BastaBugie n�228 del 20 gennaio 2012

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1 VENDOLA DICE DI ABBRACCIARE I FRATELLI MUSULMANI... CHE LO CONDANNEREBBERO A MORTE
Dove è applicata la shari'a l'omosessualità è punita con carcere, multe, pene corporali e anche la morte: ad esempio in Iran negli ultimi 32 anni sono stati giustiziati 4.000 omosessuali
Autore: Riccardo Ghezzi - Fonte: Qelsi
2 NONOSTANTE TUTTO L'OPERA BLASFEMA DI ROMEO CASTELLUCCI VA IN SCENA A MILANO DAL 24 GENNAIO
Ecco la scenografia e la trama della disgustosa rappresentazione
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: CulturaCattolica
3 IL CAPITANO NON ABBANDONA LA NAVE CHE AFFONDA: L'IMPORTANZA DELL'ESERCIZIO DELLE VIRTÙ NELLE SITUAZIONI DI EMERGENZA DELLA VITA QUOTIDIANA
L'eroismo umano è fondamentale quando le navi inaffondabili, gli aerei supersonici e le banche infallibili continuano rispettivamente ad affondare, a cadere e a fallire
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Bussola Quotidiana
4 UNIONE EUROPEA = UNIONE SOVIETICA
L'Europa ha rifiutato le radici cristiane e ora è sotto la dittatura simil-sovietica del ''politicamente corretto'', dominata da una tecnocrazia antidemocratica e (economicamente) fallimentare
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
5 L'UNITA' D'ITALIA L'HANNO FATTA GLI STRANIERI
Che poi hanno condizionato la politica del nostro Paese fino ad oggi
Fonte: Catholic.net
6 MENTALITA' PERVERSA: ABORTIRE E' UNA QUESTIONE DI LIBERA SCELTA... QUINDI SE SEI CONTRO L'ABORTO NON MERITI NEMMENO DI ESSERE ASSUNTO COME MEDICO!
Lo sanno tutti infatti che compito principale del medico è la soppressione del bambino nel grembo delle madri
Autore: Renzo Puccetti - Fonte: La Bussola Quotidiana
7 IL CROCIFISSO AL CENTRO DELL'ALTARE
Il crocifisso deve mantenere la sua posizione centrale, essendo peraltro impossibile pensare che possa in qualche maniera essere di disturbo alla celebrazione del Sacrificio Eucaristico
Fonte: Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa
8 I VESCOVI AMERICANI LANCIANO LA SFIDA A OBAMA, AI GIUDICI E A STATI POTENTI COME QUELLO DI NEW YORK
In sei punti, senza compromessi né ambiguità, chiedono a gran voce la libertà religiosa non in Pakistan o in Nigeria, ma negli stessi Stati Uniti
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana
9 LETTERE ALLA REDAZIONE: IL COMUNE DI SIENA PERMETTE CHE SIA SBEFFEGGIATA IN PIAZZA DEL CAMPO LA FIGURA DI MARIA, PATRONA DEI SENESI
Una telefonata aveva avvertito, ma nessuno è intervenuto per evitare il ''bel troiaio'' dello spettacolo dell'ultimo dell'anno
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
10 OMELIA III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 1,14-20)
Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - VENDOLA DICE DI ABBRACCIARE I FRATELLI MUSULMANI... CHE LO CONDANNEREBBERO A MORTE
Dove è applicata la shari'a l'omosessualità è punita con carcere, multe, pene corporali e anche la morte: ad esempio in Iran negli ultimi 32 anni sono stati giustiziati 4.000 omosessuali
Autore: Riccardo Ghezzi - Fonte: Qelsi, 20/12/2011

Tutti ricordiamo la frase di Nichi Vendola sul palco montato in piazza Duomo a Milano: "Ed ora abbracciamo i fratelli Rom e Musulmani". Senz'altro un po' di adrenalina, l'emozione per la vittoria del sindaco Giuliano Pisapia, la solita retorica che dopo le vittorie elettorali viene utilizzata in modo persino più aggressivo. Anche perché l'ha subito imitato, a qualche chilometro di distanza, il neo-eletto sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Ha vinto la sinistra, la "destra fascista" è andata a casa (oddio, a Napoli c'era la sinistra anche prima, ma De Magistris ha preferito farlo dimenticare ai napoletani, chissà come mai) ed ora finalmente Rom e Musulmani possono essere liberi, al sicuro. Abbracciamoli!
Vendola può anche abbracciare tutti i Musulmani del mondo, e noi con lui, ma c'è qualcosa che il leader di Sel molto probabilmente ignora, o fa finta di ignorare. Ossia, che in alcuni Paesi islamici lui stesso sarebbe condannato a morte.
Per la precisione, nel mondo sono ben 91 gli Stati che considerano illegali gli atti omosessuali, anche praticati in casa propria. Tra questi, compresi i 6 in cui la legislazione è ambigua (Burkina Faso, Costa Rica, Congo, Egitto, Indonesia, Iraq), sono ben 7 quelli che prevedono la pena di morte in caso di rapporti omosessuali:  Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Sudan, Somalia, Somaliland e Yemen. Tutti Paesi islamici, in cui vige la shari'a.
La pena capitale per aver preso parte a rapporti omosessuali si applicava in passato anche in Afghanistan quando i Talebani erano al potere. In altre nazioni musulmane, come il Bahrain, il Qatar, l'Algeria e le Maldive, l'omosessualità è punita con carcere, multe o pene corporali.
Il Paese islamico che "vanta" il più altro numero di esecuzioni capitali nei confronti di omosessuali: dalla rivoluzione islamica, avvenuta nel 1979 con la cacciata dello Scia Pahlavi e l'avvento al potere di Khomeini, il governo iraniano ha fatto giustiziare circa 4.000 persone accusate di rapporti omosessuali. In soli 32 anni.
Alle rimostranze di organizzazioni internazionali come "Human Rights" e "Amnesty International", le nazioni islamiche rispondono sostenendo che tali leggi anti-omosessualità sono necessarie insistono per preservare la virtù e la moralità dell'Islam. Tra le nazioni in cui la maggioranza della popolazione è musulmana, solo il Libano sta compiendo uno sforzo interno per legalizzare l'omosessualità.
In un articolo pubblicato su Panorama nel 2008, l'Iran annuncia l'intenzione di mantenere la pena di morte anche se fosse approvato dall'Onu un documento volto a depenalizzare l'omosessualità nel mondo, perché "lo vuole la shari'a". [...]

Fonte: Qelsi, 20/12/2011

2 - NONOSTANTE TUTTO L'OPERA BLASFEMA DI ROMEO CASTELLUCCI VA IN SCENA A MILANO DAL 24 GENNAIO
Ecco la scenografia e la trama della disgustosa rappresentazione
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: CulturaCattolica, 08/01/2012

C'è davvero poco di artistico nell'opera intitolata Sul concetto di Volto nel figlio di Dio del regista e sceneggiatore Romeo Castellucci, che si terrà al Teatro Parenti di Milano dal 24 al 28 gennaio prossimo. Disgustosa la scenografia, ma ancor più disgustoso il contenuto blasfemo della rappresentazione. La scena si svolge in una stanza bianca e immacolata in cui un anziano incontinente guarda la televisione ad alto volume. Ad accudire quel vecchio ci pensa un altro personaggio, il figlio, il cui compito si traduce in una sorta di fatica di Sisifo. Infatti, ogni volta che si concludono le operazioni di pulizia del corpo del padre, una nuova scarica di dissenteria vanifica i gesti compiuti dal figlio, costringendolo a ricominciare da capo. Si tratta di un'opera iperrealista destinata a colpire i sensi dello spettatore, non solo la vista e l'udito, ma anche l'olfatto, poiché ogni volta che l'anziano padre evacua, si spande per la sala un odore acre e fastidioso. Su tutta la scena domina la riproduzione gigantesca di un quadro rinascimentale raffigurante il volto di Gesù – il celebre Salvator Mundi di Antonello da Messina –, volto che nel finale viene imbrattato di liquame, e si squarcia per lasciare in evidenza una frase che rappresenta la provocazione del regista: "You are not my shepherd" (Tu non sei il mio pastore).
Definire un'oscenità irriverente quest'opera non è semplice moralismo. E per essa non può valere l'idea, che va purtroppo diffondendosi anche in alcuni ambienti cattolici, per cui è meglio tacere per non pubblicizzare ulteriormente una rappresentazione blasfema.
In realtà il Volto di Cristo è ciò che di più caro ha la tradizione cristiana. Per quel Volto uomini come il pakistano Shahbaz Batthi hanno rischiato la vita e subito il martirio. Con quale coraggio, quindi, i cattolici italiani possono tacere di fronte ad una simile ingiuria. Con quale coraggio possono declamare in chiesa il salmo 28, «Il Tuo volto Signore io cerco», e poi restare inerti e silenziosi, per misere ragioni di opportunistica convenienza, dinnanzi al Suo oltraggio? Se il volto di nostra madre, o della persona più cara che abbiamo, fosse insozzato con escrementi umani in un'opera teatrale, noi faremmo di tutto per impedirlo. E la legge sarebbe dalla nostra parte. A proposito di legge, mi pare che il nostro ordinamento giuridico preveda ancora la fattispecie penale di cui all'art. 404, secondo comma. Si tratta del reato di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose, recentemente modificato dall'art. 8 della L. 24 febbraio 2006, n. 85, il quale prevede che «chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni». Poiché non mi risulta sia stata ancora abrogata l'obbligatorietà dell'azione penale, sarebbe interessante verificare se qualche Procuratore della Repubblica avvertisse il dovere di intervenire sulla vicenda. Magari in via cautelativa, impedendo così la commissione di un reato. Non si può neppure immaginare cosa sarebbe successo se al posto della gigantografia del Cristo di Antonello da Messina, ci fosse stata quella del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Probabilmente sarebbe già intervenuta l'Arma dei Carabinieri. Ma Romeo Castellucci, che nel 2002 è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura della Laica Repubblica Francese, conosce bene la differenza tra Stato e Chiesa, e sa altrettanto bene, quindi, chi può colpire impunemente. Vive la laïcité!

Fonte: CulturaCattolica, 08/01/2012

3 - IL CAPITANO NON ABBANDONA LA NAVE CHE AFFONDA: L'IMPORTANZA DELL'ESERCIZIO DELLE VIRTÙ NELLE SITUAZIONI DI EMERGENZA DELLA VITA QUOTIDIANA
L'eroismo umano è fondamentale quando le navi inaffondabili, gli aerei supersonici e le banche infallibili continuano rispettivamente ad affondare, a cadere e a fallire
Autore: Mario Palmaro - Fonte: La Bussola Quotidiana, 17-01-2012

Il naufragio della Concordia all'Isola del Giglio è un boccone amaro difficile da digerire. Non tanto perché le navi non possano andare a picco: ogni tanto accade, per motivi che consideriamo rispettabili o addirittura ineluttabili, come una tempesta furiosa o un'avaria meccanica. Ma la vicenda del Concordia è qualche cosa di completamente diverso.
E' buona regola che non siano i giornali a fare i processi, e anche in questo caso sarà bene aspettare gli esiti dell'inchiesta. Possiamo però commentare i fatti che emergono dalle cronache dei giornali, per affrontare il nodo più grosso di tutta questa storia: il comportamento del capitano. Che ha tutto il diritto di difendersi, e che non merita di essere linciato dai mass media. Tuttavia, alcuni aspetti della sua presunta condotta – in attesa di smentite e spiegazioni, sempre possibili – meritano un commento.
La prima  riflessione riguarda l'errore umano: una nave imponente e portentosa come il Concordia sembra fatta apposta per dimenticarsi il ruolo che l'uomo continua a giocare nella realtà. La tecnologia – e peggio ancora la tecno-scienza – tendono a farci sopravvalutare il fattore meccanico,  e a svilire l'importanza dell'atto umano. Il risultato è che le navi inaffondabili, gli aerei supersonici e le banche infallibili continuano rispettivamente ad affondare, a cadere e a fallire. In questa tragica e affascinante partita che è la vita, la libertà umana, la genialità, la leggerezza, il coraggio e la viltà del cuore dell'uomo continuano a essere decisivi. Strumenti sofisticati, sistemi informatici incredibilmente complessi, materiali fantascientifici non possono nulla di fronte al fattore umano. Da oggi sarà bene ripeterselo tutti i giorni, un po' come il "memento mori" della saggia tradizione cattolica.
La seconda idea è legata a filo doppio alla prima, e riguarda l'esercizio delle virtù nelle situazioni di emergenza. Quando capita qualche cosa di terribile e di assolutamente nuovo e mai sperimentato – come l'inizio dell'affondamento della nave da crociera che comandi – ti trovi di fronte alla necessità di prendere decisioni rapide, dalle quali dipende la vita di molte persone, e innanzitutto la tua. Anche qui la tecnica della prevenzione del rischio può fare molto, stabilendo delle procedure, e obbligandoti ad allenarti a eseguirle. Ma fra una prova di evacuazione e una nave che sta affondando davvero passa una differenza enorme, praticamente la stessa che corre fra una teoria e la vita. Il capitano di una nave – è proverbiale - sa che deve lasciare per ultimo la sua creatura, pensando prima a tutti gli altri. Chi pensa che sia facile farlo è uno stupido. Però questo è ciò che ci si aspetta da colui che comanda una nave.
Come si può fare a prepararsi al momento terribile dell'emergenza assoluta? La nostra storia umana e religiosa ci dice che le virtù hanno bisogno di essere temprate dall'allenamento e dalla volontà, che bisogna inseguire tutti i giorni un habitus buono, una costante familiarità con il bene. E questo è un discorso che oggi è diventato impopolare non solo per i capitani delle navi, ma anche per gli economisti, gli operatori di borsa, i medici, e tutte le categorie che potete immaginare. Forse, un capitano che scappa prima degli altri ci fa paura perché ci fa capire quanto poco siamo ormai pronti a sacrificarci per gli altri, ovunque.
Terza riflessione: in questa tragedia del Concordia ci sono state moltissime persone che hanno agito in modo encomiabile, fino all'eroismo, attardandosi sulla nave e rischiando la morte o –chissà – addirittura trovandovela. E questo dimostra, ancora una volta, che il bene è possibile anche quando tutto intorno a te si rovescia, crolla, affonda, e magari ti senti afferrato dal timor panico e dalla massa urlante che spinge a mettere in salvo sé stessi, e buonanotte all'altruismo. Questo mistero che è l'uomo è davvero qualcosa di più profondo che un complesso di conoscenze tecniche sul salvataggio; è ben più di un fascio di muscoli, di vasi sanguinei e di umori interni attivati dall'energia corporea. L'uomo è la sua anima.
Quarta e ultima considerazione: anche nel ventunesimo secolo, nell'era del dibattito, del confronto, dell'assemblearismo e della democrazia come fatto sacro; anche in questo scenario abbiamo ancora bisogno di capitani. Quando c'è bisogno di decisioni rapide e sicure, di garantire il bene comune, di guidare una comunità verso la salvezza, ci vuole qualcuno che comandi, e che intenda il comando come servizio agli altri. Qualcuno che, facendosi ultimo, però si prenda la responsabilità di decidere. E' una lezione per le istituzioni laiche. Ma lo è anche per la stessa comunità cattolica. La quale un capitano – il Papa – ce l'ha. Un tipo di capitano che sulla barca di Pietro – come ogni pontefice – rimane sempre fino alla fine, costi quello che costi. Se poi l'equipaggio volesse anche aiutarlo, tanto meglio.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 17-01-2012

4 - UNIONE EUROPEA = UNIONE SOVIETICA
L'Europa ha rifiutato le radici cristiane e ora è sotto la dittatura simil-sovietica del ''politicamente corretto'', dominata da una tecnocrazia antidemocratica e (economicamente) fallimentare
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 15/01/2012

Eravamo da sempre il Paese più europeista. Fino a un anno fa. In dodici mesi la fiducia degli italiani nell'Unione europea è precipitata. Secondo l'ultimo rilevamento dell'Ipsos ha perso addirittura 21 punti percentuali (passando dal 74 per cento al 53).
Un crollo che dovrebbe far riflettere i politici e soprattutto le tecnocrazie europee a cui gli italiani sono sempre più ostili.
Anche perché il crollo della fiducia degli italiani non è un fatto emotivo passeggero, né uno stato d'animo superficiale. Al contrario. Il loro europeismo era a prova di bomba.

UN ESPERIMENTO FOLLE
Hanno accettato di fare sacrifici per entrare nella moneta unica, hanno accettato perfino di farsi spennare da un cambio lira/euro estremamente penalizzante e poi hanno subito – senza fiatare – il sostanziale raddoppio di tutti i prezzi con l'inizio dell'euro (un impoverimento di massa).
La loro fiducia è crollata solo davanti alla scoperta che la sospirata "moneta unica" – che tanto ci era costata – realizzata in quel modo (senza una banca centrale e un governo come referenti ultimi) era una trovata assurda e fallimentare di tecnocrazie incompetenti e arroganti.
Grazie a questo incredibile esperimento, l'Italia – un Paese solvibilissimo e che ha la sesta economia del pianeta – sta ora rischiando il fallimento (del tutto ingiustificato visti i suoi fondamentali).
Quello che gli italiani ignorano è che tale disastro era stato previsto. E pure che la china antidemocratica che l'Ue sta imboccando da venti anni a questa parte era evidente ed era stata denunciata.  
L'affievolimento della democrazia e dei diritti individuali, la dittatura del "politically correct", è qualcosa a cui purtroppo facciamo meno caso – come si vede in queste settimane in Italia – ma è perfino più grave del fallimento politico ed economico della Ue.

UNA VOCE PROFETICA
Una delle voci nel deserto che videro in anticipo è quella di un eroico dissidente russo, Vladimir Bukovsky, uno così temerario e indomabile che già a venti anni era inviso al regime comunista sovietico il quale lo rinchiuse nei manicomi politici e nel gulag, torturandolo (infine – pur di disfarsene – lo cacciò via nel 1976 in cambio della liberazione in Cile del leader comunista Luis Corvalan).
Ebbene, Bukovsky, in una conferenza nell'ottobre del 2000, riportata di recente su "Italia oggi", se n'era uscito con affermazioni che sembrarono allora esagerate, che forse lo sono, ma che – alla luce degli ultimi eventi – rischiano di essere semplicemente profetiche.
Non mi riferisco solo a eventi come il commissariamento dell'Italia e della Grecia e il tentato commissariamento (in corso) dell'Ungheria, ma anche alle cessioni di sovranità dei diversi stati mai sottoposte ai referendum popolari o alle "bocciature" di tali cessioni (nei referendum o nei parlamenti) che sono state sostanzialmente ignorate.
"Per quasi 50 anni" disse Bukovsky "abbiamo vissuto un grande pericolo sotto dell'Unione Sovietica, un paese aggressore che voleva imporre il suo modello politico a tutto il mondo. Diverse volte nella mia vita ho visto per puro miracolo sventare il sogno dell'Urss. Poi abbiamo visto la bestia contorcersi e morire davanti ai nostri occhi. Ma invece di esserne felici, siamo andati a crearci un altro mostro. Questo nuovo mostro è straordinariamente simile a quello che abbiamo appena seppellito".
Si riferiva all'Unione europea. Argomentava: "Chi governava l'Urss? Quindici persone, non elette, che si sceglievano fra di loro. Chi governa l'Ue? Venti persone non elette che si scelgono fra di loro".
Bisogna riconoscere che oggi abbiamo addirittura governi non eletti (come quello italiano) con un programma dettato dalla Bce.
Diceva ancora Bukovsky: "Come fu creata l'Urss? Soprattutto con la forza militare, ma anche costringendo le repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente. Come si sta creando l'Ue? Costringendo le repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente. Per la politica ufficiale dell'Urss le nazioni non esistevano, esistevano solo i 'cittadini sovietici'. L'Ue non vuole le nazioni, vuole solo i cosiddetti 'europei'. In teoria, ogni repubblica dell'Urss aveva il diritto di secessione. In pratica, non esisteva alcuna procedura che consentisse di uscirne. Nessuno ha mai detto che non si può uscire dall'Europa. Ma se qualcuno dovesse cercare di uscirne, troverà che non è prevista nessuna procedura".
Bukovsky arrivava fino a giudizi pesantissimi, sicuramente esagerati, ma chi ha subito ciò che lui ha subito in difesa della libertà di coscienza ha tutto il diritto di essere ipersensibile a ogni violazione della libertà di pensiero e dei diritti individuali: "L'Urss aveva i gulag. L'Ue" aggiungeva Bukovsky "non ha dei gulag che si vedono, non c'è una persecuzione tangibile. Ma nonostante l'ideologia della sinistra di oggi sia 'soft', l'effetto è lo stesso: ci sono i gulag intellettuali. Gli oppositori sono completamente isolati e marchiati come degli intoccabili sociali. Sono messi a tacere, gli si impedisce di pubblicare, di fare carriera universitaria ecc. Questo è il loro modo di trattare con i dissidenti".  
Un'esagerazione certamente, ma è la sua stessa vicenda personale a far riflettere sulla libertà del pensiero e della cultura in Europa occidentale.

DITTATURA POLITICALLY CORRECT
Quanti in Italia conoscono Vladimir Bukovsky, il leggendario dissidente, l'eroico difensore della libertà di coscienza?
Eravamo pochissimi isolati che nei primi anni Settanta ne seguivamo le peripezie (nei manicomi politici e nei lager): i miei coetanei – specie quelli che oggi pontificano dai giornali come giornalisti, opinionisti e intellettuali – avevano come loro mito i vari Mao, Fidel Castro e perfino Stalin.
Oggi molti di loro – dopo essersi autoassolti – impartiscono lezioni di liberaldemocrazia dai mass media, ma senza mai aver fatto un vero "mea culpa", infatti continuano a cantare in coro. E continuano ad avere in gran dispetto le voci libere come Bukovsky.
Il motivo semplice. Perché mette sotto accusa le élite culturali europee (e anche quelle politiche). Perché è un uomo che – dopo aver sfidato il Kgb e la cappa di piombo del regime sovietico – ha sfidato la cappa di piombo del conformismo "politically correct" occidentale.
E' uno che nei suoi libri scrive: "Il comunismo è una malattia della cultura e dell'intelletto… Le élite occidentali penso non capissero l'universalità di quel male, la sua natura internazionale e quindi il carattere universale della sua pericolosità".
La sua ha continuato ad essere una voce scomoda e isolata perché – dopo il crollo delle feroci nomenclature comuniste – non ha chiesto vendetta, ma ha pure rifiutato che si autoassolvessero e restassero al potere.
Ha scritto in un suo libro: "Noi siamo pronti a perdonare i colpevoli, ma loro non devono assolversi da sé".
E' chiaro perché uno così, in un paese come l'Italia, è sconosciuto e continua ad essere una voce silenziata. Infatti quante volte è stato fatto parlare in tv o sui giornali italiani?
Parla in Gran Bretagna, in America… Ma in Italia è una voce silenziata. Quali case editrici hanno pubblicato i suoi libri? Prendiamo il volume che ha scritto, dopo il crollo dell'Urss, quando poté tornare a Mosca e pubblicare i documenti degli archivi del Cremlino: chi ha tradotto quel libro in Italia? La piccolissima editrice Spirali.
Infatti "Gli archivi segreti di Mosca" è pressoché sconosciuto e ben pochi ne han parlato sui giornali. Eppure riguardava anche noi italiani.

ALLARME
Voci profetiche come quella di Bukovsky devono far riflettere soprattutto in un Paese come il nostro dove ha sempre scarseggiato la sensibilità per i diritti dell'individuo e ha sempre abbondato il conformismo culturale, la prevaricazione delle nomenklature e quella dello stato.
L'allarme del dissidente russo sull'Europa ci riguarda e ci deve far riflettere. Oggi più che mai. Ma ancora una volta sono poche le voci sensibili all'allarme sulla libertà.

Fonte: Libero, 15/01/2012

5 - L'UNITA' D'ITALIA L'HANNO FATTA GLI STRANIERI
Che poi hanno condizionato la politica del nostro Paese fino ad oggi
Fonte Catholic.net, 26/11/2011

Studiare storia non è solo un soffermarsi sulle pagine di un manuale. Spesso bisogna avere il coraggio di raccontare un'altra storia, che non è quella ufficiale, ma che deve comunque essere raccontata. Se di manuale si vuole parlare, è d'obbligo dire che ci sono alcune pagine da riscrivere.
Il prof. Viglione, storico, conduce questa ricerca da oltre 25 anni e attualmente insegna Storia Moderna e Storia del Risorgimento presso l'Università Europea di Roma. Il suo ultimo libro (Le due Italie, uscito a marzo per le edizioni Ares) ha diversi meriti, ma uno principale. È un testo che si basa sui fatti, su uno studio meticoloso delle fonti. Un metodo, questo, su cui dovrebbe basarsi ogni storiografia.
Non è assolutamente uno studio di parte, non potrebbe esserlo, proprio per il suo approccio multiprospettico.

IL PROBLEMA STORICO
Partiamo da una frase, forse la più conosciuta del Risorgimento: "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani". Di solito, viene erroneamente attribuita a Cavour, l'anima critica e intelligente di quegli anni. Fu invece Massimo D'Azeglio a dirla, durante una burrascosa seduta del Parlamento Italiano. L'intenzione era polemica. Già, perché con un blitz fortuito, fatto di audacia e fortuna, in 18 mesi si fece a livello istituzionale ciò che in 14 secoli si era sempre tentato di fare. E allora per quale motivo quello stesso governo decise di mandare (proprio nella seduta in cui polemizzò D'Azeglio) 105mila soldati in Meridione per falcidiare ogni resistenza?
Per contrastare il "brigantaggio", il governo piemontese aumentò la propria presenza militare da 50 mila soldati nel dicembre del 1861 a 105 mila nel 1862, fino a toccare il picco di 120 mila nel 1863. perché fu necessaria una repressione così dura?
Una prima risposta potrebbe essere: i meridionali non volevano essere italiani. Ma questa ne porta un'altra: gli italiani non c'erano, prima del 1861? Un popolo "si fa" o esiste da sempre?
In realtà l'élite culturale e politica che ha unificato l'Italia, lo fece non gradendo o facendo finta di non osservare quella che era il quadro reale dell'Italia di allora.

UN PROCESSO STORICO NON NATURALE
Gli italiani di quegli anni probabilmente non sentivano la necessità dell'Unificazione. Non è un caso se gli ultimi due grandi Stati europei a raggiungere l'unità furono l'Italia (1861) e la Germania (1866). E comunque, nel caso dell'Italia, bisogna sottolineare che solo dal 1870 fu inserito anche il cospicuo territorio dello Stato Pontificio.
Come mai solo questi due stati erano ancora divisi? Le risposte potrebbero essere molte, ma quella di Viglione coglie un aspetto interessante: la storia procede naturalmente, quando gli uomini non si mettono in testa di forzarla. La storia naturale dell'Italia e della Germania era quella di non-essere uniti. Entrambe erano le terre in cui sono sorte e si sono sviluppate le due grandi idee universali della storia: il Papato e l'Impero. Come a dire: erano queste le idee che potevano tenere salda una nazione, laddove dappertutto era necessario ricercare altre motivazioni.

LE DUE GUERRE D'INDIPENDENZA, CON DUE IDEOLOGIE DIVERSE
Nella seconda guerra d'Indipendenza del 1859-'60 si unificò l'Italia. Secondo Viglione, questo fu fatto senza la minima presenza italiana. Si parla di una spedizione "dei Mille", ma furono proprio solo mille.
Invece, nel 1848, nella prima guerra d'Indipendenza, insieme a Carlo Alberto partecipò tutta l'Italia. Si vide l'armonica partecipazione di tutti gli stati contro uno "straniero"; non fu come nel '60 una conquista interna. E se non ci fu proprio un esteso consenso popolare, almeno presero parte, collettivamente, tutti gli eserciti. Ferdinando II e Pio IX si ritirarono in un secondo momento perché capirono che il re piemontese non era intenzionato ad unificare la penisola, ma solo di prendere possesso del Lombardo-Veneto. Per questo venne abbandonato.
L'Italia della prima guerra d'Indipendenza, qualora si fosse unita in quel momento, avrebbe potuto essere molto diversa. Il progetto, infatti, era quello di una confederazione di stati, e non un livellamento, o una conquista da parte di uno stato (quello sabaudo) su tutti gli altri.
"Mille persone," precisa Viglione "non possono conquistare un Regno. Bastava una cannonata per fermare lo sbarco. I grandi generali borbonici tradirono". Avvenne invece esattamente il contrario. Non solo non arrivò mai la cannonata, ma alcune fortezze, pur ben munite e approvvigionate, si arresero persino senza combattere.

UN'UNIFICAZIONE CONTROVERSA
Il compito dello storico è simile a quello del medico: deve curare delle ferite, non ignorarle. Solo comprendendo pienamente le patologie del passato, si possono risolvere le difficoltà contemporanee. Quello che il libro Le due Italie sottolinea a più riprese è una lotta deliberata e strenua contro lo Stato Pontificio. Cavour fece imprigionare, con le motivazioni più varie, 8 cardinali, 66 vescovi e centinaia di sacerdoti. Mons. De Filippis fu recluso per circa 6 anni, con la semplice (e bizzarra) accusa di essere un "prete non cantante". E per tutto il periodo dell'incarcerazione nessuno lo venne mai a trovare, se non Don Bosco.
Anche per questo motivo, Viglione distingue nettamente fra Unificazione e Unità, dove la prima è soltanto un processo amministrativo e militare e la seconda qualcosa che non è mai avvenuto. Per riprende la frase di D'Azeglio, se l'Unificazione è stata realizzata nel 1861, l'Unità probabilmente deve ancora realizzarsi adesso.
"Il problema non è tanto sentirsi o non sentirsi italiani, ma essere tutti quanti italiani. Siamo l'unico popolo che negli ultimi due secoli ha avuto tre guerre civili". La prima è quella del 1799 fra filo-napoleonici e antifrancesi, la seconda quella "meridionale" seguita all'Unità e che causò oltre 50.000 morti. L'ultima seguì l'8 settembre 1943, con "sole" 6.000 vittime.Questo qualcosa vorrà pur dire.
L'Italia non è nata 150 anni fa, ma 27 secoli fa e ha ospitato la Chiesa per quasi 2000 anni. Se si fosse realizzata l'Unificazione con più lentezza, probabilmente il processo sarebbe stato meno doloroso e più coerente. E si sarebbe evitato di giungere a quella che Viglione chiama una "Unità in affitto", una situazione tipica dell'Italia, costantemente bisognosa di aiuti e approvazioni da parte di potenze estere. Un "affitto" nel quale la Sovranità Nazionale è stata, fino ai governi attuali, sempre in discussione.

Fonte: Catholic.net, 26/11/2011

6 - MENTALITA' PERVERSA: ABORTIRE E' UNA QUESTIONE DI LIBERA SCELTA... QUINDI SE SEI CONTRO L'ABORTO NON MERITI NEMMENO DI ESSERE ASSUNTO COME MEDICO!
Lo sanno tutti infatti che compito principale del medico è la soppressione del bambino nel grembo delle madri
Autore: Renzo Puccetti - Fonte: La Bussola Quotidiana, 07/11/2011

Nelle scorse settimane i ginecologi abortisti, termine qui usato per indicare gli operatori dell'aborto, si sono riuniti a convegno. L'oggetto, pare, delle loro accorate lamentele, il responsabile principale di ogni frustrazione, l'essere che proditoriamente lavorando nell'ombra tenta di privare la società di un diritto fondamentale quale sarebbe quello di abortire, é stato infine individuato in modo implacabile: si tratta dell'obiettore di coscienza.
A lui solo, reo di tali delitti, dovrebbe essere inibita l'assunzione negli ospedali. Qualcuno si domanda il motivo? Ma è ovvio: è notorio infatti che compito precipuo dell'ostetricia è la soppressione del bambino nel grembo delle madri. Gli abortisti sono persone per bene, sinceramente democratiche, generalmente in prima fila nella difesa del pluralismo dei valori; pluralismo che tutti hanno il sacrosanto diritto di potere esprimere; tutti, s'intende, tranne quell'impresentabile abusivo del camice bianco che va sotto il nome di medico obiettore.
Sembra peraltro che il trend sia molto preoccupante: anziché rimpicciolire progressivamente ed infine estinguersi, la razza dei ginecologi che non capiscono, che non si adeguano al progresso, ma obiettano e rifiutano di  aspirare i concepiti per gettarli tra i rifiuti speciali come mero materiale biologico, è in aumento.
Un comportamento intollerabile da parte di medici che costringono i poveri colleghi abortisti a sopportare "un carico psicologico maggiore". Deve essere davvero una gran canaglia il ginecologo obiettore per fare inviperire così gli operatori dell'aborto. Pare peraltro che la schiera dei perfidi obiettori sia ingrossata da un buon numero di abortisti: ci sono quelli della palude, quelli che non si sono mai apertamente schierati a difesa integrale dei diritti riproduttivi; ci sono i cripto-abortisti, quelli che gli aborti li farebbero se solo qualcuno spiegasse loro quanta penuria ci sia di operatori; vi sono poi gli abortisti in sonno, che sono quelli che gli aborti li facevano, ma poi hanno sospeso l'attività per dedicarsi temporaneamente ad altre attività; ed infine ci sono gli abortisti disertori, quelli che dopo cento, mille, diecimila aborti, erano esauriti e sentendo di non farcela più, hanno abbandonato la trincea.
Tutti questi però sono niente a confronto del più malefico di tutti gli obiettori: quello che a salvare la vita del concepito ci crede davvero. Si tratta di un sovversivo, uno che attenta alla legge osando rivendicare - pensate - quanto è scritto nella legge, che si annida nei consultori, sforzandosi magari d'individuare un aiuto concreto per evitare l'aborto. Il pericoloso ginecologo obiettore si aggira per gli ospedali dove in qualche caso - orrore - ha persino aperto le porte dei reparti a quegli altri loschissimi figuri che si fanno chiamare volontari pro-life, gente disprezzabile che, pensate un po', si leva i soldi di tasca ed apre anche le proprie case alle donne pur di aiutarle a non abortire, gentaglia davvero incomprensibile che venera una tal suora di Calcutta che ce l'aveva a morte con l'aborto, una cosa che per gli abortisti è invece una "pratica umanissima". È sempre l'impunità di cui gode il medico obiettore ad avere dato il cattivo esempio e costringere il Paese ad avere ora a che fare anche coi farmacisti obiettori, altri folli che pretendono di avere una coscienza loro propria, di seguirne i dettami e di non dare alle donne tutte quelle belle pilloline che servono ad impedire all'embrione di sopravvivere.
Ma come si fa a non capire che fare gli aborti è una buona azione; pensate al risparmio che deriva dall'eliminazione di tutti quegli esseri un po' bruttini a vedersi, spesso ritardati, che se lasciati nascere, sono abbisognevoli di cure costose ed assistenza protratta. L'aborto fa bene alla psiche delle donne. Qualcuno potrebbe obiettare che il British Journal of Psychiatry ha appena pubblicato una mega-revisione dei casi che mostra invece il peggioramento della salute psichica delle donne dopo l'aborto; e che il professor Fergusson, ateo e pro-proice, ha confermato questi dati seguendo dalla nascita un gruppo di donne e analizzando ogni fattore. Ma queste anime belle farebbero bene a tacere; insomma, in fin dei conti il ginecologo abortista lavora tanto ed ha giustamente bisogno di ferie più lunghe.
No, la situazione è intollerabile, qui servono misure draconiane che ci riallineino agli standard europei di Francia e Inghilterra, dove il numero di aborti è quasi doppio rispetto all'ancora cattolica Italietta. Impedire l'assunzione del ginecologo obiettore potrebbe essere misura insufficiente; chissà per quanti anni ancora gli obiettori continuerebbero ad aggirarsi per le corsie e gli ambulatori: si potrebbe suggerire di accelerare il cambiamento mediante programmi di rieducazione intensiva alla comprensione della bellezza e bontà dell'aborto, magari in collaborazione col governo cinese, che di queste cose ha vasta esperienza e, per i renitenti, misure di progressiva penalizzazione, purché senza ulteriore affollamento delle carceri. A questo proposito si potrebbe attivare un programmino di scambio carcerario tra obiettori e quelli condannati per aborto clandestino, in fin dei conti dei semplici professionisti freelance: dentro i primi, fuori i secondi.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 07/11/2011

7 - IL CROCIFISSO AL CENTRO DELL'ALTARE
Il crocifisso deve mantenere la sua posizione centrale, essendo peraltro impossibile pensare che possa in qualche maniera essere di disturbo alla celebrazione del Sacrificio Eucaristico
Fonte Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 218, pone la domanda: «Che cos'è la liturgia?»; e risponde:
«La liturgia è la celebrazione del Mistero di Cristo e in particolare del suo Mistero pasquale. In essa, mediante l'esercizio dell'ufficio sacerdotale di Gesù Cristo, con segni si manifesta e si realizza la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto pubblico dovuto a Dio».
Da questa definizione, si comprende che al centro dell'azione liturgica della Chiesa c'è Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, ed il suo Mistero pasquale di Passione, Morte e Risurrezione. La celebrazione liturgica deve essere trasparenza celebrativa di questa verità teologica. Da molti secoli, il segno scelto dalla Chiesa per l'orientamento del cuore e del corpo durante la liturgia è la raffigurazione di Gesù crocifisso.
La centralità del crocifisso nella celebrazione del culto divino risaltava maggiormente in passato, quando vigeva la consuetudine che sia il sacerdote che i fedeli si rivolgessero durante la celebrazione eucaristica verso il crocifisso, posto al centro, al di sopra dell'altare, che di norma era addossato alla parete. Per l'attuale consuetudine di celebrare «verso il popolo», spesso il crocifisso viene oggi collocato al lato dell'altare, perdendo così la posizione centrale.
L'allora teologo e cardinale Joseph Ratzinger aveva più volte sottolineato che, anche durante la celebrazione «verso il popolo», il crocifisso dovrebbe mantenere la sua posizione centrale, essendo peraltro impossibile pensare che la raffigurazione del Signore crocifisso – che esprime il suo sacrificio e quindi il significato più importante dell'Eucaristia – possa in qualche maniera essere di disturbo. Divenuto Papa, Benedetto XVI, nella prefazione al primo volume delle sue Gesammelte Schriften, si è detto felice del fatto che si stia facendo sempre più strada la proposta che egli aveva avanzato nel suo celebre saggio "Introduzione allo spirito della liturgia". Tale proposta consisteva nel suggerimento di «non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell'altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo».
Il crocifisso al centro dell'altare richiama tanti splendidi significati della sacra liturgia, che si possono riassumere riportando il n. 618 del Catechismo della Chiesa Cattolica, un brano che si conclude con una bella citazione di santa Rosa da Lima: «La croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo "mediatore tra Dio e gli uomini" (1 Tm 2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, "si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22) egli offre "a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale" (ibid.). Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo (cf. Mt 16,24), poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme (cf. 1 Pt 2,21). Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari (cf. Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col 1,24). Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice (cf. Lc 2,35). "Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo" (santa Rosa da Lima; cf. P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668)».

Fonte: Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa

8 - I VESCOVI AMERICANI LANCIANO LA SFIDA A OBAMA, AI GIUDICI E A STATI POTENTI COME QUELLO DI NEW YORK
In sei punti, senza compromessi né ambiguità, chiedono a gran voce la libertà religiosa non in Pakistan o in Nigeria, ma negli stessi Stati Uniti
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana, 05/10/2011

Venerdì la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, con una lettera firmata dal suo presidente mons. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha annunciato l'istituzione di un "Comitato ad hoc per la libertà religiosa" che sarà presieduto dal vescovo William Lori di Bridgeport (Connecticut). Potrebbe sembrare una delle tante iniziative - benemerite ma non nuove - per richiamare l'attenzione di un Occidente distratto sulle tragiche violazioni della libertà religiosa in Africa e in Asia.
E invece no. Come spiega mons. Dolan, l'iniziativa è storica perché il comitato si occuperà delle violazioni della libertà religiosa in danno dei cristiani non in Pakistan o in Nigeria, ma negli stessi Stati Uniti. Una clamorosa conferma di quanto era emerso il 12 settembre scorso al vertice di Roma - dedicato ai crimini contro i cristiani - dell'OSCE, l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di cui sono Rappresentante per la lotta al razzismo e alla discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni. L'intolleranza - che è un fatto culturale - sta ormai maturando in discriminazione, un fatto giuridico, anche in Occidente, e anche in Paesi che pure sono giustamente ammirati per il loro contributo alla formulazione delle moderne teorie giuridiche sulla libertà religiosa.
Già Marco Respinti, su La Bussola Quotidiana del 2 ottobre, aveva riferito della lettera dello stesso mons. Dolan al presidente Obama, dove il presule protestava per il sostegno della Casa Bianca alle iniziative che intendono abrogare il DOMA (Defense of Marriage Act), una legge del 1996 che riconosce come matrimonio solo quello monogamico ed eterosessuale, tra un uomo e una donna. Ora i vescovi affermano che l'attacco al DOMA è uno dei sei aspetti critici che mettono in discussione la libertà religiosa dei cristiani statunitensi. E ne elencano altri cinque.
Primo: le  norme del Ministero delle Sanità che costringono le compagnie di assicurazione e i fondi previdenziali a includere nella loro copertura la contraccezione, i farmaci abortivi e la sterilizzazione in tutti i piani di assicurazione sanitaria privata. È vero che in queste norme c'è una limitata eccezione religiosa, ma questa - scrive mons. Dolan - «copre quasi solo la perpetua della parrocchia». Negli altri casi ci sarà secondo i vescovi una violazione della libertà religiosa, perché le assicurazioni cattoliche non potranno rifiutassi di coprire questi servizi, né i datori di lavoro cristiani potranno rifiutarsi di pagare contributi previdenziali che andranno a finanziare i contraccettivi o la pillola abortiva.
Secondo: lo stesso Ministero per la Sanità richiede che il Servizio per i Migranti e i Rifugiati (MRS), la storica agenzia della Conferenza Episcopale che assiste gli immigrati, fornisca quella che chiama la «piena gamma di servizi riproduttivi» - ovvero aborto e contraccezione - ad alcuni suoi assistiti, cioè le vittime del traffico di esseri umani e gli immigrati minorenni che entrano negli Stati Uniti non accompagnati da genitori o tutori. Per questi assistiti il MRS riceve un contributo finanziario dal governo federale, e il Ministero - sposando la tesi degli attivisti pro aborto che sono in causa contro il MRS - sostiene che questo contributo implica obbligatoriamente che le giovani immigrate assistite dall'agenzia cattolica siano aiutate, se lo richiedono, ad abortire.
Terzo: nei programmi di aiuti internazionali contro l'AIDS, USAID, un'agenzia federale che riceve le sue direttive dal Dipartimento di Stato ma con cui interagiscono enti e singoli cattolici, dà un ruolo prominente alla distribuzione di preservativi, qualche cosa con cui in coscienza i cattolici fedeli al Magistero non possono collaborare.
Quarto: il Ministero della Giustizia, in una causa pendente presso la Corte Suprema, ha "deluso" i vescovi non difendendo la cosiddetta "eccezione ministeriale" che permette alle organizzazioni religiose di assumere o designare chi vogliono per ruoli ministeriali senza sottostare alle normali norme antidiscriminazione. Siamo ancora ben lontani da questa conclusione, ma mettendo in discussione l'"eccezione ministeriale" si compie il primo passo per aprire la porta a cause dove un giudice potrebbe imporre alla Chiesa Cattolica di ordinare delle donne come sacerdoti in nome della normativa contro la discriminazione.
Quinto: la nuova legislazione dello Stato di New York, che ridefinisce la nozione di matrimonio includendovi il matrimonio omosessuale, lascia un ruolo mal definito e ristretto all'obiezione di coscienza. Ci sono già azioni legali e disciplinari contro funzionari pubblici cattolici che si rifiutano di collaborare alla celebrazione o alla trascrizione di matrimoni omosessuali.
Aggiungendo il problema del DOMA - sesto punto - e gli interventi pubblici del presidente Obama a sostegno delle esternazioni di Lady Gaga, i cui attacchi alle Chiese "omofobe" sono la punta estrema di un'ostilità alla Chiesa che Benedetto XVI ha definito come ormai maggioritaria nei poteri forti e nei media, si capisce perché i vescovi abbiano voluto un comitato permanente per la difesa della libertà religiosa dei cristiani negli Stati Uniti.
Si tratta di vicende allarmanti e complesse, e la lettera di mons. Dolan permette tre rapide conclusioni.
La prima è che chi pensava - e scriveva - che con mons. Dolan fosse stato scelto un presidente della Conferenza Episcopale americana più remissivo in materia di rapporti con il potere politico e di "principi non negoziabili" del suo predecessore, il cardinale George, si sbagliava di grosso. Non era, anzi, mai accaduto che la Conferenza Episcopale lanciasse una sfida così articolata insieme al presidente degli Stati Uniti, al governo, ai giudici e a Stati potenti come quello di New York, davvero senza guardare in faccia a nessuno. Molte lamentele "tradizionaliste" sullo stato di sfacelo in cui verserebbe la Chiesa Cattolica statunitense devono forse essere ridimensionate. Certamente ci sono teologi - purtroppo in parte ancora in cattedra in prestigiose università e seminari - che contestano il Magistero in materia morale, ma la voce dei pastori di rado su questa stessa materia era risuonata con tanto vigore.
La seconda osservazione è che, nella tradizione americana e in quella della diplomazia pontificia che ha seguito con attenzione la vicenda, nessuno vuole veramente andare allo scontro frontale. È la mia impressione, e anche il mio auspicio, pure dal mio osservatorio come Rappresentante dell'OSCE, di cui gli Stati Uniti - un Paese, chiunque lo governi, comunque sensibilissimo alle questioni di libertà religiosa - fanno parte. Su tutti i singoli temi ci sono margini di trattativa, com'è avvenuto in passato a proposito della riforma sanitaria. Se si vogliono ottenere risultati concreti, è importante che le porte della trattativa rimangano aperte. Ma il documento di mons. Dolan dà una lezione a un certo numero di suoi colleghi in altri Paesi: alla trattativa si va con molta più forza dopo avere parlato chiaro. Per stringere la mano dell'altro bisogna anzitutto dimostrare di avere una mano, a differenza di quei personaggi stigmatizzati da Charles Péguy (1873-1914) che, in una poesia intitolata - senza riferimenti a Di Pietro, che all'epoca non era ancora nato - «Mani pulite», se la prendeva con i cattolici francesi «moderati» del suo tempo che «hanno le mani pulite ma, o Signore, non hanno mani».
La terza è che - benché la parola «persecuzione», prendendo esempio da Benedetto XVI, vada riservata per non inflazionarla ai casi di violenze e assassini più diffusi in Africa e in Asia - c'è una emergenza legata alla discriminazione dei cristiani anche nelle democrazie occidentali. Questa emergenza non è indifferente né secondaria - e non può essere semplicemente posposta ad altre pure importanti questioni come quelle dell'economia, del lavoro o della legalità, come spesso si tende a fare in questi mesi in Italia - quando si parla di nuovo impegno politico dei cattolici e di nuove classi dirigenti. Chi non difende la libertà religiosa non è credibile quando si candida a difendere qualunque altra libertà.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 05/10/2011

9 - LETTERE ALLA REDAZIONE: IL COMUNE DI SIENA PERMETTE CHE SIA SBEFFEGGIATA IN PIAZZA DEL CAMPO LA FIGURA DI MARIA, PATRONA DEI SENESI
Una telefonata aveva avvertito, ma nessuno è intervenuto per evitare il ''bel troiaio'' dello spettacolo dell'ultimo dell'anno
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 17/01/2011

Cara Redazione di BastaBugie,
vi invio la lettera che con alcuni amici ho inviato al Comune di Siena.
Ecco il testo:
"I sottoscritti desiderano a mezzo della presente ringraziare vivamente il Comune di Siena, nella persona del signor Sindaco e della Giunta Comunale, per avere dato, la sera dell'ultimo dell'anno scorso, grazie allo spettacolo di luci e musica tenutosi in piazza del Campo, una bella dimostrazione di alto senso della cultura e di sensibilità civica.
Crediamo di non sbagliare affermando che la Madonna, la Beata Vergine Maria insomma, sia per antico statuto civico Patrona e Regina di Siena e del suo antico Stato. Non a caso il sigillo medievale "SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS" era impresso nell'antica moneta senese. E non a caso i sigilli della Repubblica apposti su ogni documento presentavano l'immagine della Madonna col Bambin Gesù accompagnata dall'espressione "SALVET VIRGO SENAM VETEREM QUAM SIGNAT AMENAM", ovvero "Conservi la Vergine l'antica Siena che lei stessa rende bella". La devozione nei confronti di Maria è pertanto un evidente segno di identità civica e culturale di Siena.
A Lei i Senesi per secoli si sono rivolti nei momenti bui e drammatici: pensiamo alla consacrazione della Città a Maria in occasione di perigliose guerre e battaglie (Montaperti su tutte) o durante le atroci pestilenze. Ma anche in tempi di prosperità e di buon governo, quando per intendersi si trattava di dare lustro alla città, Siena non ha mai mancato di ricordare ed omaggiare la Sua Patrona attraverso l'arte, l'architettura, e la cultura in genere: la Maestà di Duccio, la Maestà di Simone Martini, la consacrazione del Duomo alla Vergine, la dedicazione del Palio alla Madonna di Provenzano ed all'Assunta testimoniano palesemente quanto tutta la storia senese e la più profonda cultura di questa nostra terra, siano letteralmente intrise di amore, devozione e profondo rispetto per Maria.
Con queste premesse, quale miglior modo, per salutare il vecchio anno ed iniziare il 2012, di dover vedere proiettato sull'antica facciata del nostro Palazzo Comunale uno spettacolo di luci ed immagini durante il quale, improvvisamente, sulle note di un pizzica tarantata è comparsa, in corrispondenza del noto trigramma di Cristo ideato da San Bernardino, l'immagine inequivocabile della Madonna (la suddetta Patrona di Siena) che per interminabili decine di secondi ballava goffamente attorniata da miriadi di enormi ragni vagheggianti?!
Lo sconcerto che ne è derivato non nasce, si badi, da una visione "bigotta" del mondo, ma al contrario dal senso innato di rispetto ed amore per la storia e la cultura della nostra città, inserita come gioiello prezioso nell'ampio scrigno della cultura dell'Occidente, innegabilmente impregnato dei capisaldi della cultura cristiana.
Rispetto ed amore che, ne siamo convinti, dovrebbe innanzitutto trovare sostegno e difesa in coloro che hanno l'onore e l'onere di amministrare la nostra città, e che dovrebbero pertanto essere attenti custodi della sua sensibilità e della sua cultura più profonda.
La nostra ferma indignazione nasce dal fatto in sé, ma soprattutto, dall'aver toccato con mano il disinteresse della nostra amministrazione comunale, nel momento in cui, nel primo pomeriggio del 31/12, avendo uno dei sottoscritti assistito alla proiezione di "prova" tenutasi la sera precedente (30/12), il Comune di Siena fu telefonicamente avvertito dello spiacevole "incidente", con richiesta di risolutivo intervento.
La suddetta Dirigente, chiarito di non essere stata a conoscenza dell'episodio "non avendo visto le prove", dava ad intendere che il Comune sarebbe intervenuto ad evitare quella che appariva come una mera mancanza di rispetto per la città.
Ma la speranza di aver costruttivamente contribuito ad evitare alla nostra amministrazione quello che appariva un inconsapevole "scivolone", si è rivelata vana: la sera del 31 dicembre 2011 verso le 23.20, addirittura in diretta televisiva, l'immagine irrispettosa ed incivile di cui trattasi veniva invece indisturbatamente proiettata sul nostro Palazzo Pubblico.
Ed è così che può essere affermato che il Comune di Siena, da disattento committente, ha scelto di divenire connivente e complice di quella che forse i nostri nonni, più schietti di noi attuali senesi, avrebbero definito con semplicità una "porcheria" o, magari, un "bel troiaio".
Oggi no, subito soccorreranno il Comune i soliti soloni e garanti della cultura ufficiale, assicurandoci che si tratta invece di "cultura", e che la cultura non può essere "censurata".
Noi non chiediamo censure. Chiediamo rispetto. E senso di dignità verso noi stessi.
Chiediamo, insomma, esattamente ciò che il Comune di Siena sembra oggi trascurare, come se fosse lecito, intelligente e culturalmente accettabile, con una mano omaggiare, e con l'altra irridere e sbeffeggiare"
Alberto

Caro Alberto,
credo che non ci sia nulla da aggiungere. Mi associo senz'altro alle vostre legittime e civili rimostranze.

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: Redazione di BastaBugie, 17/01/2011

10 - OMELIA III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 1,14-20)
Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22/01/2012)

Le letture di questa domenica ci invitano a una profonda conversione interiore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato l'incarico che Dio diede al profeta Giona di andare a Ninive, una grande città pagana, per predicare e rivolgere a tutti l'appello alla conversione. I niniviti, pur essendo pagani, ascoltarono docilmente le parole di Giona e diedero segni di conversione. «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gio 3,4), proclamava il profeta, e – continua il testo – «i cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli» (Gio 3,5). Allora «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia» (Gio 3,10) e non li castigò.
Questo appello alla conversione risuona anche nella predicazione di Gesù. Il Maestro Divino, iniziando la sua predicazione in Galilea, disse con forza: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Queste parole sono rivolte a ciascuno di noi, a noi che ogni domenica andiamo alla Messa, che tante volte pensiamo di essere dei buoni cattolici. Ogni giorno possiamo e dobbiamo convertirci. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo: ci sarà sempre da migliorare. Per alcuni sarà una conversione dal peccato alla vita di grazia; per altri, una conversione dalla mediocrità al fervore; per i più generosi si tratterà di una conversione da una vita di fervore alla santità.
La vita cristiana è un po' come risalire la corrente di un fiume: se non si rema si torna inevitabilmente indietro. Alla stesso modo, se non ci si converte continuamente, se non si cerca in tutti i modi di migliorare, inevitabilmente si torna indietro verso la mediocrità e il peccato. Pertanto, le parole di Gesù sono rivolte a tutti noi. Ogni giorno dobbiamo ripetere quelle belle parole del Salmo: «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Sal 24,4).
Tante volte noi sentiamo l'ispirazione e il desiderio di migliorare, ma commettiamo il grande errore di rimandare a domani ciò che possiamo fare oggi, e così passano i mesi e gli anni e noi rimaniamo sempre quelli di prima, anzi, torniamo sempre più indietro. San Paolo pertanto ci dice: «Fratelli, il tempo si è fatto breve [...] passa la figura di questo mondo» (1Cor 7,29-31). Con queste parole, l'Apostolo delle genti ci invita a usare con prudenza e moderazione i beni che passano, per non perdere i beni eterni.
Come abbiamo potuto notare, sia nella prima lettura che nel Vangelo, la conversione dei niniviti e la conversione dei primi Discepoli di Gesù è iniziata dall'ascolto della predicazione della Parola di Dio. Non c'è conversione se non vi è ascolto; e non c'è ascolto se non vi è predicazione. La predicazione illumina le menti affinché esse possano conoscere la verità tutta intera, senza menomazioni di sorta. Per questo motivo, san Francesco scrisse nella sua Regola che i frati dovevano predicare semplicemente, parlando dei vizi e delle virtù, della pena e della gloria. Le anime hanno il diritto di conoscere la verità interamente, senza compromessi e accomodazioni. Ai giorni d'oggi, forse, si tende a tacere alcune verità "scomode" come quelle che riguardano i Novissimi, in particolare il Giudizio e l'inferno, per non spaventare i fedeli. San Francesco non era di questo parere e voleva che si annunciasse semplicemente la verità in modo integrale, per il bene di tutti fedeli.
Per questo motivo così egli esortava: «Il piacere è breve: la pena eterna. La sofferenza è poca: la gloria infinita... tutti saremo giudicati. Fratelli, finché abbiamo tempo, operiamo il bene». Il tempo passa e noi ci avviciniamo inesorabilmente al giorno del nostro Giudizio. Viviamo su questa terra senza perdere di vista questa verità che è l'unica cosa certa della nostra vita.
Predicando e invitando tutti alla conversione, Gesù chiamò i suoi primi Discepoli. Chiamò Andrea e suo fratello Simone, e chiamò i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. La cosa che colpisce in modo particolare è la prontezza di questi uomini nel lasciare tutto per seguire il Signore. Di Andrea e Simone, il Vangelo dice che «subito, lasciarono le reti e lo seguirono» (Mc 1,18); di Giacomo e Giovanni, il testo dice che «essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui» (Mc 1,20). La risposta dei primi Discepoli è stata davvero generosa, e Gesù promette loro qualcosa di molto grande: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17). Seguire Gesù significa diventare suoi collaboratori nell'opera della Redenzione.
Preghiamo dunque affinché ci siano sempre numerose e sante vocazioni, per la salvezza e il bene delle anime.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22/01/2012)

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