BastaBugie n�305 del 12 luglio 2013

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1 MEGLIO MORIRE IN PIEDI CHE VIVERE STRISCIANDO
Sono i ''Veilleurs'', in silenzio davanti ai palazzi del potere per opporsi alla legge sul matrimonio gay in Francia: il fondatore è stato condannato a 4 mesi di prigione e poi rilasciato
Autore: Irene Pasquinucci - Fonte: Tempi
2 I DISASTRI DELLE PARI OPPORTUNITA'
Conosco donne che avrebbero preferito rimanere a casa più a lungo dopo la nascita dei figli o che si interrogano se il lavoro sia davvero così fondamentale nella loro vita
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
3 CLAMOROSA CONTRADDIZIONE: LA CASSAZIONE STABILISCE CHE ANCHE L'ATEISMO E' UNA RELIGIONE
Apertura alle intese Stato-Uaar con accesso all'8 x mille (domanda: quale ''sacerdote'' celebrerà i matrimoni atei?)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
4 OGNI BAMBINO HA DIRITTO A UN PADRE E UNA MADRE
Comunicato dell'Arcivescovo di Bologna contro le gravi affermazioni del sindaco su adozioni e matrimoni gay (VIDEO di Jason Evert: Cosa pensa la Chiesa riguardo agli omosessuali)
Autore: Carlo Caffarra - Fonte: Sito della diocesi di Bologna
5 LUMEN FIDEI: LA PRIMA ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO
L'ateismo non esiste, tutti devono scegliere: o con Cristo o con un idolo (e chi è più affidabile? Un qualunque idolo o Gesù di Nazaret, colui che è morto per me e per te?)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
6 MATRIMONIO E OMOSESSUALITA' SI ESCLUDONO A VICENDA
Il matrimonio non è un legame affettivo, ma un contratto sociale per la propagazione del genere umano
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio
7 L'ABORTO NON SERVE A SALVARE LA VITA DELLA MAMMA
L'etica medica è sufficiente per far fronte a tutti i casi di apparente conflitto tra la vita della madre e quella del bambino
Autore: Elard Koch - Fonte: UCCR online
8 CONVENZIONE DI ISTANBUL: CON LA SCUSA DELLE DONNE, IMPONE I PRINCIPI DELL'IDEOLOGIA GAY
La lotta contro la violenza sulle donne è solo una parte della più ampia strategia posta in essere per indottrinare le nuove generazioni secondo i principi omosessualisti
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA
In grave pericolo la libertà di pensiero in Italia
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
10 OMELIA XV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 10,25-37)
Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - MEGLIO MORIRE IN PIEDI CHE VIVERE STRISCIANDO
Sono i ''Veilleurs'', in silenzio davanti ai palazzi del potere per opporsi alla legge sul matrimonio gay in Francia: il fondatore è stato condannato a 4 mesi di prigione e poi rilasciato
Autore: Irene Pasquinucci - Fonte: Tempi, 02/07/2013

Da una settimana i veri protagonisti delle piazze di Parigi non sono i turisti americani o gli artisti di strada, ma semplici ragazzi uguali a tanti altri che stanno in piedi e in silenzio giorno e notte come delle statue. I passanti si chiedono cosa succede, ma nessun giornale e nessuna televisione francese parla di questo fatto. Invece su Facebook o su Twitter siamo bombardati da centinaia di account e di post: sono i veilleursdebout e sono dappertutto: a Place Vendôme, davanti al Palazzo di Giustizia, sul marciapiede di fronte all'Eliseo, in Place de la République, a Lione, Tolone, Reims, in tutta la Francia e anche in Europa.
Si pongono infatti nel solco delle proteste della "Manifestation pour tous" contro la legge Taubira, ma manifestano anche per la condanna di uno di loro, il 23enne Nicolas punito per "ribellione e rifiuto di prelievo" da parte della polizia a quattro mesi di prigione, di cui due obbligatoriamente in carcere, e a 1000 euro di multa. Difendono Nicolas perché «non lasceremo mai che un uomo venga imprigionato per un ideale».

L'IMPOSSIBILE
I veilleurs sono sempre là, in piedi, silenziosi, immobili. Come le statue dei re sulla facciata di Notre-Dame. È il silenzio assoluto. Ogni tanto cantano. Leggono, pregano, studiano, di giorno e di notte, si danno il turno e qualche loro amico o qualche bambino porta loro da mangiare.
Sono soprattutto giovani studenti, ma sono anche madri, uomini d'affari, sono le sentinelle della libertà della Francia. Per questo vogliono stare in piedi "debout": non si è mai vista una sentinella seduta. Vogliono vegliare: non si è mai vista una sentinella addormentata. Il loro motto è la frase di Camus: «Piuttosto morire in piedi che vivere in ginocchio».
Sembra una modalità di protesta inutile, senza cartelli, senza slogan, senza urli e violenze. Ma tutti i passanti vengono colpiti da quel che accade: tutti si chiedono cosa succede, qualcuno li insulta, qualcuno li sprona a continuare, ma nessuno ne rimane indifferente. È la potenza della presenza.
Ecco allora che citano anche Mark Twain: «Non sapevano che era impossibile e allora lo hanno fatto».

FORZA IDEALE
Un ragazzo ad esempio a place Vendôme ha vegliato in piedi per più di 11 ore, solo, davanti al ministero, imprigionato dalle barriere poste dalla polizia: se si fosse allontanato, non avrebbe potuto tornare più in quel posto. Questi ragazzi inermi vengono sempre circondati dai gendarmi in assetto da guerra perché vogliono obbligarli a ritirarsi per la paura di essere picchiati o imprigionati. Spopola in rete il video di alcuni veilleurs che alle 5 del mattino, distrutti dopo una notte in piedi, intonano a più voci "la Strasburghese" canto militare che esalta il patriottismo francese. Il canto parla della guerra franco-prussiana del 1870: una bambina è sola al freddo e al gelo. Ha appena perduto suo padre, caduto in battaglia, poi sua madre «pregando sotto questa cattedrale / mia madre è morta sotto questo portico crollato» e rifiuta l'elemosina di un soldato nemico; dice che il suo cuore resterà per sempre francese: «Avete avuto l'Alsazia e la Lorena / ma il mio piccolo cuore non l'avrete mai, / il mio piccolo cuore resterà sempre francese».
Jean, giovane dentista, ci racconta: «C'è un parallelo emozionale con quel che viviamo: non siamo in guerra, ma abbiamo un combattimento bello e buono (ideologico, lungo e difficile). Ci sentiamo talmente piccoli di fronte all'enorme macchina governativa e mediatica che ci disprezza, ci ignora, disinforma la Francia. Ci sentiamo fragili come questa piccola bambina, ma anche potenti come lei per la sua resistenza totale. Il canto è stato cantato per la prima volta quando i gendarmi hanno espulso un gruppo di veilleurs che si erano messi di fronte all'Eliseo. Ma è quando siamo più stanchi che sentiamo tutta la nostra forza ideale».

Nota di BastaBugie: Nicolas, il 23enne fondatore dei "Veilleurs" a cui erano stati inflitti quattro mesi prigione, di cui due obbligatori, è stato liberato questa settimana. Il giovane manifestante contro il matrimonio gay è stato comunque condannato durante il processo di appello a 3.000 euro di ammenda.
Ecco un video in cui si vedono i "Veilleurs debout" (letteralmente "Vigilanti in piedi") a Lione davanti al Palazzo di Giustizia il 26 giugno per protestare contro la legge Taubira che ha istituito il matrimonio gay e le adozioni per gli omosessuali violando gravemente la legge di natura che prevede il diritto per i bambini di avere un padre e una madre

http://www.youtube.com/watch?v=NmJsoOj2kF8

Fonte: Tempi, 02/07/2013

2 - I DISASTRI DELLE PARI OPPORTUNITA'
Conosco donne che avrebbero preferito rimanere a casa più a lungo dopo la nascita dei figli o che si interrogano se il lavoro sia davvero così fondamentale nella loro vita
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 01/07/2013

Il problema delle quote rosa riguarda solo poche donne privilegiate. Così le femministe si sono ritrovate a difendere delle elites, e d'altra parte non sono le sole ad aver fatto questa capriola. Molte delle battaglie della sinistra, che, detto in parole grossolane, aveva cominciato almeno nelle intenzioni col difendere i diritti degli ultimi, sono diventate quelle di una piccola fetta della popolazione, completamente scollata dal resto.
Mi chiedo come sia potuto succedere.
Per esempio: sono circondata da amici e conoscenti che hanno perso il lavoro, o che lavorano senza prospettive e sottopagati. Per nessuno di loro le nozze omosessuali sono tra le priorità più urgenti. Anche quelli che sono d'accordo le metterebbero al massimo al numero seicentotredici della lista delle cose da fare. Non lascerebbero che invadessero agende della politica e dell'informazione. Il fatto è che per la politica risolvere i problemi di lavoro dei miei amici (chissà, magari fra un po' anche i miei) sarebbe molto complicato, mentre fare una legge a favore delle famiglie arcobaleno non costa nulla, e pare rendere in termini di immagine. Le lobby omosessualiste infatti stanno nei posti che contano, e quelli che non sono d'accordo evitano la grana di parlare, perché l'accusa di omofobia è dietro l'angolo. D'altra parte, come disse il capo di gabinetto di Obama, Rahm Emanuel, i gay sono i nuovi ebrei del fundraising (nda -nota dell'admin – i ricchi ebrei sono tradizionalmente tra i maggiori finanziatori delle raccolte fondi delle lobbies negli USA a favore di candidati e partiti, attività peraltro pienamente legale e regolamentata).
Comunque, lo stesso è successo con le battaglie a favore delle donne. Chiedevano il diritto al voto, allo studio, alla libertà. Cose sacrosante. A ben vedere le donne non chiedevano altro che rispetto, o forse, in fondo, quello che desidera ogni donna (e, in modo diverso, ogni uomo), cioè di essere guardate con amore. Una battaglia meravigliosa. Hanno finito col combattere per il diritto di uccidere i loro figli, di divorziare, di essere costrette a lavorare lasciando i propri figli nelle mani di altri. Perché sono certa che ci siano manager bravissime che non sono riuscite a entrare nei consigli di amministrazione solo perché donne, docenti universitarie a cui la cattedra è stata soffiata da qualche barone, non ne dubito, ma io personalmente conosco solo donne che avrebbero preferito almeno rimanere a casa più a lungo dopo la nascita dei figli, o che vorrebbero che il loro lavoro venisse misurato sul risultato, e non sull'orario, o che si interrogano sul modo di far quadrare tutto, e di capire se il lavoro è davvero così fondamentale nella loro vita. Molte volte, quando diventano mamme, si rendono conto che ne farebbero a meno volentieri, almeno per un bel periodo. E stiamo ancora parlando di donne privilegiate, perché le bariste, le commesse, le operaie, le impiegate, questo discorso non possono neanche sognarlo. Devono timbrare il cartellino, e fanno i salti mortali, e non è che lavorino per realizzare se stesse, e spesso si chiedono perché oggi si prendano due lavoratori al prezzo di uno, se un tempo le famiglie monoreddito potevano garantirsi una vita dignitosa, mentre oggi hanno una vita nella maggior parte dei casi impossibile.
Lo ha scritto anche Ann Marie Slaughter, professoressa di Princeton e consigliera nel Dipartimento di Stato, quindi non una donnetta di parrocchia come me, nel suo articolo "Why women still can't have it all", che ha fatto il giro del mondo, è rimbalzato da sito a sito, ed è diventato un libro: la Slaughter ha lasciato il suo super gratificante e retribuito lavoro per seguire i due figli adolescenti, per la semplice osservazione che non è possibile fare bene tutte e due le cose, la mamma e la professionista ai massimi livelli.
Sono ignorante con metodo, lo sono in quasi tutte le materie, ma eccello sicuramente in storia del femminismo. Quanto a ignoranza dico. Mi è stato fatto notare anche l'altro giorno al convegno Donne e lavoro, organizzato da I mille (che – per far capire l'orientamento – vedono nel comitato editoriale Ivan Scalfarotto). Una relatrice voleva sapere su cosa basassi le mie osservazioni, mi ha chiesto di citare i testi del femminismo.
No, non ho studiato i loro sacri testi, ma ho un punto di osservazione non ideologico, e abbastanza ampio sulla realtà. Non ideologico perché io mi sono preparata per lavorare, ho fatto tutto – università, master – meglio che ho potuto per la mia "carriera", salvo poi, all'arrivo dei figli, capire che non ero disposta a sacrificarli. Un punto di vista, poi, ampio, per le donne che conosco, colleghe, amiche, mamme di amici o compagni di scuola, catechismo, sport, tutto moltiplicato per quattro figli. Inoltre ho ricevuto ormai migliaia di lettere e messaggi da lettrici dei miei libri, e il fatto di averne vendute sessantamila copie mi fa pensare che quello che scrivo sia abbastanza condiviso, almeno non solo da me e dal mio amico immaginario. Le donne di questo campione non si sentono rappresentate dalle "Se non ora quando", non credono che la soluzione ai loro problemi sia il bonus bebè per mettere i figli al nido, né gli asili aziendali, né l'allungamento dell'orario scolastico. Perché il vero problema, quello che impedirà alle quote rosa di funzionare bene, quello che toglierà le donne migliori dal mondo del lavoro, non è il problema femminile, ma il problema della maternità. Le donne il più delle volte non vengono discriminate in quanto femmine: per esempio nel mio mondo del lavoro, il giornalismo, sono ormai la maggioranza a occhio e croce. Quello che discrimina è la difficoltà oggettiva di tenere insieme tutto, e fino a che il mondo del lavoro non diventerà a misura di figli (congedi pagati, flessibilità, telelavoro, part time obbligatorio a richiesta) le donne si tireranno indietro da sole – almeno per un periodo – quando diventeranno madri, semplicemente perché "women can't have it all". Perché non si riesce a fare tutto bene, perché non è lo scatto di carriera che ci fa battere il cuore.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 01/07/2013

3 - CLAMOROSA CONTRADDIZIONE: LA CASSAZIONE STABILISCE CHE ANCHE L'ATEISMO E' UNA RELIGIONE
Apertura alle intese Stato-Uaar con accesso all'8 x mille (domanda: quale ''sacerdote'' celebrerà i matrimoni atei?)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 03/07/2013

È passata quasi sotto silenzio, come una notizia di minor conto. Ma di minor conto non è. Anzi, per molti versi è ben più importante dei fiumi di parole ogni giorno spesi dai media per voci di corridoio, gossip e paparazzate. Le sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno depositato una sentenza, che stabilisce come «anche le associazioni atee e agnostiche debbano ricevere dal governo la stessa tutela e gli stessi diritti riconosciuti dall'art. 8 della Costituzione alle confessioni diverse da quella cattolica, mettendo al bando la discriminazione tra le fedi acattoliche».
Dando torto così al ricorso del governo Monti, teso invece ad escludere intese con l'Uaar, l'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. Ergo: la questione torna al Tar, che dovrà pronunciarsi sull'argomento. Quale la portata rivoluzionaria di tale verdetto? Innanzi tutto, rappresenta un pericoloso precedente, che interviene chirurgicamente sull'immaginario collettivo, introducendo in modo forzato ed indiscriminato un "pluralismo confessionale e culturale", ch'è di fatto sincretismo di massa, più simile ad un mercato religioso che all'effettiva tutela delle minoranze.
Qui non si stanno proteggendo diritti calpestati, si sta banalizzando la sfera spirituale, degradandola riduttivisticamente al ruolo di semplice "centro commerciale" della fede, dove ognuno possa comprare quel che gli pare. A prescindere dal ruolo storico, dalle basi teologiche, filosofiche, culturali ed artistiche che ogni credo in quanto tale possa avere o non avere nella storia di un popolo, di un Continente, di ogni anima. Che, ad esempio, l'Europa delle Cattedrali ‒ con buona pace di illuministi e illuminati ‒ abbia le proprie radici in secoli di Cristianesimo non importa più nulla, anzi conta tanto quanto gli ultimi arrivati, quand'anche ininfluenti sul tessuto sociale e culturale contemporaneo.
Non solo: questa sentenza introduce una pericolosa destrutturalizzazione del sacro, intervenendo in una sfera, quella religiosa, che non dovrebbe essere codificata per legge, appartenendo all'ambito delle coscienze e ad una Tradizione, nel caso della Chiesa Cattolica, ultrabimillenaria. Qualcuno deve pur spiegare a confessioni dotate di una precisa liturgia, storicamente fondata, di una chiara gerarchia, territorialmente diffusa, di un diritto ecclesiastico, specificamente normato, come esse possano essere equiparate ad associazioni prive di una precisa configurazione, di una connotazione chiara e di una ritualità precisa, spesso anche di un'autorità riconosciuta.
Chi celebrerà i matrimoni tra atei? Che sacerdoti saranno abilitati a presiederli? Secondo quale cerimonia? Appare questo il grimaldello, con cui scalzare ed annientare anche ogni differenza di fatto tra il concetto di "religione" e quello di "setta", finora scientificamente distinte e definite, anche per trarne conseguenze importanti sul piano del diritto: non a caso la Chiesa Cattolica fonda i propri rapporti con lo Stato Italiano sulla scorta di un preciso Concordato. Di cui l'Uaar chiede l'abolizione, contraddicendosi: da una parte spara a zero sul Concordato, dall'altro esulta per una sentenza della Cassazione, che di fatto introduce per tutti ‒ anche per loro – la necessità di un riconoscimento istituzionale da parte dello Stato.
V'è poi un non indifferente risvolto anche di carattere economico con la prospettiva, alla luce di un simile pronunciamento, di poter, anzi dover estendere la distribuzione dell'8 per mille a chiunque, indiscriminatamente, prescindendo da qualsiasi credenziale, qualifica o attributo.
Non risulta che l'Uaar sia mai stato discriminato in alcun modo, penalizzato, sanzionato, emarginato per le proprie idee, inibito nella libertà d'espressione: dunque, salutare la sentenza della Cassazione quale riconoscimento dell'uguaglianza di tutti i cittadini, «indipendentemente dalle loro opinioni in materia religiosa», risulta un insulto a quei credenti, che ogni giorno nel mondo pagano la propria fede con la vita o con l'emarginazione sociale, un insulto alla Chiesa, quella vera, delle catacombe.
Anche fatti come questo confermano la verità delle parole di Gilbert Keith Chesterton, secondo cui «chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». Ma probabilmente nemmeno Chesterton avrebbe mai immaginato che anche questo "tutto" potesse un giorno nell'Italia, che ospita il cuore della Cristianità, vedersi attribuire le stesse credenziali, gli stessi diritti normativi e la stessa patente di affidabilità della Fede Cattolica.

Fonte: Corrispondenza Romana, 03/07/2013

4 - OGNI BAMBINO HA DIRITTO A UN PADRE E UNA MADRE
Comunicato dell'Arcivescovo di Bologna contro le gravi affermazioni del sindaco su adozioni e matrimoni gay (VIDEO di Jason Evert: Cosa pensa la Chiesa riguardo agli omosessuali)
Autore: Carlo Caffarra - Fonte: Sito della diocesi di Bologna, 1° luglio 2013

Le affermazioni fatte dal Sindaco di Bologna riguardanti il matrimonio e diritto all'adozione per le coppie gay sono di tale gravità, che meritano qualche riflessione.
Quanto da lui profetato come ineluttabile destino del Paese a diventare definitivamente civile riconoscendo alle coppie omosessuali il diritto alle nozze e all'adozione è una battuta a braccio che costa poco: tanto non dipende dal Sindaco. Ma ciò non toglie la gravità di tale pubblica presa di posizione da parte di chi rappresenta l'intera città. E dove mettere il cittadino che non per fobia ma con motivate ragioni ritiene matrimonio ciò che è stato definito tale fin dagli albori della civiltà o ritiene non si possa parlare di un diritto ad adottare ma del diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre?
Davvero questo cittadino, con la sua cultura e le sue ragioni, è da giudicare incivile e fuori dalla storia, condannato a sentirsi estraneo in casa sua, perché non riesce a stare al passo del sedicente progresso?
Naturalmente ci sarà chi, riempiendosi la bocca di laicità dello Stato (che è cosa ben più seria!), ci accuserà di voler imporre una dottrina religiosa. Ma qui non c'entra religione o partito, omofobia o discriminazione: sono i fondamentali di una civiltà estesa quanto il mondo e antica quanto la storia ad essere minati; e forse non ci si accorge dell'enormità della posta in gioco.
Affermare che omo ed etero sono coppie equivalenti, che per la società e per i figli non fa differenza, è negare un'evidenza che a doverla spiegare vien da piangere. Siamo giunti a un tale oscuramento della ragione, da pensare che siano le leggi a stabilire la verità delle cose. Ad un tale oscuramento del bene comune da confondere i desideri degli individui coi diritti fondamentali della persona.

Nota di BastaBugie
: vi invitiamo a guardare questo bellissimo video di tre minuti dove Jason Evert, citando Madre Teresa e Giovanni Paolo II, spiega la posizione della Chiesa nei confronti degli omosessuali

http://www.youtube.com/watch?v=LmdMUvBlljA

Fonte: Sito della diocesi di Bologna, 1° luglio 2013

5 - LUMEN FIDEI: LA PRIMA ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO
L'ateismo non esiste, tutti devono scegliere: o con Cristo o con un idolo (e chi è più affidabile? Un qualunque idolo o Gesù di Nazaret, colui che è morto per me e per te?)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 06/07/2013

Ieri, mentre veniva presentata al mondo la nuova enciclica "Lumen fidei", scritta a quattro mani da Benedetto XVI e da papa Francesco, i due uomini di Dio insieme hanno anche inaugurato, nei giardini vaticani, una statua di san Michele Arcangelo, consacrando la città vaticana a lui e a san Giuseppe.
Da tali fatti emerge non solo l'affetto fraterno che unisce Francesco e il predecessore, ma soprattutto la loro comunione di fede profonda. Questa unità, in un mondo segnato dal conflitto, è il miracolo della grazia, l'essenza del cristianesimo.
E va sottolineato anche perché i giornali tendono a parlare della Chiesa secondo i criteri di giudizio mondani. Senza vederne il miracolo.
Non a caso, proprio ieri mattina, su "Repubblica", un articoletto pretendeva di proclamare invece la radicale "discontinuità" fra Benedetto XVI e papa Francesco. Un'idea clamorosamente smentita dagli stessi eventi del giorno.
Del resto sempre ieri il papa ha pure firmato i decreti di canonizzazione di altri due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E ha voluto datare la sua enciclica così: "29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo".
Dunque, con una straordinaria serie di gesti, in una stessa giornata, ha potentemente sottolineato la continuità e la grandezza del papato da san Pietro ai giorni nostri.
E ha offerto a noi l'occasione di abbracciare, con un solo sguardo, la "creatività" di Dio nel nostro tempo.
Egli infatti ha parlato al mondo di oggi attraverso la testimonianza potente e affascinante di papa Wojtyla, profeta di fede e di libertà; poi attraverso la sapienza profonda e l'umiltà di Benedetto XVI, che ha fatto brillare la ragionevolezza della fede davanti allo smarrimento dei moderni; infine alla nostra generazione Dio parla attraverso la paternità tenera e accorata di papa Francesco, grande abbraccio di misericordia su tutte le miserie e le ferite umane (la visita del Papa a Lampedusa, fra i disperati della terra – lunedì prossimo – ce lo mostra in modo commovente).
L'enciclica "Lumen fidei", dicevo, è profondamente segnata da questa continuità del giudizio della Chiesa sul mondo moderno e dalla variegata ricchezza della sua testimonianza.
Costituisce del resto un evento memorabile: non è cosa di tutti i giorni che un'enciclica sia scritta a quattro mani, concordemente, da due papi.
Ma, portando la firma dell'unico pontefice in carica che umilmente riconosce nel corpo stesso dell'enciclica la paternità del predecessore per buona parte del documento ("nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi"), con buona pace di "Repubblica", mostra senza alcun dubbio possibile, che papa Francesco abbraccia e fa suo il magistero del predecessore.
Ovviamente lo fa donando alla vita della Chiesa di questi giorni e al mondo in rapida mutazione, ulteriori spunti di riflessione che tutti – quelli antichi di Benedetto e quelli nuovi – convergono sul volto di Gesù Cristo e la fede in Lui.
Alcuni rapidi flash. La fede è luce, mentre il mondo sprofonda sempre più nelle tenebre. E' un giudizio sul momento presente. Il Papa contesta apertamente l'idea che lo spazio della fede si apra "lì dove la ragione non può illuminare".
No. I secoli moderni – dai totalitarismi del Novecento alla confusione del presente – hanno dimostrato che le pretese assolute della ragione producono infelicità.
E la luce della fede non è un sentimento soggettivo, ma verità oggettiva: "quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore". Essa dunque sa "illuminare tutta l'esistenza dell'uomo".
E' la prima contestazione della "dittatura del relativismo".
Un secondo flash. Cosa è la fede? Una credenza? Una dottrina? Una morale? No. Sta tutta in questa frase: "riconosciamo che un grande Amore ci è stato offerto".
Per questo l'enciclica usa l'espressione giussaniana "incontro che accade nella storia" e sottolinea che il Salvatore ci ha raggiunto attraverso una "catena umana" che ha attraversato i millenni, cioè la Chiesa, la tradizione.
Un altro prezioso spunto. Nella mentalità dominante si oppone di solito alla fede l'agnosticismo o l'ateismo. Invece la "Lumen fidei", in base alla lezione biblica, oppone alla fede "l'idolatria".
In effetti l'ateismo non esiste. Nessun uomo può vivere, anche un solo istante, senza affermare qualcosa o qualcuno. E' ciò che la Sacra Scrittura chiama "idolo".
Dunque l'unica grande opzione della vita sta in questo: fidarsi di Gesù Cristo o di qualche idolo. Non è possibile per nessuno sottrarsi a questa scelta. Chi è più affidabile? Chi merita veramente fiducia? Gesù di Nazaret, colui che è morto per me e per te, o un qualunque idolo?
Questa enciclica ci libera da tanti luoghi comuni. Per esempio la cultura dominante pensa Dio come qualcuno che "si trovi solo al di là", quindi "incapace di agire nel mondo", perciò "il suo amore non sarebbe veramente potente, capace di compiere la felicità che promette". Così "credere o non credere in Lui sarebbe del tutto indifferente".
Invece è vero il contrario. E sono i fatti – i concretissimi fatti – a gridarlo. E' tutta una storia ricchissima di fatti a provarlo.
Del resto "quando l'uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se stesso, la sua esistenza fallisce".
Ma come inizia la fede? Incontrando Gesù, oggi come duemila anni fa. In un incontro con i cristiani che sono una cosa sola con Lui. Chi non vorrebbe vedere gli occhi di Gesù?
Ebbene, citando Guardini, l'enciclica spiega che la Chiesa è la portatrice storica dello sguardo di Cristo sul mondo. In essa si sperimenta una vita comune. Così noi scopriamo che non siamo più soli.
Si aderisce a quello sguardo, fino a farlo nostro, dando credito a alla compagnia di Gesù e cominciando a seguirlo concretamente: "se non crederete non comprenderete". Perciò "la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un'opinione soggettiva".
Questa è la profonda ragionevolezza della fede. Chi ritiene invece che essa sia "una bella fiaba" o "un bel sentimento", indichi qualcuno che sia più credibile di Cristo da seguire.
La prova sperimentale – dice l'enciclica – mostra a ciascuno che l'amicizia di Cristo illumina la vita come nessuna cosa al mondo e apre il cuore umano all'amore che tutti desideriamo.
Per questo possiamo riconoscere che Egli è la verità: "richiamare la connessione della fede con la verità" dice l'enciclica "è oggi più che mai necessario proprio per la crisi di verità in cui viviamo" perché "nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia" o "della scienza".
Il cristiano non pretende con arroganza di essere il padrone della verità. Anzi "la verità lo fa umile" perché non è lui a esserne padrone, ma è la verità a possederlo. Infatti è compagno di cammino di tutti.
L'enciclica ha molti spunti antirelativisti. Per esempio sulla teologia (che è "al servizio della fede dei cristiani" e alla sequela del magistero). Sulla fede "fai-da-te" (la fede è una, non si può prendere una cosa e rifiutarne un'altra). Sulla rilevanza pubblica della fede cristiana. Sulla "fraternità" che non è possibile senza riconoscere un Padre di tutti.
La fede proclama il primato dell'uomo nell'universo e al tempo stesso "ci fa rispettare maggiormente la natura". Con buona pace di "Repubblica" esalta il matrimonio come "unione stabile dell'uomo e della donna... capaci di generare una nuova vita", riconoscendo "la bontà della differenza sessuale".
E fa abbracciare tutte le sofferenze del mondo: "all'uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto", ma offre la sua presenza che accompagna e che si carica di tutti i dolori umani.
La fede cristiana annuncia la "città di Dio" che ci è preparata per sempre. E si affida a colei che è "la Madre della nostra fede".
Decisamente queste pagine sono una grande luce nelle tenebre del presente.

Nota di BastaBugie: per leggere integralmente "Lumen fidei", la prima enciclica di Papa Francesco, clicca qui
http://www.vatican.va/holy_father/francesco/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei_it.html

Fonte: Libero, 06/07/2013

6 - MATRIMONIO E OMOSESSUALITA' SI ESCLUDONO A VICENDA
Il matrimonio non è un legame affettivo, ma un contratto sociale per la propagazione del genere umano
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio, 03/07/2013

Va detto con tutta la chiarezza possibile. Il "matrimonio omosessuale" legittimato il 25 giugno dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, con l'abolizione del Defence of Marriage Act, rappresenta forse una svolta storica, ma certamente è un evento illogico e profondamente innaturale.
Matrimonio e omosessualità sono infatti due parole e due concetti che si escludono a vicenda. Il matrimonio non è un legame affettivo, ma un contratto sociale. Non riguarda il sesso, ma la vita. Più precisamente è un'istituzione di carattere giuridico-morale destinata alla propagazione del genere umano e alla costituzione della famiglia.
L'omosessualità è un legame sessuale tra individui dello stesso sesso, di sua natura infecondo, e che perciò non può portare alla costruzione di una famiglia. La famiglia è una società che ha la finalità primaria di trasmettere la vita e di educare i figli. Proprio perché essa è fonte di vita e di nuove relazioni umane costituisce la cellula fondamentale e insostituibile della società. Tutti i filosofi e i pensatori politici lo hanno affermato, ma è stata soprattutto la storia a confermarlo. Ben prima del Cristianesimo, nella antica Roma, la familia era la cellula della civitas, e il matrimonio assicurava la stabilità sociale, costituendo, secondo la efficace definizione di Cicerone, il seminarium rei publicae (De Officiis, I, 54), il modello di tutta la società che dalla famiglia nasce e dalla famiglia si espande.
Il Cristianesimo elevò il matrimonio a sacramento e quando l'Impero Romano crollò, travolto dai barbari, la sola realtà che sopravvisse e che costituì la base della società che nasceva, fu la famiglia. La nascita delle nazioni europee, all'alba dell'anno Mille, coincide con lo sviluppo dell'istituzione familiare. Per ben comprendere la società medioevale, osserva la storica Régine Pernoud, bisogna studiare la sua organizzazione familiare: "è questa la chiave del Medioevo, ed è la sua caratteristica più originale" (Luce del medioevo, Volpe 1975, p. 24).
L'etimologia della parola nazione, del resto, non rimanda alla "scelta", ma alla nascita e indica un insieme di uomini che hanno un'origine comune e sono legati dal sangue. Il territorio su cui si esercitano le varie autorità nella società medioevale – che si tratti di un capo di famiglia, del barone feudale o del re – nei documenti viene uniformemente chiamato patria, il dominio del padre. "La patria – osserva Franz Funk Brentano – fu all'origine il territorio della famiglia, la terra del padre. Questo termine si è poi esteso alla signoria ed al regno intero, poiché il re era padre del popolo" (L'Ancien Régime, Fayard, Paris 1926, pp. 12-14).
Tale concezione della famiglia, che sopravvisse fino alla Rivoluzione francese ed oltre, era fondata sull'idea che l'uomo nasce all'interno di una condizione storica data; che ha dei limiti invalicabili, a cominciare dalla morte; che esiste una natura oggettiva ed immodificabile; che questa natura ha la sua origine in Dio, creatore dell'ordine dell'universo. Questa antropologia fu negata dagli illuministi e dai materialisti del Settecento, che espulsero Dio dalla storia e dalla società e affermarono l'esistenza di un progresso illimitato, perché nella storia tutto muta e si perfeziona, compreso l'uomo, ridotto, secondo la formula di Helvetius (1715-1771) a "sensazione fisica", pura animalità (De l'homme, 1773). Il termine "naturale", in questa visione evolutiva, viene ad esprimere la "spontaneità" della liberazione degli istinti. Il "cittadino" Alphonse-François de Sade (1740-1814) della "sezione delle Picche" e Charles Fourier (1772-1837) nel suo "Falansterio", teorizzano la sfrenata liberazione delle passioni, proprio per raggiungere il massimo punto dell'evoluzione sociale. Mentre, con questi autori, il piacere libertino rivendica i suoi pieni diritti extra-familiari, la Rivoluzione francese laicizza il matrimonio, distinguendo tra il contratto civile e il sacramento religioso e avviando, nel 1791, con l'introduzione del divorzio, un processo di radicale riforma dell'istituto familiare che il Codice napoleonico estenderà a tutto il continente (Xavier Martin, Nature humaine et révolution française, du siècle des lumières au Code Napoléon, Dominique Martin Morin, Poitiers 2002).
L'etnologo americano Lewis Henry Morgan (1818-1881), partendo dalle relazioni familiari esistenti tra gli Irochesi dell'America del Nord, concepì una fantasiosa storia della famiglia rintracciandone le origini in un'orda primitiva in cui le relazioni sessuali sarebbero state totalmente promiscue e non sottomesse a nessuna regola. Marx ed Engels aderirono con entusiasmo a questa concezione materialistica, che confermava le teorie darwiniane. Il libricino di Friedrich Engels, L'origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato (1884), è il manifesto di un attacco alle istituzioni portanti della società, a partire dalla famiglia, che si svilupperà nel pensiero marxista per tutto il XX secolo, per realizzare l'utopica "società senza classi".
La riduzione della natura umana a "libido" e libero sfogo agli impulsi riceve nel Novecento un nuovo contributo dagli eredi di Freud, come Wilhelm Reich (1897-1957) ed Herbert Marcuse (1898-1979), ma soprattutto da Michel Foucault, il filosofo francese morto di Aids nel 1984, la cui Histoire de la sexualité in tre volumi (Gallimard, Parigi 1976-1984) costituisce il fondamento concettuale dell'ideologia omosessualista. Per Foucault, il concetto di sesso è stato immaginato e costruito dal potere tradizionale, per farne un uso meramente politico. La sessualità va dunque separata non solo dalla procreazione, ma perfino dal piacere, per diventare uno strumento "biopolitico" con il quale far saltare la teoria classica del potere.
Sotto l'influenza di Foucault, l'americana Judith Butler è uno dei primi autori ad elaborare la teoria del "gender"(Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity (Routledge, New York and London 1990/1999), che costituisce l'ultima frontiera delle ideologie post-moderne. Il "genere" sarebbe la percezione soggettiva che l'individuo ha della propria identità sessuale e costituirebbe la rappresentazione dell'appartenenza a una classe, a un gruppo, a una categoria sociale. La filosofia soggiacente resta il materialismo evoluzionista, che vede l'uomo come materia in divenire, priva di natura propria, materia informe che può essere modellata a piacere.
Martine Rothblatt, nel suo Apartheid of Sex. A Manifesto on the Freedom of Gender (Crown, New York 1995), sostiene che le differenze genitali, ormonali, cromosomiche e perfino la fertilità non sarebbero sufficienti a giustificare una divisione binaria tra maschio e femmina e invoca una lotta di liberazione del gender parallela a quella contro l'apartheid razziale. Poichè l'uomo è una "struttura" materiale, inserito a sua volta in una rete di strutture in evoluzione, la distinzione tra il sesso maschile e quello femminile non proverrebbe dalla natura, ma dalla cultura dominante che crea e attribuisce i "ruoli" del maschio e della femmina. Non esiste identità sessuale non solo perché non esiste identità maschile e femminile, ma perché non esiste identità umana. L'essere umano, privo di un'identità definitiva e irrevocabile, assume solo una serie di identità legate ai diversi momenti evolutivi.
Questa visione antropologica, che dissolve e fluidifica l'identità umana, si contrappone ad ogni realtà "solida", a cominciare dal matrimonio che, anche nella forma "dissolubile" della moderna società secolarizzata, rappresenta comunque un elemento di stabilità, incompatibile con la prospettiva "liquida" ed evolutiva del pensiero postmoderno. La Rivoluzione culturale del Sessantotto aveva proclamato la fine della famiglia, definendo il matrimonio un "peccato sociale", per il suo esclusivismo. Oggi le comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) lo rivendicano non come punto di arrivo, ma come tappa di un itinerario che ha ben altra mèta.
La richiesta di legalizzazione del cosiddetto "matrimonio gay" è in realtà una rivendicazione sociopolitica che mira esclusivamente a togliere alla famiglia la protezione sociale che essa ha fino ad oggi avuto in Occidente in ragione della sua insostituibile funzione sociale. Sotto questo aspetto, il cardine dell'ideologia omosessualista non sta in ciò che afferma, ma in ciò che nega, non in ciò che dice di volere, ma in ciò che realmente aborre: in una parola non nella rivendicazione del matrimonio e dell'adozione di bambini, ma nella volontà di espropriare la famiglia dai diritti e dai privilegi che in molti Paesi, come l'Italia, ancora vengono accordati a questa istituzione dalle leggi e dalla costituzione.
La rivendicazione del "matrimonio omosessuale" è proprio per questo inscindibile dall'introduzione del reato di omofobia. Michela Marzano scrive su "la Repubblica" (La nostra vergogna, 27 giugno 2013) che nel nostro paese i cittadini continuano ad essere distinti in due categorie, di serie A e di serie B. Gli omosessuali sarebbero trattati come "anormali", "devianti", "indegni". L'"orgoglio omosessuale" si propone di capovolgere questa prospettiva e trattare come "anormali", "devianti", "indegni", gli omofobi, ovvero tutti coloro che criticano l'omosessualismo per affermare il primato della famiglia naturale. Ma i diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di espressione, oggi sono garantiti a tutti dalla legge, compresi gli omosessuali. Se la legge sull'omofobia, su cui esiste "larga intesa" nel nostro parlamento, andasse in porto, il diritto della libertà di espressione sarebbe negato solo ai difensori dell'ordine tradizionale. Un sacerdote dal pulpito o un professore dalla cattedra non potrebbero presentare la famiglia naturale e cristiana come "superiore" alle unioni omosessuali, senza che questo costituisse una "discriminazione" degna di sanzione penale.
E' per questo che la libertà di espressione si restringe sempre di più per i cristiani in Europa. L'obiezione di coscienza – che riguarda i medici sull'aborto, così come i sindaci o i dirigenti del Comune sulle unioni civili o "matrimoni" gay – tende ad essere sempre più ristretta, mentre in molti paesi i cristiani non possono esprimere opinioni contrarie all'omosessualità, neanche rifacendosi alla Bibbia, senza che queste vengano tacciate e sanzionate come "discorso d'odio".
Anche Paesi di antica tradizione cattolica hanno iniziato ad inserire nelle loro legislazioni il nuovo crimine degli hate speeches, che si riferiscono alla discriminazione e all'ostilità verso un individuo, a causa di caratteristiche particolari, come il suo orientamento sessuale o "l'identità di genere". In dodici Stati membri dell'Unione Europea (Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania e Svezia) più l'Irlanda del Nord nel Regno Unito, è considerato reato esprimere critiche in base all'orientamento sessuale. Negli altri Stati membri, le critiche nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali non sono definite specificatamente come reato. Le lobbies relativiste vorrebbero una legislazione europea uniforme, che reprima ogni forma di discriminazione, anche solo verbale.
Il 24 maggio 2012, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione contro l'omofobia e la transfobia in Europa che "condanna con forza tutte le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere" ed esorta gli Stati membri a garantire la protezione di lesbiche, gay e transgender dai discorsi omofobi di incitamento all'odio e dalla violenza. Con ciò si intende impedire, in realtà, ogni forma esplicita di critica della condizione omo o transessuale. Si inizia così ad applicare rigorosamente la categoria giuridica di "non discriminazione", introdotta dall'art. 21 del Trattato di Nizza, recepito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Il principio è solo apparentemente nuovo: in realtà non si tratta altro che del vecchio concetto giacobino di uguaglianza assoluta, riproposto con nuovo linguaggio. E' difficile infatti trovare un termine ambiguo come quello di discriminazione. L'idea stessa di giustizia, che nella sua formulazione tradizionale significa attribuire a ciascuno quello che gli è proprio (suum cuique tribuere) implica qualche forma di "discriminazione". Ogni legge è costretta in qualche modo a "discriminare", per il fatto stesso che stabilisce che cosa è giusto e ingiusto, lecito o proibito, favorendo gli uni ed ostacolando gli altri.
La pretesa di non discriminare gli orientamenti sessuali significa applicare un criterio rigorosamente ugualitario a tutte le scelte, quali esse siano, relative alla sessualità umana. Un coerente criterio ugualitario porterà a proteggere giuridicamente ogni forma di disordine morale, dalle unioni omosessuali alla poligamia, dalla pedofilia all'incesto, almeno quando siano tra soggetti consenzienti ed escludano una violenza esplicita. Tutti gli oppositori di questi orientamenti sessuali sono destinati ad essere perseguiti dalla legge.
Il presidente americano Obama ha visto nel "matrimonio omosessuale" un'applicazione rigorosa dei princìpi democratici di libertà e di uguaglianza. In realtà, libertà e uguaglianza sono valori che possono essere armonizzati solo se riferiti a una nozione di Verità e di Bene che li trascende. Gesù dice nel Vangelo: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Gv. 8, 32). Si potrebbe allo stesso modo affermare: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà uguali". Non esiste libertà o uguaglianza, al di fuori di quella Verità, che i relativisti, malgrado le loro opinioni contrarie, non sono in grado di annullare. Quando libertà ed uguaglianza pretendono di emanciparsi dalla Verità e dal Bene e diventare valori assoluti, entrano necessariamente in collisione tra loro.
Bisognerebbe rileggere il classico di Jakob Talmon (1916-1980), Le origini della democrazia totalitaria (Il Mulino, Bologna 2000), o i libri, mai tradotti in Italia di Erik von Kuehnelt-Leddhin (1909-1999), Liberty or Equality. The challenge of our time (Hollis & Carter, London 1952) e Leftism Revisited. From de Sade and Marx to Hitler and Pol Pot (Regnery, Washington 1991) per ritrovare il filo rosso di questo conflitto ancora irrisolto.
La ragione per cui gli ugualitaristi sono obbligati a soffocare la libertà è che l'uguaglianza assoluta in natura non esiste, e non esiste proprio perché esiste una natura oggettiva e inestirpabile. Le astrazioni possono essere imposte solo con la forza, ma la natura, quando è violentata, si ribella. Gli omosessualisti tenteranno invano di cancellare la distinzione sessuale tra uomini e donne, così come i giacobini tentarono invano di distruggere la religione e i comunisti di liquidare la proprietà privata. Non è possibile abolire per decreto il fatto che si nasce geneticamente maschi o femmine, all'interno di una determinata famiglia, in un Paese, che ha una sua cultura e una sua tradizione.
Nella parola tradizione si racchiudono i princìpi fondanti di una civiltà, fondati sulla filosofia dell'essere e percepiti dal senso comune. Il senso comune, come spiega il padre Réginald Garrigou-Lagrange, in una sua opera classica, recentemente curata da mons. Antonio Livi (Il senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche, Leonardo da Vinci, Roma 2013), consiste in un certo numero di princìpi evidenti che ci permettono di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, il bello dal brutto, un essere dall'altro essere e la realtà dal nulla. Si tratta di una filosofia anteriore alla filosofia, perché si trova spontaneamente in fondo a tutte le coscienze. E solo l'esistenza di questo senso comune e spiega la spontanea reazione che si è avuta in Francia, ed è destinata a dilagare in altri paesi, contro il "matrimonio omosessuale".
L'arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone, commentando la sentenza della Corte Suprema americana, ha affermato: "Non possiamo rassegnarci davanti all'ingiustizia. Non possiamo tacere. Per questo i movimenti che stanno nascendo, come quello francese per la famiglia o quello italiano che ha marciato per la vita, vanno sostenuti" (Intervista a Benedetta Frigerio, in "Tempi.it", 28 giugno 2013). La Marcia per la Vita italiana e le Manifs pour tous francesi si fondano su quel "senso comune" a cui il mondo moderno ha voltato le spalle, con i disastrosi risultati che sono sotto i nostri occhi. Vita e famiglia sono principi non negoziabili proprio perché radicati nella filosofia dell'essere e nella legge naturale.
Il matrimonio omosessuale è al contrario, innaturale e contraddittorio, e perciò autodistruttivo ed eversivo dell'ordine sociale. In natura esistono gli istinti, ovvero le tendenze che spingono un animale a soddisfare le proprie necessità. Essi sono sempre coerenti, mai contraddittori, perché sono mossi da un'intelligenza ad un fine, anche se gli animali che compiono l'atto non sono coscienti di questo fine. Gli uomini condividono gli istinti con gli animali, ma, a differenza di questi, hanno delle inclinazioni interiori verso la verità e il bene, da cui derivano i contenuti e i precetti della legge naturale.
Agire secondo natura non significa assecondare le proprie pulsioni, ma agire secondo ragione, perché la natura non va intesa in senso fisico-biologico, ma metafisico e morale. Dietro le iniziative in difesa della vita e della famiglia, in America e in Europa, c'è una filosofia dell'essere e c'è soprattutto la ferma convinzione che la legge divina e naturale non possa rimanere confinata all'ambito privato, ma debba proiettarsi nella sfera pubblica per ricostruire l'ordine civile oggi sfigurato.

Fonte: Il Foglio, 03/07/2013

7 - L'ABORTO NON SERVE A SALVARE LA VITA DELLA MAMMA
L'etica medica è sufficiente per far fronte a tutti i casi di apparente conflitto tra la vita della madre e quella del bambino
Autore: Elard Koch - Fonte: UCCR online

Nel settembre 2012 ho avuto la preziosa opportunità di partecipare come membro della Committee on Excellence in Maternal Healthcare, convocata a Dublino per analizzare l'esperienza di Irlanda, Cile e altri paesi con un elevato standard di salute materna in tutto il mondo. L'incontro è stato coronato con la Declaration of Dublin: «Come professionisti esperti e ricercatori in ostetricia e ginecologia, affermiamo che l'aborto diretto – la distruzione intenzionale del nascituro – non è medicalmente necessario per salvare la vita di una donna. Noi sosteniamo che vi è una differenza fondamentale tra l'aborto e i necessari trattamenti medici che vengono effettuati per salvare la vita della madre. Confermiamo che il divieto di aborto non influisce in alcun modo, e in nessun caso, sulla disponibilità di cure ottimali per le donne in gravidanza».
Sia il Cile e l'Irlanda sono collocati tra le nazioni al mondo più sicure per la maternità nelle rispettive regioni. Nel caso del Cile, esclusi i decessi dovuti a cause non-ostetriche (chiamate anche cause indirette), 30 morti materne sono state registrate nel corso del 2010, con un tasso di mortalità dell'11,9 per 100.000 nati vivi. Questo colloca il Cile secondo dopo al Canada nel continente americano, con una migliore salute materna rispetto agli Stati Uniti d'America. In Irlanda, solo tre decessi materni sono stati registrati su 74.976 nati vivi, dando un tasso di mortalità di 4 per 100.000 nati vivi, e ponendo questo paese tra le cinque nazioni con il più basso tasso di mortalità materna in Europa.
È interessante notare che questi due paesi hanno le leggi meno permissive sull'aborto nel mondo e nello stesso tempo la visualizzazione di mortalità legata all'aborto è trascurabile. Questo sfida il mito secondo il quale la limitazione di aborto porta a centinaia, se non migliaia, di morti a causa dell'aborto.Questo è falso.
Le morti a causa dell'aborto in Cile sono diminuite del 99% in 50 anni. Inoltre, questa diminuzione è continuata anche dopo la messa al bando dell'"aborto terapeutico", nel 1989, a conferma che la legge dimostra che tali aborti erano completamente inutili a ridurre la mortalità materna o nell'affrontare i casi eccezionali in cui la vita della madre in gravidanza è a rischio. Questo non è un problema minore dato che la mortalità a causa dell'aborto è un argomento ricorrente utilizzato per promuovere la legalizzazione dell'aborto in Irlanda, Cile, e in America Latina in generale.
Nel corso del 1960, quasi il 45% dei ricoveri per aborto sono stati associati all'aborto indotto. In Cile, dal 1967, la continua diminuzione dei tassi di ospedalizzazione a causa di qualsiasi tipo di aborto, spontaneo o provocato, suggerisce che la pratica dell'aborto indotto è anche diminuita in parallelo con la diminuzione della mortalità per aborto. In effetti, le stime effettuate fino a pochi mesi mostrano che soltanto il 10-19% di tutti i ricoveri per aborto in Cile può essere attribuito all'aborto indotto negli ultimi dieci anni. La maggior parte degli aborti indotti in Cile oggi avrebbe luogo ricorrendo alla acquisizione illegale di Misoprostolo nel mercato nero, un business lucrativo apparentemente senza un adeguato controllo.
In termini statistici, i tassi di aborto in Cile e in Irlanda sono, in media, da 10 a 12 volte inferiori rispetto a quelli dei paesi in cui l'aborto è legale, come la Spagna, il cui tasso di aborto è aumentato di 10 volte dal momento della sua depenalizzazione nel 1985. La ripetizione dell'aborti da parte delle stesse donne è aumentato dal 20 ad oltre il 35%, il che suggerisce che l'aborto legale è utilizzato come una sorta di metodo contraccettivo dalle giovani donne spagnole.
La spiegazione di questa differenza è logica: mentre il permesso legale facilita l'accesso e aumenta l'incidenza di aborto, la sua restrizione legale ostacola l'accesso e diminuisce l'incidenza. Ovviamente, l'effetto dissuasivo di una legge meno permissiva non può eliminare completamente il problema, ma può diminuirlo. Infatti, lo scopo di una tale legge è simile a quella della legislazione che vieta farmaci dannosi.
Sorprendentemente, gli anacronistici riferimenti all'"aborto terapeutico" sono usati in modo stressante più e più volte per ripristinare l'inutile legislazione, prestandosi ad abusi interpretativi. La libera interpretazione delle cause dell'aborto, che portano all'abuso di leggi più permissive, sembra essere un problema più generale. In realtà, la maggior parte degli aborti effettuati in Inghilterra e in Spagna vengono eseguiti per "ragioni di salute mentale", anche se non ci sono prove scientifiche a sostegno dell'aborto come indicazione terapeutica per eventuali problemi relativi alla salute mentale.
La preziosa esperienza cilena dimostra che l'etica medica è sufficiente per far fronte a tutti i casi di apparente conflitto tra la vita della madre e quella del bambino in gestazione. Inoltre, un ragionamento operativo sul diritto etico all'interno della legge attuale consente un adattamento dinamico al progresso della tecnologia e della conoscenza scientifica, la promozione di una sana, riflessiva e responsabile prassi medica. Infine, se l'obiettivo di nazioni come il Cile e l'Irlanda è quello di mantenere il loro elevato standard nella sanità materna, proteggendo allo stesso tempo la salute della donna e della vita umana in gestazione, mantenendo anche un basso tasso di aborto indotto, il modo per procedere non comporta la modifica delle loro attuali leggi vigenti sull'aborto.

Fonte: UCCR online

8 - CONVENZIONE DI ISTANBUL: CON LA SCUSA DELLE DONNE, IMPONE I PRINCIPI DELL'IDEOLOGIA GAY
La lotta contro la violenza sulle donne è solo una parte della più ampia strategia posta in essere per indottrinare le nuove generazioni secondo i principi omosessualisti
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/05/2013

Anche sull'onda dell'emozione provocata da recenti e ripetuti fatti di cronaca, la Camera ha approvato martedì scorso all'unanimità la "Convenzione di Istanbul per il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica" che il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa aveva a sua volta approvato nel maggio del 2011. Adesso la palla passerà al Senato. La convenzione per diventare esecutiva, e vincolante, deve essere ratificata almeno da dieci stati. Per ora siamo a quota cinque con l'Italia.
La convenzione nella sua sostanza dice cose condivisibili, ma all'art. 3 spiegando cosa si debba intendere per violenza fa riferimento "a tutti gli atti di violenza fondati sul genere". Successivamente al paragrafo C dello stesso articolo si dà anche la definizione di "genere": "Ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini". Dunque l'essere donna e uomo non è un dato biologico a cui deve seguire una conformità psicologica, bensì un dato convenzionale (ruoli che "una determinata società considera appropriati"), un costrutto artificioso nato da un consenso diffuso ("attributi socialmente costruiti").
Ma se la convenzione riguarda la violenza sulle donne perché inserire nel testo anche il concetto di genere? Il termine "donna" non si presta a fraintendimenti, perciò parlare di "genere" è superfluo ed anzi crea confusione. Superfluo forse per noi, non per i cultori dell'ideologia "gender" che hanno visto in questo documento una ghiotta opportunità da non perdere per infilarci dentro qualche loro idea sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. Se ne era accorto anche il governo Monti il quale, approvando la Convenzione ancora da rettificare, depositò una nota critica presso il Consiglio d'Europa proprio su questo punto: "La definizione di genere contenuta nella Convenzione è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano". Tale rilievo è confluito anche in una nota inserita nell'ordine del giorno dei lavori alla Camera: in pratica si dice che la parola "genere" sarà intesa secondo la nostra Costituzione: uomo e donna. Resta però il fatto che la nota non potrà modificare il contenuto della Convenzione – e quindi la parola "genere" rimarrà nel testo – e sarà sempre soggetta a una reinterpretazione se la maggioranza parlamentare lo vorrà.
L'operazione in realtà è stata assai furba: proporre una convenzione che certamente tutti i paesi avrebbero approvato (più di una ventina gli stati che l'hanno approvata ma non ancora resa esecutiva) – chi non è contro la violenza delle donne? – per poi far passare ciò a cui si tiene davvero: la cultura di "genere". La solita pillola indorata assai letale. Un cavallo di Troia efficace se andiamo a leggere qua e là l'articolato della Convenzione.
Ad esempio il comma 3 dell'art. 4 ci fa capire che il termine "genere" non è usato come sinonimo del termine "sesso", in sostituzione di questo, ma possiede un suo autonomo significato: "L'attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti […] deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, […] sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere". Quindi per gli estensori della convenzione il sesso "maschio-femmina" è cosa diversa dal "genere", e questi due lemmi sono poi differenti dall' "orientamento sessuale" e dall' "identità di genere".
L'art 14 comma 1 invece ci rivela che la lotta contro la violenza sulle donne è solo una parte della più ampia strategia posta in essere dalla convenzione, la quale mira ad indottrinare le nuove generazioni secondo i principi omosessualisti: "Le Parti intraprendono, se del caso, le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati". Il papà maschio che fa il papà e la mamma femmina che fa la mamma state pur sicuri che passeranno come "ruoli di genere stereotipati" e dunque esclusi da qualsiasi sussidiario delle elementari.
Forse il vero DNA della convenzione potrebbe essere contenuto nell'art. 6: "Le Parti si impegnano a inserire una prospettiva di genere nell'applicazione e nella valutazione dell'impatto delle disposizioni della presente Convenzione". Altro che violenza sulle donne, qui quello che importa è leggere ogni azione di discriminazione con gli occhiali della cultura "gender".
A riprova che il tema sulla violenza sulle donne è preso a prestito dalla convenzione in modo pretestuoso ci sono anche i fatti. Domanda politicamente scorrettissima: ma siamo certi che il femminicidio sia davvero un'emergenza sociale? A dar retta ai media gli omicidi sulle donne sono in strabiliante aumento e il fenomeno starebbe dilagando. In realtà quello che è in aumento è solo l'attenzione di giornali e Tv, non il numero di omicidi.
Rimandiamo al seguente passaggio dell'articolo di Riccardo Cascioli dal titolo "Donne uccise, ecco cosa fare" pubblicato sulla Nuova Bussola a dicembre: "Contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, gli omicidi nei confronti delle donne sono in diminuzione, almeno a quanto affermano i dati dell'Istat: in questo 2012 le vittime femminili alla fine supereranno di poco le 120 unità, ma nel 2010 erano state uccise 156 donne, 172 nel 2009 e ben 192 nel 2003, che rappresenta il picco degli ultimi dieci anni. Rispetto al totale degli omicidi le vittime donne rappresentano circa il 30%".
I dati ricordati da Cascioli, che trovano una significativa eco in un articolo dal titolo "Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati" di Fabrizio Tonello pubblicato ad inizio maggio sul Fatto Quotidiano, e vengono confermati dai vari rapporti sulla criminalità redatti dal Ministero dell'Interno. In particolare nel Rapporto pubblicato nel 2011 si afferma che il tasso di omicidi in cui la vittima è donna è in crescita, ma non così il numero assoluto di omicidi sulle donne: "La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio".
Insomma se il numero di omicidi totali diminuisce e quello che interessa le donne diminuisce di poco o rimane stabile, la percentuale di "femminicidi" risulta in aumento. A tale proposito sempre il Ministero dell'Interno in un rapporto di qualche anno fa così appuntava: "È condivisa l'idea che determinate condizioni di 'debolezza', dovute al sesso femminile o all'età avanzata, aumentino la vulnerabilità e quindi la probabilità di essere vittima di un reato violento come l'omicidio. Al contrario, dai dati emerge che più frequentemente le vittime di omicidio sono maschi".
Si badi bene: anche un solo cadavere grida vendetta al Cielo e, banale a dirsi, occorre lo sforzo di tutti perché gli atti di violenza sulle donne diminuiscano sempre più. Ma quello che qui vogliamo sottolineare attiene ad un altro aspetto e riguarda la strategia in atto: gonfiando il fenomeno ad arte, facendolo percepire per quello che non è, si creano le premesse culturali per mirare ad altro.
Se facciamo credere che le donne cadono come mosche sarà più facile far passare leggi per la tutela del "genere", cioè leggi per incoraggiare l'omosessualità. La Convenzione di Istanbul in buona sostanza è un ulteriore tassello di quel mosaico culturale che vuole stravolgere l'antropologia naturale e sostituirla con una inventata a tavolino, dove una donna biologica può diventare un "uomo" e un uomo una "donna".

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/05/2013

9 - FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA
In grave pericolo la libertà di pensiero in Italia
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11-07-2013

La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato il testo base del DDL contro l'omofobia e la transfobia, testo che andrà all'esame dell'Aula il prossimo 22 luglio. Il termine per gli emendamenti scade martedì 16 luglio. In previsione di tale importante passaggio parlamentare, i Giuristi per la Vita - insieme a La Nuova Bussola Quotidiana - lanciano un appello per fermare questa iniziativa legislativa, che rischia seriamente di avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell'uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art. 21) e alla libertà religiosa (art. 19).
Dal punto di vista pratico, infatti, l'approvazione delle norme contro l'omofobia e la transfobia potrebbe determinare l'incriminazione, ad esempio, di tutti:
1. coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il "matrimonio" gay;
2. coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali, atteso che, secondo l'approccio ideologico appena recepito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, non ammettere una coppia gay al matrimonio costituirebbe discriminazione motivata dall'identità sessuale;
3. coloro che pensassero di organizzare una campagna di opinione per contrastare l'approvazione di una legge sul "matrimonio" gay;
4. coloro che pubblicamente affermassero che l'omosessualità rappresenta una «grave depravazione», citando le Sacre Scritture (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10.);
5. coloro che pubblicamente dichiarassero che gli atti compiuti dagli omosessuali «sono intrinsecamente disordinati», in virtù del proprio credo religioso (Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana),
6. coloro che pubblicamente sostenessero che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all'atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» (art. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica);
Le norme che si intendono approvare rispondono ad una mera prospettiva ideologica, del tutto inutile sul piano legale, godendo gli omosessuali degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per i tutti i cittadini, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale. La proposta di legge sull'omofobia, pertanto, non merita di entrare nel nostro ordinamento.
Opporvisi non è una battaglia di retroguardia, tesa a garantire chissà quale privilegio o quale ingiustificata impunità, ma significa battersi contro il rischio di una pericolosa violazione della libertà di espressione del pensiero e del credo religioso, fondamento di tutte le libertà civili nel quadro costituzionale vigente. La cronaca, del resto, mostra ampiamente cosa accade nei Paesi europei in cui è già prevista una legge contro l'omofobia: basti guardare al Regno Unito ed alla famigerata Section 5 del Public Order Act.
Per questo, i Giuristi per la Vita si appellano ai parlamentari della Repubblica italiana, e a tutti gli uomini di buona volontà, affinché venga scongiurato il rischio dell'introduzione di una simile normativa nel nostro ordinamento giuridico.

Nota di BastaBugie: per firmare l'appello della Bussola Quodidiana per chiedere ai parlamentari di fermare questo disegno di legge che in nome della lotta all'omofobia impedirà la manifestazione della libertà di pensiero, clicca qui sotto
http://www.lanuovabq.it/it/sottoscrizioneCampagnaRaccoltaFirme.php

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11-07-2013

10 - OMELIA XV DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO C - (Lc 10,25-37)
Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 14 luglio 2013)

Chi da Gerusalemme scende a Gerico si accorge subito di una cosa: che vi è un grande dislivello tra le due città. Gerusalemme è in montagna, mentre Gerico è in una depressione al di sotto del livello del mare. Questo non è un particolare di poca importanza. Gerusalemme è come il simbolo del Paradiso e della felicità di lassù; Gerico è il simbolo del male, del peccato. Gesù, raccontando questa parabola, voleva far comprendere che l'uomo che scendeva da Gerusalemme verso Gerico e che incappò nei briganti che lo depredarono, è l'umanità che cadde in peccato con Adamo ed Eva e che divenne preda del diavolo. Gesù è il Buon Samaritano che venne per salvare l'uomo decaduto e per ridonargli la dignità perduta.
Questo è il primo e il più importante degli insegnamenti che ricaviamo dalla lettura di questa parabola. Se non fosse stato per Gesù e per la sua immensa carità, noi tutti giaceremmo ancora nel peccato. Con il peccato originale, l'uomo ha perso tutto o quasi. Ha perso l'amicizia con Dio, la sua grazia. Anche la natura è rimasta ferita: con il peccato originale è subentrata la sofferenza e la morte. Solo Gesù, il Buon Samaritano, poteva redimerci dal peccato e ridarci la vita. Gesù ha avuto compassione di noi (cf Lc 10,37) ed è disceso fino a noi per portarci di nuovo alla Gerusalemme di lassù. Egli ha fasciato le nostre ferite e si è preso cura di noi (cf Lc 10,34).
Gesù continua a prendersi cura di noi. Egli si prende cura di noi per mezzo dei suoi sacerdoti e grazie ai Sacramenti da loro amministrati. Il sacerdote quando celebra la Messa e quando ci assolve dai nostri peccati è Gesù stesso che fascia le nostre ferite e ci ridona la salute dell'anima. Da parte nostra dobbiamo accostarci con fede al Sacramento della confessione e alla Comunione Eucaristica.
Anche noi, però, dobbiamo prenderci cura dei nostri fratelli ed essere per loro dei "buoni samaritani". Il brano del Vangelo di oggi ci insegna anche a praticare la virtù della carità, che è la regina delle virtù. C'è un particolare che deve farci molto riflettere. Passò un sacerdote e non si fermò; passo un levita e andò via diritto; solo un samaritano ebbe compassione del malcapitato incappato nei briganti e si prese cura di lui. I samaritani erano considerati come degli stranieri con i quali non bisognava aver a che fare. Questo ci insegna che la carità, a volte, la troveremo non tanto dai vicini, ma dai più lontani, da quelli con i quali non volevamo aver nulla da spartire. Dio permette questo per piegare il nostro orgoglio e la nostra presunzione.
Facciamo dunque un esame di coscienza e vediamo se siamo stati anche noi come quel sacerdote o come quel levita e domandiamone perdono. È molto facile accorgersi di tanti altri peccati, ma dei peccati contro la carità, chissà perché, è sempre difficile rendersene conto. Tante volte "andiamo oltre" anche noi come quel sacerdote e quel levita e non ci accorgiamo di chi è nel bisogno. Si manca di carità in tanti modi: nel pensare, nel giudicare, nel parlare che tante volte è uno sparlare; si manca di carità anche senza dire parole, basta solo un atteggiamento del volto per dimostrare il nostro disprezzo per il fratello che ci è davanti; si manca di carità chiudendo il nostro cuore di fronte alle sventure del prossimo, non volendoci pensare e non volendo quindi fare ciò di cui abbiamo la possibilità. Questi ultimi sono tutti peccati di omissione. I peccati di omissione sono molti, ma la cosa più brutta è che, il più delle volte, nemmeno ce ne accorgiamo.
Chiediamo alla Madonna che ci ottenga dal Signore la grazia di aprire bene i nostri occhi per renderci conto finalmente della nostra durezza di cuore. Chiediamo la grazia di diventare anche noi dei "buoni samaritani", sempre pronti a soccorrere il nostro prossimo e a prenderci cura di lui.

Nota di BastaBugie: Per l'omelia della domenica successiva, vai a
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Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 14 luglio 2013)

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