BastaBugie n�208 del 02 settembre 2011

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1 JIM CAVIEZEL: ''INTERPRETARE GESU' NELLA PASSIONE DI CRISTO DI MEL GIBSON HA DISTRUTTO LA MIA CARRIERA''
Dopo l'uscita della pellicola, Hollywood mi ha chiuso le porte in faccia: Mel Gibson mi aveva avvertito, ma non sono pentito, anzi, quella pellicola ha rafforzato la mia fede
Autore: Andrea Alfieri - Fonte: Avvenire
2 SIAMO ADULTI QUANDO DESIDERIAMO CIO' CHE GIA' ABBIAMO
In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione: eppure l'emancipazione femminile prometteva la felicità...
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Bussola Quotidiana
3 ELIMINANDO GHEDDAFI SI E' DISTRUTTO L'UNICO STATO AFRICANO CHE FUNZIONAVA
Certo il leder libico non era un santo, ma siamo sicuri che adesso la situazione sarà migliore? Alcuni dati su cui riflettere
Autore: Giovanni Lazzaretti - Fonte: Amici del Timone di Ferrara
4 I MEDIA DANNO L'ALLARME PER L'URAGANO IRENE, MA AL SOLITO LE INFORMAZIONI SONO DISTORTE PER TERRORIZZARE INUTILMENTE
Il vento ha raggiunto a New York i 100 km/h, ma la Bora a Trieste spira a 80 km/h, con punte di 170 km/h, senza alcun allarme per catastrofe imminente
Autore: Fabio Spina - Fonte: La Bussola Quotidiana
5 CHIESA E ICI: ECCO LE VOMITEVOLI MENZOGNE DEL QUOTIDIANO LA REPUBBLICA E LA MALAFEDE DI BERSANI
Spieghiamo una volta per tutte come mai la Chiesa non gode di nessun privilegio e paga regolarmente ciò che deve
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana
6 FAMIGLIA IN CRISI? LA QUESTIONE NON E' PRINCIPALMENTE ECONOMICA
Con i soldi dello Stato in Svezia in quarant'anni è stata distrutta la famiglia: l'85% delle donne va a lavorare invece che fare la casalinga, ma l'83% vorrebbe stare a casa con i propri figli e non può più farlo
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Settimanale di Padre Pio
7 QUELLO CHE I GIORNALI SPAGNOLI NON HANNO CAPITO DELLA GMG: UN PELLEGRINAGGIO FATTO CON FEDE (CHE SFIDA IL RELATIVISMO DILAGANTE)
Benedetto XVI ha invitato ad adorare Gesù nel Santissimo Sacramento e due milioni di giovani hanno risposto con un silenzio adorante che ha commosso tutti
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: La Bussola Quotidiana
8 LE BUGIE DELLA 194: IN REALTA' L'ABORTO (OLTRE A UCCIDERE UN BAMBINO INNOCENTE) NON TUTELA NEMMENO LA SALUTE DELLE DONNE
L'aborto determina un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna e il proseguimento della gravidanza, invece il parto e la maternità proteggono la salute della donna
Autore: Virginia Lalli - Fonte: BastaBugie
9 IN SVEZIA QUALCUNO RISPARMIERA' IL 20 PER CENTO IN BOLLETTA GRAZIE ALLA MONNEZZA DEL SUD ITALIA
Ecco come gli italiani pagano per liberarsi di un problema che costerebbe molto meno se lo risolvessero in casa loro
Autore: Francesco Saverio Alonzo - Fonte: La Bussola Quotidiana
10 LA PRESA DELLA BASTIGLIA: UNA PAGLIACCIATA PRESA A SIMBOLO DELLA RIVOLUZIONE CHE HA PORTATO LIBERTE', EGALITE', FRATERNITE' (MA SOLO SECONDO I LIBRI DI SCUOLA...)
Messori, il famoso apologeta cattolico, rivela le bufale della storiografia ufficiale
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Pensare la storia
11 OMELIA XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 18,15-20)
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - JIM CAVIEZEL: ''INTERPRETARE GESU' NELLA PASSIONE DI CRISTO DI MEL GIBSON HA DISTRUTTO LA MIA CARRIERA''
Dopo l'uscita della pellicola, Hollywood mi ha chiuso le porte in faccia: Mel Gibson mi aveva avvertito, ma non sono pentito, anzi, quella pellicola ha rafforzato la mia fede
Autore: Andrea Alfieri - Fonte: Avvenire, 6/05/2011

«Interpretare Gesù nel film di Mel Gibson La Passione di Cristo ha distrutto la mia carriera, ma non mi pento affatto di avere accettato. Anzi, quell'occasione ha rafforzato la mia fede».
Parole del protagonista della pellicola, Jim Caviezel. Che ha spiegato al Daily Mail: «Gibson mi aveva avvertito che sarebbe stata dura. E già durante le riprese del film sono stato colpito da un fulmine e mi sono slogato una spalla in una scena della crocifissione. Ma non avevo ancora visto il peggio». Secondo Caviezel, dopo l'uscita de La Passione di Cristo e le polemiche che hanno accompagnato la pellicola, «sempre più persone a Hollywood mi hanno chiuso le porte, lasciandomi fuori. Così, piano piano, mi sono trovato ai margini del cinema. Ero consapevole del fatto che questo sarebbe potuto accadere e non mi pento della scelta che ho fatto. Come cattolico e come attore».
Caviezel, che ha recitato in film come Il conte di Montecristo, Angel Eyes e La sottile linea rossa prima de La Passione di Cristo era una delle stelle nascenti di Hollywood.
«Tutto è cambiato nel 2004, quando molti mass media mi hanno attaccato per avere partecipato al film e la potente Jewish Anti-Defamation League mi ha bollato come anti-semita per avere accettato la parte in una pellicola forte. Gibson mi aveva avvertito anche di questo».
A proposito delle recenti traversie legali e personali di Mel Gibson, Jim Caviezel ha detto che «si tratta di un terribile peccatore, ma proprio perché tale più che delle nostre opinioni sui suoi comportamenti ha bisogno delle nostre preghiere». Poi l'attore corre ad un ricordo molto forte della sua vita: «L'incontro con Giovanni Paolo II nel marzo del 2004: mi ha ricevuto con la mia famiglia in udienza e abbiamo parlato per alcuni minuti.
Quell'esperienza mi ha fatto sentire letteralmente come nelle braccia di Dio. E ha ulteriormente rafforzato la mia fede».
 
Nota di BastaBugie: per approfondimenti sul film "La Passione di Cristo" di Mel Gibson vai a www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=78

Fonte: Avvenire, 6/05/2011

2 - SIAMO ADULTI QUANDO DESIDERIAMO CIO' CHE GIA' ABBIAMO
In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione: eppure l'emancipazione femminile prometteva la felicità...
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Bussola Quotidiana, 08/07/2011

In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione. Prozac e Cipramil vanno via come acqua fresca. Lo riferisce il quotidiano britannico The Independent, citando studi medici.
Ora, non vorrei entrare con la mia rinomata delicatezza da elefante in un ambito tanto privato e delicato come la salute mentale, ma qualche domanda vorrei farmela. Perché le donne? Perché con una frequenza che ha indotto il ministero della salute a parlare di "crisi nazionale"? E perché in un paese che è stato ed è all'avanguardia nella battaglia per l'emancipazione, per la parità dei ruoli di uomo e donna?
Se trentatré donne su cento, che è una cifra esorbitante, devono prendere antidepressivi per andare avanti, siamo autorizzati a pensare che sia un fatto culturale, sociale, di identità collettiva, e non di malattia, perché nessuna malattia può avere un'incidenza tanto alta.
Le femministe diranno come al solito che le donne devono fare troppe cose, tutte da sole, e daranno la colpa agli uomini e allo stato sociale che non le aiutano. La solita solfa. Io però ne ho conosciute di donne che hanno tirato avanti la carretta della famiglia, numerosa magari, in tempo di guerra, magari, con i buoni per il pane e lo zucchero, e il mercato nero, e le scarpe da mettere solo per andare in chiesa. Non ho mai sentito da loro la parola depressione, che ha molto più a che fare con la perdita di senso che con la fatica vera e propria.
Penso piuttosto che possa entrarci il fatto che la donna si è persa, non sa più chi è. Ha perso il bandolo della matassa. Noi donne per secoli siamo state le culle della vita nascente, depositarie di questo fuoco da tenere sempre acceso, di generazione in generazione. Da quando abbiamo cominciato a dire che questo non era abbastanza, e ce ne siamo liberate, vivendo la nostra sessualità in modo emotivo e disordinato, libero da rischi di concepimento (rischio? o miracolosa fortuna, piuttosto?), non sappiamo più da che parte andare. Anche se abbiamo figli, ci teniamo a dire che ci realizziamo anche fuori, e ci sentiamo in dovere di fare tutto, di essere tutto, di vivere troppe vite. Una fatica bestiale, insostenibile. Un continuo, frenetico, insensato multitasking, a volte imposto (e ci sarebbe da ragionare su alcuni meccanismi economici), a volte abbracciato con zelo.
In entrambe le eventualità, comunque, difficilmente l'essere madre, o comunque l'essere accogliente verso la vita, viene vissuta come una profonda, gratificante avventura che consente il dispiego di tutto il nostro genio. "Voglio di più, l'uomo non mi può dominare, costringere a questo". Ma dove li vedranno poi tutti questi maschi dominanti e coercitivi? Io ne vedo tanti persi e disorientati, piuttosto.
E con le dimensioni dell'epidemia di depressione deve entrarci anche il fatto che rimuovendo la croce dal nostro orizzonte esistenziale, tutti – uomini e donne – pensiamo che ogni fatica, difficoltà, sofferenza vada evitata. Da chi non ha Cristo come compagno di strada, cadere e sbucciarsi le ginocchia non viene sentito come un prezzo da pagare per salire un po' più su, ma come una fregatura, dalla quale quindi è meglio svicolare il più possibile. Se una pillola permette di farlo, ben venga.
Non è che noi cattolici siamo cretini, e ci piaccia soffrire. E' che anche alla sofferenza, che neanche a Gesù piaceva (i malati li guariva, mica dava loro un buffetto sulle guance), Lui ha dato un senso. Ed è il senso che fa la differenza.
Quanto a me, lo ammetto, lamentarmi mi piace molto. Lo saprei fare molto bene. Sono creativa, attenta (trovo il pelo nell'uovo), resistente, tenace. Se un'amica ha da fare ne posso sempre chiamare un'altra, non mi arrendo facilmente. Se il lamento diventasse una specialità olimpica punterei al podio. Voglio l'oro nel lamento carpiato, perché posso rigirare il discorso di 360 gradi e giungere a una lamentela, in qualsiasi punto della conversazione mi trovi.
Mi sforzo a volte di non farlo, però, perché ultimamente vedo musi così lunghi, intorno a me, che penso che un'altra lagnanza in più porterebbe il mondo oltre la soglia accettabile di entropia.
E così, a parte il fatto che nonostante i colpi di sole di vari parrucchieri continuo a portare in testa un ratto muschiato (ma lo faccio con disinvoltura), mi faccio andare bene quello che ho.
Il fatto è che siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo. E abbiamo tantissimo, tanti di noi. Quasi tutti, a parte quelli colpiti dalla sofferenza degli innocenti, che è una prova sconvolgente. Eppure non siamo capaci di gioirne. Così mi viene spesso in mente quel banchetto di cui parla il Vangelo: nessuno degli invitati viene alla festa, e allora il padrone di casa comincia a radunare in giro gli scarti, i malati, i poveri, un'accozzaglia di gente che almeno si goda la festa meravigliosa che era preparata per noi.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 08/07/2011

3 - ELIMINANDO GHEDDAFI SI E' DISTRUTTO L'UNICO STATO AFRICANO CHE FUNZIONAVA
Certo il leder libico non era un santo, ma siamo sicuri che adesso la situazione sarà migliore? Alcuni dati su cui riflettere
Autore: Giovanni Lazzaretti - Fonte: Amici del Timone di Ferrara, 07/06/2011

Caro Direttore, le racconto una storia bella e triste.
Fino al 2007 le telecomunicazioni di qualunque tipo in Africa costavano una follia: 500 milioni di dollari che l'Africa pagava ad operatori stranieri per l'uso dei satelliti. Dollari che l'Africa non aveva, e che andavano a incrementare il debito già impagabile dei vari stati.
La cosa paradossale è che un satellite costa 400 milioni di dollari: 400 milioni da pagare una sola volta, a fronte di 500 milioni da pagare ogni anno. Ma i 400 milioni nessuna banca li finanziava, o li finanziava a tassi da usuraio.
Un industriale italiano viene a conoscenza della vicenda e fa un gesto speciale: mette sul tavolo 300 milioni di dollari. 50 milioni li aggiunge la Banca africana di sviluppo, 27 milioni la Banca di sviluppo dell'Africa dell'Ovest. Il satellite RQ1 viene realizzato e lanciato il 26 dicembre 2007. Rivelerà dei problemi tecnici, ma ormai il via è stato dato: arriva nuova tecnologia cinese e russa, partono satelliti di Nigeria, Sud Africa, Angola e Algeria. E il 4 agosto 2010 parte il secondo satellite africano RQ1R (stavolta hanno preteso che il costruttore Thales-Alenia Space partecipasse al finanziamento con il 12%, così si spera che abbia curato al massimo la tecnologia).
L'Africa si è quindi affrancata da questa poco nota colonizzazione delle telecomunicazioni. E lo schivo industriale italiano, quando il suo nome sarà noto al grande pubblico, verrà certamente lodato e sarà citato come esempio dalla società civile e dalla Chiesa.
Storia bella. Ma perché anche storia triste? Perché l'industriale italiano non esiste. I 300 milioni di dollari li aveva messi Gheddafi. E anche nel secondo satellite il Libya Africa Investment Portfolio ci aveva messo il 63%. Lungi da essere citato come esempio, Gheddafi viene citato da pazzo e criminale. E bombardato.
Gli hanno anche congelato i beni, come se fosse il suo "tesoretto" di famiglia. 30 miliardi di dollari della Banca Centrale Libica (di proprietà dello Stato), che dovevano servire alla creazione di tre organismi africani: Banca africana d'investimento (a Sirte, Libia), Fondo monetario africano (Yaoundè, Camerun), Banca centrale africana (Abuja, Nigeria). Insomma, tutto ciò che serviva per rendere l'Africa finanziariamente autonoma.
I soldi "congelati" che fine faranno? Beh, nessuno li ruberà. Si aspetta solo che la benefica coalizione euro-americana vada a "finire il lavoro" (ormai non hanno più pudore neanche nel linguaggio), dopo di che la Banca Centrale Libica (di proprietà dello Stato) non esisterà più, e i beni congelati saranno "restituiti" alla nuova Banca Centrale di Benghazi (di proprietà della finanza internazionale), appositamente costituita dai "ribelli cirenaici". Da qui i miliardi di dollari evaporeranno nella finanza globale.
L'inganno mediatico che ci ha paralizzato il cervello mi stupisce sempre di più. E mi stupisce anche il silenzio del mondo missionario. Sono abbonato a Nigrizia da 25 anni e ricordo bene alcune delle grandi battaglie: nel 2000 la remissione del debito, nel 2003 le bandiere della pace contro la guerra all'Iraq, l'insistenza continua sulla scarsità degli aiuti occidentali allo sviluppo dell'Africa, la campagna contro le "banche armate" (banche che finanziano il commercio di armi).
Ora qui abbiamo un leader che si è proposto come efficiente motore dell'Africa: ha dato lavoro e benessere al suo popolo, e si è dato da fare per il continente. Non "remissione del debito", ma autonomia finanziaria e prestiti a tasso zero o irrisorio. Non "aiuti occidentali", ma sviluppo autonomo africano. E questo progetto geniale e già ben concretizzato viene distrutto dall'occidente con una guerra di aggressione, senza "bandiere della pace", nel silenzio di tutti, anche del mondo missionario.
Perché questo silenzio? Non so darmi una risposta.
Forse perché Gheddafi è mussulmano? Si pensava che l'aiuto all'Africa potesse venire solo da una spinta cristiana?
Forse perché Gheddafi è un dittatore? Si pensava che l'aiuto all'Africa potesse venire solo dalle democrazie?
Forse perché Gheddafi è pazzo? Si pensava che una sana costruzione economico – finanziaria potesse venire solo da gente in giacca e cravatta?
No, una sana costruzione economico – finanziaria può venire solo da qualcuno che sia un po' pazzo, ossia in grado di buttare a mare tutti i luoghi comuni e ripensare le cose da zero.
- L'emissione di denaro deve essere sotto il controllo statale e non bancario.
- E' il lavoro che genera ricchezza, non la finanza. La finanza deve essere a servizio del lavoro.
- Se hai dei disoccupati, inizia a costruire delle opere pubbliche, fino a realizzare la piena occupazione; pagherai il tutto con un po' di inflazione, ma estremamente più bassa di ciò che prevederebbero le teorie economiche in voga.
- Lo Stato non può licenziare i suoi cittadini. O li farà lavorare, o se li troverà come indigenti da mantenere. O da far emigrare in Europa.
- Eccetera.
Gheddafi e il suo contorno di teste pensanti avevano realizzato tutto questo. Forse quando arriverà questa lettera gli amici in giacca e cravatta (quelli che giocano così bene a ping-pong a Londra) avranno già "finito il lavoro".
Nella nostra chiesa si recita spesso la preghiera "per i paesi tormentati dalla guerra". Preghiera giusta, ma sembra quasi passata l'idea che la guerra sia una specie di virus endemico, presente in certe zone e non in altre. In questo periodo sarebbe giusto pregare "perché l'Italia cessi immediatamente ogni partecipazione ai bombardamenti sulla Libia".
Da parte mia dirò un'Ave Maria quotidiana per Gheddafi e per la Libia: che altro posso fare per dissociarmi dalle azioni belliche del mio paese?
Ieri c'era la TV accesa e mi è capitato di vedere Napolitano che parlava sapientemente a una platea di delegati africani a Roma in occasione della Giornata dell'Africa. "[…] Siamo a fianco dell'Africa […] per combattere le malattie, per diffondere l'istruzione, [per] ridurre la povertà". Nobili parole. Si è dimenticato di aggiungere il passaggio finale: "...e quando finalmente ce l'avrete fatta, verremo a bombardarvi". Eh già. Si è dimenticato Napolitano che in Libia le malattie erano vinte, l'istruzione era gratuita e diffusa, e la povertà era diventata benessere?
Mi piacerebbe poter chiudere dicendo che questa vicenda libica è la Caporetto dell'intera informazione occidentale. Purtroppo non è così. E' stata la Caporetto della verità, ma il sistema dell'informazione, uniformato a un pensiero unico come mai si era visto in passato, rimarrà lì, intatto e soddisfatto. Anche i giornali infatti hanno ben collaborato a "finire il lavoro".
"Ma se non si può fare nulla, perché continui a perdere il sonno e ad arrabattarti con queste questioni?".
Perché per un cattolico dire la verità è un obbligo, non è facoltativo. Parafrasando don Milani, "se non salveremo la Libia, non ci salveremo almeno l'anima".

Fonte: Amici del Timone di Ferrara, 07/06/2011

4 - I MEDIA DANNO L'ALLARME PER L'URAGANO IRENE, MA AL SOLITO LE INFORMAZIONI SONO DISTORTE PER TERRORIZZARE INUTILMENTE
Il vento ha raggiunto a New York i 100 km/h, ma la Bora a Trieste spira a 80 km/h, con punte di 170 km/h, senza alcun allarme per catastrofe imminente
Autore: Fabio Spina - Fonte: La Bussola Quotidiana, 30-08-2011

"Non avevamo idea di cosa fosse un uragano e, incollate alle tv, abbiamo seguito tutte le indicazioni istituzionali – dicono –: abbiamo fatto le file al supermercato per le scorte di cibo, acqua, pile elettriche e candele, abbiamo preparato lo zaino di emergenza, abbiamo cercato per quanto possibile di tranquillizzare i nostri genitori oltreoceano, anche se le prime ad essere terrorizzate eravamo noi. I media, soprattutto quelli italiani, prospettavano scenari apocalittici – proseguono -, si diceva che la città era impreparata all'uragano e dovevamo aspettarci il peggio. Quale fosse questo 'peggio', poi, non era chiaro".
Questa la descrizione testuale dell'esperienza appena passata da due turiste italiane a New York, che finiscono affermando: "Gli ultimi tre giorni sono stati davvero surreali – concludono Natalia e Valentina -. Da un lato c'erano le comunicazioni istituzionali per prepararsi ad affrontare la calamità, dall'altro le notizie riportate da alcuni media che, soprattutto in Italia, secondo noi hanno solo alimentato il panico. Tra quello che abbiamo vissuto e quello che abbiamo letto c'è un abisso, ma la cosa più importante, ora, è che il peggio sia passato".
Ora che il peggio è passato sembra opportuno analizzare alcune cose lette sui cosiddetti mezzi d'informazione che hanno visto l'occasione per cercare ascolti e vendite utilizzando un filone catastrofista, detto da alcuni "pornografia climatica", che dopo il cinema sembra aver fatto breccia nei telegiornali.
L'arrivo di un uragano su New York è un evento raro ma non unico, in passato sulla città sono giunti uragani molto più intensi di Irene, che quando ha fatto sentire i suoi effetti sulla Grande mela era "ridotto" a sola tempesta tropicale. Dal XVII secolo ad oggi, l'area metropolitana è stata investita da ben 84 uragani tropicali. Il primo fenomeno intenso del tipo uragano che rilevò quello che allora era solo una piccola colonia dell'impero britannico avvenne il 25 Agosto 1635, ma le ricerche paleoclimatologiche hanno rilevato gli effetti di un uragano molto intenso che colpì la zona tra il 1278 e 1438. Dei recenti il più intenso è probabilmente quello del 1938 con Categoria 3. Fu rovinoso anche quello del 21 settembre 1821, che ripete dopo pochi anni la famosa "Great September Gale of 1815" (all'epoca il termine uragano non era ancora usato). Quello del 21 settembre 1938, detto  The Long Island Express per la velocità eccezionale in cui viaggiava, 80 km/h, sconvolse la morfologia della costa di Long Island. In totale causò 600 vittime e tutta l'area fu interessata da venti eccezionali, piogge torrenziali e un'alta onda di tempesta. Il conoscere che l'arrivo di uragani in quest'area è un evento storico, che questi talvolta si spinsero fino in Canada, avrebbe dovuto scoraggiare facili ed inutili connessioni tra Irene e l'eccezionalità dell'attuale riscaldamento del pianeta.
In ogni caso le previsioni dell'arrivo dell'occhio dell'uragano sulla città avevano una probabilità del 10%, mentre per il restante 90% gli scenari erano meno catastrofici. Visto che la paura spesso serve più a creare confusione ed a bloccare che a far agire con buon senso, pur preparandosi al peggio non sarebbe stato meglio informare correttamente i lettori dei quotidiani?
Per quanto riguarda il vento la sua intensità ha raggiunto i 100 km/h, certamente molto intenso ma forse si può avere un termine di paragone pensando che contemporaneamente la Bora a Trieste spirava a 80 km/h senza alcuna allarme per catastrofe imminente. Quest'anno su Trieste si sono toccate punte di vento di 170 km/h. Stiamo parlando di punte di vento eccezionali, che non renderebbero possibili dirette televisive in quanto il cronista sarebbe spazzato via insieme con gli alberi circostanti.
Gli effetti peggiori dell'uragano generalmente sono vicino la costa, quando viene dal mare, in quanto spinge davanti a se un'onda che può danneggiare pesantemente la zona interessata. Nel classificare l'intensità dell'Uragano nelle 5 categorie previste dalla scala Saffir-Simpson si tiene conto di tre grandezze: massima velocità del vento, minima pressione atmosferica ed altezza dell'onda. Nel caso l'uragano Irene avesse mantenuto la categoria 1 si trattava di un'onda dell'ordine di 1-1.7 m; ma come sappiamo Irene poi ha perso potenza trasformandosi in tempesta. Tali valori dell'onda sono preoccupanti, ma niente a che vedere con l'arrivo dello Tsunami alto 13 metri dato come molto probabile su alcuni telegiornali, mentre la voce del giornalista era accompagnata dalle immagini di "the day after tomorrow" in cui l'acqua sommergeva anche la Statua della Libertà.
Quando si è parlato dello spegnimento delle due centrali nucleari per il passaggio di Irene su almeno dieci che Irene ha incontrato lungo la sua traiettoria - un impianto nel New Jersey e di un altro impianto in Maryland - poche volte si è precisato che nel caso dell'impianto di Exelon's Oyster Creek in New Jersey si è anticipata una chiusura già prevista della centrale per lavori di manutenzione. Per l'altra centrale nucleare di Calvert Cliffs in Mayrland, si è avviata per sicurezza la procedura per il "shut down", il blocco temporaneo della centrale. Tutti i dipendenti starebbero bene. Non ci sarebbero immediati pericoli, afferma la società che gestisce la centrale.
I raffronti tra Irene e l'uragano Katrina sono stati a dir poco sommari: Katrina aveva raggiunto la massima categoria 5, molto maggiore dell'intensità di Irene (nonostante questa venisse detta l'uragano "mostro" più potente della storia). Non è vero che a New York si è prevenuto mentre nel 2005 c'era stata trascuratezza. A New Orleans fu fatta un'evacuazione molto più consistente di New York, si parla di circa 1,2 milioni di persone contro le 370.000 di New York. I danni e le vittime a New Orleans non avvennero per effetto diretto di Katrina: dopo il suo passaggio per i pochi effetti iniziarono le polemiche sulla non necessità delle misure d'emergenza. Ma dopo poche ore cedette una delle dighe che circonda la città, e purtroppo New Orleans è sotto il livello del mare di ben 8 metri. La trascuratezza ci fu nel mantenere le infrastrutture, non nel gestire l'emergenza. (...)

Fonte: La Bussola Quotidiana, 30-08-2011

5 - CHIESA E ICI: ECCO LE VOMITEVOLI MENZOGNE DEL QUOTIDIANO LA REPUBBLICA E LA MALAFEDE DI BERSANI
Spieghiamo una volta per tutte come mai la Chiesa non gode di nessun privilegio e paga regolarmente ciò che deve
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

Ora scende in campo anche Pier Luigi Bersani, il quale dà l'impressione di leggere solo la Repubblica e chiede anche lui che la Chiesa paghi l'ICI per le sue attività "commerciali". Il fatto è che sulle attività davvero commerciali l'ICI la Chiesa la paga già. Se invece si vogliono far passare per commerciali le attività delle case di esercizi spirituali o delle colonie per handicappati, si usano le parole a sproposito per un semplice esercizio di anticlericalismo demagogico.
Bersani dovrebbe ripassare un po' di storia. La Bussola Quotidiana l'ha già presentata, ma - come si dice - repetita iuvant. L'ICI è stata introdotta nel 1992, esentando dal suo pagamento gli enti non commerciali. Fino al 2004 questa esenzione - di cui non beneficiava solo la Chiesa Cattolica, ma tutto il vasto mondo no profit, compreso quello che faceva capo al partito di Bersani - ha sollevato un contenzioso relativamente modesto. Infatti, che cosa sia un ente non commerciale è chiaro: è un ente che non distribuisce utili, dunque su cui nessuno "guadagna" e che in caso di scioglimento destina il suo eventuale attivo residuo a fini di pubblica utilità.
Nel 2004 una sentenza della Cassazione - relativa a un immobile di proprietà di un istituto religioso utilizzato come casa di cura e pensionato per studentesse - ha affermato che per beneficiare dell'esenzione sono necessari tre requisiti. Primo: l'immobile è utilizzato da un ente non commerciale. Secondo: l'immobile è totalmente destinato ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative o sportive. Terzo: queste attività non devono essere svolte «in forma di attività commerciale».
I primi due requisiti ripetono semplicemente quanto afferma l'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992. Il terzo rappresenta uno dei tanti esempi italiani di attivismo giudiziario e di fatto apre un contenzioso infinito: come si fa a svolgere un'attività assistenziale, didattica o così via in forma non commerciale? Significa non far pagare gli utenti? O farli pagare un prezzo che copre i soli costi, o comunque inferiore a quello di mercato? Alcuni giudici cominciarono a sostenere che qualunque forma di richiesta di un corrispettivo per un corso, un soggiorno, un'assistenza sanitaria - anche se domandata da un ente senza fini di lucro - trasformava l'attività in una «svolta in forma commerciale» e faceva venire meno l'esenzione dall'ICI.
Era evidente che questa interpretazione sovvertiva l'intento del legislatore di esentare dall'ICI gli immobili utilizzati per attività non lucrative e al servizio del bene comune, da chiunque svolte e non solo dalla Chiesa. Pertanto nel 2005 l'articolo 7, comma 2-bis del D.L. 203/2005 tornava alla situazione anteriore alla sentenza della Cassazione e stabiliva che dei tre requisiti di quella sentenza solo i primi due rilevavano per l'esenzione dall'ICI. A quel punto, però, gli anticlericali avevano già messo nel mirino la Chiesa Cattolica, presunta principale beneficiaria della norma che fu impugnata persino di fronte alla Commissione Europea, in quanto avrebbe determinato una distorsione della concorrenza a favore degli enti religiosi rispetto ad altri che offrissero analoghi servizi. Tra parentesi, la Commissione Europea ha archiviato due volte le procedure contro l'Italia sul punto ma è ripartita nel 2010, su sollecitazione dei soliti noti.
Nel 2006, anche per rispondere ai rilievi europei, fu emanata una seconda legge interpretativa, il D.L. 223/2006, la quale precisò che l'esenzione ICI si applica agli enti commerciali che svolgono una o più delle otto attività esenti secondo la legge del 1992 - assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative o sportive - «in modo non esclusivamente commerciale». Consapevole della difficoltà d'interpretare quest'ultima espressione il governo istituì presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze una commissione mista di rappresentanti del Ministero, dell'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia, della Conferenza Episcopale Italiana e dell'Agenzia per le Onlus incaricata di precisare i criteri in base ai quali un'attività può essere esercitata «in modo non esclusivamente commerciale».
Ci sono certamente casi dubbi, ma alcuni principi sono chiari. La grande bugia, che il quotidiano la Repubblica - incautamente seguito da altri - diffonde da anni è che la Chiesa non paga l'ICI sulle sue librerie, alberghi, ristoranti o alloggi dati in affitto a terzi per incassare il canone. Queste sono evidentemente attività esercitate in modo «esclusivamente commerciale», e i relativi immobili pagano l'ICI.
Ma – ha scritto ripetutamente la Repubblica – basta la presenza di una cappellina per trasformare un albergo a cinque stelle in una «casa religiosa» che non paga l'ICI. A parte che gli esempi addotti da la Repubblica, che continua a citarli senza correggersi e chiedere scusa, sono spesso fasulli - per esempio, la foresteria dell'abbazia di Chiaravalle non è un «cinque stelle» e chi si ferma a pernottarvi per un ritiro non  paga trecento euro, come ha scritto il quotidiano laicista, ma trenta - è vero precisamente il contrario. Se si tratta di un albergo che opera secondo i normali canoni commerciali, paga l'ICI anche se è di proprietà della Chiesa e se ha una cappellina. Anzi, paga l'ICI anche sui metri quadrati della cappellina, che diversamente sarebbero esentati trattandosi di edificio di culto.
Ma se gli alberghi di proprietà della Chiesa pagano l'ICI, che cos'è l'attività «ricettiva» che è elencata dalla famosa norma del 1992 come una delle otto che dà diritto all'esenzione? La questione non è misteriosa, ed è precisata sia da norme nazionali sia regionali. Gli alberghi non sono le sole strutture «ricettive». Un ospedale, un convalescenziario, un rifugio per ragazze madri svolgono attività «ricettiva», nel senso che «ricevono» persone e le tengono a dormire per la notte, ma non sono alberghi. Una normativa molto minuta si sforza di precisare i casi limite: colonie per ragazzi disagiati, case per ferie per anziani, case di accoglienza situate vicino agli ospedali per parenti dei malati, pensionati per studenti universitari fuori sede, case religiose che accolgono temporaneamente fedeli per ritiri, esercizi spirituali o attività culturali. Tutti questi non sono alberghi. Esistono zone grigie o abusi? Certamente, e a questo serve la commissione e, dove necessario, servono gli accertamenti dei comuni quando sospettano che qualcuno «faccia il furbo» e travesta da colonia per ragazzi poveri o disabili un albergo, e cui non mancano gli strumenti amministrativi per intervenire.
Ma il diritto insegna che l'abuso non toglie l'uso. Se un'associazione religiosa al solo scopo di non pagare l'ICI presenta come casa per ritiri spirituali una pensione per le vacanze, è giusto che sia colpita. Ma questo non significa che non esistano vere case per ritiri spirituali, e veri immobili che offrono ai più poveri servizi che nessun altro è disposto a prestare. Si vogliono far chiudere tante case per anziani, per ragazze madri, per tossicodipendenti sulla via del recupero gestite da enti religiosi vessandoli con tasse sul valore degli immobili che probabilmente non potranno pagare? Bersani lo dica chiaramente ai suoi elettori, ma spieghi loro anche che per farsi carico di questi bisogni lo Stato - che notoriamente in queste aree è meno efficiente della Chiesa - dovrà poi spendere di più di quanto avrà recuperato sotto forma di ICI.
Si dimenticano, poi, due altri punti. L'ICI non è l'unica tassa. Anche se l'edificio non paga l'ICI, se in questo si svolgono attività commerciali restano in vigore gli obblighi di fatturazione e si pagano regolarmente tutte le altre tasse. E le famose otto esenzioni non riguardano solo la Chiesa. Anzi, il contenzioso che va a colpire un falso no profit che maschera attività davvero commerciali riguarda molto più spesso enti non religiosi ma politici, sportivi e più o meno sedicenti culturali. Compresi alcuni vicini all'area politica dell'onorevole Bersani.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

6 - FAMIGLIA IN CRISI? LA QUESTIONE NON E' PRINCIPALMENTE ECONOMICA
Con i soldi dello Stato in Svezia in quarant'anni è stata distrutta la famiglia: l'85% delle donne va a lavorare invece che fare la casalinga, ma l'83% vorrebbe stare a casa con i propri figli e non può più farlo
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, 29/05/2011

Caro amico ateo, ti ricordi a quanti matrimoni si era invitati in questo periodo dell'anno fino a qualche tempo fa? Maggio e giugno erano i mesi delle spose. Ma adesso non è più così. I giovani si sposano sempre meno, molti decidono di convivere e ancor di più preferiscono starsene per conto proprio o in casa con i genitori.
Si dice che tutto questo dipenda dall'incertezza economica, ma ne siamo proprio sicuri? Anche tu pensi veramente che basterebbe un tesoretto da mille o duemila euro l'anno per convincere gli italiani a fare più figli, a essere più famiglia? Perché pare questo il succo del dibattito di questi anni e, secondo gli esperti, la famiglia se la vedrebbe male, nell'ordine, a causa della crisi degli alloggi, dei tassi sui mutui, dei contratti di lavoro a termine, della tassazione elevata, del costo degli asili nido, del costo dei libri scolastici, del costo dei pannolini, dell'esosità delle badanti e via discorrendo.
Ci piacerebbe sapere quanti giovani, potendo contare su un tesoretto che mettesse rimedio a questa debacle economica, deciderebbero di sposarsi, di mettere al mondo dei figli e di rimanere insieme per tutta la vita. Come ben sai, noi non siamo dei pauperisti che non tengono nel giusto conto le questioni economiche. Abbiamo famiglia, abbiamo moglie e figli e sappiamo bene che cosa significhi anche sul piano delle finanze. Ma sappiamo che metter su famiglia richiede anche altro: ben altro.
Purtroppo, l'idea che basta un poco di soldi e la voglia di famiglia riprenderà quota è diventata merce comune anche tra molti cattolici secondo i quali deve pensare a tutto lo Stato. Ben vengano gli aiuti alle famiglie, specialmente quelle giovani, ben vengano le politiche sociali che sostengono il legittimo matrimonio tra un uomo e una donna che intendono avere figli. Ma, lo chiediamo anche a te caro amico, la famiglia ha veramente bisogno innanzitutto di soldi dello Stato? Non sarà che in questa società opulenta non ci si sposa più, non si fanno più figli e non si sta più insieme per sempre perché non si crede più in niente? Non sarà che la famiglia ha bisogno di valori in cui credere per riuscire a guardare avanti con generosità? Non sarà che si è troppo concentrati sul proprio ombelico per guardare negli occhi il prossimo e per ricordarsi di Dio?
I nostri nonni avevano magari dieci o quindici figli, ma non li avevano messi al mondo con il miraggio del tesoretto procuratogli dallo Stato. Li avevano messi al mondo per la certezza della loro fede. E se qualcuno moriva, come capitava con una certa frequenza, erano convinti di avere un angioletto in più in Paradiso. Erano dei buoni cattolici e, quindi, dei buoni cittadini che si prendevano sulle spalle la loro quota di responsabilità sociale. Altro che sicurezza sul tasso di sconto e mutuo agevolato.
Nessuno vuole mettere in discussione che servono anche aiuti economici, soprattutto a beneficio di quelle molte famiglie che ogni giorno che Dio manda in terra lavorano per il bene comune, e quindi per lo Stato. Ma come si può pensare che i soldi siano la soluzione di ogni problema? Guardiamo nelle nostre case e osserviamo con attenzione i nostri figli, che a quarant'anni suonati si chiamano ancora ragazzi. Siamo sinceri: quanti di loro, pur avendo il minimo indispensabile per mettere su famiglia, preferiscono restare nella cuccia calda con mami e papi? Tanti, troppi. Essere dei buoni cittadini, e magari dei buoni cattolici, significa anche rischiare, scommettere la vita su un impegno grande. Oggi, se non c'è l'appartamento arredato, se non avanzano soldi per la vacanza esotica, due ragazzi di quarant'anni mica si possono sposare. Sono costretti, poverini, a convivere.
Brutto discorso, lo ammettiamo, nel quale si dovrebbe parlare di sacrificio, impegno, generosità, altruismo, fede. Tutta roba sorpassata. Eppure funzionava, e non solo per i cattolici. Anche fior di anticlericali incarnavano quei valori. Ci fosse ancora la grandezza, la statura umana e morale di certi mangiapreti in questa Repubblica fondata sull'happy hour.
Ma non ci sono più grandi mangiapreti forse perché si sono fatti merce rara i grandi preti. Certo, non bisogna generalizzare, ma quel clero che formava cittadini seri formando cattolici seri ha subito una crisi drammatica negli ultimi quarant'anni. Per fortuna, ce ne sono ancora di capaci di rimettere con i piedi per terra e la testa in Cielo un uomo che quarant'anni di religione ridotta a sociologia protomarxista aveva capovolto. Andate nelle chiese di questi sacerdoti: le troverete piene di genitori con tanti bambini piccoli. Ci sarà un motivo.
E, invece, un sacco di cattolici si riduce a fare i conti sulle briciole del tesoretto buttato sotto il tavolo dal governo di turno. Chiedono più intervento dello Stato e non sanno che se c'è una realtà dalla quale lo Stato deve rimanere fuori è proprio la famiglia. In Svezia, proprio applicando questa teoria, in quarant'anni è stata distrutta la famiglia. L'85% delle donne ha potuto andare a lavorare invece che fare la casalinga. Peccato che ora l'83% delle donne vorrebbe stare a casa con i propri figli, ma non può più farlo. E, oltretutto, troverebbe la casa vuota.
Caro amico ateo, che cosa dici di unirti alla nostra richiesta di essere lasciati in pace da uno Stato che scambia il benessere della famiglia con la crescita del PIL? Che ci lascino continuare a credere in qualche cosa di grande. La cosa migliore che uno Stato può fare per le famiglie è quella di non fare danni. Ci lascino educare i nostri figli in santa pace. Non spendano soldi per insegnare ai nostri ragazzi che le droghe leggere non fanno male, che gay è bello, che cambiare ragazza ogni sera va benone, purché si prendano le dovute precauzioni. Ecco, con questo gli abbiamo pure dato qualche idea per risparmiare un po' di danaro dei contribuenti. Altro che tesoretto.

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, 29/05/2011

7 - QUELLO CHE I GIORNALI SPAGNOLI NON HANNO CAPITO DELLA GMG: UN PELLEGRINAGGIO FATTO CON FEDE (CHE SFIDA IL RELATIVISMO DILAGANTE)
Benedetto XVI ha invitato ad adorare Gesù nel Santissimo Sacramento e due milioni di giovani hanno risposto con un silenzio adorante che ha commosso tutti
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 24/08/2011

"Cosa è stata la Gmg di Madrid? Cosa avete fatto?". Ho pensato più volte a come rispondere alle domande che mi avrebbero fatto parenti e amici al ritorno da Madrid, dove sono stato dal 15 al 21 agosto insieme a 30 ragazzi. Rispondere è molto difficile, ma penso sia opportuno raccontare una esperienza indimenticabile, e forse, in verità, indescrivibile.
Madrid, è stata anzitutto, dicevo al telefono a mia moglie, un "delirio": ore e ore di viaggio, con l'aereo o con il pulman, per italiani, asiatici, americani, australiani... Al termine delle quali si approdava in un'immensa città in cui per sette giorni abbiamo vissuto tutti "gomito a gomito" con migliaia e migliaia di connazionali e di stranieri. Condividendo i bagni, ridotti spesso a latrine, le docce, e le interminabili file per raggiungerli; condividendo la caccia a un ristorante dove mangiare, magari dopo un'ora o più di coda; provando la stessa sete, sotto un sole agostano sempre abbacinante e implacabile.
Non sto raccontando i contorni, come si potrebbe credere, ma una parte sostanziale della Gmg. Prima dei catechismi, delle messe, delle preghiere, la Gmg è stata tutto questo: un immenso esercizio alla pazienza, alla condivisione, alla fatica. Pellegrinaggio, infatti, è, da sempre nella storia, sinonimo di sacrificio: i pellegrini sono coloro che vogliono raggiungere una meta, lontana, difficile, ma per cui vale la pena partire. Sono persone che lasciano tutto ciò che hanno, il conforto delle loro case, la vita agiata e sicura di ogni giorno, per un qualcosa di più, che però non è gratis, né immediato.
Personalmente, in questi sette giorni di preparazione e di attesa per l'incontro col Papa, ho visto i miei ragazzi, alcuni dei quali, magari, un po' viziati come siamo tutti noi europei di oggi, stringere i denti, aiutarsi l'un l'altro, obbedire senza lamentarsi, fare interminabili file sotto il sole senza maledire nessuno. Perdonandosi volentieri a vicenda per questa o quella mancanza.
Ricordo una cena all'una di notte, un'altra alle due, perché prima era stato impossibile raggiungere un qualsiasi locale; bagni sognati, ma introvabili; docce raggiunte dopo code interminabili, eppure gelide; ricordo un po' d'acqua, anche calda, cercata con l'avidità dei beduini nel deserto; oppure ragazze a terra, sfinite dal sole, e gli amici intorno, a dar loro acqua, a sventolare giornali e ventagli. Ricordo camerate con migliaia di persone, afose e, diciamolo, puzzolenti, in cui non è mai (o quasi) sparito un oggetto, in cui non c'è mai stato un attimo di vera tensione.
Ecco, questo era il contorno alla vita di migliaia e migliaia di giovani che ogni mattina si spostavano - dopo aver passato la notte in grandi dormitori, per terra -, per raggiungere un luogo, costipato sino all'inverosimile, in cui avrebbero ascoltato un vescovo o un predicatore. Il tutto senza scenate, stringendo i denti, tirando fuori il meglio, nelle condizioni peggiori. Sino alla sera della veglia, il sabato 20: dopo anche otto ore ad attendere al sole, finalmente l'arrivo del Papa, il tempo di emozionarsi un po' e poi, subito dopo, un vento potente e la pioggia pungente...
Mentre il Papa parlava, anche lui stupito di quella immensa folla sconfinata, i pellegrini lanciavano sguardi ai sacchi a pelo bagnati, comprendendo che un'altra notte sarebbe passata senza quasi dormire. Ridere o piangere? Molti hanno iniziato a cantare, altri a ridere, altri ad abbracciarsi di fronte all'ennesima difficoltà. Pronti, però, a inginocchiarsi, in più di due milioni di persone, contemporaneamente, per adorare Cristo Eucaristia al canto del Tantum Ergo, in un perfetto, incredibile silenzio, rotto qua e là solo dal passare di un'ambulanza che andava a accogliere l'ennesima persona crollata a terra per la fatica.
In quel silenzio, in quell'atmosfera incredibile, il senso del Mistero si è fatto presente, con una forza inaudita. Lì, tra milioni di persone, di tende, di bandiere colorate, di anime tese e vibranti. In mezzo a quel silenzio quasi irreale. Ammoniva madre Tersa di Calcutta: «Il frutto del silenzio è la preghiera; il frutto della preghiera, la fede; il frutto della fede, l'amore».
Sì, a Madrid c'è stata anche tanta preghiera. Così tanta, che proprio non me la aspettavo. Pensavo che avrei sicuramente visto tanti giovani ardenti, ma anche tanta promiscuità, tanta voglia di fare solo "casino", come avviene nei raduni di massa dei concerti o dei moderni baccanali pagani, a base di alcol e dissipazione. Invece ho negli occhi ragazzi e ragazze vicini, accanto, per ore, capaci di parlare, pregare, cantare, magari riposare un attimo, sempre con uno spirito buono, semplice, con stile cristiano.
Il Papa, certamente, ha aiutato. Ha voluto, infatti, celebrazioni sobrie, con tanto latino, la lingua della chiesa, sacrale ed universale; ha ridotto al minimo lo spazio per gli applausi alla sua stessa persona; ha caldeggiato svariati momenti di preghiera e di adorazione eucaristica, sia durante la veglia che in tutti i giorni della settimana.
Soprattutto Benedetto XVI ha voluto che si dedicasse tanto tempo a un sacramento essenziale, ma piuttosto dimenticato anche dai cattolici: la confessione. Nel Parco del Buon Ritiro, duecento confessionali disposti in due lunghe file, sono stati sempre a disposizione dei pellegrini. Ho visto persone piangere, come liberate, grazie al sacramento della penitenza, dal male che sentivano dentro; ho visto confessarsi persone che non lo facevano più da anni; ho visto volti assorti, nel silenzio e nella contemplazione. Volti belli, sereni, illuminati dal sorriso e dalla compunzione.
Ho visto migliaia di giovani inginocchiati, umilmente, a implorare il perdono e ad assaporare l'immensa Misericordia di Dio, pronta sempre ad abbracciare il peccatore pentito. Memori, i più fortunati, di una strepitosa catechesi del cardinal Angelo Bagnasco, in cui ci aveva ricordato che esiste il peccato, che il relativismo separa e divide, mentre la verità unisce; che la gioventù sta nel cuore e non negli anni; che la "vecchiaia vera" è quella del peccato e del rifiuto di Dio…
A Madrid, insomma, ho notato una attenzione nuova ai sacramenti fondamentali della vita cristiana, Eucaristia e confessione; ho sentito parole forti, e giovani contenti di ascoltarle; ho visto ragazzi e ragazze di tutti i paesi del mondo sentirsi uniti dalla fede, nonostante le differenze di paese, di cultura, di colore, di lingua; ho osservato sacerdoti e religiosi portare con orgoglio il proprio abito; ho ammirato giovani pregare ad alta voce nei ristoranti, prima di mangiare, senza vergogna; ho visto 28mila volontari per lo più spagnoli dare ogni attimo delle loro giornate, gratuitamente, per indicare una strada, per segnalare una via...
Accanto a tutte queste cose belle, non posso non rilevare alcune pecche. Anzitutto la disorganizzazione, soprattutto l'ultimo giorno, quando oltre due milioni di persone si sono trovate spesso senza acqua, sotto un sole cocente. Penso sia inevitabile notare che l'incapacità degli organizzatori di affrontare un sì grande oceano di folla, sia stata dovuta anche alla sorda ostilità del governo Zapatero, fieramente deciso a boicottare l'evento (come è chiaro se si pensa ad esempio che le forze dell'ordine in un aeroporto che conteneva oltre due milioni di persone erano alcune decine, cioè quelle che nel nostro paese si mandano fuori da un palazzetto dello sport durante una partitella di pallavolo).
La seconda nota stonata sono stati i manifestanti cosiddetti "laici", intolleranti e violenti, che hanno insultato, sputacchiato, oltraggiato centinaia di pellegrini, compresi adolescenti intimoriti e spaventati, incapaci di comprendere il motivo di tanto odio. A tener bordone a questi scalmanati, le paginate piene di bile e di rancore del quotidiano di sinistra El Pais, volgare nei suoi titoli, nelle sue cronache, nei suoi commenti, nelle sue banalizzazioni e falsificazioni, come neanche la Repubblica, in Italia, riesce a essere.
Ma a ben vedere anche questo, anche l'ostilità di Zapatero, dei giornali e degli indignados "laici", hanno avuto il loro significato: ci hanno ricordato che non sono mai mancati i nemici di Cristo. Anche lui è stato sputacchiato ed insultato. Esserlo oggi, significa, forse, aver ritrovato un po' di quel sale che rende la Fede più saporita, più vigorosa, più capace di essere segno di contraddizione e pungolo per tutti.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 24/08/2011

8 - LE BUGIE DELLA 194: IN REALTA' L'ABORTO (OLTRE A UCCIDERE UN BAMBINO INNOCENTE) NON TUTELA NEMMENO LA SALUTE DELLE DONNE
L'aborto determina un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna e il proseguimento della gravidanza, invece il parto e la maternità proteggono la salute della donna
Autore: Virginia Lalli - Fonte: BastaBugie, 31/08/2011

Art. 4 della L. 194: "Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica…" e ancora l'art. 6: "L'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: lettera b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna".
Insomma gli articoli sopracitati della 194 lascerebbero intendere che con l'aborto la salute della donna può solo migliorare, quasi come l'aborto fosse una cura medica.
E'evidente che il legislatore ha agganciato la legge 194 a un diritto fondamentale: il diritto alla salute sancito dall'art. 32 della Costituzione. Tale riferimento tuttavia non ha alcun fondamento scientifico.
Allora al di là di quanto affermato dalla L.194 andiamo a considerare la realtà del vissuto delle donne così come si è verificata in oltre trenta anni di L.194 ovvero quali risultati ha prodotto l'aborto legale sulla salute fisica e psichica delle donne.
Dalla relazione 2011 del ministro della salute sulla attuazione della legge 194/78  sotto la voce  "complicanze immediate dell'IVG" si legge: "Nel 2009  sono state registrate 3.9 complicanze per 1000 IVG senza distinzione sulle procedure. La complicanza più frequente risulta essere l'emorragia". Che non è poco come rischio ma se è per la "salute"....
Allora passiamo alle "complicanze nel lungo periodo dopo l'IVG" che la relazione del ministero non menziona. Sul piano psicologico il post-aborto è molto drammatico con effetti destabilizzanti per la psiche delle donne che spesso devono ricorrere a rimedi psichiatrici.
La psicologa Cinzia Baccaglini nel suo saggio nel libro: "L'aborto e i suoi retroscena" ha scritto: " Un altro studio rivela che anche quattro anni dopo aver abortito, il tasso di ricorso alla psichiatria rimane del 67% più alto rispetto a quello delle donne che non hanno abortito. Secondo l'Archives of Women's Mental Health, nel 2001, le donne che hanno abortito risultano aver sviluppato in maggior misura reazioni di aggiustamento, psicosi depressive e disturbi neurologici e bipolari. Anche il rischio di depressione o psicosi post-parto per le nascite desiderate è maggiore per le donne che avevano precedentemente abortito. Per una media di otto anni successivi all'aborto, le donne sposate hanno presentato disturbi vari  riguardanti la vita sessuale e una propensione a cadere in depressione clinica del 138% superiore rispetto alle corrispondenti donne che avevano portato avanti la loro gravidanza indesiderata. Questo secondo il British Medical Journal del 19 gennaio del 2002. Riguardo il problema dell'alcol e della tossicodipendenza, le donne che hanno abortito risultano essere 4,5 volte più esposte a tali pratiche nell'affrontare il loro contrasto e dolore interiore".
Inoltre dal sito www.uccronline.it/.../il-legame-tra-aborto-e-cancro-al-seno-ha-ucciso-300-mila-donne-negli-usa/ :La letteratura scientifica medica ha scoperto un nesso tra aborto e cancro al seno. Negli ultimi 21 mesi 4 studi epidemiologici hanno confermato ciò. Tra questi vi è un importante studio realizzato da Louise Brinton, ricercatrice del National Cancer Institute.
Il docente di biologia ed endocrinologia del Baruch College di New York, Joel Brind, tra i massimi esperti al mondo di cancro al seno ha affermato in un articolo del 1996 nel Journal of Epidemiol Community Health che l'aborto indotto ha causato almeno 300mila casi di cancro al seno con conseguente morte della donna dal 1975. Nell'articolo sostiene che le donne che hanno avuto un aborto procurato hanno un aumento della possibilità  di sviluppare il cancro al seno del 30%.
Anche la dott.ssa  Angela Lanfranchi docente di chirurgia presso la Robert Wood Jhonson Medical School del New Jersey e Presidente cofondatrice del Breast Cancer Prevention Institute, come riporta il Daytondailynews del 26 ottobre  2009, ad un convegno ha spiegato i legami tra cancro al seno, aborto e controllo delle nascite attraverso pillole contraccettive.
Ma v'è di più infatti è vero il contrario rispetto a quanto statuisce la L. 194 ovvero il proseguimento della gravidanza ha effetti benefici sulla salute delle donne. In un articolo nella rivista medica Linacre Quarterly della Catholic Medical Association, la dottoressa Lanfranchi ha affermato che al termine della gravidanza, l'85% del tessuto mammario è resistente al cancro e che ad ogni gravidanza successiva  diminuisce il rischio di un ulteriore  10%.
Il Prof. Salvatore Mancuso, già direttore del Dipartimento della salute della donna dell'Università Cattolica di Milano nel suo libro "La prima casa" a pag. 112 afferma "il flusso di cellule staminali che, per tutta la durata della gravidanza, entrano nel corpo materno attraverso il cordone ombelicale è veramente enorme e aumenta a dismisura non solo nel caso di lesioni placentari ma anche e soprattutto nel caso di lesione di organi materni. Sia durante la gravidanza sia a distanza di tanti anni, le cellule staminali dei figli, incorporate e domiciliate nell'organismo materno, mantengono le caratteristiche di plasticità riparativa".
Dello stesso tenore le considerazioni tratte da un libro di un noto medico pro-choice il Prof. Umberto Veronesi. Ebbene nel libro di Veronesi "Le donne vogliono sapere" (Sperling & Kupfer Editori, 2006) il capitolo 9 è intitolato "La gravidanza protettiva".
A pag. 100 del libro il prof. Veronesi spiega: "Noi sappiamo che la prima gravidanza in età giovanile è altamente protettiva. E più figli si hanno più alto è lo scudo protettivo che si crea. La donna ha nel suo patrimonio genetico, chiaramente scritta, la funzione biologica di cardine di salvaguardia della specie. Deve far funzionare il suo apparato riproduttivo, e prima lo fa meglio è".
E a pag. 103 alla domanda: "Da quali altri tumori protegge una gravidanza precoce?" Il prof. Veronesi risponde: "Al seno senz'altro, e direi tutti quelli femminili ormono-dipendenti".
In finale poiché si sa che "i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce" basta leggere il contenuto della L.194 al contrario per sapere la verità e la realtà: "l'aborto determina un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna e il proseguimento della gravidanza, il parto e la maternità proteggono la salute della donna".

Fonte: BastaBugie, 31/08/2011

9 - IN SVEZIA QUALCUNO RISPARMIERA' IL 20 PER CENTO IN BOLLETTA GRAZIE ALLA MONNEZZA DEL SUD ITALIA
Ecco come gli italiani pagano per liberarsi di un problema che costerebbe molto meno se lo risolvessero in casa loro
Autore: Francesco Saverio Alonzo - Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

Stoccolma. A partire dal mese prossimo, con il sopraggiungere dell'autunno e di temperature notturne sui 9-11 gradi, gli abitanti della città di Halmstad, nel sud della Svezia potranno riscaldarsi, godendo oltre tutto di una riduzione del 20% della spesa, grazie alla "monnezza" proveniente dal Mezzogiorno d'Italia.  La locale società energetica HEM comincerà infatti a bruciare rifiuti provenienti dalla Campania - il primo lotto di 5mila tonnellate proviene da Salerno, secondo quanto comunicato dalla HEM - facendosi pagare profumatamente (40 euro alla tonnellata) e potendo cosí ridurre del 20% le bollette a carico degli utenti.
La "monnezza" italiana rappresenta una fonte di combustibile che fa risparmiare alla società HEM circa 3 milioni di euro all'anno per l'acquisto di cascami di legno, oltre a procurare notevoli introiti per ogni tonnellata di rifiuti immessa nel termovalorizzatore.
Lars Bernhardsen della HEM spiega: «La nostra società brucia circa 30mila tonnellate di rifiuti all'anno e perciò alla prima aliquota di Salerno se ne aggiungeranno altre per un totale, in tre anni, di 60mila tonnellate. Sono esclusi rifiuti organici come resti di cibo e simili. Il trasporto si svolge per mare e quindi con un impatto minimo sull'ambiente. L'energia ricavata dalla combustione dei rifiuti viene distribuita agli utenti di Halmstad sia direttamente come riscaldamento centrale sia come elettricità».
Molte nazioni sono lontane dai metodi sviluppati in Scandinavia per l'utilizzazione di cascami e rfiuti di ogni genere. Ad Halmstad, per esempio, la "monnezza" prima di essere bruciata viene selezionata per il ricupero di materie prime quali vetro, carta, metalli e plastiche che vengono riciclate in appositi impianti. Ed è anche per questa ragione che gli svedesi faticano a capire l'opposizione che si è creata in Italia contro i termovalorizzatori e il riciclo differenziato.
Dice l'ambientalista Roger Orwén: «Oltre tutto si creerebbero nuovi posti di lavoro e l'energia prodotta, tanto per ribaltare il nostro problema rappresentato dal freddo invernale, potrebbe essere utilizzata per alimentare gli impianti di aria condizionata che rischiano talvolta di sovraccaricare le centrali elettriche».
In Svezia, l'impiego dei rifiuti per la produzione di energia si è fortemente sviluppato negli ultimi dieci anni e attualmente sono ben 40 i comuni che possiedono o sono soci di impianti di termovalorizzazione. I piú grandi e moderni si trovano a Stoccolma e a Uppsala, e il consumo annuo di rifiuti a destinazione combustibile si è quadruplicato negli ultimi quattro anni, raggiungendo le 750mila tonnellate, pari al 15% del fabbisogno totale delle centrali termiche e termoelettriche.
Un  tecnico di Halmstad, Gunnar Svensson, risponde molto poco diplomaticamente alla nostra domanda su cosa pensa dell'importazione di "monnezza" dall'Italia: «Credevo che gli italiani fossero più furbi. Adesso ci pagano per liberarsi di un problema che li potrebbe invece fare ricchi se lo risolvessero in casa loro. Non dico che siano scemi, ma farebbero meglio a informarsi sull'utilizzo dei rifiuti. Ma come facevano i vostri vecchi? I contadini? Mica buttavano via tutto! E allora imparate da loro!».
Ovviamente la decisione presa il mese scorso dalla società energetica HEM di Halmstad di bruciare la "monnezza" di Salerno (ricavandone 200mila euro per le prime 5mila tonnellate, somma che andrà beneficio degli utenti) ha fatto eco su tutti i mass-media scandinavi e molti comuni svedesi e norvegesi stanno esaminando l'eventualità di accettare - dietro pagamento - i rifiuti provenienti dalla Campania. Ma l'esperienza fatta dalla Germania, che bloccò a suo tempo le importazioni di "monnezza" sospettando un giro di bustarelle e casi di corruzione nella provincia di Napoli, ha messo in guardia le società scandinave che vorranno agire "alla luce del sole, nella piena legalità, e con contratti precisi e corretti" prima di accettare una collaborazione con gli italiani.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 25/08/2011

10 - LA PRESA DELLA BASTIGLIA: UNA PAGLIACCIATA PRESA A SIMBOLO DELLA RIVOLUZIONE CHE HA PORTATO LIBERTE', EGALITE', FRATERNITE' (MA SOLO SECONDO I LIBRI DI SCUOLA...)
Messori, il famoso apologeta cattolico, rivela le bufale della storiografia ufficiale
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Pensare la storia, Milano 1992

Quattro falsificatori di moneta che se la diedero subito a gambe. Due pazzi pericolosi che, scambiati per «filosofi» e, dunque acclamati sulle prime come «vittime della repressione», furono rinchiusi, chiarito l'equivoco, in un manicomio. Un maniaco sessuale: un giovane depravato allievo del marchese de Sade, messo dietro le sbarre per richiesta della sua stessa famiglia. Sette detenuti che sarebbe difficile definire «politici». Sette «perseguitati» assai improbabili. Eppure, è sulle loro miserevoli spalle che, da due secoli, grava il mito della presa della Bastiglia da parte del popolo parigino, con conseguente liberazione di prigionieri che sarebbero stati tragico simbolo dell'assolutismo monarchico. In realtà, i quattro falsari, i due matti e il depravato erano i soli ospiti della fortezza-prigione quando fu assalita, nella tarda mattinata del 14 luglio 1789. La storiografia da manuale scolastico data ancora da quel giorno l'inizio del "mondo nuovo". (...) Sarà dunque bene vaccinarsi, una volta per tutte, con quei vigorosi antidoti alla retorica che sono ironia e senso critico, del tutto legittimi davanti al mix di ridicolo e di orrore che fu la vera «presa della Bastiglia». Si sa che ogni rivoluzione ha bisogno vitale di un «mito di fondazione» che, di solito, viene identificato in una «presa»: la «presa della Bastiglia», ma anche la «presa» di Roma per il Risorgimento, la «presa del Palazzo d'inverno» per il regime marx-leninista in Russia. Quanto alla Pietroburgo del 1917, chi un poco frequenti la storia sa bene che non ci fu alcuna «presa» e che la residenza della corte, abbandonata da mesi dallo Zar, fu occupata da un piccolo gruppo di bolscevichi praticamente senza colpo ferire. Realtà, naturalmente, ben diversa dai manifesti, dai film, dalle cronache magniloquenti dei successivi settant'anni. Quanto a Roma nel settembre del 1870, è noto che, ai suoi meno che quindicimila uomini, Pio IX aveva dato l'ordine di «sottrarsi al contatto con l'invasore, concentrandosi nella capitale». Così il papa al suo comandante, generale Kanzler. Quando, a partire dal 18 settembre, Roma fu assediata, l'ordine pontificio fu: «Il minimo di resistenza, possibilmente senza alcuno spargimento di sangue, solo per significare al mondo che si cede alla violenza. Appena aperta la breccia, alzare bandiera bianca e inviare una delegazione per la resa». In effetti, in due giorni e due notti di "assedio" non fu sparata che qualche fucilata casuale, con due morti e qualche ferito. Aperta a Porta Pia la breccia, il 34° reggimento bersaglieri si arrampicò sulle macerie. Vi fu un solo morto, il maggiore Pagliari che era alla testa, per un colpo partito a un franco tiratore che aveva disobbedito agli ordini, mentre i battaglioni pontifici si concentravano, con le armi al piede, in piazza San Pietro. In dieci giorni di "guerra", i 60.000 soldati italiani di Raffaele Cadorna avevano perduto 32 uomini, morti per incidenti vari compresi: una percentuale di 0,5 caduti ogni mille soldati. Si sa che, in un qualunque week-end di oggi, i deceduti per incidenti stradali sono proporzionalmente assai di più. La «presa» della Bastiglia, al ridicolo aggiunse anche la crudeltà che, purtroppo, in futuro avrebbe dato il suo frutto avvelenato. Ridicolo, il fatto che in quel «simbolo dell'oppressione» non ci fossero che prigionieri che elencavamo. Ma, ridicolo, anche il fatto che l'Assemblea Nazionale rivoluzionaria manifestasse il suo solenne sdegno, quando le furono mostrate «le orribili e sconosciute macchine da tortura» trovate all'interno della fortezza. Fu esibito quello che il relatore, Dussault, presentò come «un corsetto di ferro per stritolare le articolazioni». Nessuno osò dire che si trattava di un'armatura medievale conservata nel museo di armi antiche che proprio alla Bastiglia aveva sede. Si esibì anche «una macchina non meno infernale e distruttiva», ma così segreta che non si riuscì a spiegare in che modo torturasse. Saltò poi fuori che era una pressa sequestrata tre anni prima a un tipografo che stampava pubblicazioni oscene. Si proposero allo sdegno del popolo anche «le ossa degli sventurati, giustiziati in segreto nelle celle». Pure qui, solo anni dopo qualcuno ebbe il coraggio di ricordare che gli scheletri erano quelli dei suicidi parigini che, non potendo essere sepolti in terra consacrata, erano deposti in un cortiletto interno della fortezza. Fu infine compilata una lista ufficiale dei "vincitori della Bastiglia": risultarono 954 nomi che, oltre a una pensione vitalizia, ricevettero il diritto di portare una divisa con l'insegna di una corona di gloria. Solo molto dopo un'inchiesta rigorosa stabilì che, poiché agli eroi era stato permesso di testimoniare l'uno per l'altro, senza alcun'altra prova, più della metà dei valorosi non aveva partecipato al fatto. Il ridicolo, certo: ma anche l'orrore per il seme di sangue che fu deposto quel giorno. (...) Il governatore della Bastiglia de Launay, invitati a pranzo i capi degli assalitori (e anche questo invito a mensa dà il clima dell'"epica giornata"...), aveva ricevuto da essi la parola d'onore che, arrendendosi senza difesa, avrebbe salvato la vita sua e degli "invalidi", i vecchi soldati ai suoi ordini. Fu, invece, massacrato a tradimento. Si chiese l'intervento di un garzone di macellaio (perché, dicono le fonti, «sapeva lavorare le carni») per staccarne la testa dal busto e portarla in processione infilzata su una picca. Altra macabra picca per la testa di Flesselles, sindaco di Parigi, che era sopraggiunto per invitare alla calma. Massacrati anche gli altri ufficiali della guarnigione, due invalidi impiccati alle sbarre delle celle; altri torturati in vari modi tra cui il taglio delle mani. Così, proprio in quel 14 luglio dell'anno primo della Rivoluzione, si apriva la diga degli orrori inenarrabili che sarebbero seguiti. Fu il primo sangue (...) di ciò che avrebbe portato al Terrore e al genocidio vandeano e poi all'Europa spopolata dal "fils de la Révolution" per eccellenza, il Bonaparte.

Fonte: Pensare la storia, Milano 1992

11 - OMELIA XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 18,15-20)
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 04/09/2011)

Il tema centrale delle letture di questa domenica è la carità fraterna. San Paolo, nella seconda lettura, dice chiaramente: «Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole; perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8). Egli insegna che i Comandamenti di Dio, come non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento, «si ricapitola in questa parola: amerai il tuo prossimo come te stesso» (Rm 13,9). Da ciò si capisce che ogni peccato, ogni trasgressione ai Comandamenti di Dio, è una mancanza di carità. Questo vale anche per i Comandamenti della purezza, ovvero il sesto e nono, in quanto, se si ama veramente il prossimo, si desidera vivamente il suo bene spirituale e lo si rispetta anche nel più piccolo pensiero.
Per questo motivo, sant'Agostino affermava: «Ama e fa' quello che vuoi», nel senso che per chi ama veramente Dio e il prossimo diventa una esigenza osservare i Comandamenti di Dio, per lui non potrebbe essere diversamente; al contrario, quando prevale l'egoismo, allora la nostra volontà si oppone a quella di Dio e noi desideriamo ciò che Dio proibisce. San Paolo conclude questa breve lettura affermando che «pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm 13,10).
Quando si parla di carità si parla sempre di una comunione di persone. Dio stesso è una Comunione di Persone: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, e l'Amore reciproco tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, e, insieme, le tre divine Persone sono l'unico vero Dio. Le creature umane, create a sua immagine e somiglianza, devono riflettere questa Comunione divina d'amore. Per tale motivo, la prima cosa che Dio chiede alle sue creature è l'amore reciproco. Gesù, nel brano del Vangelo di oggi, afferma con autorità: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Dove regna la carità, la vita in comune si trasforma in un Paradiso anticipato, e Gesù rimane tra di noi; ma, dove trionfa l'egoismo, l'esistenza umana preannuncia l'eterna perdizione.
Faremo rimanere Gesù in mezzo a noi se ci ameremo scambievolmente come Lui ci ha amati e se ognuno di noi cercherà non tanto di stare bene, ma di far stare bene il prossimo. Le letture di oggi ci indicano alcune forme di carità fraterna, ai giorni d'oggi poco praticate. La prima è quella della "correzione fraterna", la seconda riguarda la "preghiera".
La correzione fraterna è forse la carità più difficile da praticare. Nella prima lettura, Dio diceva al profeta Ezechiele che se egli non avesse richiamato il peccatore, questi sarebbe morto nei suoi peccati, ma il profeta avrebbe dovuto rendere conto della sua morte; se invece egli lo avesse messo in guardia, egli non sarebbe stato responsabile della sua perdizione. Così, nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù dice che guadagneremo un fratello se riusciremo a convertirlo dalla sua condotta perversa (cf Mt 18,15).
Queste parole devono farci riflettere seriamente. Quante volte noi, per non avere fastidi, non diciamo niente ai nostri fratelli che sbagliano e vivono lontani da Dio! Tuttavia, questo silenzio è pieno di responsabilità. Dobbiamo parlare, e la nostra parola sarà accolta solo se sarà unita all'umiltà e alla carità. Diversamente le nostre parole allontaneranno ancora di più le anime da Dio.
Dove le parole non arrivano, giunge la preghiera. Ecco la seconda forma di carità indicataci dal Vangelo di oggi. L'efficacia della preghiera, e soprattutto della preghiera in comune, è messa in luce da queste parole di Gesù: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19).
Raccontava un sacerdote, che poi divenne vescovo di Praga e cardinale, mons. Giuseppe Beran, che quando egli doveva richiamare qualche fratello che sbagliava, lo faceva con parole umili e piene di carità. Lo richiamava alcune volte; poi, quando si accorgeva che le sue parole cadevano nel vuoto, egli non diceva più nulla e si limitava a pregare e ad offrire sacrifici. Gli effetti desiderati non si facevano di molto attendere: alla fine egli riusciva sempre ad ottenere la sospirata conversione.
Imitiamo anche noi un esempio così bello e ci accorgeremo che la preghiera da sola otterrà molto di più di tutte le più belle parole.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 04/09/2011)

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