BastaBugie n�347 del 02 maggio 2014

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1 STAMINA: DOPO AVERLA SPONSORIZZATA, GIORNALI E TELEVISIONI SI ACCORGONO CHE E' UNA GRANDE TRUFFA
Ma sorvolano sul particolare di chi l'ha autorizzata: i magistrati
Fonte: Tempi
2 DIFFERENZE TRA LA MINISTRA BOSCHI ED EMMA BONINO? SOLO LA BELLEZZA, PERCHE' LE IDEE SONO IDENTICHE
Pur dicendosi cattolica, Maria Elena Boschi è favorevole a fecondazione artificiale, aborto e nozze gay...
Autore: Giorgia Petrini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 25 APRILE, LA FESTA PIU' INSENSATA E RIDICOLA
Si festeggia una sconfitta miliare di un popolo distrutto, ma un motivo c'è: serve a nascondere il terzo fallimento del mito risorgimentale dell'Unità d'Italia
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Il giudizio cattolico
4 LIMITARE GLI STIPENDI DEI TOP MANAGER? TENTAZIONE DEL TOTALITARISMO CHE IMPONE L'ETICA DI STATO
Malgrado l'aspetto apparentemente edificante, è in realtà un'ossessione di egualitarismo economico che provoca disastri
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone
5 L'ITALIA E' L'UNICO PAESE AL MONDO A NON DIFENDERE I CONFINI E AD AIUTARE CHIUNQUE A ENTRARE NEL PAESE
L'operazione della Marina Militare Mare Nostrum, varata dal governo Letta (costo: 9 milioni di euro al mese) è palesemente fallita: 43mila arrivi (aumento del 224%)
Autore: Gianandrea Gaiani - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 RISPETTO UMANO, LA PIAGA MORALE DI TROPPI CRISTIANI
Il cristiano non deve aver timore a manifestare la sua fede
Fonte: Preghiere a Gesù e Maria
7 LA CONVERSIONE DI UNA DONNA ATEA IN CARRIERA
Non ho più l'ambizione di guadagnare 25mila euro al mese, oggi penso a Gesù e al Papa, al matrimonio e alla maternità
Autore: Luca Marcolivio - Fonte: Zenit
8 ETTORE GOTTI TEDESCHI COMPLETAMENTE RIABILITATO
L'ex presidente dello IOR, soprattutto, non ha mollato
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e persona
9 LITUANIA, LA RESISTENZA ANTICOMUNISTA DIMENTICATA
Finalmente un libro documenta la disperata guerra di resistenza dal 1944 al 1953 contro l'Unione Sovietica occupante
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
10 OMELIA III DOMENICA DI PASQUA - ANNO A - (Lc 24,13-35)
Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - STAMINA: DOPO AVERLA SPONSORIZZATA, GIORNALI E TELEVISIONI SI ACCORGONO CHE E' UNA GRANDE TRUFFA
Ma sorvolano sul particolare di chi l'ha autorizzata: i magistrati
Fonte Tempi, 24 aprile 2014

Tempi.it è stato tra i primi - probabilmente "il" primo – a sollevare perplessità sul cosiddetto metodo Stamina. Lo ha fatto non solo per una naturale diffidenza nei confronti della tv del dolore  - quella che mette in primo piano immagini di bambini e famiglie straziate da una reale sofferenza, con sottofondo di jingle piagnucolosi -, ma anche perché, sin dal principio, la storia dei trattamenti, presentati come sicuri ed efficaci, non ci pareva avere basi scientifiche. Se esse esistono – dicevamo con pochi altri – si sia seri e si dica come si vuole procedere. È già successo di finire nelle mani di santoni e guru, interessati più al businness che alla salute.

LE IENE, CELENTANO, FIORELLO
Noi non sappiamo se Vannoni sia un truffatore, come oggi tutti dicono. Rileviamo che, fino a qualche mese fa, tutte le maggiori testate nazionali andavano al traino delle Iene – la trasmissione tv che aveva cavalcato il caso -, pubblicando senza troppe remore gli appelli di Celentano e Fiorello e accusando di insensibilità e meschinità tutti gli altri (questo sito fu attaccato da Giulio Golia durante una puntata delle Iene con parole piuttosto pesanti). Che uno dei massimi esperti e premio Nobel per la medicina (Shinya Yamanaka) e riviste come Nature mettessero in dubbio il protocollo di Stamina, non pareva sfiorare molti.

INFERMIERE ATTRICI
Poi, man mano che emergevano i particolari e i racconti di coloro che erano stati "non curati" da Stamina, la musica è cambiata. I rappresentanti del Movimento Cinque Stelle hanno smesso di intervenire in aula per difendere Vannoni, le Iene hanno cominciato ad occuparsi d'altro, Celentano s'è messo a scrivere appelli su altre questioni.
Ieri, con la chiusura dell'inchiesta, si è arrivati al ribaltamento mediatico. Ora il Corriere pubblica in prima pagina un titolo su "Gli affari segreti di Stamina". Si prendono le carte della Procura di Torino e si spiattellano in pagina le ipotesi dell'accusa: «Un raggiro durato sette anni che ha riguardato centinaia di malati», i pazienti «usati come cavie», «attrici al posto delle infermiere».

MA I GIUDICI?
Ben arrivati, verrebbe da dire. Ma la presunzione di innocenza vale anche per Vannoni e gli altri 19 indagati. Un'idea sulle sue responsabilità noi ce l'abbiamo, ma aspettiamo il rinvio a giudizio e il processo.
Piuttosto ci verrebbe da chiedere: ma quei parlamentari che approvarono stanziamenti per milioni di euro a Stamina hanno nulla da dire? Il ministro della Salute del Governo Monti, Renato Balduzzi, ha qualcosa da dichiarare? E, soprattutto, di tutti quei magistrati che hanno imposto le cure, in barba a qualsiasi evidenza scientifica, ne vogliamo parlare? Anche oggi che i giornali – dimentichi della campagna stampa che fecero in senso opposto solo qualche mese fa – pigiano l'acceleratore sull'indignazione anti-Stamina, ancora nessun accenno alle responsabilità dei giudici. Eppure sono fra gli attori principali di tutta la vicenda. Lo nota, voce isolata, solo Filippo Facci su Libero. «Sono loro – scrive – che in questo anni hanno menato le danze, altro che società civile. (…) Basti ricordare che il Ministero della Salute nominò un comitato di esperti sul caso Stamina, appositamente, ma il 4 dicembre scorso il Tar ha provveduto a cancellarlo: e questo con la motivazione che in precedenza gli esperti prescelti avevano "già preso posizione" sul tema, cosa peraltro inevitabile perché altrimenti non sarebbero stati esperti». Dice Facci: «Laddove il ministero vietava, il giudice autorizzava».
Quindi, c'è o no una responsabilità dei giudici in tutta questa vicenda? Certo che c'è. Ma questa non sarà giudicata: né in un tribunale né sui pavidi quotidiani nostrani.

Fonte: Tempi, 24 aprile 2014

2 - DIFFERENZE TRA LA MINISTRA BOSCHI ED EMMA BONINO? SOLO LA BELLEZZA, PERCHE' LE IDEE SONO IDENTICHE
Pur dicendosi cattolica, Maria Elena Boschi è favorevole a fecondazione artificiale, aborto e nozze gay...
Autore: Giorgia Petrini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23-04-2014

Il Ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, più volte definita "cattolica" da Wall Street Italia e intervistata da Vanity Fair (celeberrima rivista notoriamente adatta al caldo tema delle riforme) che le dedica la copertina del 23 Aprile, vorrebbe un compagno e tre figli. Fin qui, poco male: desiderare una vita serena e felice è un bene. "La casa è sempre vuota" dichiara la Boschi, single da un anno (precisazione temporale per dovere di cronaca verso un pubblico che, dai commenti, si mostra, infatti, subito interessato alla profonda pertinenza del contenuto rigorosamente attinente al ruolo); "una tazza di latte bevuta da sola", continua, non è certo un degno sussidio in mancanza di una più armoniosa e accogliente vita di coppia.
Come contraddirla? Filerebbe tutto liscio, o quasi, se non fosse che al momento di esprimere un'opinione su questioni (neanche troppo pertinenti al suo Ministero) che riguardano temi hot come la fecondazione assistita, l'aborto, i matrimoni e le adozioni gay, l'appellativo di "cattolica" finisce del tutto in trallallero. Ed è bene che sia chiaro, non tanto perché non sia libera di pensarla come vuole, ci mancherebbe. Ma perché le parole sono importanti e, nei fatti, non riguardano mai soltanto chi le enuncia. In questo caso, andrebbero accostate – a onor di fede – a qualche altro milione di "cattolico" nel mondo, e sinceramente c'è da pensarci un attimo.
Nel primo caso, è preoccupata per le tante donne che "fanno molta fatica a rimanere incinte" (precisa che sono in là con gli anni, ma nulla di più). Fa l'esempio della Toscana, le cui strutture pubbliche a quanto pare consentono diversi tentativi gratuiti di fecondazione, e si limita a dire che "bisognerebbe poter fare di più, aiutare di più". Sul chi, come e perché, che forse avrebbero potuto valorizzare meglio la risposta, candidandola a un contenuto realistico più che a un'informazione generica non meglio precisata, senza alcuna ipotesi riformista, non è dato sapere.
Nel secondo caso, non giudica (e siamo d'accordo) le donne che scelgono la via dell'aborto, ma "io non potrei mai", risponde. Anche qui, ci chiediamo se il finale di un'osservazione fatta da un ministro della Repubblica non possa trovare altro che la punteggiatura per arricchire un tema del genere di una sostanza più nutrita. Tipo, per dirne un paio: come aiutiamo le donne che vogliono abortire a non farlo con serenità, piuttosto che come tuteliamo i diritti di chi non nasce. C'è da scegliere come porsi istituzionalmente tra la cultura della vita e quella della morte, non tra quello che ogni donna singolarmente farebbe o fa. Scriveva Giovanni Paolo II nella sua Evangelium Vitae, sulla sacralità della vita: "Di fronte alla norma morale che proibisce la soppressione diretta di un essere umano innocente non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo, o l'ultimo miserabile sulla faccia della terra, non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali".
Nel terzo caso, poi, si sbilancia del tutto e fa un salto nel vuoto dichiarando che è una questione di "gradualità". "Cominciamo a riconoscere la parità tra coppie gay ed etero e poi, un passo alla volta, aspettiamo che il Paese sia davvero pronto ad accogliere le 'nuove' famiglie". Tesi questa, purtroppo, avvalorata da molte persone che si definiscono "cattoliche", ma che di cattolico non ha proprio nulla, soprattutto dopo le dichiarazioni dell'11 aprile scorso fatte da Papa Francesco, per chi avesse ancora qualche dubbio sull'argomento.
Il pezzo finisce col solito scivolone sul finale già troppo scosceso, quando lo scoop diventa che "le donne devono faticare il doppio degli uomini per dimostrare di essere due volte più brave", senza meglio precisare né il genere di sforzo né per quale tipo di merito.
A volte, finirò anche per sembrare più antifemminista di quanto non lo sia già. Giuro che non lo faccio apposta. Certo che però se noi donne, regine della vita e prime madri dell'accoglienza, su tre temi come questi non abbiamo niente di meglio da dire (e nel caso specifico da fare, ricoprendo ruoli da ministro), il vero vuoto da riempire temo sia ben diverso da quello che abbiamo in casa.

Nota di BastaBugie: invitiamo a guardare il video ironico con Virginia Raffaele che imita il ministro Boschi (imitazione che ha provocato il risentimento della presidente della camera Laura Boldrini che l'ha bollata come satira sessista)


https://www.youtube.com/watch?v=eRUPWunttzU

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23-04-2014

3 - 25 APRILE, LA FESTA PIU' INSENSATA E RIDICOLA
Si festeggia una sconfitta miliare di un popolo distrutto, ma un motivo c'è: serve a nascondere il terzo fallimento del mito risorgimentale dell'Unità d'Italia
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Il giudizio cattolico, 25 aprile 2014

È fin troppo facile far notare che il 25 aprile è la festa più insensata e ridicola che sia mai esistita nella storia, visto che di fatto si festeggia una sconfitta miliare di un popolo distrutto e caduto nella guerra civile e nell'odio ideologizzato. E che è ancora più insensata perché si continua a festeggiarla dopo settant'anni! Una tipica follia democratica.
Naturalmente diciamo questo non certo per nostalgismo pro sconfitti, né perché riteniamo che qualora la guerra fosse stata vinta dal nazional-socialismo noi italiani ce la saremmo passata meglio. Forse nei primissimi anni della vittoria; ma, personalmente ritengo che, specie alla lunga – e questo al di là delle follie razziste dell'hitlerismo – sempre servi saremmo stati, e sempre del Paese che oggi domina l'Europa non con le armi e la Gestapo ma con la finanza e le banche.
Occorre riflettere bene ormai, dopo settant'anni, sul perché di questa stupida festa nazionale. Se essa è stata inventata e continua ad essere imposta ogni anno, nonostante ormai da lungo tempo molti intellettuali – spesso ex-marxisti – stiano oggettivamente invitando all'eliminazione di questo solco di sangue che ancora bagna l'identità italiana – è perché essa è il marchio stesso della Repubblica Italiana. Ne è il sigillo nazionale. Un sigillo troppo pesante perché possa essere tolto e possa divenire pubblico ciò che nasconde.
Per decenni si è taciuto sulle stragi comuniste dei titini in Istria e sulle stragi comuniste dei partigiani in Emilia Romagna e altrove. Per decenni il 25 aprile serviva a occultare nella festa "di tutti" (come Pertini, il presidente di tutti, ricordate?) il sangue innocente (donne, vecchi, seminaristi, sacerdoti, uomini che si erano arresi, ecc.) offerto in tributo all'altare del sol dell'avvenire che sembrava stesse per sorgere in quei tragici giorni.
Soprattutto doveva però nascondere anche l'idea stessa che in Italia vi fosse stata una guerra civile. Tutti noi che siamo stati studenti nella Prima Repubblica, sappiamo bene che la guerra civile fra partigiani e fascisti non è mai esistita: è esistita invece la guerra di "liberazione" – termine che dimenticava, come se nulla fosse, il fatto che se dietro i fascisti vi era un invasore, dietro i partigiani ve ne erano due (o di più, forse). "Liberazione": ecco la parola magica inventata, mentre Mussolini pendeva a Piazzale Loreto e il sangue scorreva a litri nel triangolo rosso della morte e in Istria, per occultare sia la sconfitta militare che l'idea stessa di una guerra civile. Al punto tale che – e il cinema ha lavorato molto in tal senso – il "fascista" non era più neanche italiano, ma era il male in sé, inevitabilmente cattivo perché antitesi dell'inevitabilmente buono, ovvero dell'italiano partigiano.
Ma perché occorreva – e occorre ancora dopo settant'anni – nascondere la sconfitta e la guerra civile? Su questo nodo focale ormai la letteratura è vasta (Galli della Loggia, Emilio Gentile, Paolo Mieli, Marcello Veneziani, solo per citare alcuni fra gli autori più noti): la ragione vera risiede nella storia precedente, vale a dire nel Risorgimento italiano.
Il processo di unificazione nazionale è stato – al di là del mero risultato territoriale amministrativo – un assoluto fallimento. L'"italietta" nata dal blitz di Cavour e Garibaldi era più "espressione geografica" dell'Italia dei giorni di Metternich. Niente univa il siciliano e il piemontese, il salentino e il lombardo, il fiorentino e il calabrese. Economicamente era un disastro, più o meno come oggi. Moralmente screditati e corrotti. Militarmente ridicoli e incapaci (nemmeno gli africani ci rispettavano). Per non parlare della questione meridionale, della mafia, della corruzione, dell'emigrazione di milioni di uomini costretti a lasciare la loro Italia per non morire di fame.
Essendo evidente a tutti il fallimento ideale, civile e culturale del Risorgimento, per forgiare gli italiani fu deciso prima di tentare la via coloniale e fu un disastro, come già accennato. Poi di entrare nella Prima Guerra Mondiale, pur sapendo perfettamente che se ne poteva stare tranquillamente fuori. Il prezzo è stato 600.000 morti e 1.500.000 mutilati e feriti, il tutto per la "vittoria mutilata" (anche la vittoria fu mutilata).
Poi il biennio rosso – con il rischio bolscevico – e infine la dittatura fascista, che si assunse il compito di "fare gli italiani", ovvero di riuscire dove il risorgimento liberale aveva chiaramente fallito. Il fascismo divenne, come Mussolini stesso dichiarò più volte e Giovanni Gentile teorizzò filosoficamente – il compimento del Risorgimento. Il Secondo Risorgimento.
Ma il fascismo – al di là di alcuni innegabili risultati positivi – ci ha condotto al secondo disastro mondiale e all'8 settembre, con la "morte della patria", lo Stato alla sfascio, una monarchia indecente che fugge, un esercito lasciato senza ordini e senza capi, all'invasione degli stranieri e alla guerra civile.
Così, il mondo partigiano, almeno l'intelligenza di esso, comprese che occorreva risollevare ancora una volta, per la terza volta, dal baratro il mito fallimentare del Risorgimento. E lo fece facendo scomparire dall'idea italiana il fascismo, la sconfitta e la guerra civile, e presentando la nuova repubblica consociativa, liberal-democratica tendente a sinistra come il vero ultimo passaggio per la realizzazione del "nuovo italiano", quello appunto sognato dagli eroi risorgimentali. Nacque così il "terzo risorgimento", quello democristian-laico-comunista.
Ecco la necessità di mantenere in vita la festa del 25 aprile. In fondo, abolirla, sarebbe come ammettere che pure il "terzo risorgimento" ha fallito nell'obbiettivo di fare gli italiani e di costruire un Italia unita e rispettabile nel consesso delle nazioni.
Quanto l'Italia di oggi sia unita e rispettabile nel consesso delle nazioni è sotto gli occhi di tutti.
È fallito il primo Risorgimento, quello condotto contro la Chiesa e l'identità cattolica italiana. È fallito il secondo Risorgimento, quello fascista. È fallito pure il terzo Risorgimento, quello del compromesso storico fra "cattolici" liberali, laici e comunisti, che ha prodotto l'obbrobrio in cui oggi viviamo.
Oggi l'Italia neanche esiste più, essendo divenuta colonia sottomessa a un'entità astratta e al contempo famelica e contro-natura come la UE. Eppure noi continuiamo a festeggiare il 25 aprile.
Come dire... sempre più stupidi, ogni anno che passa. Sempre meno italiani, ogni anno che passa.
Perché il vero italiano era quello figlio di 26 secoli di storia. Quello che si trovò i piemontesi a casa. Quello era il vero italiano. E oggi, italiano vero, è colui che è in grado di capire e ha la forza di dirlo che questa Italia, questa Repubblica, non ha quasi nulla della vera Italia. E che finché non restaureremo la vera Italia, il nostro destino sarà quello di andare sempre più allo sfascio generale.
Ma, per usare una loro espressione... "un'altra Italia è possibile". Non dimentichiamolo e lottiamo per questo.

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Fonte: Il giudizio cattolico, 25 aprile 2014

4 - LIMITARE GLI STIPENDI DEI TOP MANAGER? TENTAZIONE DEL TOTALITARISMO CHE IMPONE L'ETICA DI STATO
Malgrado l'aspetto apparentemente edificante, è in realtà un'ossessione di egualitarismo economico che provoca disastri
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone, febbraio 2014

Si è tenuto, in Svizzera, un ennesimo referendum, questa volta su una proposta dei socialisti fiancheggiati - come spesso càpita - da vasti settori di cattolici "adulti" e "aperti". Ciò che si chiedeva era l'approvazione di una legge federale che mettesse un tetto agli emolumenti dei dirigenti delle aziende elvetiche: si voleva, cioè, che gli stipendi mensili dei manager, anche i più elevati in rango, non superassero lo stipendio annuo del lavoratore con lo stipendio minimo. Insomma, al massimo un rapporto da 12 a 1 tra i più e i meno retribuiti.
Malgrado ogni smentita della storia, continua, dunque, quella ossessione di egualitarismo economico, di presunta "giustizia sociale" che tanti disastri ha provocato, malgrado l'aspetto edificante. Quell'aspetto tanto nobilmente buono da aver sedotto e continuare a sedurre anche tanti credenti. Per fortuna della Svizzera, il buon senso elvetico ha respinto la proposta. Vale la pena di rifletterci un momento, in nome del realismo non solo elvetico ma anche cristiano. Innanzitutto, c'è qui la solita, tenace tentazione dello statalismo, tentazione nefasta e che porta non alla libertà ma al suo strangolamento e sbocca infine nel totalitarismo. Quell'ideologia, cioè (rossa o nera, comunista o fascista che sia) che vuole che lo Stato sia onnipotente e il cittadino un suddito di una divinità che avrebbe il potere di stabilire e imporre anche l'etica da seguire obbligatoriamente. In effetti, in una prospettiva non totalitaria, con quale diritto lo Stato può violare l'autonomia di una azienda privata alla quale sola compete di stabilire quanto "valga" il lavoro di coloro che la dirigono? Gli investimenti economici di una impresa, in un regime non alla sovietica, hanno per soli giudici i proprietari o gli azionisti. Solo loro hanno il diritto di stabilire se sia giustificato, e in quale misura, l'investimento economico sui loro dirigenti.
Non si dimentichi che, nel libero mercato che ormai coinvolge tutti i Paesi sviluppati, vale - piaccia o no alle anime belle - la concorrenza non soltanto per le merci ma anche per le persone: i manager, per l'amministrazione, e i tecnici, per la produzione, che hanno dato sul campo le prove migliori sono disputati dalle aziende. C'è, su questi specialisti, una sorta di asta: naturalmente, l'azienda che se li assicura è quella che offre le condizioni migliori. Con un tetto alle ricompense, tetto addirittura stabilito da una legge dello Stato, si andrebbe verso quell'appiattimento che ha causato l'impotenza e, alla fine, la resa e la totale, definitiva rovina dei regimi barricati dietro la cortina di ferro. Tra l'altro, è certo che l'illegalità, in Svizzera, sarebbe aumentata poiché si sarebbero cercati e messi in atto modi occulti e clandestini per aumentare gli stipendi imposti per legge.
Ma ciò che ha spaventato ancor più la maggioranza degli elettori svizzeri è quanto sarebbe immediatamente avvenuto se gli edificanti Apostoli - socialisti e cattolici - della Giustizia Sociale avessero vinto al referendum. La Svizzera, come si sa, con le sue istituzioni solide, con la sua burocrazia snella, con il suo sistema fiscale equo e non di rapina come il nostro, è stata scelta da molte grandi aziende, spesso di livello mondiale, come sede di direzioni generali e di impianti di produzione. Se si fosse imposto lo statalismo etico, la conseguenza immediata sarebbe stata l'esodo verso altri Paesi, dove non fosse il governo a stabilire il valore del lavoro dei dirigenti. Tra costoro, infatti, chi avrebbe accettato una retribuzione di poche migliaia di franchi, quando ovunque nel mondo avrebbero potuto guadagnare, per lo stesso lavoro, quantità ben più elevate di dollari o di euro? Sarebbero bastati pochi chilometri per trasferire tutto nella confinante Austria, o nel Lussemburgo, magari in Olanda, Paesi dove (almeno sinora) il guadagno legale non è considerato una colpa e il merito professionale è riconosciuto per quel che vale. Risultato: l'esodo dei "ricchi" avrebbe comportato maggior povertà per i "poveri", intendendo per questo i lavoratori delle aziende  che avrebbero traslocato direzioni e fabbriche verso lidi più liberali, lasciandosi dietro una folla di disoccupati.
Per continuare con il doveroso realismo: quanto più denaro circola, tanto più possono goderne anche quanti ne hanno meno. Chi ha notevoli introiti alimenta, con le sue spese, anche una fitta rete di negozianti, soprattutto di fascia superiore, di artigiani, di operai, di personale di servizio. Naturalmente, tutta gente che avrebbe potuto consolarsi della rovina economica o della disoccupazione pensando, edificata, che nessuno, in nessun Cantone del Paese, poteva guadagnare in un anno più di dodici volte di un operaio in un mese. La giustizia sociale in salvo!
Perché, potrà chiedersi qualcuno, perché questa riflessione su ciò che sembra solo un fatto di cronaca svizzero? Ma perché, come cristiani, può servirci per non dimenticare che (secondo la solita dialettica dell'et-et) l'ideale deve essere sempre presente ma deve al contempo confrontarsi con la realtà. Al credente è richiesta la difficile mediazione tra l'aspirazione a una società più giusta e la situazione concreta del momento. Proprio i più deboli sono sempre danneggiati, e fortemente, dall'impegno di idealisti che dimentichino la concretezza e il realismo. Vi sono troppi sforzi generosi che producono l'effetto contrario a quanto ci si proponeva.
A proposito di égalité, mi viene in mente quando i giacobini della Convenzione, all'apice del Terrore rivoluzionario, si proposero di aiutare il popolo di Parigi che moriva di fame perché la guerra civile e quelle esterne avevano falcidiato la produzione agricola e i prezzi erano saliti in modo intollerabile per molti abitanti della Capitale. Si inventò allora, e fu messo in atto per la prima volta nella storia, il "calmiere", detto dai giacobini, alla latina, "le maximum": un rimedio infallibile, secondo quegli utopisti, perché fissava in modo inderogabile il prezzo massimo al quale dovevano essere venduti i prodotti della campagna. Per chi non rispettasse il decreto, la sola ed unica misura che conoscessero Robespierre e i soci: le rasoir national, la ghigliottina. Il risultato fu che i prodotti alimentari scomparvero immediatamente e mentre prima i mercati avevano merce, seppur cara, ora non ne avevano per niente. In effetti, i contadini si rifiutavano di vendere non soltanto a prezzi inferiori a prima, ma addirittura al di sotto dei costi di produzione, visti i  livelli bassi in modo irrealistico fissati da politici e burocrati "per favorire quel popolo che amiamo", come dicevano i proclami. Nacque il "mercato nero": gli agricoltori imboscavano quanto avevano e lo cedevano solo a chi pagasse prezzi altissimi, proporzionati al rischio di pena di morte che si correva. Così – in nome della uguaglianza – solo chi aveva denaro se la cavava, mentre la stragrande maggioranza dei parigini fu costretta a scoprire nuovi alimenti, come avverrà poi anche nel 1871, quando la città fu assediata dai prussiani: prima si mangiarono tutti i gatti, poi i cani, poi i topi, alla fine si diede la caccia anche ai grossi ratti che popolavano le fogne della metropoli. Come avviene per tutti gli ideologi, anche i giacobini che avevano inventato il maximum rifiutarono tenacemente la realtà: secondo le loro teorie la misura era un toccasana per le masse, perché dunque non insistere? Alla fine si arresero e Robespierre stesso, in un intervento famoso alla Convenzione, ammise che bisognava cedere a quella che chiamò, con una espressione che nessuna persona sensata dovrebbe dimenticare, la force des choses, la forza delle cose. La "forza" dei fatti, della realtà che, se sfidata, porta a risultati disastrosi.
Ma, più vicino a noi e in scala ben più grande, non dovrebbe sempre ammonirci la parabola catastrofica del comunismo, realizzato non solo da cinici politici ma anche da uomini in buona fede, desiderosi davvero di impegnarsi per una società di liberi ed eguali? I socialisti, per giunta svizzeri, vorrebbero riprovarci e molti credenti si affiancano loro, pensando così di rispondere a un appello evangelico. Ma dimenticano che, anche soltanto secondo i piccoli compendi del Catechismo, la carità è dannosa, se non è guidata dalla prima delle virtù cardinali: la sacrosanta Prudenza.

Fonte: Il Timone, febbraio 2014

5 - L'ITALIA E' L'UNICO PAESE AL MONDO A NON DIFENDERE I CONFINI E AD AIUTARE CHIUNQUE A ENTRARE NEL PAESE
L'operazione della Marina Militare Mare Nostrum, varata dal governo Letta (costo: 9 milioni di euro al mese) è palesemente fallita: 43mila arrivi (aumento del 224%)
Autore: Gianandrea Gaiani - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24-04-2014

«In Italia si pone sempre il problema dell'immigrazione in campagna elettorale. Nel merito non c'è dubbio che c'è un problema. L'Operazione Mare Nostrum va verificata e aggiornata».  Il presidente del Consiglio Matteo Renzi entra con un tweet  nella polemica politica scoppiata dopo gli ultimi arrivi di massa di immigrati clandestini provenienti dalla Libia e raccolti in mare dalle navi militari nell'ambito dell'Operazione "Mare Nostrum".
«Lunedì mattina ci sarà una riunione ad hoc con i vertici dei servizi segreti, i ministri degli Interni e della Difesa» ha aggiunto il premier rispondendo all'opposizione che, con Forza Italia, ha chiesto un'indagine conoscitiva per fare chiarezza sulle finalità della missione mentre la Lega vuole l'immediata sospensione dell'intervento della Marina.
Non stupisce che la Lega cavalchi il vecchio cavallo di battaglia della lotta all'immigrazione, dimenticando però che nel 2011 il Ministro degli Interni Roberto Maroni diede il via libera all'accoglienza di 24mila tunisini (per metà galeotti fuggiti dalle prigioni) che nulla avevano  che fare con i profughi del conflitto libico.
In ogni caso il fallimento di Mare Nostrum e soprattutto dell'assurda politica sull'immigrazione varata dal governo Letta è sotto gli occhi di tutti. Ben 43mila arrivi l'anno scorso (il 224% in più del 2012), oltre 21mila dall'inizio dell'anno, mentre, secondo il Ministero dell'Interno, 700mila persone sono pronte sul territorio libico ad imbarcarsi per l'Italia pagando il "biglietto" ai trafficanti di esseri umani. «Nel 2013 circa il 70% degli arrivi via mare nell'Unione europea è avvenuto attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia all'Italia» aveva dichiarato l'8 aprile scorso il ministro degli Esteri, Federica Mogherini.
L'operazione Mare Nostrum varata a metà ottobre sull'onda emotiva di 300 migranti morti in un naufragio al largo di Lampedusa, doveva avere il duplice scopo di soccorrere in mare i disperati a bordo di barconi sovraffollati e spesso in pessime condizioni e di esercitare un deterrente contro i trafficanti come avevano annunciato i ministri Angelino Alfano e Mario Mauro.
Il primo voleva "rafforzare la protezione della frontiera" con la "deterrenza del pattugliamento e dell'intervento delle Procure" mentre il secondo aveva rivelato che i profitti incassati dai trafficanti finanziano anche il terrorismo islamico. Sei mesi dopo il bilancio dell'operazione è del tutto negativo. Certo si sono scongiurate altre tragedie sul mare, ma il Mediterraneo è diventato una sorta di "autostrada" sulla quale chiunque transiti ha la certezza di venire accolto in Italia dove potrà decidere se chiedere asilo, cercare (spesso invano) di raggiungere il Nord Europa o far perdere le proprie tracce come capita sempre più di frequente con le fughe di massa degli immigrati.
L'Italia è diventato l'unico Paese al mondo a non difendere i propri confini e ad aiutare chiunque lo voglia a entrare nel Paese. L'Unione Europea non ci aiuta a gestire l'emergenza con mezzi e denaro e i nostri "partner" si rifiutano di accogliere almeno una parte dei clandestini sbarcati in Italia. Siamo l'unico Paese che impiega navi da guerra (il cui utilizzo costa 9 milioni di euro al mese) come "traghetti" per aiutare i malavitosi ad arricchirsi: quelli che gestiscono i flussi migratori, hanno aumentato il loro giro d'affari. Le porte spalancate dall'Italia hanno aumentato i loro "clienti" e ridotto i costi, perché oggi basta mettere pochi litri di carburante sulle carrette del mare, sufficienti a uscire dalle acque libiche dove la Marina italiana è pronta a soccorrere ed accogliere tutti. Pare che i numerosi piccoli cantieri navali sulla costa tra la Tunisia e la Tripolitania, che un tempo realizzavano piccole barche da pesca, lavorino a pieno ritmo per varare bagnarole da riempire di immigrati con destinazione l'Italia. Neppure l'arresto di una cinquantina di scafisti operato da Marina, Guardia Costiera e Polizia è servito a ridurre i flussi, sia perché i trafficanti non faticano certo a trovare manovalanza, sia perché un'eventuale pena carceraria in Italia non fa paura nessuno.
Alternative? Ce ne sarebbero, anche se la politica sembra rifiutarle. Il ministro Mogherini sostiene che «l'attuale governo libico non ha il pieno controllo del territorio né può garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti e questo rende impraticabile ogni ipotesi di collaborazione finalizzata al rimpatrio dei migranti verso tale Paese». La sua collega Pinotti  ammette che Mare Nostrum «è un intervento a tempo» anche se «finché lo scenario libico resta instabile non possiamo sospenderlo» perché in Libia «non abbiamo interlocutori istituzionali stabili e non si possono ipotizzare accordi per bloccare il flusso migratorio in partenza».
Tutto vero, ma l'anarchia che domina la Libia (dove si attende che il Parlamento nomini un nuovo premier) consentirebbe anche scelte diverse, come l'impiego delle forze navali per raccogliere gli immigrati e riportarli sulla costa libica, utilizzando navi da guerra e fucilieri di Marina per garantire la sicurezza sulle spiagge e tenere lontani i miliziani. Un'operazione che rientra nelle capacità della Marina Militare e che, ripetuta alcune volte, scoraggerebbe nuovi arrivi perché toglierebbe la certezza del successo a quanti pagano i trafficanti per raggiungere l'Italia. Roma potrebbe allertare le strutture umanitarie di Onu e Ue (Bruxelles ha in Libia una missione per il controllo delle frontiere, che non si sa cosa stia facendo) per assistere gli immigrati respinti, ribadendo così la sua sovranità e il principio che nessuno può entrare in Italia illegalmente.
Un'operazione del genere avrebbe anche un effetto deterrente sulle autorità libiche, in parte non estranee agli affari dei trafficanti come dimostra un fatto curioso accaduto nelle ultime settimane. Nonostante il caos che domina il Paese Tripoli è riuscita a imporre ai ribelli della Cirenaica di sgomberare alcuni porti petroliferi oggi presidiati da truppe regolari e dai quali è ripreso il regolare export di petrolio. Possibile che le autorità libiche abbiano battaglioni di soldati (addestrati anche dagli italiani) per garantire il lucroso export di petrolio, ma non riescano a controllare con gli stessi mezzi militari porti e spiagge utilizzati dai trafficanti di esseri umani? E soprattutto è accettabile che Roma continui a farsi prendere in giro da Tripoli e a essere indirettamente complice delle organizzazioni malavitose libiche?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24-04-2014

6 - RISPETTO UMANO, LA PIAGA MORALE DI TROPPI CRISTIANI
Il cristiano non deve aver timore a manifestare la sua fede
Fonte Preghiere a Gesù e Maria

Il rispetto umano, nell'uso comune, è un dovere che si esplica nei confronti dei nostri simili. Purtroppo, il rispetto che si dà al prossimo non viene dato alla Parola di Dio. Infatti, tanti, che si mostrano tiepidi nella testimonianza di fede, sono più rispettosi delle argomentazioni altrui che della Parola del Signore. Non è questo, però, l'oggetto della presente riflessione. Il nostro intento è quello di sottolineare la forza e l'efficacia che il rispetto umano esercita nel campo della fede, il cui influsso induce tanti cattolici a vergognarsi di essere tali ed a trascurare i doveri religiosi, contrariamente ai seguaci di altre credenze che, senza alcuna difficoltà, testimoniano apertamente il loro credo. Il rispetto umano, in sostanza, è un moto pernicioso del nostro interno che affiora quando è richiesta la manifestazione spontanea delle proprie convinzioni religiose, represse per vergogna o per timore di darne testimonianza.

IL CRISTIANO NON DEVE AVER TIMORE A MANIFESTARE LA SOTTOMISSIONE A CRISTO
Chi esercita una qualsiasi professione non si vergogna di esercitarla in pubblico o in privato. Se il cristiano ha ben radicato il senso della fede, non deve aver timore a manifestare, con atti esteriori, la sottomissione a Cristo. La vergogna ed il timore scaturiscono dalle disposizioni interne poco propense a recepire tutta l'efficacia della Verità che Gesù ha trasmesso alla Chiesa. Solo la Chiesa, infatti, può dare ai suoi figli i mezzi per superare le tentazioni che si rivelano particolarmente insidiose per coloro che hanno fragili convinzioni e carenti disposizioni a testimoniare la Parola del Vangelo.
La necessità di conseguire il fine ultimo della vita induce a tenere nella debita considerazione il principio Divino secondo cui la Chiesa cattolica è Maestra infallibile e guida sicura delle anime. Questa realtà soprannaturale, se debolmente recepita, non è in grado di potenziare la volontà di tanti battezzati, poco propensi a valorizzare i beni dell'anima, anche con la testimonianza forte e coraggiosa. Oggi non si denigra la Chiesa come avveniva un tempo; il mondo moderno si disinteressa di Dio o irride la pietà di tanti cristiani, che si accostano ai Sacramenti e si mostrano ossequiosi dei doveri religiosi. La derisione nell'essere considerati seguaci di Cristo rende alcuni fedeli timidi e timorosi, malgrado abbiano la certezza di possedere la fede.
Lo scopo del demonio è quello di condurre dalla vergogna all'indifferenza, per poi passare alla repulsione, all'ostilità e al disprezzo per le cose di Chiesa. Vergognarsi della religione vuol dire vergognarsi anche del suo Fondatore; in questo modo tanti cristiani perdono anche la cognizione del bene e del male, del lecito e dell'illecito. Non va sottovalutata l'ostilità che il laicismo riversa sulla spiritualità dei fedeli i quali, spesse volte, vengono dissuasi dal compiere il loro dovere di cristiani.

SERVIRE IL SIGNORE SIGNIFICA AFFRONTARE SOFFERENZE E PERSECUZIONI
Tra i più giovani, molti sono insidiati nella fede ed istigati ad abbandonarla; alcuni temono di esser additati come seguaci di Cristo. Le odierne aggregazioni culturali e scientifiche contrariano con ogni mezzo i convincimenti morali e le aspettative soprannaturali dei credenti, insistentemente forviati dai valori mistici che propongono la vita di perfezione. È ammirevole lo sforzo degli intellettuali cattolici i quali denunciano i pericoli che insidiano l'innocenza, il pudore, l'onestà, la fede dei battezzati il motivo per cui Dio ci ha creato è quello di amarLo, servirLo. Servire il Signore significa affrontare sofferenze e persecuzioni in vista della gloria futura. Tanti nel corso dei secoli hanno patito sofferenze per aver perseverato nella fedeltà a Dio. Le derisioni e le beffe non devono condizionare la nostra fede. Anzi, bisogna essere pronti a sostenere anche le persecuzioni e ad offrire la vita per amore di Gesù. Le contrarietà e le afflizioni provano che siamo nella verità, nel bene e nell'unione con Lui.

Nota di BastaBugie: seguono alcune considerazioni di P. Stefano Maria Manelli, fondatore dei Francescani dell'Immacolata, tratte da "Maggio, mese di Maria", Casa Mariana Editrice, Roma 2003. Infine abbiamo aggiunto un esame di coscienza circa il rispetto umano.

IL RISPETTO UMANO
Il rispetto umano è una piaga della vita cristiana. Ed è una piaga di molti, di troppi cristiani.
Dove si vede Dio offeso, Gesù oltraggiato, la Madonna e i santi maltrattati, bisognerebbe vedere i cristiani coraggiosi e coerenti che fanno muro di difesa e di onore alla loro Fede.
Invece, quanto coniglismo e quanta viltà di animo! Addirittura, quanto sforzo di nascondersi fra gli stessi nemici della Fede, per paura di essere scoperti e segnati a dito!
È vero che oggi, in questo mondo corrotto, in questa società scandalosa e beffarda, dominata dall'ateismo più animalesco che si possa concepire, occorre davvero gran coraggio per essere coerenti.
Ma non è forse questo un motivo in più perché i cristiani, lungi dal nascondersi, si facciano avanti a testimoniare con energia la loro fede «che vince il mondo» (Gv 5,4)?
Coloro che si vergognano, che hanno paura di apparire come veri cristiani, hanno più le vesti da vili traditori che da discepoli di Cristo.
Contro costoro c'è la parola tagliente e terribile di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

«PESCATORI E PESCATRICI»
Nella lotta contro il protestantesimo che rovinava la fede di tanti cristiani con le sue eresie dottrinali e morali, san Carlo Borromeo volle istituire grandi scuole di catechismo e di istruzione religiosa per il popolo. Ebbe bisogno di cristiani laici coraggiosi. Li trovò, uomini e donne. Li divise nei due gruppi dei «pescatori» e delle «pescatrici», e organizzò i giri apostolici per le case, per le strade, per i campi. Era uno spettacolo di vera fede vedere questi cristiani coraggiosi all'opera per testimoniare Gesù Cristo e annunciare il suo Vangelo puro, senza errori.
Ogni cristiano dovrebbe far suo, con fierezza, il grido di san Paolo: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). Dovunque. In casa o fuori. Negli uffici o nelle scuole. Tra gli amici e tra i nemici. «I veri cristiani – diceva san Gregorio Magno – sanno morire, ma non transigere». E dovrebbe bastare il ricordo dei gloriosi martiri, sempre vivi nella Chiesa celeste e terrestre. La loro gloria conferma luminosamente la parola di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35).

SI VERGOGNANO...
Che cosa dire, adesso, di molti cristiani che per rispetto umano mancano persino ai loro doveri fondamentali?
Si vergognano di farsi il segno di croce e di recitare qualche preghiera mattino e sera, o prima dei pasti.
Si vergognano di entrare in una chiesa a pregare, di avere la corona e di recitare il Rosario, di salutare un'immagine sacra nelle edicole.
Si vergognano di andare a Messa. Si vergognano di confessarsi. Si vergognano di ricevere la Santa Comunione.
Si vergognano di riprendere chi bestemmia o profana cose sacre. Addirittura, alcuni arrivano a vergognarsi di... non bestemmiare!
Si vergognano di difendere la loro fede dagli attacchi e dagli insulti dei nemici; e magari si vergognano di essere considerati ancora cristiani... Si vergognano di non leggere stampe per sporcaccioni, di non vedere cinema immondi, di non seguire le nuove mode invereconde.
Si vergognano di rimproverare chi dà scandalo, chi offende e dileggia la morale evangelica. Arrivano a vergognarsi di opporsi all'aborto, al divorzio, alla pillola contro la vita umana. Si vergognano, si vergognano... Pare che non sappiano fare altro!

CHI NON SI VERGOGNA
Ancora giovanetto, san Bernardino da Siena fu invitato una volta da uno zio a casa sua. Andò, ma vi trovò anche altre persone che nella conversazione con facilità parlavano scorrettamente. Pronto e risoluto, san Bernardino disse allo zio: «O questi signori cambiano modo di parlare, o io me ne vado via!». Lo zio avvertì gli ospiti, e il linguaggio non fu più scorretto.
Ma dovunque si trovava, san Bernardino non solo non aveva neppure l'ombra del rispetto umano, ma era lui che incuteva rispetto a tutti. Anche i suoi compagni lo sapevano bene, e se talvolta si lasciavano andare a qualche discorso non corretto al solo veder arrivare san Bernardino, dicevano fra loro: «Smettiamo, arriva Bernardino».
San Giuseppe Moscati, ugualmente, fu un cristiano pieno di luce ed esercitava un fascino indescrivibile con la testimonianza della sua fede viva. Chi voleva, poteva vederlo ogni mattina fermo e raccolto in chiesa per due ore di preghiera. Sulla cattedra, prima di iniziare l'insegnamento, esortava sempre gli studenti a innalzare la mente al «Signore Dio delle scienze» (1 Sam 2,3). Non appena suonava l'Angelus, interrompeva ogni discorso e anche la visita medica, invitando tutti i presenti a recitare con lui l'Angelus.
Quale forza e trasparenza di fede vissuta in lui! Altro che i meschini rispetti umani della nostra fede da vili complessati...

NON VERGOGNARSI DI LEI
«Fammi degno di lodarti, o Vergine Santa!».
Contro ogni rispetto umano, contro ogni paura o viltà, debbo e voglio lodare la Madonna, che è mia Madre.
Non solo non mi vergognerò di Lei, ma voglio difenderla e glorificarla, voglio amarla e farla amare, dovunque, con passione filiale sempre ardente.
Posso guardare a tutti i santi, paladini di amore vibrante verso la celeste Madre e Regina. Ma guardo in particolare a san Massimiliano M. Kolbe, a questo apostolo e vittima dell'Immacolata, il quale non solo non si vergognò mai dell'Immacolata, ma volle consumarsi totalmente per Lei, fino a essere considerato esaltato e folle, anzi, fino a chiamarsi da se stesso «folle dell'Immacolata».
P. Stefano Maria Manelli FI

ESAME DI COSCIENZA CIRCA IL RISPETTO UMANO
Concludiamo questa nota con alcuni spunti per l'esame di coscienza:
- Per debolezza, mi sono conformato alle opinioni o al modo di agire degli altri, sacrificando la mia coscienza?
- Ho saputo rinunziare a una conversazione interessante, a una compagnia a me simpatica, ma che avrebbe fatto del male all'anima mia?
- Mi sono allontanato subito da un gruppo, in cui si mormorava?
- Ho omesso qualche mio dovere o pratica di devozione, per timore di quanto si sarebbe pensato o detto di me?
- Quante volte ho avuto il coraggio di dire o di fare il contrario di chi mancava al suo dovere?
- Per timore o per vergogna, mi sono lasciato sfuggire qualche occasione di mostrarmi cristiano?
- Per fiacchezza di carattere, ho tralasciato di parlare di cose spirituali?
- Per rispetto umano, mi sono astenuto di fare una preghiera, o di mortificarmi in qualche cosa?
- Ascoltando qualcosa d'inopportuno, ho protestato almeno con un contegno freddo e riservato?
- Ho avuto il coraggio di prendere la difesa dell'autorità o della riputazione altrui?
- Ho omesso di avvertire, di correggere, di denunciare chi di dovere?

Fonte: Preghiere a Gesù e Maria

7 - LA CONVERSIONE DI UNA DONNA ATEA IN CARRIERA
Non ho più l'ambizione di guadagnare 25mila euro al mese, oggi penso a Gesù e al Papa, al matrimonio e alla maternità
Autore: Luca Marcolivio - Fonte: Zenit, 04/04/2014

Un "ex" donna in carriera, oggi con un'unica ambizione: fare la volontà di Dio. La 39enne imprenditrice romana di origine umbra Giorgia Petrini era un personaggio già affermato nel suo ambiente ed anche in campo editoriale, quando nella sua vita è avvenuto un cambiamento a 180 gradi, che ha sorpreso i suoi amici di sempre.
Nel suo secondo libro, intitolato "Il Dio che non sono", di cui è anche editrice, la Petrini racconta la sua vita "Avanti Cristo" e "Dopo Cristo", spiegando i perché di una scelta fatta in piena libertà.
Non si è trattato di una folgorazione improvvisa come quella di André Frossard, il figlio del fondatore del Partito Comunista Francese, che, educato al più inflessibile ateismo marxista, un giorno, da non credente, entrò in una chiesa e ne uscì dicendo: "Dio esiste e io l'ho incontrato".
Quella di Giorgia è la storia di una donna di successo che, a seguito di una serie di incontri ed avvenimenti provvidenziali, ha iniziato a riflettere con più profondità sulla propria vita e sulla vera natura della felicità.
Nel 2010 aveva pubblicato il suo primo libro "L'Italia che innova" (Koiné), un vero caso editoriale, in cui l'autrice, raccontava dieci storie esemplari di giovani imprenditori vincenti anche in tempo di crisi. Un grande successo, un prodotto editoriale che mostrava apertura, ingegno e generosità, ma Giorgia in fondo non era "davvero" felice, come ognuno di noi vorrebbe ambire a diventare.
Fino al giorno in cui, circa tre anni fa, un amico non la invita a seguire il noto ciclo di catechesi dei Dieci Comandamenti a cura di don Fabio Rosini. Giorgia, all'epoca non credente, accetta la proposta come una sfida. "Il mio atteggiamento era ancora quello di chi voleva smentire quello che quel prete ci avrebbe detto".
Nello stesso periodo Giorgia si imbatte in un evento drammatico che "rappresentò il primo limite nella mia vita. Fino a quel momento tutto quello che mi ero conquistata, lo attribuivo tutto al mio merito: non mi mancava nulla. Sono entrata in crisi, quando mi è capitato qualcosa che, per la prima volta, non riuscivo a gestire e soprattutto a capire". Si rende conto che la vita riserva "eventi drastici", in cui "non puoi intervenire, né fare niente".
"Sono questi i momenti in cui ti interroghi di nuovo sulla metafisica dell'uomo". Per Giorgia sarebbe potuto diventare il pretesto per acquisire la definitiva convinzione che l'esistenza di Dio era una "scemenza".
È proprio in questo momento spartiacque che decide di continuare a seguire i Dieci Comandamenti: "non so se ho scelto io o se sono stata indotta ma di fatto mi sono trovata imbrigliata nella rete della provvidenza e non sono riuscita a sbrigliarmi...", racconta Giorgia.
Don Fabio Rosini è stato dunque il primo sacerdote che l'imprenditrice romana ha incontrato dopo più di vent'anni di lontananza dalla Chiesa e dalla vita sacramentale.
In seguito Giorgia ha fatto conoscenza con altre figure carismatiche del clero romano: padre Maurizio Botta, C.O., l'ideatore dei Cinque Passi; padre Jonah Linch, laureato in astrofisica, prima di diventare vicerettore della Fraternità di San Carlo Borromeo; don Dario Gervasi, vicerettore del seminario romano, che è diventato il suo padre spirituale.
"Di fatto il sacerdote fa la differenza – commenta Giorgia -. Ci sono sacerdoti più comunicativi di altri e, specie se si vuole andare alle periferie dell'esistenza, l''abito' colpisce".
Pur essendosi legata molto a don Fabio, con il quale è tuttora in cammino, Giorgia ha continuato a cercare conferme rinsaldare il suo risveglio spirituale.
"Attingo dove posso e devo dire che finora ho incontrato tutte persone disarmanti dal punto di vista spirituale". Con la certezza, tuttavia, che "anche partecipare a una messa celebrata da un sacerdote meno carismatico della media, in un luogo che non immaginavi, è non meno importante agli occhi di Dio".
"La mia guida spirituale – prosegue - più vicina al cielo è il Papa: oggi Francesco, come fino a un anno fa lo era stato Benedetto XVI e, come lo è stato, a scoppio ritardato, Giovanni Paolo II".
La conversione alla fede cattolica ha portato Giorgia Petrini a cambiare radicalmente anche il suo stile di vita: niente più inclinazioni workaholic, niente più mondanità e superfluo.
L'imprenditrice romana, oggi, lavora per vivere e non vive più per lavorare. "Non ho più l'ambizione di guadagnare 25mila euro al mese, l'avevo ma non serve, né mi ha cambiato la vita. Oggi, restituisco ad altri come posso ciò che il Signore ha donato a me, con profondo senso di gratitudine, perché credo nella solidarietà, nella carità e nella condivisione".
Nelle sue aspirazioni di oggi ci sono il matrimonio e la maternità, condizionati tuttavia dall'atteso esito per un procedimento di nullità del precedente matrimonio del suo attuale migliore amico, Marco. "Non siamo fidanzati – precisa Giorgia - di fatto siamo amici e, incoraggiati dal nostro padre spirituale, abbiamo deciso di vivere in castità e in amicizia una scelta radicale affidata in preghiera al Signore e in verità alla Chiesa cattolica. Alla nostra età non è sicuramente la forza di volontà a fare la differenza. Se non credi in qualcosa di più grande e lo fai solo per te, ammesso che tu abbia un motivo sufficientemente convincente, è difficile riuscire a fare certe scelte".
In attesa dell'esito di questo procedimento, entrambi vivono quest'esperienza come una Grazia: "Non è detto che il nostro bene sia quello che noi pensiamo per noi stessi; magari il Padreterno ci sta chiamando a qualcos'altro – racconta Giorgia -. Se la strada stretta per arrivare al paradiso è quello che stiamo vivendo ora, lo scopriremo con il tempo. La fede implica il mettersi in un atteggiamento di disponibilità, non possiamo prendere da Dio solo quello che ci va bene".
Dopo aver rincontrato Giorgia, anche Marco ha vissuto un cammino di conversione, dopo un periodo difficile. "Alla Madonna avevo chiesto di farmi incontrare un uomo con il 100% della fede. Ho avuto esattamente questo, sebbene all'inizio potesse sembrare altro", afferma Giorgia
Nel frattempo, Giorgia e Marco, entrambi imprenditori, si stanno occupando di attività no-profit, in particolare in campo educativo e nel sostegno ai giovani talenti imprenditoriali. [...]
Sulla crisi economica in corso, l'imprenditrice ha le idee molto chiare. "Credo sempre fortemente in quello che ho scritto nel mio primo libro – racconta – e credo ci siano ancora tante persone che ce la fanno, perché hanno dei talenti, sono tenaci e il Signore li aiuta".
A suo avviso, i giovani vanno incoraggiati molto di più a "mettersi in proprio", a utilizzare la creatività e a lavorare per quelli che sono i loro reali talenti. "Non capisco quei giovani che dicono che l'Italia non dà loro alcuna possibilità e poi vanno all'estero a fare mestieri che sicuramente potrebbero fare anche qui. Un conto è avere un sogno; altro conto è essere sempre in fuga".
Oggi è necessaria anche una grande capacità di adattamento: a tal proposito l'imprenditrice cita un suo ex compagno di scuola che fa il pizzaiolo, un'attività che gli ha permesso di mettere su famiglia e di dedicare il tempo che voleva alla moglie e ai tre figli. "Ma penso anche – aggiunge - a mestieri artigianali che non vuole più fare nessuno o a Brunello Cucinelli, nostro conterraneo, che vende Cashmere in tutto il mondo da un borghetto perugino che ha peraltro restaurato".
La crisi economica – anche Giorgia Petrini ne è convinta – è però soprattutto frutto della corruzione e dell'avidità degli uomini e, da questo punto di vista "è un dato di fatto che questo sia il momento storico peggiore". Ognuno nel suo piccolo può però fare molto per insegnare agli altri a prendere le distanze dai cattivi modelli.
Tutti siamo responsabili, dunque, e tutti dobbiamo domandarci seriamente se "rubare" o "pestare i piedi al prossimo", sia una buona cosa o no. "Finché non ci porremo queste domande - sottolinea l'imprenditrice - da questa crisi non ne usciremo".

Fonte: Zenit, 04/04/2014

8 - ETTORE GOTTI TEDESCHI COMPLETAMENTE RIABILITATO
L'ex presidente dello IOR, soprattutto, non ha mollato
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e persona, 12/04/2014

Alcuni giorni fa la magistratura romana ha reso noto il decreto di archiviazione per l'ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi. In contemporanea sono stati citati in giudizio l'ex direttore dello IOR Paolo Cipriani e il vice direttore Massimo Tulli. Forse anche questa volta si può dire che il tempo è galantuomo, o, come dicevano i Greci, che la Dike, la Giustizia, è lenta a sopraggiungere, ma alla fine, di solito, arriva.
Eppure devono essere stati lunghi questi anni per il banchiere vaticano, chiamato a suo tempo da Benedetto XVI ad un ruolo prestigioso, benché di puro volontariato, e improvvisamente travolto da uno tsunami di diffamazioni e denigrazioni, ad insaputa del papa stesso prima, e senza che nessuno intervenisse per difenderlo pubblicamente, poi.
Accusato sostanzialmente di essere un disonesto, un incapace, un uomo con "disfunzioni psicopatologiche" dai suoi stessi collaboratori, con il placet della Segreteria di Stato, Gotti Tedeschi esce ora da tutta la vicenda a testa alta, e con grande volontà di fare chiarezza.
Andrea Tornielli, su Vatican Insider, ha riassunto così la stato dell'arte: "dopo due anni di silenzio, e dopo essere stato estromesso dalla presidenza dello Ior dal consiglio che gestiva la banca vaticana per mezzo di un comunicato a firma di Carl Anderson -un documento durissimo che non ha precedenti nella storia e nello stile della Santa Sede- Gotti Tedeschi passa al contrattacco e annunzia azioni legali". Azioni legali, continua Tornielli, che vengono anche dopo aver "atteso invano una riabilitazione, preannunciatagli all'inizio del 2013 dai più stretti collaboratori di Benedetto XVI ma poi mai avvenuta". Sempre su Vatican Insider, in un altro articolo del 3 aprile, si riporta una dichiarazione piuttosto inequivocabile di Gotti Tedeschi: "La Chiesa deve sapere se ci sono stati al suo interno dei traditori del Papa".
Anche Riccardo Cascioli, direttore del battagliero giornale on line La Nuova Bussola quotidiana, ha riflettuto con arguzia sul tema: "Dunque, la realtà che emerge con chiarezza è quella di uno IOR dove la volontà di riforma di papa Benedetto XVI... ha dovuto fare i conti con il sabotaggio da parte di forze non meglio specificate che però avevano in Cipriani e Tulli il loro terminale operativo. Lo scontro è poi culminato, come ben si sa, con la cacciata di Gotti Tedeschi nel maggio 2012 dalla presidenza dello IOR con accuse infamanti da parte del Consiglio di Sovrintendenza, ovvero il board laico dell'Istituto. Non bastasse, la Segreteria di Stato accompagnò il documento del board con un comunicato durissimo nei confronti di Gotti Tedeschi...A distanza di due anni, fa un certo effetto notare come ci sia voluta la magistratura italiana a mettere in chiaro le cose sulla gestione dello Ior che dall'interno del Vaticano non si è riusciti ancora a spiegare". E parlando del board che sfiduciò Gotti Tedeschi, dopo aver ricordato che è ancora in carica, Cascioli invita senza giri di parole i suoi componenti a spiegare "a chi hanno dovuto obbedire per sfiduciare Gotti Tedeschi, domande che andrebbero rivolte anche a chi in questi anni ha tenuto la Segreteria di Stato".
Se tutto questo è interessante, ancora di più lo è, a mio giudizio, un altro fatto: il modo con cui la vittima delle nefande accuse ha portato in questi anni il peso della denigrazione. Poco tempo prima di queste ultime, buone notizie, un giornalista del Messaggero aveva chiesto a Gotti Tedeschi quello che verrebbe più logico chiedere ad un uomo di fede. E cioè, in sostanza, se i torti subiti all'interno del mondo cattolico, con la complicità di alti ecclesiastici, avesse cambiato il suo rapporto con la Chiesa e la fede. Senza sminuire le sofferenze vissute, le notti insonni, il peso di quello che era caduto sulle spalle sue e della sua famiglia, Gotti Tedeschi aveva risposto: "La mia fede si è rafforzata, anche se non è più quella innocente che possedevo".
Circa 50 anni prima, lo scrittore Tolkien, padre di quella Compagnia dell'anello che non perde la speranza neppure di fronte al dilagare inarrestabile del Male, aveva scritto: "Ho sofferto nella mia vita a causa di preti stupidi, stanchi, ignoranti o persino cattivi; ma ora mi conosco abbastanza bene da sapere che non lascerò la Chiesa (che per me significherebbe lasciare l'alleanza con Nostro Signore) per una qualsiasi di queste ragioni...". E ancora: "La fede è un atto di volontà, ispirato dall'amore. Il nostro amore può raffreddarsi e la nostra volontà può essere indebolita dallo spettacolo dei difetti, della follia e persino dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma non penso che chi una volta ha avuto fede la perda per questi motivi... Lo scandalo al massimo è occasione di tentazione...È comodo perché distoglie gli occhi da noi stessi e dalle nostre colpe e ci fornisce un capro espiatorio. Ma l'atto di volontà della fede non è l'unico memento di una decisione finale: è un atto permanente che si ripete... La tentazione di non credere è sempre dentro di noi. Una parte di noi anela a trovare una scusa fuori di noi per mollare". Più di tutto, questo: Gotti Tedeschi non ha mollato, nonostante tutto.

Nota di BastaBugie: Ettore Gotti Tedeschi ha tenuto il 14 marzo 2014 nel Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese una conferenza dal titolo "La vera causa della crisi: fare figli è l'unico modo per far riprendere l'economia".
In quella occasione ha sostenuto che l'uomo ha bisogno di tre nutrimenti per essere equilibrato: quello materiale, per nutrire il corpo e progredire; quello intellettuale, per dare ragione delle cose; quello spirituale, per dare un senso alla vita.
Per leggere il resoconto della conferenza, si può andare al link seguente
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=116

Fonte: Libertà e persona, 12/04/2014

9 - LITUANIA, LA RESISTENZA ANTICOMUNISTA DIMENTICATA
Finalmente un libro documenta la disperata guerra di resistenza dal 1944 al 1953 contro l'Unione Sovietica occupante
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/04/2014

Dall'invasione tedesca del 1941 alla fine della resistenza antisovietica del 1959 la Lituania perse più di un terzo della sua popolazione tra morti in guerra, fucilazioni e deportazioni: 1.240.000 persone, di cui un milione solo tra il 1944 e il 1949 per opera dei sovietici. La prima occupazione sovietica (1940-41) in un solo anno deportò in Siberia 40mila lituani. In 100mila, arrivati i tedeschi, finirono al lavoro coatto nei lager della Germania. Infatti, mentre lettoni ed estoni erano definiti «di razza ariana», i lituani erano visti come «slavi», dunque inferiori.
L'indipendenza politica della Lituania fu breve: dal 1918 (dissoluzione dell'impero zarista) al 1940 (invasione russa in base al patto Molotov-Ribbentrop). Quando alla conferenza di Teheran (1943) fu concordata la spartizione del mondo in due blocchi, poi decisa definitivamente a Yalta (1945), i lituani compresero di essere soli. E si diedero alla macchia. Un esercito partigiano forte di ben centomila uomini, chiamati Miško Broliai («Fratelli del Bosco»), tra cui molte donne, tennero in scacco per dieci anni 300mila soldati sovietici affiancati da 40mila agenti dell'Nkvd, la polizia politica antenata del Kgb. Inquadrati come un vero esercito regolare, con tanto di uniformi e segni distintivi, i partigiani poterono contare sulla geografia di un Paese costituito in gran parte da foreste.
Questa resistenza, che costò loro oltre 30mila morti, fu proporzionalmente più estesa di quella che, negli stessi anni, ebbe luogo nelle regioni occidentali dell'Ucraina, ma l'opera possente della dezinformatzija sovietica, il cui apparato spionistico non aveva rivali al mondo, riuscì a far sì che nessuno ne sapesse niente. Era vitale per l'Urss mantenere i popoli ad essa soggetti e pure il resto del mondo nella convinzione che la pax sovietica regnava indisturbata. Se fosse trapelato che sacche di resistenza sopravvivevano malgrado tutto, il contagio avrebbe potuto propalarsi. E magari impensierire davvero il Cremlino se si fosse saputo che c'era addirittura un luogo in cui non si riusciva a venirne a capo. E anche all'estero, come si è detto, bisognava che stagnasse la cappa del silenzio. Basti vedere quel che successe nel 1956, quando la repressione dell'insurrezione ungherese causò un'emorragia di iscritti ai vari partiti comunisti occidentali.
Solo dopo l'indipendenza raggiunta nel 1990, a crollo dell'Urss avvenuto, gli storici lituani hanno potuto cominciare a muoversi e oggi un libro ricco di fotografie d'epoca riporta alla luce questa resistenza dimenticata: La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953, di Dalia Kuodyte e Rokas Tracevskis (Il Cerchio). Naturalmente, quei partigiani non avevano speranza. Ed è singolare che, tuttavia, abbiano deciso di combattere lo stesso, soli contro il gigante sovietico. Ma fu grazie a questa disperata lotta se le deportazioni di lituani in Siberia si fermarono a 500mila unità (un quarto erano sacerdoti), la leva forzata nei ranghi dell'Armata Rossa e le altrettanto forzate collettivizzazioni vennero quanto meno inceppate. Ciò risparmiò alla Lituania la «diluizione etnica» messa in pratica dallo stalinismo con lo spostamento biblico di popolazioni da un territorio a un altro dell'impero rosso. Gli esiti nefasti di questa manovra la vediamo oggi alla ribalta nei problemi gravissimi insorti nell'Ucraina orientale e in Crimea. E forse la vedremo prima o poi, se si innesca l'effetto domino, negli altri Paesi Baltici. La resistenza lituana protesse il clero e la fede, e rappresentò davvero un unicum perché subito i sovietici si resero conto che avevano a che fare con un intero popolo. Infatti, i partigiani potevano contare sull'appoggio della totalità della popolazione che garantiva loro copertura, rifugio, viveri e informazioni. Il che permise alla resistenza antisovietica lituana di costituire forse il più lungo fenomeno di guerriglia del XX secolo.

Nota di BastaBugie: il libro che tratta a fondo l'argomento di cui parla l'articolo è "La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953" di Dalia Kuodyte e Rokas Tracevskis, ed. Il Cerchio
Per approfondire la storia dell'Unione Sovietica di Lenin e Stalin suggeriamo, ancora una volta, la visione del filmato "The soviet story", con gli orrori del comunismo
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=39

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18/04/2014

10 - OMELIA III DOMENICA DI PASQUA - ANNO A - (Lc 24,13-35)
Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 maggio 2014)

Nel cammino della nostra vita, Gesù si fa incontro a noi e ci accompagna. Tante volte, come i discepoli di Emmaus, anche noi non ci accorgiamo di questa presenza così silenziosa al nostro fianco. Gesù cammina con noi e ci indica la strada da percorrere; allora si realizzano quelle stupende parole che abbiamo ascoltato al Salmo responsoriale: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).
Lungo questo sentiero, Gesù ci sostiene con la sua Parola e con l'Eucaristia. Il Vangelo di questa domenica mette in evidenza queste due luci che devono illuminare il nostro cammino. Prima di tutto, il Signore «spiegò loro [ai discepoli] in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27); e, infine, «quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30). Questo pane spezzato è l'Eucaristia, è il Corpo di Cristo che si fa nostro cibo nel pellegrinaggio di questa vita.
Queste due luci, quella della Scrittura e quella dell'Eucaristia, risplendono nella celebrazione della Santa Messa. Ogni cristiano, per camminare con Gesù lungo il cammino di questa vita, deve partecipare fedelmente alla Messa domenicale e, se ne comprende pienamente l'importanza, sentirà il desiderio di parteciparvi anche più spesso, magari ogni giorno. La Santa Messa è un dono grandissimo che ci consentirà di attingere energie sempre nuove per continuare il cammino che ci conduce al Cielo.
La prima parte della Messa, chiamata liturgia della Parola, è dedicata alla lettura e alla spiegazione della Sacra Scrittura; la seconda parte, chiamata liturgia eucaristica, riguarda invece il Mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. La spiegazione della Parola di Dio ci prepara a partecipare degnamente al Sacrificio eucaristico e a ricevere la Comunione.
Nel brano del Vangelo ci sono dei passaggi molto belli. Innanzitutto, è Gesù che si avvicina ai discepoli e che inizia a camminare con loro. «Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» (Lc 24,16). Eppure, conversando con quello sconosciuto viandante, i due discepoli si sentivano attratti da quella parola così profonda e convincente, che spiegava loro le profezie dell'Antico Testamento, al punto che, alla fine, essi si dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).
C'è un altro particolare molto bello: i due discepoli invitano Gesù a fermarsi da loro, poiché era ormai sera: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Essi pensavano di accogliere un viandante e invece accolsero il Signore. Ogni volta che benefichiamo un povero, benefichiamo il Signore. Tutto ciò che avremo fatto a un bisognoso lo avremo fatto a Gesù.
I due discepoli erano tristi e delusi perché speravano che Gesù liberasse Israele dal giogo del dominio straniero. Non avevano ancora compreso la vera missione del Messia che era quella di liberare l'uomo dal peccato. Ecco allora che dissero allo sconosciuto viandante: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24,21). I due discepoli pensavano che con la morte in croce fosse tutto finito e che Gesù avesse fallito completamente. Essi non credevano ancora alla Risurrezione e non avevano compreso che Gesù ci aveva salvati proprio con il suo Sacrificio sulla croce. Ma, allo spezzare del pane, «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31). Prima che Gesù "spezzasse il pane", i loro occhi erano incapaci di riconoscere il Signore e la loro mente era chiusa e non comprendeva la missione spirituale per la quale il Signore era morto in croce. Ma dopo vi fu un completo capovolgimento, e anche i due discepoli divennero testimoni della Risurrezione e quindi annunciatori del Vangelo. Fortificati dall'incontro con il Signore Risorto e dalla successiva discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli si misero a predicare alle genti, annunziando ciò di cui furono i testimoni. «Non era possibile – affermò san Pietro nel giorno della Pentecoste – che questa [la morte] lo tenesse in suo potere» (At 2,24). Inoltre, nella seconda lettura, san Pietro ci fa comprendere chiaramente il valore redentivo della morte di Gesù in croce, quando parla del Signore risorto come dell'«Agnello senza difetti e senza macchia [...] predestinato già prima della fondazione del mondo» (1Pt 1,19-20). Il primo degli Apostoli afferma con forza che noi siamo stati liberati dal peccato con il Sangue prezioso di quest'Agnello immacolato.
Le parole di san Pietro si collegano chiaramente all'Antico Testamento, precisamente al libro dell'Esodo, quando, per ordine di Dio, Mosè diede le disposizioni per come celebrare la Pasqua. Egli, come abbiamo meditato per il "Giovedì Santo", prescrisse di immolare un agnello per famiglia e di segnare con il suo sangue gli stipiti delle porte (cf Es 12). Con le parole di san Pietro abbiamo la conferma che è proprio Lui, il Signore, ad essere questo Agnello senza difetti, immolato sulla croce per la nostra salvezza, e poi risorto in modo glorioso.
Al termine di questa omelia, possiamo ora trarre una importante risoluzione per la vita di ogni giorno. Dobbiamo proporci di partecipare con più frequenza alla Messa e, se già vi prendiamo parte ogni giorno, di migliorare le nostre disposizioni. Anche noi, come i discepoli di Emmaus, riconosceremo il Signore, ascoltando la sua Parola e nutrendoci del suo Corpo e del suo Sangue. Ma, per arrivare a tanto, la nostra partecipazione dovrà essere attenta e devota, pensando bene a quello che stiamo vivendo in quel momento.
Seguiamo l'esempio di san Francesco d'Assisi, il quale «ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore» (FF 789). Egli «si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri» (ivi). Infine, riferendosi all'importanza della Messa, così scrisse: «L'umanità trepidi, l'universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull'altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo figlio di Dio vivo» (FF 221).
La Messa è il momento più importante della nostra giornata e di tutta la nostra vita. Non sciupiamo una grazia così grande con una partecipazione fredda e distratta.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 maggio 2014)

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