BastaBugie n�294 del 26 aprile 2013

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1 SONO UNA VITTIMA DEL CAMBIAMENTO DI SESSO
Gli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso non fanno altro che peggiorare la vita di chi vi si sottopone (VIDEO: Walt Heyer)
Autore: Walt Heyer - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
2 CONSIDERAZIONI CONTROCORRENTE SULLA GRANDE ESPOSIZIONE MEDIATICA DI PAPA FRANCESCO
Eppure nel corso dei secoli un cattolico poteva vivere tranquillo pur sapendo solo vagamente chi fosse il Papa
Autore: Juan Manuel de Prada - Fonte: Corrispondenza Romana
3 LE PRESUNTE RICCHEZZE DELLA CHIESA? NON ESISTONO!
Le testimonianze di San Francesco e del Curato d'Ars ci dicono che la ricchezza della Chiesa... non è della Chiesa
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Il Giudizio Cattolico
4 SLOT MACHINE NEI BAR: C'E' CHI DICE NO
Due ingegneri hanno inventato la mappa dei locali che hanno rinunciato alle macchinette che rovinano persone e famiglie
Autore: Nello Scavo - Fonte: Avvenire
5 GLI ECOLOGISTI VOGLIONO TOGLIERE LE CROCI DALLE MONTAGNE
Eppure piantare croci sulle cime è usanza antichissima e risale ai primi tempi del cristianesimo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
6 UNA DELLE SFIDE PER PAPA FRANCESCO: COMBATTERE LA CRISTIANOFOBIA
L'odio verso i cristiani si manifesta nei vari fondamentalismi oppure nella più sottile dittatura del relativismo che tollera tutto tranne la propria messa in discussione
Autore: Davide Greco - Fonte: Corrispondenza Romana
7 MUSICAL DI CLAUDIA KOLL SU SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE, MARTIRE AD AUSCHWITZ
L'attrice è voce e regista dell'opera sulla vita del religioso che offrì la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia
Autore: Mimmo Muolo - Fonte: Avvenire
8 IL PENDIO SCIVOLOSO: DALL'ABORTO SI PASSA ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE (POI AL MATRIMONIO GAY)
Considerazioni sulla morte di Robert Edwards, padre della fecondazione artificiale
Autore: Marisa Orecchia - Fonte: Federvita Piemonte
9 OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO C - (Gv 13, 31-33.34-35)
Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - SONO UNA VITTIMA DEL CAMBIAMENTO DI SESSO
Gli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso non fanno altro che peggiorare la vita di chi vi si sottopone (VIDEO: Walt Heyer)
Autore: Walt Heyer - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 16/04/2013

Prendo la parola a partire dalla mia esperienza personale per far conoscere la sofferenza, spesso sottaciuta, che segna la vita di molti transgender.
Ci sono vite devastate per la mancanza di un supporto psicologico adeguato. Molti terapeuti non sanno o non vogliono esplorare le problematiche legate all'infanzia. Non è accettabile che si ignorino deliberatamente fattori che sono frequentemente alla base dei disturbi psicologici responsabili dell'incredibile tasso di suicidi tra i transgender: il 30%.
Da ex-transgender mi rendo conto di quanto sia importante passare dai fallimenti del trattamento chirurgico di riattribuzione del sesso a trattamenti psicologici che possano avere maggiore efficacia.
Nell'affrontare l'argomento va chiarita la fondamentale differenza tra l'intersessualità e il transgenderismo: la prima riguarda alcune specifiche condizioni mediche di oggettiva ambiguità dal punto di vista biologico; i transgender si trovano invece ad affrontare un disturbo psicologico.
L'idea che il fenomeno transgender abbia una base biologica è scientificamente infondata: tra i numerosi studi, uno recentissimo condotto da un gruppo dell'Università La Sapienza smentisce l'idea che i transgender siano così dalla nascita.
È quindi necessario smettere di credere, e far credere, che la chirurgia possa offrire soluzioni: farlo significa collaborare con la manifestazione di un disturbo delirante e venire meno alla responsabilità di rendere accessibili trattamenti efficaci.
Questo è ciò che ho imparato sulla mia pelle, dopo che la mia famiglia era stata lacerata dal mio cambiamento chirurgico di sesso. Dopo aver vissuto per 8 anni come donna ho capito che avevo fatto un tremendo errore. La mia vita era distrutta e i miei figli erano devastati dalla follia del loro padre.
Ho capito troppo tardi che era stato un errore diventare Laura abbandonando la mia identità di Walt. E' stato folle. Per questo ora voglio mettere in guardia altre persone dal ricorso alla chirurgia.
Nel mio caso la valutazione psicologica che precede il processo di cambiamento di genere è stata molto frettolosa. Il disturbo dissociativo, di cui in realtà soffrivo, è stato diagnosticato solo 10 anni dopo l'intervento chirurgico. Purtroppo accade molto frequentemente che la valutazione sia superficiale e che non vengano diagnosticati i disturbi psicologici compresenti.
Esattamente nell'aprile di 30 anni fa, finivo sotto i ferri di un chirurgo con l'obiettivo di essere trasformato in qualcosa che non avrei mai potuto essere.
Negli otto anni in cui ho vissuto come Laura Jensen ho scoperto che è una follia avvallare una procedura chirurgica che produce così tanti fallimenti e suicidi.
Un uomo sottoposto a terapia ormonale e intervento chirurgico non diventerà mai una donna: non è possibile. Le donne possono essere solo un dono di Dio, creato per motivo molto speciali. Nessun uomo può essere artificialmente trasformato nella donna che Dio ha creato per noi.
Molti che come me sono stati spinti a credere di potersi affidare alla chirurgia per risolvere i loro problemi mi scrivono attraverso il mio sito web (www.sexchangeregret.com), che ha circa 60.000 contatti annui. Molti si vergognano o hanno paura a esprimersi pubblicamente, molti di loro vivono ai margini della società, cercando rifugio nell'alcool e nella tossicodipendenza; ma, attraverso i contatti sul web mi confidano di essere amaramente pentiti e chiedono aiuto per potere tornare alla loro identità originaria.
Quello che mi preme far sapere è questo: i transgender hanno problemi psicologici, come la depressione, i disturbi d'ansia e i disturbi dissociativi; non nascono così, e per risolvere i loro problemi non hanno bisogno di chirurgia, bensì di terapeuti competenti che sappiano fare diagnosi accurate e comprendere quali strumenti sono utili a prevenire il ricorso alla chirurgia, troppo spesso causa di esiti fallimentari e tragici.
Per dare fondamento a queste affermazioni, condividerò la mia storia. Certo, potrei essere facilmente liquidato e considerato un caso isolato. Ma non è così. Uno studio svedese condotto su 324 transgender (cioè la totalità di coloro che nel periodo 1973-2003 si sono sottoposti in Svezia all'intervento chirurgico di riassegnazione sessuale) ha concluso che dopo l'intervento chirurgico c'è un rischio di mortalità, comportamento suicidario e problemi psichiatrici significativamente superiore alla media nazionale svedese. E allora perché continuare a proporre la chirurgia come soluzione? Dove sono gli psichiatri e gli psicologi?
Negli ultimi 40 anni c'è stata tanta disinformazione; la verità è stata soffocata, forse per motivi politici, e intanto molti transgender hanno pagato e pagano con il rimpianto o addirittura con la propria vita.
In "Paper Genders" ho tracciato la storia della chirurgia di cambiamento di sesso: da Alfred Kinsey a Harry Benjamin, a John Money, fino a Paul Walker, lo psicologo che nel 1981 ha rilasciato il suo parere favorevole per la mia transizione. Ma come sono finito nel suo studio?
A cinque anni mia nonna amava vestirmi da bambina; mi aveva persino confezionato un elegante abito lungo in chiffon color porpora. La cosa si ripeteva con una certa regolarità e forse lì si possono rintracciare gli inizi del mio disturbo di identità di genere. Già da bambino pensavo che doveva esserci qualcosa di sbagliato in me, che in realtà avrei dovuto essere una femmina.
Dopo i problemi con la nonna ci fu dell'altro: quando avevo circa 10 anni ho subito le attenzioni di uno zio, un adolescente disturbato e dedito all'alcool, che mi abbassava i pantaloni e mi toccava come se si trattasse di un gioco; ma io non lo vivevo affatto come un gioco. Era umiliante e mi faceva stare male.
A 15 anni mi sentivo intrappolato nel corpo sbagliato. Ho combattuto intensamente il mio desiderio di cambiare genere. Mi sono dato all'alcool per far fronte all'ansia. Tuttavia, nonostante i miei sforzi, il desiderio di essere una donna non se ne andava, nemmeno dopo due anni di matrimonio, due figli eccezionali e il successo professionale.
Alla base del mio delirio di genere c'era un disturbo dissociativo non diagnosticato e io mi illudevo che la chirurgia mi avrebbe aiutato. Così nel 1983 finii sotto il bisturi del dott. Stanley Biber. Ma non ne trassi giovamento dal punto di vista del benessere psicologico.
L'incontro con Dio nella preghiera fu fondamentale nel ritrovarmi. La forza della preghiera aprì i miei occhi e compresi che la chirurgia era stata un errore; nello stesso tempo anche il mio cuore si aprì e scoprii che Dio era lì per risanarmi.
Sì, ho sbagliato a mettere la mia vita nelle mani di un chirurgo e ho imparato che le sole mani alle quali dovremmo affidarci sono quelle di Dio.
Così oggi a 72 anni sono un testimone la cui esperienza diretta dice che proporre il cambiamento di genere come trattamento è forse il più grande inganno che la medicina abbia mai perpretato.
Gesù Cristo ci aspetta con la braccia aperte, pronto a risanare le nostre vite infrante. Io ne sono la prova.
La mia forza è quella della verità: oggi sono l'uomo che Dio ha creato, Walt Heyer, maschio, rinnovato e risanato dalla potenza, dalla grazia e dall'amore di Gesù Cristo.

Nota di BastaBugie: Walt Heyer è autore del libro "Paper Genders: Il mito del cambiamento di sesso" di Sugarco Edizioni, uscito in questo mese.


https://www.youtube.com/watch?v=xSMLGxHjkqU

DOSSIER "CAMBIO DI SESSO"
I danni irreversibili della transizione

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Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 16/04/2013

2 - CONSIDERAZIONI CONTROCORRENTE SULLA GRANDE ESPOSIZIONE MEDIATICA DI PAPA FRANCESCO
Eppure nel corso dei secoli un cattolico poteva vivere tranquillo pur sapendo solo vagamente chi fosse il Papa
Autore: Juan Manuel de Prada - Fonte: Corrispondenza Romana, 18/04/2013

L'esposizione mediatica del Papa è un fenomeno che può sembrarci "normale" e che di fatto lo è, in questa fase della Storia; ma è un fenomeno talmente spettacolare che, inevitabilmente, riguarda la vita dei cattolici, se non nella sostanza della loro fede, almeno nel modo di viverla. Nel corso dei secoli un cattolico poteva vivere tranquillo pur senza sapere chi fosse il Papa di Roma, o poteva saperlo solo vagamente, ignorando se fosse grasso o magro, alto o basso, taciturno o chiacchierone, finissimo teologo o rustico pastore.
Nel corso dei secoli, a un cattolico bastava sapere che a Roma vi era un uomo che era Vicario di Cristo in terra e che questo uomo, la cui successione era assicurata, custodiva il deposito della fede che professava, ereditata dai suoi predecessori. Nel corso dei secoli, un cattolico viveva la propria fede nella preghiera, nella frequentazione dei sacramenti e nella celebrazione comunitaria e gli unici insegnamenti che riceveva erano quelli che il parroco del suo villaggio elargiva dal pulpito e che gli trasmettevano i suoi antenati, al caldo del focolare. Così è stato dalla fondazione della Chiesa fino a pochi secoli fa e quella è stata l'età d'oro della Cristianità.
Prima di arrivare a questa fase mediatica della Storia ci fu una fase intermedia, nella quale la diffusione della stampa permise a un cattolico curioso di conoscere le decisioni dei Papi sulle questioni di fede e morale mediante le loro encicliche ed, eventualmente, anche le difficoltà che il papato attraversava nel contesto politico internazionale. Allora un cattolico conosceva l'immagine del Papa grazie alle immaginette e, se era un lettore avido di periodici e riviste, poteva farsi un'idea sommaria delle linee guida del suo pontificato. Una stragrande maggioranza dei cattolici, però, seguiva ignorando simili particolari, ma vivendo la propria fede in modo tradizionale: in comunione con i suoi compaesani e attendendo gli insegnamenti del parroco del proprio villaggio, sia che questi fosse un santo sia che fosse un uomo di morale rilassata, perfino dissoluta; il cattolico comune riteneva tale questione piuttosto frivola, poiché gli bastava sapere che, santo o libertino, questo parroco mentre officiava la Messa era un "altro Cristo". Era un'epoca nella quale le istituzioni stavano al di sopra delle persone che le incarnavano.
Poi però è arrivata la fase mediatica della Storia e si è squilibrato tutto. Il Papa, all'improvviso, è diventato una figura onnipresente e il cattolico comune ha iniziato a conoscere intimità singolari su di lui: ha cominciato a sapere se il Papa soffrisse di gotta o di calvizie, se gli piacessero il calcio o gli scacchi, se fosse austero o sontuoso nel vestire, se indossasse scarpe di marocchino o di cordovano, se gli piacesse provare il cappello da mariachi o il tricorno che gli regalavano i fedeli che riceveva in udienza, o se declinava un così discutibile onore. Gli è stato detto che, conoscendo queste stravaganti intimità, il cattolico avrebbe potuto amare in maniera più completa il Papa, che in questo modo il Pontefice sarebbe potuto diventare più «umano», più «vicino» e «accessibile». Affermazione totalmente grottesca, poiché il Papa non ha altra missione sulla terra che essere Vicario di Cristo in terra e per avvicinarsi a Lui, per renderlo più «umano», «vicino» e «accessibile», Cristo stesso ci ha già lasciato la ricetta: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato», eccetera. Non è conoscendo intimità singolari del Papa che il cattolico si avvicina a Cristo, ma soffrendo con i "più piccoli" si imita Cristo. Bisogna chiedersi se, al contrario, questa onnipresenza mediatica del Papa non contribuisca alla disgregazione o al raffreddamento della fede del cattolico.
Bisogna chiedersi se l'inseguimento mediatico del Papa, non tanto nelle sue decisioni su questioni che riguardano la fede e la morale, quanto nelle più disparate stupidaggini quotidiane, non generi una sorta di "papolatria", del tutto estranea alla tradizione cattolica e molto più circoscrivibile al fenomeno fan provocato da cantanti, calciatori o attori. Bisogna chiedersi anche se questa esposizione mediatica tanto abusiva del Papa non generi una distorsione nella trasmissione della fede. Poiché se Cristo avesse desiderato che la fede venisse trasmessa "in grande" avrebbe inventato tutto d'un fiato il megafono, la radiofonia, le antenne ripetitrici, la linea ADSL, la TDT e le reti sociali di Internet; e avendo potuto farlo, ha preferito che la fede si trasmettesse nel calore del rapporto umano, mediante piccole comunità che si sono ampliate attraverso la testimonianza personale e l'intrasferibile cuore a cuore dei suoi discepoli.

Fonte: Corrispondenza Romana, 18/04/2013

3 - LE PRESUNTE RICCHEZZE DELLA CHIESA? NON ESISTONO!
Le testimonianze di San Francesco e del Curato d'Ars ci dicono che la ricchezza della Chiesa... non è della Chiesa
Autore: Corrado Gnerre - Fonte: Il Giudizio Cattolico, 06/04/2013

Una delle questioni che più frequentemente vengono proposte negli incontri di catechesi è quella riguardante la cosiddetta "ricchezza" della Chiesa. Ma è mai possibile – si chiede solitamente – che la Chiesa possegga tanta ricchezza pur predicando la povertà?
E allora è bene chiarire alcuni punti per saper rispondere a questo interrogativo, che, come abbiamo già detto, è molto diffuso.
Divideremo il discorso in quattro punti:
1. La povertà non va confusa con il pauperismo.
2. La Verità non può essere separata dalla bellezza.
3. La ricchezza della Chiesa... non è della Chiesa.
4. La Chiesa non è del mondo, ma è nel mondo.
 
1) LA POVERTÀ NON VA CONFUSA CON IL PAUPERISMO
Iniziamo con il primo punto. Prima di tutto va detto che la povertà non può essere confusa con il pauperismo. La povertà è un valore che deve essere tenuto in considerazione da tutti i cristiani. Tutti sono tenuti ad essere "poveri", perché la povertà è rapportarsi nel modo corretto ai beni materiali, nel senso che questi beni non possono e non devono essere considerati "fini" ma solo "mezzi". Nelle Beatitudini (Luca 6) Gesù chiama i poveri "beati", mentre dice: «guai a voi ricchi!». Ebbene, quella povertà e quella ricchezza non devono essere pensate in senso economico.
Il "povero", evangelicamente, non è colui che non possiede nulla, quanto colui che, pur possedendo, sa che quella ricchezza va considerata solo come mezzo per praticare il bene e avvicinarsi a Dio. Invece il "ricco", in senso evangelico, non è colui che necessariamente possiede, bensì colui che è tanto pieno di sé da non saper far posto a Dio nella sua vita.
Paradossalmente, se uno ha in tasca 10.000 euro, ma fa di questa cifra non il fine della sua vita ma un mezzo per praticare il bene, costui non è un ricco ma un povero. Se invece uno ha in tasca solo un euro, ma fa di questo misero euro il fine della sua vita, addirittura dichiarandosi disposto a calpestare anche la legge di Dio pur di aumentare la sua "ricchezza", costui non è un povero ma un ricco. Certo, è indubbio che chi possiede molto, più facilmente sarà tentato nell'orgoglio e nella presunzione; chi invece possiede di meno, più facilmente sceglierà l'umiltà e la semplicità; ma da qui a rilevare un automatismo ce ne corre.
 Inoltre, come abbiamo accennato prima, va detto che non si può confondere la povertà con il pauperismo. Quest'ultimo è la povertà economica a tutti i costi. Ma ciò è lontano da una corretta prospettiva cristiana. Prendiamo san Francesco d'Assisi, modello della vera povertà. Questo grande santo ci teneva a far capire ai suoi frati che la strada della loro povertà doveva essere considerata come una delle tante per arrivare in Paradiso, ma non l'unica strada. La strada necessaria per chi sceglieva la loro vita, ma non per gli altri. Tanto è vero che chi, tra i francescani, la pensò in maniera difforme dal Serafico Fondatore, finì con l'uscire dalla Chiesa e morire eretico.
 
2) LA VERITÀ NON PUÒ ESSERE SEPARATA DALLA BELLEZZA
Veniamo al secondo punto: la Verità non può essere separata dalla bellezza. Citiamo nuovamente san Francesco d'Assisi. Questo egli pretendeva la massima povertà per i suoi frati, ma il massimo splendore per gli edifici ecclesiastici. Egli diceva che le chiese dovrebbero essere piene di oggetti preziosi tanto è la Grandezza che contengono, ovvero il Santissimo Sacramento. I paramenti liturgici, che le clarisse del tempo di san Francesco cucivano, erano ricamati con fili d'oro, perché così voleva il Serafico Padre. La bellezza, infatti, deve significare la Verità. Meglio: la Verità deve essere significata dalla bellezza. E la bellezza è anche maestosità, è anche "ricchezza".
Nella Prima Lettera ai custodi scrive: «Vi prego, più che se riguardasse me stesso, ch, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Signore Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell'altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione».
C'è qualcosa d'interessante ai fini di ciò che stiamo dicendo nella biografia di Francois Trochu su san Giovanni Maria Vianney (il Santo Curato d'Ars): «Don Vianney (...) per rispetto all'Eucaristia, volle quello che di più bello era possibile avere. (...) Quindi aumentò il "guardaroba del buon Dio", come diceva lui, col suo linguaggio colorito e immaginoso. Visitò a Lione i negozi di ricamo, di oreficeria, e vi acquistava ciò che vi trovava di più prezioso. "Nei dintorni", confidavano i suoi fornitori meravigliati, "c'è un piccolo curato magro, che ha l'aria di non averne mai neanche un soldo in tasca e che per la sua chiesa vuole sempre il meglio!". Un giorno del 1825, la contessina d'Ars lo condusse con sé in città, per acquistare un paramento per la Messa. A ogni nuovo modello che gli veniva presentato, ripeteva: "Non è abbastanza bello!... Occorre qualcosa di più bello di questo!"».
Nel Vangelo di San Giovanni (capitolo 12) vi è un episodio che per questa questione dice tutto: «Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: "Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?"». L'Evangelista aggiunge che Giuda disse così non perché gli interessassero i poveri, ma perché era ladro e voleva frodare ciò che vi era in cassa. La risposta di Gesù è chiara: «Lasciala fare (...) I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Dunque, ci sono dei momenti in cui bisogna donare agli altri, ma ci sono anche dei momenti in cui bisogna sottolineare con la ricchezza la grandezza del divino.
Le bellezza ingentilisce gli animi, aprendoli anche alla sensibilità e quindi alla comprensione verso il prossimo. Creare bellezza è un atto di amore doveroso nei confronti di Dio. Si racconta che a Pisa, prima che costruissero la celeberrima Piazza dei Miracoli con il Duomo, il Battistero e il famosissimo Campanile (che poi è diventato la conosciutissima Torre Pendente) mancavano le fogne. Il popolo pisano, però, preferì costruire prima la cattedrale e poi eventualmente pensare alle fogne. La scelta fu certamente imprudente... ma di grande generosità verso Dio. Verrebbe da pensare: ma che forse la Provvidenza abbia voluto ripagare la grande generosità dei Pisani del tempo? D'altronde, a differenza di altre città toscane, a Pisa se si toglie la Torre Pendente e Piazza dei Miracoli non rimane granché. La città è divenuta famosa in tutto il mondo per un fatto misterioso: il cedimento del terreno che ha permesso al Campanile non di schiantarsi al suolo, ma di rimanere sorprendentemente inclinato. E si badi: allora i sondaggi geologici li sapevano fare eccome... se è vero, come è vero, che tutto ciò che di grande costruivano è giunto intatto fino a noi malgrado molteplici terremoti.
 
3) LA RICCHEZZA DELLA CHIESA... NON È DELLA CHIESA
In realtà la ricchezza della Chiesa non è della Chiesa. La ricchezza della Chiesa consiste soprattutto nelle opere d'arte, che, non solo non sono alienabili (nel senso che sono invendibili), ma esistono grazie soprattutto alla generosità dei fedeli. Si può raccontare questo significativo episodio. Nell'Emilia del dopoguerra, gli anni del grande scontro fra cattolici e comunisti, in una cittadina vi fu un convegno organizzato dall'allora Partito Comunista. Tra i relatori vi era un professore (ovviamente comunista) che iniziò ad attaccare la Chiesa soprattutto per una sua presunta ricchezza tenuta per sé senza darla ai poveri. Tra il pubblico vi erano due colti sacerdoti che cercarono di prendere la parola per fare da contraddittori, ma aggravarono la situazione perché intervennero utilizzando un linguaggio troppo teorico e teologico, così la gente che assisteva, semplice ed ignorante, non riuscì a capire. Provvidenza volle che prendesse la parola anche un semplice parroco, che in dialetto parlò ai presenti. Egli si limitò a raccontare agli abitanti di quella cittadina un fatto accaduto anni fa e che tutti ricordavano molto bene. Si trattava di un operaio comunista, ateo, al quale si ammalò gravemente l'unica figliola. La moglie, ch'era credente, decise di chiedere alla Vergine, a cui era dedicato un famoso santuario del posto, la grazia della guarigione. Il miracolo ci fu: la bambina guarì. L'operaio, allora, volle andare dal miglior gioielliere della città per far realizzare un bellissimo ex-voto d'oro. Il lavoro fu eseguito e l'uomo lo portò al rettore del Santuario. Ma, dopo pochi giorni, l'operaio, passando dinanzi alla gioielleria, vide esposto in vetrina l'oggetto che aveva commissionato e consegnato al Santuario. Spazientito, chiese spiegazioni. Gli fu detto che il rettore lo aveva messo in vendita per costruire un oratorio per i fanciulli. L'uomo, giustamente, andò su tutte le furie: "Ecco, noi regaliamo alla Madonna... e i preti rivendono ciò che regaliamo!". E aveva ragione. Per quanto fosse buona l'intenzione del sacerdote, egli non poteva rivendere ciò che un fedele aveva regalato direttamente alla Vergine. Bastò il ricordo di questo episodio, perché tutti i presenti capissero il vero significato delle tante ricchezze della Chiesa.
 
4) LA CHIESA NON È DEL MONDO, MA È NEL MONDO
Su questo punto diremo pochissimo.
È vero che il cassiere era Giuda Iscariota (perché evidentemente una certa inclinazione la doveva avere), ma Gesù stesso volle che gli apostoli avessero una cassa. E ciò perché l'evangelizzazione, pur non essendo del mondo, avviene nel mondo. Se la Chiesa non avesse un'autonomia economica, dovrebbe dipendere da qualche realtà mondana. Ma, se così fosse, non sarebbe più libera nei suoi giudizi. Un piccolo esempio: un conto è se si ha un proprio stipendio, altro se si dipende totalmente da qualcuno che dà da mangiare e da bere. Nel secondo caso, se ci si dovesse accorgere che colui da cui si dipende è un poco di buono, potrebbe subentrare facilmente la tentazione di chiudere entrambi gli occhi convincendosi: "se chi mi dà da vivere andrà in galera, chi mi sosterrà?".
L'autonomia economica è sempre garanzia di libertà.

Fonte: Il Giudizio Cattolico, 06/04/2013

4 - SLOT MACHINE NEI BAR: C'E' CHI DICE NO
Due ingegneri hanno inventato la mappa dei locali che hanno rinunciato alle macchinette che rovinano persone e famiglie
Autore: Nello Scavo - Fonte: Avvenire, 03/03/2013

L' ultima bandierina sulla mappa interattiva è per il 'Crazy Pub' di Casorate Sempione, nel Varesotto. Come si deve ad una birreria che ha sbattuto fuori le slot machine per far posto a bottiglie pregiate. Così i puntini rossi segnalano un altro territorio espugnato. La cartina di un'Italia liberata dal demone mangiasoldi. E dentro al perimetro frastagliato della Penisola ogni giorno si aggiungono altre battaglie vinte. L'idea è venuta in mente a Mauro Vanetti e Pietro Pace. Per loro, che un lavoro ce l'hanno già, si tratta di volontariato via internet. Il sito senza-slot. it raccoglie e pubblica gratuitamente segnalazioni su bar e locali che le slot non ce le hanno mai avute o che le hanno appena rispedite ai gestori. «Indurre il popolo a buttare il reddito che ha faticosamente ottenuto col lavoro – osservano i due giovani originari di Pavia – incoraggia un'ideologia per cui salari e pensioni possono essere cancellati in un istante e attribuisce un valore positivo al guadagno ottenuto senza lavorare, con la fortuna o con l'imbroglio ». Tutto il contrario di quanto invece il Paese avrebbe bisogno per risollevarsi. «Il nostro – assicurano – non è un giudizio morale sul gioco, è un giudizio sociale e politico sul meccanismo delle macchinette mangiasoldi ». Insomma, nessuna ostilità verso le vittime della dipendenza, ma certo non si può dire che coltivino sentimenti si simpatia per «i padroni delle macchinette che si arricchiscono sulla miseria e sul degrado psicologico che creano».
Ad oggi si contano quasi mezzo migliaio di locali pubblici nei quali si può sorseggiare un aperitivo in compagnia, senza dover sopportare il chiasso degli apparecchi per il gioco. «Non vogliamo contribuire a costruire l'illusione che giocare alle macchinette – avvertono Pace e Vanetti – possa diventare un piccolo vizio innocuo come prendere un caffè».
Di segnalazioni ne arrivano a decine. Ogni volta tocca verificare, con qualche telefonata o mandando qualcuno a dare un'occhiata, se davvero il posto è 'pulito'. In molti casi liberarsi dalle slot non è facile. Non solo perché i contratti sottoscritti dagli esercenti con i gestori prevedono pesanti penali in caso di recesso anticipato. «Sappiamo che ci sono molti piccoli proprietari di bar che vorrebbero rinunciare ma per vari motivi non riescono; talvolta – riferiscono gli ideatori di 'senza slot.it' – sono obbligati a farlo dalle mafie che controllano il racket dei videopoker non a norma». E non di rado capita di sentir parlare «di atteggiamenti ricattatori o vere e proprie intimidazioni mafiose». Per molti baristi i videopoker si sono rivelati un boomerang. «Basti pensare – osserva Mauro Vanetti – che tipo di posto diventa un locale in cui lo spazio coi tavolini per il caffè viene gradualmente invaso dalla 'zona casinò' e in cui magari cominciano a comparire figure squallide come l'usuraio». Finisce che la clientela più affezionata cominci a girare i tacchi. «I locali con macchinette, inoltre, subiscono rapine molto più frequentemente, esponendo i loro lavoratori a rischi fisici e psicologici », aggiunge Pietro Pace. In altre parole, un tranquillo bar di paese può trasformarsi in «un ambiente malsano». E basta moltiplicare questa sgradevole impressione per il numero di locali colonizzati dalle macchinette per capire come mai stia crescendo il desiderio di vivere 'senzaslot'.

Fonte: Avvenire, 03/03/2013

5 - GLI ECOLOGISTI VOGLIONO TOGLIERE LE CROCI DALLE MONTAGNE
Eppure piantare croci sulle cime è usanza antichissima e risale ai primi tempi del cristianesimo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 14/04/2013

E ti pareva che in nome del Dio Paesaggio non se la pigliavano anche con le croci d'alta quota. D'altra parte c'è da capirli questi c.d. ambientalisti: non avendo altro da fare dalla mattina alla sera, scrutano, osservano, monitorano, instancabili, con mille occhi sempre aperti come il mitologico Argo. Tra loro c'è chi fa il bird-watching (cioè, guarda gli uccelli) e chi fa il mount-watching (come nel nostro caso). Ora, è chiaro che uno che ha deciso di consacrare l'esistenza a guardare gli uccelli o i monti (o il mare o la spiaggia o le fogne o i cessi per vedere che non inquinino) finisce per assumere la mentalità del giacobino. La quale è una continua «denuncia». Così, il bird-watcher denuncia i lacci e i laccioli, le trappole, il vischio, i richiami a fischietto e gli specchietti per le allodole, che quei nemici dell'umanità che sono i cacciatori disseminano nell'«ambiente» solo perché cattivi d'animo.
A furia di denunciare, però, può andare a finire che, denunciato tutto il denunciabile, esaurisci i capi d'accusa. E allora, che fai? Ti trovi un lavoro vero? Non sia mai. Non ti resta, allora, che aguzzare la vista e metterti alla caccia di qualcos'altro da denunciare. E, poiché il tempo non ti manca, vedrai che prima o poi qualcosa la trovi. Infatti: riporta Dagospia l'11 aprile 2013 un articolo di Andrea Selva su «La Repubblica», nel quale si comunica che è stato scovato un altro obiettivo su cui puntare il dito, le croci di montagna.
Secondo l'associazione Mountain Wilderness ma anche il solito Wwf e pure Italia Nostra, le nostre montagne sono troppo affollate di croci, crocifissi, madonne e padripii. Ma soprattutto croci. Il presidente del Club Alpino Italiano, Umberto Martini, che sa bene quanto quelle croci siano meta di arrampicate ed escursioni nonché di veri e propri pellegrinaggi, dice: «Sarebbe ridicolo rimuovere la croce dal Cervino, l'importante è fermarsi perché meno la montagna viene "deturpata" o "arricchita" (dipende dai punti di vista) e meglio la montagna sta». Sano buonsenso (o cerchiobottismo, dipende dai punti di vista), che si preoccupa di dare un limite sia ai denunciatori degli «scempi ambientali» sia ai cattolici troppo devoti. Com'è noto, basta stare nel mezzo, così le si può distribuire senza prenderle.
A proposito di buonsenso, tuttavia, data la prevalentissima montuosità del territorio italiano ci chiediamo quand'è che la situazione-croci raggiungerà la saturazione (e ammesso che si continui a piantarne): tremila anni? solo mille? Facciamo così: erigiamo croci eoliche, con le braccia che girano al vento, così da fare contenti sia gli ambientalisti che i credenti.
La mania di piantare croci sulle cime, in verità, è antichissima e risale ai primi tempi del cristianesimo, quando erano gli stessi evangelizzati locali a chiedere ai vescovi di esorcizzare i «demoni delle alture», di cui avevano un sacrosanto terrore. Il Passo del San Bernardo (il benedettino Bernardo d'Aosta), per esempio, si chiama così proprio per questo motivo. Ci sentiamo di suggerire ai talebani dell'ambiente (accostamento non casuale, perché proprio i talebani distrussero in nome della loro ideologia le statue del Buddha scolpite nelle montagne afghane), specialmente a quelli con nomi americani, che negli Usa esiste il monte Rushmore, che di montagna non ha più neanche l'aspetto, avendo quello delle immani facce dei Presidenti statunitensi. Un'altra montagna che non è più montagna ma è la colossale figura di Cavallo Pazzo la si trova sempre negli Usa. Però, nessuno protesta; già: sarebbe grottesco un western in cui, contro gli indiani, non ci fossero le «giacche azzurre» ma quelle verdi di Greenpeace.

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 14/04/2013

6 - UNA DELLE SFIDE PER PAPA FRANCESCO: COMBATTERE LA CRISTIANOFOBIA
L'odio verso i cristiani si manifesta nei vari fondamentalismi oppure nella più sottile dittatura del relativismo che tollera tutto tranne la propria messa in discussione
Autore: Davide Greco - Fonte: Corrispondenza Romana, 20 marzo 2013

Ci sono poche realtà che sono diventate evidenti come la Cristianofobia in questi anni. Poco per volta, giorno per giorno, la consapevolezza è cresciuta. Ed è sempre più facile osservarla. Fino ad una veloce e drammatica conclusione: i valori cristiani sono sotto attacco continuamente, con metodi violenti o sfumati, da ogni parte del mondo. In alcune zone la cristianofobia ha talvolta il contorno del sorriso, dell'ironia sarcastica. Ma ci sono dei luoghi dove l'odio verso la cristianità non fa affatto ridere. Anzi, ha i contorni della persecuzione sanguinosa.
Per questo il termine è diventato una realtà anche per l'Onu, all'interno di una risoluzione del 2003. Per questo agenzie di stampa come "Asia News", "ACS", "Fides" denunciano quotidianamente atti di violenza estrema, che vanno dall'omicidio, alla tortura, allo stupro. Tutti atti condotti verso comunità o singole persone, colpevoli solamente di credere in Cristo o nella Chiesa.
Fra queste possiamo tranquillamente inserire l'omicidio di Yohannes A., massacrato in Siria perché portava la croce al collo; quello del sacerdote cattolico Padre Evarist a Zanzibar, vittima di tre colpi di pistola e di una indegna campagna mediatica che sui giornali locali incitava alla rappresaglia contro vescovi e sacerdoti. O ancora l'assassinio di Younas Masih che si rifiutava di convertirsi all'Islam; di Andrei Arbashe, sempre in Siria, che stava per accusare i ribelli islamici di comportarsi come banditi, ma che è stato rapito, ucciso e dato in pasto ai cani; di Fouzia Bibi ragazzina di 15 anni segregata, torturata e stuprata da due influenti musulmani, sicuri di farla franca perché tanto lei è appartenente alla minoranza cristiana.
Fra le varie sfide che dovrà affrontare Papa Francesco c'è anche questa. Terribile, dura, verso la quale non si può mantenere una posizione semplicemente teologica. Benedetto XVI ha denunciato più volte questa crescente anti-ideologia. Lo ha fatto nel suo libro-intervista "Luce nel mondo", poi nel discorso in occasione della XLIV Giornata della Pace, poi il 10 gennaio 2011. Il "ministro degli Esteri" vaticano, mons. Dominique Mamberti, ha fatto seguire, presso l'Osce, altri interventi (specie quello del dicembre del 2012) per sottolineare quanto i cristiani siano fra i più perseguitati al mondo.
Certo bisogna distinguere. Da un lato c'è la cristianofobia extraeuropea vittima dei fondamentalismi. Dall'altro c'è in Europa e in America una più sottile "dittatura del relativismo", fragilmente puntellata sul credo laicista, sul politicamente corretto, che include tutto tranne una propria messa in discussione. È quella stessa laïcité che René Guitton nel suo Cristianofobia (Lindau, Torino 2009) definisce «integralismo laicista», per il quale «chi commette il sacrilegio di non pensarla come loro è regolarmente denunciato come un novello inquisitore» (p. 15). Il cristiano, ma soprattutto il cattolico, è vittima di stereotipi che ormai neanche si contano più. L'insulto ad un qualsiasi gruppo finisce ovunque per essere un "hate speech", un discorso di incitamento all'odio, perseguibile penalmente, ma non se si tratta di un cattolico.
Lo stesso Benedetto XVI è stato vittima di una campagna mediatica al massacro e di tutta una serie di turpiloqui nei blog e nelle vignette. Lì sono piovuti insulti e offese con la classica grammatica del pregiudizio razzista in cui, ad esempio, l'errore personale di pochi viene eletto a caratteristica predominante del gruppo. Da qui si va poi ad aggredire l'autorità del Papa e infine si mette in discussione tutta la Chiesa. Eppure quante volte ormai i cattolici si sono abituati a queste manipolazioni?
Per il caso pedofilia, ad esempio, persino l'agnostico Giancarlo Perna scrive su "Il Giornale" del 20 aprile 2010: «Con la scusa dello 0,03 di preti pedofili – questa la percentuale dei viziosi sul totale degli ecclesiastici – si è partiti lancia in resta contro duemila anni di storia». Eppure, anche nel mondo laico, amministratori pubblici più o meno indegni compiono sbagli personali, ma nessuno si sogna di tirar giù la democrazia per questo. Altro fronte. Negli ambienti intellettuali il minimo che si può fare, come sottolinea Antonio Socci in La guerra contro Gesù, è di dare dei «cretini» ai cattolici (Rizzoli, Milano 2011, pp. 36-39). Così che un Odifreddi può permettersi con la massima disinvoltura di dire, ben sapendo di avere un uditorio che apprezza: «la critica al Cristianesimo potrebbe ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo».
Così, di questo passo si è arrivati ad una "civiltà" che in Norvegia decide di stampare la Bibbia sulla carta igienica, che in Inghilterra propone l'eutanasia per gli over 80 e i bimbi down, o che in Australia vorrebbe far passare l'infanticidio con la definizione di «post-aborto». E tutto questo mentre l'Unione Europea esprime preoccupazione per le "recenti restrizioni" (vedi obiezione di coscienza) sull'aborto sicuro e legale, e invece plaude alle unioni gay. Se poi, come in Irlanda e in Polonia, un referendum nazionale si è già espresso contro l'aborto, ecco giungere l'ingerenza laica con una condanna della Corte di Strasburgo. Chiaramente così si spiegano anche le affermazioni supponenti dell'islamico Mahmoud Azab, che chiede al nuovo Papa di scusarsi per le dichiarazioni di Benedetto XVI all'indomani dell'attentato del 31 dicembre 2010 alla Chiesa dei Santi di Alessandria. Un attentato che, ricordiamo, aveva causato 22 morti e 79 feriti fra i fedeli copti. Affermazioni impossibili da immaginare se non di fronte ad una civiltà che si suppone estremamente debole, priva di midollo sociale. Anche questa sfida, la cristianofobia, è chiamato ad affrontare Papa Francesco. Un'emergenza che non può più essere ignorata. Dal Santo Padre, dalla Curia, da tutti i cattolici.

Fonte: Corrispondenza Romana, 20 marzo 2013

7 - MUSICAL DI CLAUDIA KOLL SU SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE, MARTIRE AD AUSCHWITZ
L'attrice è voce e regista dell'opera sulla vita del religioso che offrì la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia
Autore: Mimmo Muolo - Fonte: Avvenire, 19/04/2013

Al centro c'è l'idea del dono. Quello che padre Massimiliano Kolbe fece della propria vita a Dio e agli uomini. E – anche se più modestamente, come tiene a precisare lei stessa – quello che Claudia Koll vuole fare ai giovani, raccontando nel suo nuovo spettacolo (che debutta stasera, ore 21, al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno) la vita e la morte del martire di Auschwitz. «Giovanni Paolo II lo definì 'patrono particolare dei nostri tempi difficili' – afferma l'attrice che dello spettacolo è anche regista –. E davvero penso sia una figura di grande attualità, che ha tanto da insegnare ai ragazzi di oggi. Questo musical è dedicato proprio a loro». In effetti l'insegnamento principale che emerge dal lavoro, e che la Koll ha voluto esplicitare fin dal titolo (Kolbe, fare della vita un dono), è che «la vita va vissuta con responsabilità». Come un dono, appunto. E in quanto tale la mostra la vicenda umana e religiosa del martire. Lo spettacolo, infatti, racconta attraverso una dozzina di quadri tutte le fasi della vita di padre Kolbe. In particolare il suo consacrarsi all'Immacolata e poi la parte finale nel campo di concentramento in cui il religioso avrebbe trovato la morte. Claudia Koll ha preso come filo conduttore il musical di Daniele Ricci, edito dalle Paoline, ma alle canzoni ha aggiunto le coreografie (curate da Alexandre Stepkine, suor Anna Nobili e Theodor Rawyler), una serie di filmati e anche alcuni testi originali che hanno lo scopo di far risaltare la lotta tra il bene e il male, al fondo di tutta la vicenda. «Mentre preparavo il musical – spiega l'attrice e regista, che con la sua voce recitante collegherà i diversi quadri canori – mi capitò di leggere una lettera scritta dal comandante di Auschwitz alla moglie. Un documento accorato in cui questo militare ammette: 'È tragico accorgersi di aver sbagliato tutto nella vita'. E allora lo abbiamo inserito anche nella rappresentazione, per far meglio comprendere agli spettatori che seguire il proprio io può portare al disastro, mentre si possono fare cose meravigliose quando ci si lascia permeare da Dio. Padre Kolbe lo comprende e nel momento della grande battaglia si schiera dalla parte del Signore. Anche a costo della vita ». Il musical ha una durata di 90 minuti ed è interpretato dagli allievi della Star Rose Academy, la scuola per giovani artisti fondata qualche anno fa dalla Koll. Padre Kolbe sarà portato sulla scena da Francesco Marcolini, già interprete di Vacanze Romane , l'altro spettacolo dell'Accademia, ispirato al noto film con Gregory Peck e Audrey Hepburn. Claudia tiene molto ai suoi ragazzi e all'esperienza che stanno via via maturando: «Giovanni Paolo II – dice – ci ha insegnato a credere nelle potenzialità dei ragazzi. Quindi noi adulti dobbiamo fare di tutto per permettere loro di esprimersi. Questo musical, dunque, è un lavoro interpretato dai giovani e diretto ai giovani, per trasmettere i valori del Vangelo. Mi sembra sia un messaggio importante in questo anno dedicato proprio alla fede».

Nota di BastaBugie: Gianpaolo Barra ha consegnato nel 2009 a Claudia Koll il premio Viva Maria in occasione del 1° Giorno del Timone della Toscana. Per vedere il video con la testimonianza dell'attrice (durata 70 min.), clicca qui sotto
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=90

Fonte: Avvenire, 19/04/2013

8 - IL PENDIO SCIVOLOSO: DALL'ABORTO SI PASSA ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE (POI AL MATRIMONIO GAY)
Considerazioni sulla morte di Robert Edwards, padre della fecondazione artificiale
Autore: Marisa Orecchia - Fonte: Federvita Piemonte, 14/04/2013

Robert Edwards è morto. Insignito del Nobel per la medicina, è il padre della fivet che, a partire da Louise Brown, nata nel '78, ha prodotto nel mondo un gran numero di bambini e una sterminata moltitudine di aborti.
Edwards ha applicato alla procreazione umana le metodiche che, dai primi decenni del secolo scorso erano state messe a punto, proprio nella sua Cambridge, nella riproduzione zootecnica, per migliorare le razze bovine , metodiche off limits per la specie uomo fino a quando l'irruzione delle legislazioni abortiste nei Paesi occidentali non ha mandato in frantumi la barriera della tutela dell'embrione umano e la condivisa consapevolezza della sacralità ed intangibilità della vita.
Soltanto ad aborto sdoganato, reso giuridicamente e socialmente irrilevante, diventa accettabile applicare all'uomo tecniche che, per far nascere un bambino, se e quando ci riescono, sacrificano consapevolmente e volontariamente più di una decina di embrioni
Con Edwards e la sua fivet l'orrore del Mondo Nuovo di Huxley è divenuto realtà.
L'eugenismo infatti è insito e naturalmente connaturato alla pratica della produzione dell'uomo . Nessun medico - affermava Jerome Lejeune , Nobel mancato per il suo profondo e indefettibile rispetto per la vita umana - consegnerà mai ai committenti un figlio meno che perfetto.
Con l'eugenismo , le più aberranti sperimentazioni e l' uso più commercialmente allettante sugli embrioni umani, appositamente prodotti o soprannumerari si sono aperti la strada.
La concezione stessa della famiglia con la fivet subisce un sottile, ma profondo stravolgimento.
Il figlio non è più il dono che si riceve da un Altro e che si ama per quello che è, ma diventa, quando non arriva naturalmente, l'oggetto dei desideri per conseguire il quale si arriva a sacrificare la vita di tanti altri suoi fratelli, quando non addirittura la stabilità di coppia. Con la stessa logica, il figlio, quando arriva non programmato o indesiderato, può essere tranquillamente rifiutato. La famiglia, da luogo degli affetti in cui ciascuno è accettato ed amato per sé stesso, a prescindere dai suoi meriti e dai suoi pregi, in cui ogni presenza ha un senso, anche quando si rivela difficile o faticosa, diventa la costruzione che ciascuno decide per sé, secondo il suo intendimento, dove ha senso rimanere finché conviene e, in una sorta di contrattualistico scambio, si riceve quanto si era messo in conto ricevere.
La fivet non è una terapia della sterilità – che infatti non cura, ma si limita ad aggirare - come solitamente è presentata, ma via facile e privilegiata a quel mutamento antropologico che ha di mira la distruzione dello stesso concetto di natura e che attua il suo disegno attraverso l'indebolimento e la disgregazione della famiglia. Se il figlio si può produrre con l'apporto di gameti di terzi o commissionare con la pratica dell'utero in affitto, diventa in fondo accettabile per la pubblica opinione riconoscere lo status di famiglia anche alla coppia omosessuale che il figlio se lo procura in questi modi. Gli esempi non mancano.
La fecondazione in vitro è un'arma potente nelle mani di chi ci propina, un giorno sì e l'altro anche, la normalizzazione della famiglia omo, passaggio obbligato verso la deriva della cultura queer del gender .
Ma queste implicazioni ai più sembrano sfuggire. Per restare nel nostro Paese, dove la fivet è regolamentata dalla legge 40/2003, questa pratica non è stata purtroppo oggetto di vera e salda opposizione. Si è cercato di renderla inoffensiva attraverso una normativa che limitasse i danni , ma in fondo con la rassegnazione che la fivet sia, come sosteneva Edwards is made to stay, fatta per rimanere, appunto. Ma limitarsi a perseguire la limitazione del danno ha sempre dato frutti scarsi e bacati.
Al male occorre fare argine con la forza della verità, non con i paletti.
Ed è con la forza della verità che in questi giorni la Conferenza Episcopale Polacca sta opponendosi all'approvazione di una legge che regolamenti in Polonia la fecondazione in vitro. Nel documento pubblicato il 9 aprile scorso "Le sfide della bioetica per l'uomo moderno", i Vescovi si soffermano sulla fivet sottolineando che "prevede l'aborto selettivo". Importante la denuncia "del cambiamento radicale della percezione della genitorialità e la mancanza di sensibilità per l'unicità e il valore di ogni vita umana." "I compromessi politici - concludono i vescovi polacchi- sono possibili quando " servono alla realizzazione di un bene maggiore, e non come metodo per risolvere problemi etici o fissare criteri del bene".

Fonte: Federvita Piemonte, 14/04/2013

9 - OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO C - (Gv 13, 31-33.34-35)
Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 28/04/2013)

Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua ci insegna quella che deve essere la misura del nostro amore fraterno. L'esempio che dobbiamo imitare è molto grande, il più grande che potessimo avere. Non dobbiamo amare il prossimo come lo ama una qualsiasi persona buona, ma come Gesù ci ha amati e continuamente ci ama. Comprendiamo subito una cosa: non riusciremo mai ad uguagliare l'amore di Gesù. Per quale motivo, dunque, Egli ci dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)?
La risposta penso sia soltanto una: Gesù ci dice di imitare un modello irraggiungibile per farci comprendere che dobbiamo e possiamo sempre migliorare e crescere nella carità. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di amare abbastanza.
Com'è che Gesù ci ha amati? Ci ha amati fino a morire in Croce per noi, fino al Sacrificio supremo, fino al dono dell'Eucaristia, e fino a donarci, dall'alto della Croce, quanto aveva di più caro: la Madre sua quale Madre nostra tenerissima. Poteva dimostrarci un amore più grande? Certamente no! Egli ha dato tutto: la sua vita e il suo amore per noi.
Sul suo esempio, dobbiamo amarci gli uni gli altri. A questa scuola divina, comprenderemo facilmente che la prova sicura dell'autentica carità è il sacrificio. Infatti, solo chi ama è disposto a sacrificarsi per una persona, fino a donare tutta la sua vita. Così fanno i genitori con i figli, così fanno le persone che si amano autenticamente e non sono accecate dall'egoismo. L'egoismo è l'esatto contrario dell'amore. L'amore è donazione; l'egoismo è solo ricerca del proprio tornaconto. Pensiamo a quante famiglie si sfasciano. Per quale motivo tante divisioni? Si sta insieme solo fino a quando ci è utile, ma quando c'è da affrontare qualche sacrificio, allora si molla tutto. Non era Gesù la misura dell'amore, ma unicamente il nostro io.
Dobbiamo un po' tutti convertirci dall'egoismo all'amore. Tanti si illudono di amare; ma, in realtà, cercano solo il proprio benessere. Se di fronte al sacrificio noi non amiamo più, allora significa che in realtà non abbiamo mai amato, ma abbiamo unicamente cercato il nostro io nelle consolazioni e nei benefici che ci venivano dalle persone che ci illudevamo di amare. È regola infallibile che i veri amici si vedono solo al momento della prova. Di questi veri amici, purtroppo, ce ne sono sempre molto pochi. Amare, dunque, costa sacrificio, e non può essere diversamente.
Sospinti da questo amore per il prossimo, Paolo e Barnaba predicavano il Vangelo fra molte difficoltà e opposizioni. I due Santi non badavano però a tali persecuzioni perché dicevano: «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Da loro impariamo che, se veramente vogliamo bene al nostro prossimo, innanzittutto dobbiamo ricercare il loro bene spirituale, la loro salvezza eterna. Per salvare le anime, Paolo e Barnaba non badavano ai sacrifici che inevitabilmente dovevano affrontare. Tutto era poco in paragone alla salvezza dei fratelli. Si sarebbero poi riposati in Paradiso; ma, finché erano su questa terra, c'era da lottare.
Una volta lasciata questa terra, avremo la giusta ricompensa. San Giovanni, nella seconda lettura di oggi, ci dice che in Paradiso Dio «asciugherà ogni lacrima [...] non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4). Pensiamo spesso al Paradiso e comportiamoci in modo da meritarlo.

Nota di BastaBugie: per l'omelia della domenica successiva, vai a
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=218

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 28/04/2013)

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