stiamo attraversando.
Non si tratta di «leggere i segni dei tempi», bensì di «leggere i segni dell’eterna volontà, che sono presenti a ogni tempo e stanno in faccia a tutte le generazioni fluenti nei secoli» (§333). Iota Unum si conclude con le parole della Scrittura: «Custos quid de nocte?» («Sentinella, che notizie porti della notte?») (Isaia 21, 11). Questo è in fondo il ruolo svolto da Amerio. Egli ci appare come una sentinella solitaria sullo sfondo di quella battaglia notturna sul mare in tempesta che lo stesso Benedetto XVI ha evocato, descrivendo il clima postconciliare.
Chi desidera conoscere meglio la figura e le tesi di Amerio, oltre a non privarsi dell’altro volume pubblicato da Lindau, "Stat veritas. Seguito a Iota unum" (Torino 2009), può ricorrere al volume di Enrico Maria Radaelli "Romano Amerio. Della verità e dell’amore" (Marco, Cosenza 2005) e agli atti del Convegno di studi svoltosi ad Ancona nel 2007, raccolti con il titolo "Il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa cattolica del XX secolo" (Fede e Cultura, Verona 2008). Chi voglia invece approfondire il tema di Iota Unum, deve integrarne la lettura con l’opera capitale, appena pubblicata, di mons. Brunero Gherardini, "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare" (Casa Mariana editrice, Frigento 2009).

Fonte: Il Foglio, 5 agosto 2009

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