BastaBugie n�361 del 08 agosto 2014

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1 IL POPOLO PALESTINESE NON ESISTE! CI SONO SOLO GLI ARABI ISLAMICI CHE VOGLIONO DISTRUGGERE ISRAELE
I palestinesi non hanno nulla che li distingua dagli altri arabi; parlare di Palestina è un inganno per far credere necessaria una restituzione che altrimenti sarebbe difficilmente giustificabile
Fonte: Vero Medioriente
2 IL TRUCCO DI RENZI PER FAR PASSARE IL MATRIMONIO GAY
Un aspetto fatto passare per secondario è invece centrale: la cerimonia in Comune che consacrerà l'unione civile dovrà essere identica al matrimonio civile
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 IL BULLISMO DI OGGI E' UGUALE A QUELLO DI IERI
Il bullismo esiste da sempre: è vecchio come l'uomo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone
4 I CATTOLICI E LE TASSE DI UNO STATO SANGUISUGA
Lady Fisco sostiene che il cattolicesimo produce evasori... ma è piuttosto lo Stato il parassita che viola il patto sociale!
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
5 GAY, CHE MALE C'E'? SE HAI PAZIENZA, TE LO SPIEGO!
Bisognerebbe fermarsi a parlare con tutti, uno per uno, e rivoltare luoghi comuni, smascherare le menzogne dell'ideologia gender (VIDEO: ultima conferenza di Mario Palmaro su omofobia)
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
6 CLAMOROSA SENTENZA: SI' AI DIRITTI DEI CANI, NO A QUELLI DEGLI UOMINI
L'accesso di cani e gatti alle spiagge è un loro diritto perché secondo un tribunale sono individui: cosa c'è dietro questa follia?
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 NON DIMENTICARE TIANAMMEN 25 ANNI DOPO
Il massacro a Pechino nel 1989 mostrò che il comunismo era ancora vivo e violento; e continua a esserlo ancora, forte dello sviluppo economico, mentre l'Occidente tace e cerca di far affari
Autore: Padre Bernardo Cervellera - Fonte: Il Timone
8 SCOPRIAMO IL PERSONAGGIO SEGRETO CHE STA DIETRO ALLA DISTRUZIONE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
La sorte dei frati è in mano ad un triumvirato composto da padre Volpi, padre Bruno e da un eccentrico personaggio fino ad oggi in ombra, attivo come consulente dell'operazione poliziesca
Autore: Emmanuele Barbieri - Fonte: Corrispondenza Romana
9 OMELIA XIX DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 14,22-33)
Coraggio, sono io, non abbiate paura!
Autore: Padre Mariano Pellegrini - Fonte: Il settimanale di Padre Pio
10 OMELIA SOLENNITA' DELL'ASSUNTA - ANNO A - (Lc 1,39-56)
Comunicato Cei: ''Noi non possiamo tacere!'' (e schema di preghiera per i cristiani perseguitati nella giornata indetta dai vescovi italiani)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - IL POPOLO PALESTINESE NON ESISTE! CI SONO SOLO GLI ARABI ISLAMICI CHE VOGLIONO DISTRUGGERE ISRAELE
I palestinesi non hanno nulla che li distingua dagli altri arabi; parlare di Palestina è un inganno per far credere necessaria una restituzione che altrimenti sarebbe difficilmente giustificabile
Fonte Vero Medioriente

Mentre abbiamo più di 3000 anni di storia documentatissima su cosa accadde nella zona di Israele e nazioni confinanti, non abbiamo alcuna traccia reale dell'esistenza di un popolo palestinese fino al 1967. Come mai?
La Palestina è un'area geografica, non ha niente a che vedere con una nazionalità. Gli arabi hanno inventato da questa parola un'entità nazionale negli anni '60, definendosi "palestinesi" per scopi politici. Ritengono che gli ebrei siano degli invasori e che l'area geografica definita Palestina appartenga a loro esclusivamente.
La parola "Palestina" non è nemmeno una parola di origine araba. Il termine "Palestina" è stato coniato dai romani attorno al 135 e.v. dal nome della popolazione egea che si era in antichità stabilita nell'area costale di Canaan: i Filistei. Il termine "Palestina" è stato scelto per rimpiazzare il termine ebraico "Giudea" in conseguenza alla vittoria romana sul popolo ebraico sconfitto durante le Rivolte Ebraiche contro Roma.
Nel tempo, la parola latina Philistia si è trasformata in Palaestina, da cui Palestina. E peraltro, sebbene ribattezzarono quelle terre "Palestina", continuarono a chiamare i suoi abitanti come da migliaia di anni si suoleva fare: ebrei. La Palestina divenne il nome ufficiale di quella terra, ma i suoi abitanti continuarono a chiamarsi "ebrei".

LA PALESTINA NON È MAI STATA UNO STATO INDIPENDENTE, MA SOLO UN'AREA GEOGRAFICA
Nei successivi 2000 anni la Palestina non è mai stata né uno Stato indipendente e non si è mai formato un popolo palestinese come gruppo nazionale separato dal popolo arabo, nemmeno nei 1300 anni di dominio musulmano, quando cioè la Palestina era parte dell'Impero Ottomano. In 2000 anni il popolo palestinese non era citato neanche una volta dai musulmani e dagli occidentali.
Dunque assiri, babilonesi, greci, romani, persiani e arabi; mai hanno menzionato, neppure di sfuggita, il "popolo palestinese". I turchi, in 600 anni di occupazione della Palestina, non hanno mai trovato traccia di palestinesi.
Neanche la Lega delle nazioni (progenitrice dell'ONU), gli occidentali e gli arabi del tempo trovarono alcuna traccia del popolo palestinese. Tutti trovarono solo ebrei ed arabi.
La Palestina è stato ed è un termine solamente geografico. Per questo in epoca moderna le parole "Palestina" e "palestinese" sono state usate con riferimento a tutti gli abitanti dell'area geografica compresa tra il Mediterraneo e il fiume Giordano – ebrei palestinesi e arabi palestinesi.
È solo a partire dagli anni '20, con la caduta dell'impero turco, che si è iniziato a parlare di 'Palestina', termine che, per altro rappresenta un'area geografica e non una nazionalità. Non è mai esistito uno Stato palestinese spodestato da Israele, ne consegue che nemmeno il fantomatico popolo palestinese è mai esistito.

LA PALESTINA NON È ALTRO CHE LA SIRIA DEL SUD
A dire per primi che non esistevano come popolo sono stati proprio loro. Nel febbraio 1919, quando il primo congresso dell' Associazione musulmano-cristiana si riunì a Gerusalemme per scegliere i rappresentanti alla conferenza della pace di Parigi, fu adottata una risoluzione in cui si diceva fra l'altro "Noi consideriamo la Palestina come una parte della Siria, da cui non è mai stata separata. Siamo connessi con essa da vincoli geografici, storici linguistici e naturali".
"Nel 1937, un leader locale arabo, Auni Bey Abdul-Hadi, disse alla Commissione Peel, che alla fine suggerì la partizione della Palestina: "Non c'è nessun paese come la Palestina! 'Palestina' è un termine che i sionisti hanno inventato! Non c'è Palestina nella Bibbia. Il nostro paese è stato per secoli parte della Siria." Il rappresentante del comitato arabo superiore alle Nazioni Unite ribadì questo concetto in una dichiarazione all'Assemblea Generale nel maggio 1947, sostenendo che la Palestina è parte della provincia di Siria e gli arabi di Palestina non costituiscono un'entità politica separata. Pochi anni dopo, Ahmed Shuqeiri, che in seguito divenne presidente dell'OLP, dichiarò al Consiglio di Sicurezza nel 1956: "E 'noto che la Palestina non è altro che la Siria del Sud".
Nel 1974 il Presidente siriano Assad, anche se appoggiava l'OLP, dichiarò: 'la Palestina non è solo una parte della nostra patria araba, ma una parte fondamentale della Siria meridionale'.
Lo statuto dell'OLP (quello stesso che chiama alla lotta armata come "solo mezzo di liberazione", che dice che la Palestina del mandato britannico è indivisibile e quindi esclude l'esistenza di Israele ecc.), art I: "La Palestina è la patria del popolo arabo palestinese, parte indivisibile dalla grande patria araba e il popolo palestinese è parte integrante della nazione araba.
Fino agli anni '60, infatti, la maggior parte degli arabi in Palestina si identificava come parte della grande nazione araba o come cittadini della "Siria meridionale". Il termine "palestinese" indicante la nazionalità di un arabo di Palestina è un nome che è stato usato dagli arabi negli anni '60 come parte della tattica iniziata da Arafat per definire gli ebrei degli usurpatori. Secondo questa visione, gli arabi in Israele e nei territori sono rappresentati come popolazione indigena, e questo processo d'invenzione di un popolo è servito ai palestinesi a porsi sullo stesso piano degli ebrei nell'avanzare richieste di avere uno stato indipendente.

LA CREAZIONE DI UNO STATO PALESTINESE È SOLO UN MEZZO
Il 31 marzo 1977 il giornale olandese Trouw pubblicò un'intervista con un membro del comitato direttivo dell'OLP, Zuheir Muhsin. Ecco le sue dichiarazioni: "Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato Palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo Stato d'Israele per l'unità araba. In realtà non c'è differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni politiche e strategiche oggi parliamo dell'esistenza di un popolo palestinese, visto che gli interessi arabi richiedono che venga creato un distinto "popolo palestinese" che si opponga al sionismo. Per motivi strategici, la Giordania, che è uno Stato sovrano con confini definiti, non può avanzare pretese su Haifa e Jaffa mentre, come palestinese, posso indubbiamente rivendicare Haifa, Jaffa, Beer- Sheva e Gerusalemme. Comunque, appena riconquisteremo tutta la Palestina, non aspetteremo neppure un minuto ad unire Palestina e Giordania".
I palestinesi non hanno nulla che li distingua da un punto di vista culturale dagli altri arabi. Non possono accampare pretese di alcuna particolarità che li distingua dal resto della nazione araba.
L'identità palestinese è piuttosto confusa. La definizione ufficiale di tale identità comprende solo quelle parti del Mandato sulla Palestina che Israele detiene. Le persone che vivono nella parte della Palestina del Mandato che è stata trasformata nel 1921 in Regno di Giordania non sono rivendicate davvero come palestinesi (e non lo è il loro territorio). Non vi è alcun invito a inserirli in uno Stato palestinese. Le persone che vivevano nelle zone di Israele che furono catturate da Giordania ed Egitto nel 1948 non erano (allora) considerate palestinesi, e non ci fu (allora) nessun appello per trasformare la terra che oggi comprende i cosiddetti "territori occupati" in uno Stato. Ma nel 1967, quando Israele liberò quelle aree - solo allora magicamente gli abitanti si sono trasformati in palestinesi.

IL PROCESSO DI PACE IN MEDIO ORIENTE È UN'ILLUSIONE
Perché è da arditi dire che i palestinesi sono un popolo "inventato"? E perché non ricordare che nel 1948 furono fatti profughi più ebrei di quanti non siano stati fatti di arabi? Le parole sul "popolo inventato" del candidato Repubblicano Newt Gingrich, così come la 'lezione' youtube del vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon, restituiscono verità dimenticate che è tempo di mettere sulla bilancia.
Il candidato repubblicano Newt Gingrich in un'intervista con Jewish Channel ha dichiarato: "I palestinesi non esistono e il processo di pace in Medio Oriente è un'illusione. Dobbiamo ricordarci che non è mai esistito uno Stato di Palestina perché all'origine la Palestina era parte dell'Impero Ottomano. Credo anche che i palestinesi siano stati inventati perché in effetti erano parte della grande comunità araba". Dal partito democratico statunitense fino a Ramallah la dichiarazione di Gingich ha provocato irruenti proteste. Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua lo sospetta addirittura "di ignoranza storica e di superficialità politica".
Neanche la replica del suo portavoce, R.C. Hammond, è servita a calmare gli animi: "Gingrich si riferiva al fatto che questo conflitto è frutto di decenni di storia. Noi sosteniamo una pace negoziata fra Israele e palestinesi che includerà necessariamente i confini di uno Stato palestinese, ma per comprendere meglio cosa viene proposto e negoziato dobbiamo conoscere una Storia lunga e complessa, ed è proprio questo che Gingrich tentava di fare nell'intervista televisiva". Quelle di Gingrich, però, sono altro che rozze farneticazioni.

IL CONCETTO DI NAZIONALITÀ ETNICA È DIFFICILMENTE COMPRENSIBILE PER UN ARABO
Il concetto di nazionalità etnica come base dell'identità politica era tipicamente europeo. Un concetto difficile da declinare in arabo. La sua nascita risale alla fine del XVIII e agli inizi del XIX secolo, e si collega alla Rivoluzione francese, alle guerre napoleoniche e al romanticismo. Nel caso della nazione palestinese, a supporto della tesi di Gingrich, arriva la spiegazione del professor Bernard Lewis, uno dei massimi studiosi del Levante e professore emerito di Studi sul Vicino Oriente alla Princeton University. "Dalla fine dello Stato di Israele nell'antichità all'inizio del dominio britannico, l'area ora designata con il nome Palestina non era una nazione e non aveva frontiere, solo confini amministrativi" scrive Lewis in un articolo pubblicato sull'americano Commentary Magazine nel gennaio del 1975.
Fino alla fine degli anni Sessanta, chiamare un arabo "palestinese" corrispondeva a muovergli offesa, perché in questo modo erano etichettati in tutto il mondo gli ebrei. Tutti sapevano che Palestina era un modo alternativo per definire Israele e la Giudea, così come ad esempio Kemet era l'antico nome d'Egitto. Gli arabi che vivevano in Palestina si identificavano come arabi, e provavano irritazione se qualcuno li appellava come "palestinesi": «non siamo ebrei, siamo arabi», erano soliti replicare.
Il fatto che sia inesistente un popolo palestinese naturalmente non significa che non ci siano gli arabi in Giudea, Samaria e Gaza, oltre che nel territorio israeliano, solo che non sono una nazione nel senso europeo, che sono messi insieme dalla volontà di cacciare "gli ebrei" e che aspirano non a un loro stato, ma a fondersi nella "nazione araba". La differenza è grande, in termini di legittimità. Non c'è un piccolo popolo che lotta per la propria indipendenza, ma un gruppo etnico di 300 milioni di abitanti, sparso su un territorio gigantesco, quattro o cinque volte più vasto dell'Europa, che cerca di cacciar via un piccolo popolo di 7 milioni, arroccato su uno spazio poco più vasto della Lombardia.

PALESTINA È UN TERMINE EUROPEO CHE GLI ARABI NON SANNO NEANCHE PRONUNCIARE
Fino almeno alla guerra del '67 la Palestina non esiste, è un termine europeo che gli arabi locali non sanno in genere neanche pronunciare. La loro rivendicazione vera non è la costituzione di uno stato che non si era mai visto nella storia, ma il carattere arabo e quindi siriano del territorio.
Non c'è un popolo palestinese indigeno da compensare, ci sono gli ebrei da cacciare dal territorio dell'Islam. "Palestina è un termine che i sionisti hanno inventato" e che fino all'indipendenza designa le loro istituzioni. Il popolo palestinese non è mai esistito, è un'invenzione politica inventata per contrastare Israele.
L'ideale politico che gli sta dietro non è l'indipendenza di un popolo, ma l'unità dell'Islam – non solo per Hamas, anche per i "moderati" di Fatah. Che questo fatto evidente e dichiarato molte volte dagli stessi leader "palestinesi" oggi sembri strano ai giornali e ai politici occidentali mostra quanto essi siano sottomessi all'egemonia culturale e politica dell'islamismo.
Lo stesso giorno in cui Arafat firmò la "Declaration of Principles" nel giardino della Casa Bianca nel 1993, spiegò la sua azione alla TV giordana: "Visto che non possiamo sconfiggere Israele con la guerra, dobbiamo farlo in diverse tappe. Prenderemo tutti i territori della Palestina che riusciremo a prendere, vi stabiliremo la sovranità, e li useremo come punto di partenza per prendere di più. Quando verrà il tempo, potremo unirci alle altre nazioni arabe per l'attacco finale contro Israele".

Nota di BastaBugie: consigliamo inoltre la lettura dell'articolo seguente
QUELLO CHE NON CI DICONO SULLA GUERRA DI GAZA
Perché a Gaza c'è la guerra? E i morti civili? Come mai le scuole dell'Onu sono usate dai musulmani come depositi di armi?
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3371

Fonte: Vero Medioriente

2 - IL TRUCCO DI RENZI PER FAR PASSARE IL MATRIMONIO GAY
Un aspetto fatto passare per secondario è invece centrale: la cerimonia in Comune che consacrerà l'unione civile dovrà essere identica al matrimonio civile
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30-07-2014

C'è un aspetto del dibattito sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, che Matteo Renzi vuole imporre agli italiani già a settembre, che è talora nascosto o fatto passare per secondario, ma è invece centrale. Attenzione: se non si capisce la centralità di questo elemento la battaglia è già persa. Si tratta della cerimonia in Comune che consacrerà secondo le proposte di Renzi l'unione civile fra due omosessuali e due lesbiche e che, secondo i modelli inglese e tedesco, dovrà essere «identica» al matrimonio civile fra due persone di sesso diverso. Intervistato da La Stampa il 29 luglio, Stefano Lepri, vicepresidente dei senatori del Partito Democratico, vicinissimo a Renzi, ha spiegato che questa è la linea del Piave del suo partito: si potrà trovare una mediazione su altre cose, non sulla cerimonia. Successe lo stesso in Inghilterra, dove in più una parte della magistratura andò a caccia con ferocia di chi nei Comuni non officiava cerimonie «identiche», multando e licenziando, e generando casi che poi finirono alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE LA CERIMONIA?
Perché, si potrebbe dire, tutte queste cerimonie per una cerimonia? Renzi e gli stessi attivisti Lgbt non sono forse tipi pratici, che badano alla sostanza e non alle cerimonie? Qualche volta la sociologia serve a qualcosa, e aiuta a capire. Proviamo a cercare risposte nel corposo (oltre quattrocento pagine) trattato di micro-sociologia del massimo esponente mondiale di questa disciplina, Randall Collins («Interaction Ritual Chains», Princeton University Press, 2004). Il cuore della micro-sociologia - come già aveva intuito uno dei padri della sociologia moderna, Émile Durkheim (1858-1917), è la nozione di rituale. In verità, tutta la nostra vita è scandita da rituali. Dal salutarsi al chiedersi "Come sta?" e al conversare prendendo un caffè, passando per tutte le attività che si riferiscono all'amore e alla sessualità (centrali nelle analisi di Randall Collins) la vita è piena di rituali, che talora non ci rendiamo conto di compiere, proprio come il borghese di Molière non si rendeva conto di stare facendo della prosa ogni volta che parlava (dal momento che non parlava in poesia). I rituali creano energia emotiva, l'"effervescenza collettiva" di cui parlava Durkheim, e influenzano in modo profondo e definitivo, anche se non sempre consapevole, la vita dei singoli e delle società.
I rituali hanno però anche un altro effetto. Creano, confermano e rafforzano le gerarchie, che (piaccia o no) sono onnipresenti in ogni tipo di società umana. La micro-sociologia distingue fra gerarchie situazionali e strutturali. Le gerarchie strutturali esistono prima dei rituali: posso celebrare in modo rituale la mia relazione di padre con mio figlio, ma che io sia il padre e lui sia il figlio è già chiaro prima di qualunque rituale. Le gerarchie situazionali sono invece create dal rituale. Se la regina d'Inghilterra nomina qualcuno baronetto in una solenne cerimonia, crea una posizione gerarchica nuova per quel qualcuno, che prima non esisteva. La cerimonia che «consacra» (già la parola fa riferimento alla forza sacralizzante del rituale) l'unione fra due persone dello stesso sesso in Municipio crea una gerarchia situazionale che prima non esisteva. Fa entrare quelle due persone nella sfera delle persone «sposate», che è socialmente diversa rispetto a quella delle persone che semplicemente convivono. Non conta, o conta poco, se si usi o no la parola «matrimonio». Il rituale ha una sua forza persuasiva che prescinde dalle parole.

LA FORZA DEL RITUALE
Lo sanno bene i massoni: e lo sapeva bene il cardinale Ratzinger che, rinnovando nel 1983 il divieto per i cattolici di aderire alla massoneria in quanto scuola di relativismo, spiegava che «la forza del rituale» massonico trasmette di per sé la mentalità relativista, quand'anche a questa non si chiedesse di aderire esplicitamente. Pertanto, non è la stessa cosa se si sigla un semplice contratto da un notaio per regolare alcuni aspetti patrimoniali di una convivenza o se si passa attraverso la dinamica trasformante di un rituale uguale a quello del matrimonio. La forza dei rituali non va mai sottovalutata. Lo sapeva chi aveva voluto le «unioni civili» fra omosessuali in Inghilterra. Sapeva che di fronte a una cerimonia «identica» i giornali e lo stesso linguaggio comune dopo un po' si sarebbero stufati del neologismo «civilunit» e di altre espressioni esotiche e avrebbero cominciato a scrivere che il signor Smith e il signor Jones si erano «sposati». E che il signor Jones ora era il «marito» del signor Smith. La cerimonia non era forse stata la stessa? Sapevano pure che, una volta adottato il nuovo linguaggio, se il Parlamento dopo qualche anno avesse passato una leggina (è successo a Londra, nel 2013) cambiando semplicemente il nome da «unione civile» a «matrimonio» nessuno si sarebbe scaldato più del tanto. La forza del rituale e del linguaggio aveva da tempo convinto l'opinione pubblica che in Inghilterra il «matrimonio» omosessuale ci fosse già.

CHI ACCETTA LA CERIMONIA OMOSESSUALE FINIRÀ PER CHIAMARLO MATRIMONIO
Il senatore Lepri ci informa nell'intervista che il Ncd si oppone alla cerimonia in Comune per le unioni civili tra omosessuali. Benissimo, è già qualcosa, anche se evidentemente occorrerebbe opporsi alla stessa nozione delle unioni civili, accettando di discutere solo sull'opportunità di mettere insieme in un testo unico i diritti patrimoniali che la normativa italiana già riconosce ai conviventi, siano essi di sesso uguale o diverso, eventualmente risolvendo i pochi problemi pratici ancora aperti. Ma in realtà il discorso può anche essere rovesciato. La cerimonia non è il punto di arrivo, è il punto di partenza ed è la cartina di tornasole delle ipocrisie. I veli sono caduti. Chi accetta la cerimonia vuole il «matrimonio» omosessuale, comunque lo chiami: e finirà per chiamarlo «matrimonio», anche se non subito. Chi invece afferma di volere soltanto regolamentare in modo più chiaro e migliorativo situazioni patrimoniali e amministrative legate alla convivenza può essere considerato in buona fede (salvo poi discutere sulle situazioni una per una) soltanto se dichiara in modo alto e fermo il suo no alla cerimonia. Diversamente, senza cerimonie, va considerato solo un politicante furbastro che cerca di ingannare gli ingenui con il gioco delle tre carte.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30-07-2014

3 - IL BULLISMO DI OGGI E' UGUALE A QUELLO DI IERI
Il bullismo esiste da sempre: è vecchio come l'uomo
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone, giugno 2014

Scrivo questa puntata dopo che i tg hanno riferito l'ennesimo caso della ragazzina che si è buttata dalla finestra perché dileggiata sui social network. A dire il vero, e senza voler minimizzare la cosa, non è che si tratti di un "fenomeno": gli adolescenti che si suicidano perché vittime di bullismo finora sono, a volere essere larghi, uno all'anno e forse anche meno. Il bullismo esiste, certo, ma è vecchio come la Bibbia, perciò come l'uomo. Adamo è ancora lì ed ecco che a Caino comincia a stare sull'anima Abele (che era, sì, suo fratello, ma non c'erano altri con cui prendersela). Abele, il "perfettivo", il Gastone della situazione, mentre a Caino toccava il ruolo di Paperino. Finì che Caino si scocciò di brutto e passò alle vie di fatto. Ma esagerò e ci scappò il morto.

LA MIA ESPERIENZA CON IL BULLISMO
Ora, non mi metterò certo a percorrere l'intera storia dell'umanità per tracciare quella del bullismo nei secoli. No, mi basterà la mia, di storia. Ho sessantatré anni sull'unghia e ho esordito negli studi dalle suore, quelle vincenziane della Carità per giunta. Portavano ancora la cuffia ad ala di gabbiano ma non esitavano a sbattermi dietro alla lavagna e a tenermici per ore, incuranti del mio pianto disperato. Ero troppo vivace e a quei tempi i metodi educativi andavano sullo spiccio. Quando suonava la campanella e veniva mio padre (che era poliziotto) a prendermi, davanti a lui le suore in questione mi riempivano di moine e carezze. Salvo poi, l'indomani, tornare ai vecchi sistemi. A volte l'intera classe era punita in questo modo: un'ora in ginocchio con le mani sulla
testa come prigionieri di guerra. Tuttavia, come vedete, non sono affatto diventato anticlericale, anzi. Tra i miei compagnetti c'era uno con le orecchie a sventola, e tutti, me compreso, eravamo meticolosamente impegnati, quotidianamente, a fargliene venire il complesso: smettemmo solo perché le elementari finirono e fummo smistati altrove. Un giorno si era procurato una scalfittura in una mano con un pennino sporco d'inchiostro (non c'erano ancora le biro): lo circondammo e cominciammo a urlargli: «Ora muori! Ora muori!». E più piangeva terrorizzato, più insistevamo. Eh, altro che età dell'innocenza: il Peccato Originale non ha prova migliore. I tre anni di scuola media inferiore li trascorsi a fare a botte, ogni giorno all'uscita. Ero grasso e, poiché mi prendevano in giro, una volta atterrai il più insolente. Non l'avessi mai fatto. L'indomani un altro venne a sfidarmi. Atterrai pure lui e da allora cominciò l'incubo. Ogni giorno – dico ogni giorno - venivano da ogni dove per sottrarmi il "titolo". E più incontri vincevo e peggio era. Non ne potevo più di tornare a casa pesto, sudato, ansante e stracciato. Anche perché a quel tempo l'educazione casalinga era all'insegna del «guai a te se ti sporchi» o «guai a te se ti fai male», ché «prendi il resto». La cosa cessò solo quando, stufo, mi lasciai sconfiggere e depredare di un "titolo" che non avevo cercato. Pensate che fosso finita? Macché. Qualche mese dopo, quattro dei miei compagni di classe escogitarono il seguente gioco: mentre mi avviavo a scuola o mentre ne uscivo, uno dietro l'altro e dopo breve corsetta si avvicinavano e sferravano un gran calcione sulla mia cartella scolastica, poi si portavano a distanza di sicurezza ridendo. Se accennavo a inseguirne uno, ecco che un altro mi prendeva alle spalle e giù una pedata. Essendo quattro, il gioco a loro riusciva benissimo e io non potevo farci nulla. Perché lo facevano? Ma per puro divertimento, che diamine. Una mezz'oretta così, tutti i santi giorni. Se cercavo di regolare i conti in classe, o finivo punito dall'insegnante (che non perdeva certo tempo a indagare sui motivi del contendere) o finivo soccombente perché dovevo vedermela con quattro. A casa, mio padre, vedendomi sempre cupo, mi estorse la verità. Ma mi disse: «Se intervengo io fai la parte di quello che è andato a piangere dal paparino ed è peggio. Dunque, risolvitela da solo». Come la risolsi? Continuando a subire e aspettando che i quattro si stancassero. Cosa che avvenne, un mese dopo, quando trovarono un'altra fonte di divertimento.

LA SCUOLA COME UN INCUBO
Naturalmente non starò qui a raccontarvi tutto il bullismo scolastico che ho subito a cui ho partecipato, ma andrò avanti col sistema del "fior da fiore". Al liceo nel banco davanti al mio c'era un ragazzo esile, biondino e di gentile aspetto. E noi ci rivolgevamo a lui, sempre, con vezzeggiativi tratti dal linguaggio letterario francese del Settecento prerivoluzionario, quello dei cicisbei incipriati. Dalle battute si passò agli sberleffi e dagli sberleffi agli scherzi sempre più pesanti, fino a rendergli la vita scolastica impossibile. Oggi, a ripensarci, credo che quel poveretto si svegliasse la mattina piangendo al pensiero di dover venire a scuola. La smettemmo quando, un giorno, estrasse dallo zaino dei libri un pistolone tipo pirati dei caraibi: l'aveva preso da sopra il caminetto di casa sua e giurava che era carico. Lo puntò alla fronte del più esagitato tra noi e urlò tra le lacrime di rabbia che avrebbe sparato se non la faceva finita. Non seppi mai se l'arma fosse davvero carica (in tal caso, la cosa più probabile è che, data la vetustà del cimelio, gli sarebbe esplosa in faccia), ma davvero ci fece impressione l'ira disperata di quel povero ragazzo e da allora lo lasciammo in pace.

UNA SOTTOCATEGORIA DEL BULLISMO: IL NONNISMO
Voi a questo punto penserete: be', finiti gli studi finito il bullismo. Eh, no. Dimenticate la naja. Là non si chiamava "bullismo" ma "nonnismo". Era la stessa cosa; solo, un po' più pesante. Già al mio primo ingresso in camerata compresi che cosa mi aspettava. Quando ero in fila per i documenti all'ufficio arruolamento, quello che mi precedeva era venuto in compagnia del genitore, uno di cui la faccia e il look rivelavano la risma: un pregiudicato napoletano uso a entrare e uscire da Poggioreale. Il degno figlio di cotanto padre me lo ritrovai davanti quando, dopo sei ore di viaggio in treno e una di camion dell'esercito, affardellato con lo zaino d'ordinanza (la ditta che li produceva doveva essere la stessa che riforniva le forze armate ai tempi del Duce) e sfinito dalla stanchezza, mi avviai alla branda assegnatami. Il figlio del padre di cui sopra aveva acceso il televisore a volume massimo, senza alcuna intenzione di guardarlo. Mi avvicinai per abbassare il volume (avevo la testa che mi scoppiava) ma lui mi si fece sotto minaccioso e mi sbraitò sul naso: «Se lo tocchi...!». La sua mano era sulla tasca posteriore dei pantaloni e non era tipo da non averci dentro un coltello. Così, mi tenni il mal di testa e abbozzai. L'indomani, in cortile, tutti in piedi, in squadra, attenti, riposo, fucile in spall'arm. Tra noi c'era un sardo che il fucile lo teneva, sì, in spalla, ma con la canna rivolta verso il basso, modello pastore zona Orgosolo specializzato in sequestri di persona. Ogni volta che il tenentino dava un ordine, quello si esibiva in un fischio da, appunto, pastore di montagna. Lacerante. Il tenentino gridava: «Chi è stato? Abbia il coraggio di uscire dai ranghi!». Naturalmente, quello se ne guardava bene. Né gli altri avevano voglia di beccarsi, se lo avessero indicato, un colpo di arburesa, resolza, resordza o arresoja (coltelli classici di Sardegna).
Così, l'intera squadra finiva consegnata per colpa di quel vigliacchetto. Sapete cos'è una "sbrandata"? Consiste in questo: si aspetta che una recluta dorma sulla sua branda di metallo, poi, in quattro o cinque, si afferra saldamente una sponda tubolare e, all'unisono, la si solleva con violenza, cosa che manda il malcapitato a sbattere, molti metri più in là, con la faccia sulla fila di armadietti (sempre di metallo), mentre intorno risuonano risate omeriche. All'università, ai miei tempi, c'erano i cosiddetti scherzi goliardici, i più pesanti dei quali erano a carico delle cosiddette "matricole" (quelli appena iscritti al primo anno) all'ora della loro iniziazione, superate le "prove" della quale si veniva insigniti del cosiddetto "papello" (puro turpiloquio vergato in caratteri gotici).

IL BULLISMO DI IERI E QUELLO DI OGGI
Ma mi fermo qui. La differenza tra il bullismo di ieri e quello di oggi semplicemente non c'è. C'è, questo sì, qualche novità. Una è la partecipazione a pieno titolo delle femmine: la parità conquistata dopo decenni di dure lotte ha permesso il loro ingresso in questo esaltante settore. Prima il fidanzatino se lo contendevano a frasi, occhiate, maldicenze, bigliettini velenosi. Ora a pedate sul muso pure loro.
Prima una era presa in giro, perché grassa o bruttina, a parole. Ora sono sempre parole, sì, ma diffuse in tutto il pianeta tramite web. Prima una non si faceva fotografare o filmare nuda o impegnata in amplessi le cui immagini possono diventare, in un volger di eventi, di dominio pubblico. Prima a nessun maschietto, a memoria d'uomo, veniva in mente di violentare, da solo o in branco, una compagna nel cesso scolastico o in un casolare o a una festicciola. Perché non usava? No, perché avrebbe dovuto affrontare la galera vera e una vita realmente rovinata (non esisteva l'affido in comunità di recupero). E la galera sarebbe stata ancora il danno minore. Quello maggiore, e preventivo, era la vendetta, sicura e puntuale, del padre della violentata. Il quale avrebbe avuto l'opinione pubblica dalla sua.
La differenza tra ieri e oggi sta tutta qui: oggi da un lato si espongono visivamente i giovani, fin dalla culla, a ogni sorta di libertinaggio; dall'altro, si ritiene di ovviare a un fenomeno vecchio come il mondo con corsi di "non discriminazione" nelle scuole. Che hanno lo stesso effetto delle scritte allarmanti sui pacchetti di sigarette. Eh, si stava meglio quando si stava peggio.

Fonte: Il Timone, giugno 2014

4 - I CATTOLICI E LE TASSE DI UNO STATO SANGUISUGA
Lady Fisco sostiene che il cattolicesimo produce evasori... ma è piuttosto lo Stato il parassita che viola il patto sociale!
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 3 agosto 2014

Rossella Orlandi, il nuovo direttore dell'Agenzia delle entrate, ha esordito con una gaffe: "In Italia sanatorie, scudi, condoni, sono pane quotidiano. Siamo un paese a forte matrice cattolica, abituato a fare peccato e ad avere l'assoluzione".
Parole che hanno indignato "Libero" e suscitato l'ovvia reazione dei cattolici a cui ha dato voce "Avvenire". E proprio con una lettera al quotidiano dei vescovi la Orlandi si è scusata per la "battuta ironica", spiegando che "era indirizzata a tutti coloro che non rispettano le leggi ma confidano sempre in una sanatoria o in un condono per espiare i propri comportamenti scorretti. Nessun riferimento, quindi, ai princìpi solidaristici della cultura cattolica che hanno sempre ispirato i miei comportamenti e la mia vita. Mi scuso se le mie parole possano aver creato fraintendimenti o aver urtato la sensibilità di qualcuno".
 
PREGIUDIZIO
Può essere che la Orlandi sia stata fraintesa. Può capitare e non è il caso di farne una tragedia. In fondo lei ha solo ripetuto un luogo comune che è davvero radicato, nella pubblicistica liberal, per la quale il cattolicesimo avrebbe corrotto il carattere nazionale degli italiani.
Si ritrova questo pregiudizio già nella "Storia delle Repubbliche italiane del medioevo" dello storico ed economista svizzero, calvinista, Sismondo de' Sismondi (1773-1842).
Gli rispose il nostro Alessandro Manzoni con un'opera formidabile, le "Osservazioni sulla morale cattolica", dove intese dimostrare che – lungi dall'essere "cagione di corruttela per l'Italia" – la morale cattolica era "la sola morale santa e ragionata in ogni sua parte" e che "ogni corruttela viene anzi dal trasgredirla, dal non conoscerla o dall'interpretarla alla rovescia".
Manzoni portò molti argomenti storici, a cominciare dal fiume di sante e santi generati dalla Chiesa, uomini e donne che non hanno eguali quanto a moralità, ardente carità, rigore ascetico ed eroismo. Uomini e donne che, anche con le loro opere, hanno dato forma alla nostra storia e alla nostra civiltà.
Più banalmente mi permetto anche io di proporre un argomento "storico" – o cronachistico – per confutare la "teologia" del fisco.
Siamo proprio sicuri che l'"Italia cattolica" sia la patria dell'evasione fiscale? Che succede, per esempio, nella rigorosa, laica e luterana Germania?
Tempo fa, in una ricerca dell'Università di Linz e della Visa, è emerso che in termini assoluti la Germania è il paese europeo che ha la più vasta area di economia sommersa: è stata valutata circa in 350 miliardi di euro, ovvero il 13 per cento del Pil tedesco (nel periodo della crisi teutonica, attorno al 2003, il "nero" era valutato perfino di più, circa 370 miliardi). E sono circa 8 milioni i cittadini tedeschi che lavorano in nero.
Sarebbe meglio, perciò, che esattori e politici lasciassero stare la teologia. E casomai ascoltassero davvero chi di teologia morale è un grande esperto.
 
I DOVERI DELLO STATO
Come il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, il quale tempo fa, celebrando la messa per la Guardia di finanza nel giorno del suo santo patrono, san Matteo, spiegò alcune cose preziose.
Il cardinale aveva già sottolineato che è un dovere morale – oltreché legale – pagare le tasse. Tuttavia, con una pressione fiscale che in Italia, nel 2013, ha raggiunto il livello del 54 per cento del pil (a cui va aggiunto l'aumento dell'Iva), il record fra le economie più sviluppate, Caffarra ha sottolineato che pure lo Stato, come gli evasori, viola il "patto sociale".
Per esempio quando impone un abnorme livello di pressione fiscale, specie in un tempo di crisi come quello attuale in cui "la tassazione è talmente elevata da rendere impossibile la tutela e la promozione di beni umani fondamentali, quale il lavoro".
Poi ci sono gli sprechi. "Lo Stato" afferma il cardinale "viola il patto sociale e diventa ingiusto se la spesa pubblica, cioè l'uso di quanto i cittadini hanno versato al fisco, è esorbitante".
Ma lo Stato viola il patto sociale anche quando "non rende i servizi" o li fornisce "di pessima qualità" perché "il cittadino ha il diritto di avere quei servizi pubblici in ragione dei quali paga le tasse".
Con una differenza: se il cittadino viola le regole ha a che fare con la giustizia, se lo Stato tradisce i suoi "gravi doveri" verso i cittadini non succede niente.
Il nesso doveroso fra le tasse pagate e i servizi da erogare è anche il principio di ogni stato liberale. Perché la tassa non è un tributo che il cittadino deve allo Stato "a prescindere".
Lo Stato non può essere lo Sceriffo di Nottingham che taglieggia i sudditi, o l'antica, crudele divinità pagana che pretende sacrifici umani.
La tassazione è parte di un "patto sociale" che deve avere una contropartita in servizi efficienti. Per questo è del tutto assurda ed inaccettabile l'idea che lo Stato "a prescindere" abbia diritto di tassare certi cittadini perché "ricchi" e per questo da punire.
Eppure questa è la mentalità dominante soprattutto a sinistra. Non a caso nel gergo giornalistico, quando arriva il tempo delle stangate (e arriva sempre), si dice che verranno "colpiti" questi o quelli.
Come se lo Stato avesse il diritto di "colpire" qualcuno, come se i cittadini fossero sudditi e non sovrani (così ci definisce la Costituzione). Come se l'aver prodotto ricchezza fosse una colpa, anziché un merito che poi genera benessere per tutti. Sia perché produce lavoro, sia perché – col criterio della progressività della tassazione – contribuisce più di altri (e questa si chiama solidarietà).
E' lo Stato a fare le leggi, anzitutto quelle fiscali, ma – secondo la Chiesa – non è affatto detto che una norma, solo perché è legale, sia automaticamente anche giusta e morale. Perché prima dello Stato c'è la legge naturale e le persone hanno diritti naturali che lo Stato non può violare.
Esso non ha un potere illimitato e assoluto sui cittadini e sui loro beni. Per questo il Magistero della Chiesa, pur avendo sempre richiamato al dovere di pagare le tasse, ha anche tuonato contro gli Stati che pretendono di tassare i cittadini oltre i giusti limiti. Così dissanguandoli
 
I PAPI E LE TASSE
Leone XIII, nella "Rerum novarum" che inaugurò, nel 1891, la presenza sociale dei cattolici, scrisse: "La privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive. Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana, ma da quella naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso e armonizzarlo col bene comune. È ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte".
Quarant'anni dopo Pio XI tuonò: "[Dichiariamo] non essere lecito allo Stato di aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti la proprietà privata, da renderla quasi stremata" (Quadragesimo anno).
E Pio XII nel 1948: "Astenetevi da queste misure [tributarie] che, a dispetto della loro elaboratezza tecnica, urtano e feriscono nel popolo il senso del giusto e dell'ingiusto, o che rilegano la sua forza vitale, la sua legittima ambizione di raccogliere il frutto del suo lavoro, la sua cura della sicurezza familiare: tutte considerazioni, queste, che meritano di occupare nell'animo del legislatore, il primo posto anziché l'ultimo".
Lo stesso Pio XII nel 1956 aggiunse: "L'imposta non può mai diventare, per opera dei poteri pubblici, un comodo metodo per colmare i deficit provocati da un'amministrazione imprevidente".
Mi è capitato di trovare in diversi siti cattolici, sulla rete, un'antologia di questi pronunciamenti. Che in fin dei conti non mirano solo a proteggere i risparmi e i beni delle famiglie, ma la stessa libertà personale. E a prospettare uno stato leggero (valorizzando la sussidiarietà) ed efficiente.
Sarebbero i capisaldi per una seria presenza politica liberale e cattolica e per il rilancio vero dell'economia. Gli italiani che ne sentono il bisogno sono tanti. Ma le forze politiche che rappresentano davvero queste idee quali e dove sono?

Fonte: Libero, 3 agosto 2014

5 - GAY, CHE MALE C'E'? SE HAI PAZIENZA, TE LO SPIEGO!
Bisognerebbe fermarsi a parlare con tutti, uno per uno, e rivoltare luoghi comuni, smascherare le menzogne dell'ideologia gender (VIDEO: ultima conferenza di Mario Palmaro su omofobia)
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 15 luglio 2014

- Ehi! Dove vai con un top luccicante, tutta sola, di sera? Senza neanche un figlio per mano, un passeggino?
- Veramente è un pezzo che non vado in giro con il passeggino. E sono sola perché siamo in partenza per il mare domattina presto, i ragazzi dormono... il top luccicante, be' quello è perché dentro di me abita una signora cafona che aggiunge sempre uno strato brilluccicoso, un accessorio di troppo, uno strass grosso come un'oliva. Ha accoppato quella voce da sciura che le diceva di vestirsi, andare allo specchio e togliere qualcosa, quella piccola cosa di troppo, cacchiate tipo less is more. Less is less. Quanto all'essere qui in realtà è perché torno adesso dalle Sentinelle in piedi.
- Le Sentinelle di che?
Si sa che la sintesi non è il mio dono principale (e neanche la sobrietà, se è per questo) ma la faccia fatta dai miei interlocutori mi ha indotta a cercare di spiegare brevemente - quanto può durare al massimo la conversazione media di strada con amici (purtroppo) non molto frequentati? - la manifestazione contro la legge Scalfarotto alla quale avevo appena preso parte. È stato un esperimento interessante, è strano parlare con persone colte e intelligenti, e informate, ma non esattamente addentro la questione, come è normale che sia per chi non è particolarmente militante. La prima reazione è sempre "ma che t'hanno fatto i gay?".

PRECISAZIONI PRELIMINARI
Bisogna armarsi di pazienza, sperare che anche l'interlocutore ne abbia, tirare su le maniche della camicia - anche se si indossa un top - e spiegare svariate cosette. Precisare intanto che non si predilige la parola gay, che vuol dire contento, e che quindi è subdolamente allusiva a una presunta maggiore allegria delle persone omosessuali. Chiarire poi che non si ha assolutamente niente contro di loro. Puntualizzare che sì, certo, si è sentito il Papa che diceva chi sono io per giudicare. Annuire diffusamente nel breve intermezzo sulla simpatia di Papa Francesco. Infilare astutamente la precisazione che la frase del Papa simpatico - glissare sulla questione che anche i suoi predecessori lo erano, e uno lo è ancora - andava avanti con una precisa e pesantissima accusa sulle lobby omosessuali totalmente trascurata dai mezzi di informazione, perché il giornalista collettivo non ha una grande personalità e si muove in branco per essere sicuro di non sbagliare e di non prendere troppe iniziative che poi magari tocca pensare.

SCALFAROTTO CE L'HA CON ME
Passare poi all'azione, e chiarire che se io non ce l'ho con Scalfarotto, evidentemente è lui che ce l'ha con me, perché mentre io non voglio togliergli né la parola né la libertà di fare quello che vuole nella sua vita privata, la legge che porta il suo nome al contrario vuole istituire il reato di opinione, ciò che soprattutto per un giornalista non è una gran bella cosa. Esemplificare all'interlocutore perplesso alcune delle espressioni che le lobby omosessuali vorrebbero perseguibili penalmente, e dico penalmente. Cose molto aggressive tipo "un bambino per crescere in modo sano e armonioso ha bisogno di un padre e di una madre". Spiegare che al limite qualcuno può anche non essere d'accordo, ma certo nessuno potrà impedirmi di dire che la penso così, prevedendo per me addirittura il carcere. Ribadire che nessuno riuscirà a costringermi, neanche con la minaccia di una denuncia, a usare l'espressione "maternità di sostegno" invece che per esempio "utero in affitto".

L'IMPORTANZA DELLE PAROLE
Spiegare che le parole sono importanti, e che impormi di dire "maternità di sostegno" serve a far dimenticare che dietro ogni tenero pupetto neonato consegnato tra le braccia di una coppia omosessuale c'è la sofferenza di una madre che viene pagata per tenere in pancia un bambino che al momento del parto non le verrà neanche appoggiato sul seno, la violenza fatta a un bambino che a un certo punto, in un secondo, dall'istante del parto non sentirà più il battito del cuore sotto al quale è vissuto per nove mesi, e dal quale in modo confuso e profondissimo credeva che sarebbe stato protetto, un bambino che non berrà il latte della sua mamma, non potrà toccare il suo seno giocandoci (a volte fino alle elementari) e annusandolo. Per non parlare delle svariate altre combinazioni possibili in molte parti del mondo, tipo ovuli e spermatozoi donati - leggi venduti - e bambini condannati all'angoscia di non sapere chi fossero i nonni, come si siano conosciuti, quale era il piatto preferito del nonno, la lingua della nonna, senza sentirsi raccontare mille volte di quella volta che lo zio cadde dall'albero.

CHE MALE C'È
Di solito l'interlocutore medio sul tema ha solo una vaga e diffusa opinione tipo "che male c'è se gli omosessuali hanno figli", ma se appena provi a spiegare che male c'è, quanto male, letteralmente, quanto dolore, è facile che alcune certezze vengano incrinate. La maggior parte della gente la pensa come noi, se appena si smaschera quanto costa il giochino del bebè alla coppia omosessuale. La maggior parte della gente è contro le adozioni agli omosessuali, perché tutti siamo nati da un padre e da una madre, per quanto limitati e sbagliati e criticabili, ma anche criticarli è un diritto che viene tolto a chi non avrà un modello maschile e uno femminile in casa. E la totalità della gente o quasi, credo, è contro la possibilità del carcere per chi esprime un'opinione.

CONCLUSIONE: RISCOPRIRE LA MILITANZA
Il problema è che bisognerebbe fermarsi a parlare con tutti, uno per uno, e rivoltare luoghi comuni, pilastri del politicamente corretto, smascherare le bugie e tirare fuori il coraggio di pensare con la propria testa senza paura di offendere. Bisognerebbe fare una specie di lavoro porta a porta con tutti quelli che incontriamo, parlare con il coraggio di dire le cose più semplici ed evidenti. Tipo che i bambini vogliono il babbo e la mamma.

Nota di BastaBugie: vi invitiamo a vedere il video con la conferenza tenuta da Mario Palmaro il 24 ottobre 2013 nella sala del consiglio della provincia di Milano organizzato dall'Associazione Famiglie Numerose Cattoliche


https://www.youtube.com/watch?v=TfNU87B3deI

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 15 luglio 2014

6 - CLAMOROSA SENTENZA: SI' AI DIRITTI DEI CANI, NO A QUELLI DEGLI UOMINI
L'accesso di cani e gatti alle spiagge è un loro diritto perché secondo un tribunale sono individui: cosa c'è dietro questa follia?
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22-07-2014

Pagina 17 del Giornale di lunedì 21 luglio 2014. Il pezzo di apertura racconta la sentenza pronunciata da un Tribunale italiano. Leggiamo: «Si volta pagina, s'apre un nuovo capitolo. Il titolo? Civiltà». Indovinello: qual è il "nuovo capitolo che si apre" e a quale nuova "civiltà" allude l'entusiasta cronista? Risposta facile facile, penserete: siamo sul quotidiano di casa Berlusconi e la sentenza epocale è senza dubbio quella uscita dal processo Ruby: assoluzione piena per l'ex Cavaliere e tutta l'allegra compagnia. Sbagliato, non è quella. Si tratta, invece, della pronuncia emessa dalla sezione reggina del Tar della Calabria, stabilisce che vietare l'accesso di cani e gatti alle spiagge è illegittimo, perché pure gli animali godono di diritti intangibili e inalienabili. Come gli esseri umani. I magistrati calabresi erano stati chiamati in causa da alcune associazioni ambientaliste contro l'ordinanza con la quale, nell'estate del 2013, il Comune di Melito Porto Salvo vietava l'accesso alle spiagge agli animali.

LA CLAMOROSA SENTENZA DEL TAR
La scorsa settimana i giudici del Tar hanno bocciato il Comune definendo la decisione «irragionevole, illogica, irrazionale». Si legge nella sentenza: «l'ordinanza sarebbe in contrasto con i principi espressi nella legge regionale che si prefigge all'art. 1 la finalità di realizzare un corretto rapporto uomo-animale-ambiente». E invece di porre un divieto assoluto di accesso alle spiagge, il Comune avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione più degna della libertà umana e canina. «Di fatto tale limitazione alla libertà personale costituirebbe un limite non consentito alla libera circolazione degli individui». Cioè delle persone, ma pure dei cani riconosciuti, per estensione, anch'essi titolari di tutela giuridica.
Quella calabrese è solo l'ultima di una serie di verdetti animalisti, ma soprattutto bestiali, che vanno a formare una sorta di nuova Dichiarazione dei Diritti degli animali. Dopo gli hotel e le spiagge, i padroni hanno già la possibilità di andare al ristorante in compagnia del loro cane o di prendersi un caffè al bar, senza dover "parcheggiare" Fido in strada, legato a un lampione o a un paletto per le biciclette. Presto dovranno essere rimossi i cartelli "Qui io non posso entrare" per far spazio a quelli "Qui Fido è il benvenuto". E che dire del Tribunale di Lanciano che tempo fa ha solennemente stabilito che abbaiare è un diritto involabile del cane, a conclusione di un procedimento civile d'urgenza che ha visto «alla sbarra» due cani accusati dai vicini di disturbare con il loro abbaio. I cani, è scritto nella sentenza di assoluzione, svolgono una funzione importante nel caso in questione: abitando la famiglia in campagna, sono una sorta di predecessori delle sirene degli antifurti vivente e senziente. Non solo, l'avvocato è riuscito pure a dimostrare la temerarietà della lite cominciata da una famiglia, vicina di casa degli animali, che dunque risponderà per "responsabilità aggravata e stalking giudiziario".

ROVESCIAMENTO DI PROSPETTIVA: DIRITTI DEGLI ANIMALI E DOVERI DEGLI UOMINI
Qualcuno si scandalizza? Pare proprio di no e comunque, sul tema dei diritti animaleschi e dei doveri degli umani, almeno per una volta, Lanciano e Reggio Calabria, paiono più vicine alla modernissima New York di Milano e Roma. In America, infatti, dove, ci informa il Giornale, «di solito il futuro comincia prima che altrove», cani, gatti e pappagalli hanno addirittura la capacità di andare ad assistere ai processi che li riguardano, assistiti da un avvocato. «Adesso anche nel Vecchio Continente, e nella lontanissima Italia, qualcosa si muove. E per gli animali domestici si schiudono nuovi scenari». Che quelle sentenze aprano "nuovi scenari" non c'è dubbio, che però tali panorami e mondi futuristi siano da ammirare con gioia e commozione qualche dubbio è lecito.
C'è innanzitutto una domanda che questa ripetuta rivendicazione dei bestiali diritti trascura volutamente: dove sta scritto che il nostro cane deve avere gli stessi diritti, della stessa libertà, dello stesso intransigente e incondizionato rispetto che si devono agli esseri umani? Perché mai il maltrattamento o l'abbandono di un micio o di un canarino sollevano subito lo sdegno popolare e il reo è condannato a pene severissime, fino al carcere? Da quattro mesi a due anni, prescrive la legge varata dallo Stato, lo stesso che legalizza l'aborto di milioni di bimbi. D'accordo, oggi la cultura è malata perché piange le sorti di un cormorano ferito e scorda i bambini e anziani, invita ad "adottare le balene" e fa spallucce davanti a migliaia di orfani. Ma questo rovesciamento di prospettiva, è segno di qualcosa di più serio e inquietante di un "semplice" (si fa per dire) smarrimento di valori.
Intendiamoci: non è in discussione l'amore sacrosanto per gli animali né la cura che loro dedichiamo in cambio di un po' di gioco e compagnia. Per milioni di italiani, un gattino, il volpino da portare tre volte al giorno a spasso nel parco o il canarino canterino sono i soli compagni della vita. No, qui è in gioco un'ideologia, pericolosa perché sempre nascosta, che azzera ogni differenza tra umani e animali (anzi, questi sono migliori perché innocenti) e rende la parità animale disponibile alle manipolazioni più mostruose della vita e ai crimini dell'eugenetica. Scenario già sperimentato in passato e di nuovo vicinissimo ai nostri tempi. Oggi nessuno si indigna e protesta se un progetto finanziato dall'Unione europea prevede l'uso di cellule staminali embrionali umane, anziché di cavie animali per effettuare test di tossicità sulle sostanze usate nei cosmetici.

OSSESSIONE ANIMALISTA: L'AMORE PER GLI ANIMALI DIVENTA DISPREZZO PER LA PERSONA UMANA
L'ossessione animalista che ha come fondamenti l'anti-specismo e l'anticreazionismo ateo sfocia nell'odio per l'uomo e l'amore per gli animali diventa così proporzionale al disprezzo per la persona umana. C'è poco da stare allegri: il rischio non è tanto quello di vedere una scimmia seduta in Parlamento (scrive Giuseppe Sermonti) ma insinuarsi nella nostra vita la metafisica del babbuino. Ci vorrebbe un nuovo pensiero che fondi i diritti degli animali sul concetto di Creazione e Creature e ridisegni il dato naturale come segno, su una nuova centralità umana liberata dal possesso, su un esercizio del potere trasfigurato dalla commozione. Dove le fusa del micio e la fedeltà del barboncino siano d'esercizio per la nostra amicizia verso i nostri simili. Diversamente, nell'orto del babbuino crescerà solo la cicuta per il suicidio di massa. E i cani potranno andare a godersi il sole in spiaggia, ma senza più nessun umano cui far compagnia.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 22-07-2014

7 - NON DIMENTICARE TIANAMMEN 25 ANNI DOPO
Il massacro a Pechino nel 1989 mostrò che il comunismo era ancora vivo e violento; e continua a esserlo ancora, forte dello sviluppo economico, mentre l'Occidente tace e cerca di far affari
Autore: Padre Bernardo Cervellera - Fonte: Il Timone, giugno 2014

Un museo per ricordare il movimento degli studenti e degli operai e l'eccidio di piazza Tiananmen è stato aperto ad Hong Kong: è l'ultima trovata dei gruppi democratici di Hong Kong per mantenere viva la memoria dell'evento di 25 anni fa che ha cambiato il corso della Cina. Il museo è stato aperto alla fine di aprile, a ricordo degli inizi dei raduni delle grandi masse sulla piazza più grande del mondo. Gli organizzatori sperano che proprio i milioni di visitatori, che dalla Cina popolare si riversano nel territorio, possano andare a visitarlo, rinfrescando la memoria che nel loro Paese è proibita.
Il nuovo museo si trova proprio a Tsim Sha Tsui, la punta della penisola di Kowloon, il centro dello shopping, e non ha avuto vita facile: ci sono voluti anni per riuscire ad avere tutti i permessi e i fondi per aprirlo e ancora adesso subisce bordate dai negozi vicini che temono di inimicarsi la Cina e perdere il loro business. Ma secondo gli organizzatori del museo, tutte queste critiche sono orchestrate proprio da Pechino per cancellare la macchia più scura e sanguinante, negli ultimi decenni, del Partito comunista cinese e dell'"Esercito per la liberazione del popolo" che ha usato i carri armati e i fucili contro la sua stessa popolazione.

LA TRAGICA NOTTE DEL GIUGNO 1989
Gli studenti e gli operai, che si erano radunati in un enorme sit-in durato settimane, chiedevano solo meno corruzione e più democrazia e fino all'ultimo avevano sperato di poter dialogare con i capi del Partito, divisi fra loro sull'atteggiamento da tenere. Alla fine ha vinto la linea dura: niente dialogo e ordine di sgombero della piazza, con un ultimatum. Nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1989 squadroni di soldati e carri armati sono arrivati nella piazza uccidendo, stritolando, rincorrendo i fuggitivi fin nelle strade laterali. Ancora oggi nessuno conosce il reale bilancio dell'eccidio: poche centinaia o alcune migliaia gli uccisi, decine di migliaia i prigionieri. Da subito, il Partito ha messo in atto la sua macchina propagandistica accusando i giovani di essere dei "contro-rivoluzionari" che cospiravano per la caduta del Paese. Negli anni seguenti, davanti alla crescita economica vertiginosa della Cina, l'allora presidente Jiang Zemin ha osato dire che quelle morti erano "necessarie" per garantire lo sviluppo attuale. Ma nessuno vi ha mai creduto e ogni anno dissidenti, attivisti democratici, madri e parenti degli uccisi chiedono che si faccia luce sull'assassinio dei loro figli e si cancelli l'accusa di "contro-rivoluzionario" data al movimento, che invece lavorava e si è sacrificato per il Paese.
Secondo diversi studiosi, il massacro di Tiananmen è stato la cartina di tornasole che ha fatto vedere come il Partito in realtà non era per il popolo, ma sfruttava e schiavizzava il popolo. Negli anni successivi le adesioni al Partito sono scese dell'80%. In seguito però sono risalite, perché far par della casta comunista permette carriera, soldi, protezione, benefici.

INTERPRETARE LA STORIA PER GUIDARE LA POLITICA
Ma non è finito il vezzo e la propaganda del Partito che cerca in tutti i modi di presentare uno faccia "umana" e "positiva", non solo sull'eccidio di Tiananmen, ma su tutta la storia recente del Paese. Pochi mesi fa, il presidente Xi Jinping ha lanciato nuove direttive su come presentare la storia agli stessi cinesi: Mao non era un dittatore spietato che aveva potere di vita o di morte su ogni suo suddito, alla stregua di tutti gli imperatori passati, ma un "utopista", che cercava il meglio per il suo Paese; gli errori del "Grande balzo in avanti", costati la vita ad almeno 35 milioni di persone - morti per fame — sono stati una "piccola svista"; la Rivoluzione culturale (che i cinesi ricordano come "il grande caos", in cui si è ucciso e imprigionato con una facilità e una crudeltà disarmanti) come un errore di passaggio.
In più, questa propaganda cerca di convincere che il Partito comunista cinese non ha combattuto la cultura tradizionale, ma ne è stato sempre (!) sostenitore, facendo dimenticare le "campagne contro Confucio", i templi e i monumenti buddisti distrutti, i libri bruciati, gli accademici arrestati. Curiosamente, questa interpretazione storica — propagandata con un libro di Yu Youjun, già governatore dello Shanxi, e diffusa in 50 puntate alla televisione di Stato — dimentica le rivolte dei contadini per il possesso delle terre, da cui è nata la rivoluzione maoista, per esaltare a più non posso il ruolo chiave del Partito. E dimentica anche la "lotta di classe", nascondendo il sostegno che la Cina ha dato alle rivoluzioni comuniste e guerrigliere nel mondo.
Spesso Pechino accusa il Giappone di non avere il coraggio di guardare alla storia in modo obiettivo, quando Tokyo cerca di nascondere l'orrore del massacro di Nanchino (30 mila persone uccise dai soldati giapponesi nel 1937), o rifiuta la verità storica della sovranità sulle isole Diaoyu/Senkaku. Ma anche Pechino non riesce ad accettare che la storia giudichi l'operato del Partito. Così si manipola la storia per mostrare che il Partito ha sempre avuto ragione.
Tale difesa ad oltranza del gruppo al potere è ancora più urgente mentre si registrano sempre più rivolte dei contadini perché le loro terre vengono sequestrate e vendute per progetti edilizi o industriali, senza che loro intaschino alcun compenso. In aumento sono anche gli scioperi degli operai che combattono contro i duri orari di lavoro (fino a 16 ore al giorno), la mancanza di contratti, i salari inadeguati. A tali problemi si aggiungono quelli dell'inquinamento, divenuto una vera emergenza nazionale, con 500mila persone che muoiono ogni anno per cause respiratorie; dell'acqua, ormai inquinata per il 70%; della sicurezza alimentare non garantita da nessuno; degli aborti selettivi causati dalla famigerata legge del figlio unico.
Tutti questi problemi hanno il loro triste bagaglio di uccisi e sono una specie di Tiananmen quotidiana che mostra quanto il Partito voglia durare al potere e sia disposto per questo a sacrificare il suo popolo, proprio come 25 anni fa.

LA CORRUZIONE NEL PARTITO COMUNISTA
Ne fa le spese chiunque chieda maggiore verità al Partito, come il dissidente Xu Zhiyong. Quarantunenne, professore universitario, egli ha fondato il Movimento dei cittadini, che promuove lo Stato di diritto e i diritti umani. Lo scorso luglio è stato arrestato per aver domandato ai leader del governo di dichiarare in pubblico le loro proprietà e ricchezze, con ogni probabilità frutto di corruzione. Xu ha anche combattuto perché i figli dei migranti in città avessero gli stessi diritti dei residenti soprattutto per quanto riguarda scuola e sanità e ha sostenuto le battaglie legali delle famiglie cinesi i cui figli erano stati avvelenati con il latte alla melamina. Lo scorso aprile è stata confermata la sua condanna a quattro anni di prigione e si è aperto un processo per altri suoi collaboratori, fra cui alcuni cristiani protestanti.
Il fatto è che la lotta alla corruzione — in cui è impegnato Xu — è uno dei maggiori slogan del presidente Xi Jinping, che ha giurato di perseguire "tigri" e "mosche", importanti leader e burocrati colpevoli di bustarelle, tangenti e spese pazze. Ma il Partito non accetta correzioni dall'esterno. Il suo timore è che le troppe critiche rendano la sua situazione simile a quella del Partito comunista sovietico ai tempi di Gorbachev. Diversi mesi fa, in visita nel Guangdong, Xi Jinping aveva dichiarato: «Perché l'Unione sovietica si è disintegrata? Perché il Partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è che i loro ideali e credo erano stati scossi... Gettare via la storia dell'Urss e del Partito comunista sovietico, gettare via Lenin e Stalin, e gettare via qualunque altra cosa significa impegnarsi in un nichilismo storico che confonde i nostri pensieri e mina l'organizzazione del Partito a tutti i livelli».
Meglio è dunque difendere il Partito e incrementare la lotta, la violenza e gli arresti per tutti gli attivisti e blogger che osano diffondere "false notizie" su internet e mettono in dubbio che la Cina sia il migliore dei mondi possibili. Proprio come ai tempi di Tiananmen 25 anni fa. L'unica differenza è che allora l'Occidente era pronto a criticare e a porre sanzioni a Pechino; ora ne è troppo succube dal punto di vista economico e spesso ne è alleato.

Fonte: Il Timone, giugno 2014

8 - SCOPRIAMO IL PERSONAGGIO SEGRETO CHE STA DIETRO ALLA DISTRUZIONE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
La sorte dei frati è in mano ad un triumvirato composto da padre Volpi, padre Bruno e da un eccentrico personaggio fino ad oggi in ombra, attivo come consulente dell'operazione poliziesca
Autore: Emmanuele Barbieri - Fonte: Corrispondenza Romana, 23 luglio 2014

A un anno di distanza dall'inizio del commissariamento dei Francescani dell'Immacolata, la sorte dell'Istituto è ormai in mano ad un triumvirato composto da padre Fidenzio Volpi, il commissario designato dalla congregazione dei Religiosi, dal padre Alfonso Bruno, il Francescano "parricida", e da un eccentrico personaggio fino ad oggi in ombra, ma più che mai attivo come consulente dell'operazione poliziesca: il "professor" Mario Castellano. Chi è dunque costui?
Mario Castellano nasce a Imperia, nel 1949, da una famiglia benestante. Il padre Adolfo, ex rappresentante di commercio della riso Scotti, fu partigiano bianco e consigliere comunale DC; lo zio è stato l'arcivescovo di Siena Ismaele Mario Castellano. Il giovane Castellano dopo essersi laureato in Giurisprudenza, ha preso il titolo di avvocato, professione che non esercita. Le sue simpatie politiche sono sempre state di sinistra. Più precisamente proviene dalla sinistra Dc, e ad Imperia è noto come un cattocomunista. Si dice anche che, fin dagli Novanta, Castellano sia affiliato al Grande Oriente di Sanremo. Ci attendiamo che l'interessato smentisca questa notizia.
Pur non essendo mai stato professore, ha insegnato diritto all'università di Managua subito dopo la presa del potere dei sandinisti (fu per motivi ideologici che il nostro per un certo periodo si trasferì in Nicaragua, sposandosi ivi con una nicaraguense dalla quale si separò qualche anno dopo). Ha collaborato a vari siti e blog, di orientamento esoterico e pro-islamico, prima di divenire il "braccio destra" o, secondo alcuni "la mente sinistra" di padre Alfonso Bruno, che ha raggiunto nella casa di Boccea e ha seguito talvolta nelle ispezioni nelle case "ribelli".
Fin dal 2005 Castellano scrive entusiasta: in difesa dei diritti dei musulmani in Italia; in favore della multiculturalità; sull'adeguamento del nostro sistema giuridico ai diritti dei musulmani sulla casa comune di tutti.
Nel 2008 i dichiara a favore della rimozione dal Messale "tridentino" di tutto ciò che può offendere la sensibilità ebraica. L'Autore, inoltre, presenta in chiave positiva, benefica, l'esoterismo come uno dei tre motivi per cui noi cattolici non siamo «condannati in eterno» a combattere contro musulmani ed ebrei. Su Islam-online.it nel 2010 definisce le moschee islamiche «fattore di stabilità e sicurezza».
L'8 aprile 2011, in un evento del Lions Club di Sanremo, pro-Risorgimento italiano, Mario Castellano ha tenuto la conferenza Attualità di Cavour. È nota la simpatia del Castellano per lo statista italiano, noto anticlericale in odore di massoneria all'inglese.
Il 12 giugno 2012 www.mediatrice.net posta l'articolo anonimo, ma di Castellanno, "L'Europa verso la federazione?". L'autore dell'articolo si rivela entusiasta ammiratore della Rivoluzione Francese e del Superstato Europeo, paragonando la crisi che oggi attraversa l'Europa a quella che subì la Francia alla vigilia della Rivoluzione. Allora la crisi ebbe il suo sbocco in un atto rivoluzionario con cui gli Stati Generali, proclamandosi Assemblea Costituente, diedero inizio alla Rivoluzione. Oggi l'assunzione diretta da parte dell'Unione europea del debito pubblico di alcuni Stati e di quello privato di alcune banche è considerata come una decisione rivoluzionaria che apre la strada a una Federazione di Stati Europei. Nel corso della Rivoluzione francese poi il clero si divise tra i preti "giurati" che aderirono alla scismatica Costituzione civile del Clero e i "refrattari" fedeli alla Chiesa di Roma.
La simpatia di Castellano va ai preti scismatici, come si evince da questo passaggio: «Quando Napoleone, nel 1801, stipulerà il Concordato con Pio VII, a venire perdonato e riammesso all'esercizio del ministero sarà il "clero refrattario", mentre sarà riconosciuta e sanata dal punto di vista canonico l'opera svolta nel decennio trascorso dal "clero giurato".
Aveva dunque agito giustamente, dal punto di vista dello Stato, come anche dal punto di vista della Chiesa di Francia, chi aveva scelto di restare fedele alla Nazione».
Mario Castellano si è sempre distinto inoltre per i suoi furibondi attacchi ai cattolici senza compromessi, amanti della Tradizione. Forse per questo è amato a sua volta dal commissario Volpi e dalla Congregazione dei Religiosi, che fanno tesoro dei suoi consigli.

Fonte: Corrispondenza Romana, 23 luglio 2014

9 - OMELIA XIX DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A - (Mt 14,22-33)
Coraggio, sono io, non abbiate paura!
Autore: Padre Mariano Pellegrini - Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 10 agosto 2014)

Il Vangelo di questa domenica ci dà due preziosi insegnamenti: il primo è quello della preghiera, il secondo quello della fiducia. Dopo aver compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù congeda la folla e, di sera, sale su un monte per pregare. Vi rimane fino all'alba. Gesù sente la necessità di appartarsi per dialogare con il Padre, e, per far questo, Egli sceglie il silenzio della notte. Sul suo esempio, anche noi dobbiamo avvertire l'esigenza della preghiera e ricercare nel raccoglimento la presenza di Dio.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato l'episodio del profeta Elia, al quale fu rivolta questa parola: «Fermati sul monte alla presenza del Signore» (1Re 19,11). Elia non trovò il Signore nel vento impetuoso, nemmeno nel terremoto o nel fuoco, ma nel «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12). Questo ci fa comprendere che Dio si trova nel silenzio e non nel frastuono di una vita frenetica. Gesù ce lo fa intendere appartandosi nella solitudine di un monte.
Cerchiamo di penetrare nel segreto della preghiera. La preghiera è stata definita come il dialogo con Dio: si parla a Dio, ma soprattutto lo si ascolta. Noi parliamo a Dio rivolgendo a Lui le nostre suppliche; e Dio parla a noi, ispirandoci buoni propositi ogni volta che meditiamo, e facendoci avvertire i salutari rimorsi di coscienza. Questa voce è tenue come il sussurro di una brezza leggera e la si percepisce solo nel silenzio e nel raccoglimento. L'uomo d'oggi spesso ha perso questa dimensione verticale della vita e non riesce più ad apprezzare la bellezza di questi momenti di intimità con il Signore.
La preghiera è stata anche definita come l'elevazione della mente e del cuore a Dio. Se manca questa elevazione è impossibile entrare in questo dialogo vitale con il nostro Creatore. Il Cristiano deve sentire fortemente questo invito che viene dall'alto e deve fare della preghiera il respiro della propria anima. La preghiera è l'attività più nobile che l'uomo possa svolgere su questa terra e, certamente, la più necessaria. è la preghiera che apre i cieli e fa scendere la grazia fino a noi. Gesù, nel Vangelo di oggi, ci dà questa importante lezione. Il suo esempio vale più di ogni discorso che si possa fare. Imitiamo il nostro Maestro e ricerchiamo anche noi dei momenti della nostra giornata da dedicare all'orazione.
Il secondo insegnamento di questo Vangelo riguarda la fiducia. Il mare era in tempesta e la barca dove erano gli Apostoli era agitata dalle onde. Le acque agitate simboleggiano questo mondo così spesso sconvolto dall'infuriare di grandi disordini. Sopra queste acque dobbiamo navigare anche noi, e, come agli Apostoli, anche a noi Gesù viene incontro per aiutarci. Anche a noi Gesù dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura» (Mt 14,27), e rivolge l'invito a camminare sulle acque, ovvero a passare indenni attraverso tante difficoltà; ma, purtroppo, come Pietro, anche noi non abbiamo sufficiente fede e veniamo sommersi dalle onde.
Come Pietro, tante volte noi imploriamo l'aiuto divino e gridiamo: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Ma, in questa accorata preghiera, tante volte manca la vera fiducia, per cui Gesù amabilmente ci rimprovera: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Mt 14,31). Se non avesse dubitato, Pietro sarebbe riuscito a camminare sulle acque; così, se anche noi non dubitassimo, riusciremmo a superare tutte le difficoltà di questa vita, senza esserne sommersi.
Come è difficile donare al Signore un cuore pieno di fiducia! È più facile magari fare grandi penitenze, ma come è raro trovare un'anima che sappia fidarsi pienamente di Dio! La preghiera è la chiave della fede: quanto più la nostra preghiera sarà nutrita, tanto più la nostra fede aumenterà e ci permetterà di "camminare" sulle onde di questo mondo in tempesta. Quando Gesù salì sulla barca ove erano gli Apostoli, il vento cessò (cf Mt 14,32); così, se noi riusciremo ad accogliere Gesù nella nostra vita con viva fede, ogni ostacolo sarà superato.
Il segreto per giungere a una tale fiducia in Dio è quello di guardare alla Madonna e di invocarla con perseveranza. San Bernardo paragona Maria a una stella lucente che guida la rotta delle navi nel buio della notte. Egli esorta ciascuno di noi a guardare a questa stella, così da giungere felicemente al porto sospirato della Vita eterna. Così egli scrive: «O tu che nelle vicissitudini della vita, più che di camminare per terra hai l'impressione di essere sballottato tra tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto dall'infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questa stella! Se insorgono i venti delle tentazioni, se ti imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria... Nei pericoli, nelle difficoltà e nei momenti di incertezza: pensa a Maria, invoca Maria. Abbila sempre sulla bocca, abbila sempre nel cuore... Seguendo Lei non andrai fuori strada, pregandola non dispererai, pensando a Lei non sbaglierai. Se Ella ti sostiene non cadrai, se Ella ti protegge non avrai nulla da temere, se Ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole giungerai alla meta».
Guardiamo anche noi questa stella e invochiamo con fiducia Maria!

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 10 agosto 2014)

10 - OMELIA SOLENNITA' DELL'ASSUNTA - ANNO A - (Lc 1,39-56)
Comunicato Cei: ''Noi non possiamo tacere!'' (e schema di preghiera per i cristiani perseguitati nella giornata indetta dai vescovi italiani)
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 agosto 2014)

COMUNICATO CEI: NOI NON POSSIAMO TACERE!
Vedi nota in fondo a questo articolo


Oggi la Chiesa celebra l'Assunzione della Beata Vergine Maria. È una delle feste mariane più importanti e più antiche. Dopo aver vissuto su questa terra, la Madonna è stata assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo. Era ben giusto che la Madonna raggiungesse la pienezza della gloria senza aspettare la fine dei tempi. La fede ci insegna che al termine della nostra vita l'anima riceve immediatamente la giusta retribuzione, mentre il corpo si dissolve nella tomba e solo alla fine dei tempi risorgerà per riunirsi all'anima. Per la Madonna non fu così: il suo corpo immacolato entrò subito nella gloria insieme all'anima. Pertanto, nella Vergine Maria assunta in Cielo noi contempliamo quella che sarà la sorte futura di tutti i redenti.
Era ben giusto che la Madonna fosse assunta in Cielo in anima e corpo, e questo per diversi motivi. Prima di tutto la Madonna è l'Immacolata, Colei che è stata concepita senza il peccato originale. Si sa che la corruzione del corpo che avviene dopo la morte è una conseguenza del peccato d'origine che ha lasciato delle conseguenze in ciascuno di noi. Gli unici ad essere esenti da questo peccato dei Progenitori furono Gesù, ovviamente, perché è il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, ed è quindi la stessa Santità; e Maria Santissima, l'Immacolata, la quale fu preservata dal peccato originale in vista della Redenzione operata dal Figlio.
Essendo immacolata, la Madonna non sarebbe dovuta nemmeno morire, dato che anche la morte è una conseguenza del peccato originale. Tuttavia, la Vergine Maria assomigliò in tutto al Figlio Gesù, il quale volle morire in croce per noi. Così anche Lei passò per la morte, ma la sua fu una morte unica, del tutto particolare, fu una morte d'amore. Era talmente grande l'amore che portava a Dio, amore che cresceva di giorno in giorno, che la sua anima benedetta non riusciva più a contenerne la piena, così che si staccò dal corpo e raggiunse il suo Gesù. Il suo corpo immacolato, secondo un'antica tradizione, fu posto in un sepolcro ma non conobbe la corruzione e, dopo pochi giorni, risorse glorioso ad immagine del corpo del Risorto Redentore, così da riunirsi all'anima ed entrare nella gloria eterna.
Vi sono altri motivi che resero sommamente conveniente l'Assunzione della Beata Vergine Maria in anima e corpo. Un motivo è quello della Maternità divina. Era ben giusto che Colei che diede alla luce Gesù nella povera grotta di Betlemme; che lo nutrì e allevò con tanto amore; che lo seguì fedelmente durante tutto il tempo della sua predicazione; che fu la sua più fedele discepola; e che stette intrepida ai piedi della croce, condividesse in corpo e anima la gloria del Figlio suo risorto.
Un altro motivo riguarda la sua radiosa Verginità. Per essere piena e profonda, la verginità della "Tutta Santa" non doveva conoscere il disfacimento del sepolcro. Il giglio purissimo della purezza di Maria non ha mai cessato di esalare il suo profumo ed anche ora, in Paradiso, è la gioia degl'Angeli e dei Santi.
La solennità di oggi è ricca di insegnamenti anche per la nostra vita cristiana. Innanzitutto, l'Assunzione di Maria al Cielo ci insegna l'altissima dignità che ha il nostro corpo: anch'esso è chiamato alla gloria del Paradiso. Il nostro corpo risorgerà solamente alla fine dei tempi, quando ci sarà il Giudizio universale, e si unirà all'anima per condividerne la sorte eterna: se l'anima è dannata, il corpo seguirà quella condanna; se l'anima è beata, esso risorgerà glorioso.
Impariamo fin da adesso a rispettare il nostro corpo e a non degradarlo con il peccato. L'uomo d'oggi esalta il corpo e i piaceri della carne. In realtà egli rende il proprio corpo schiavo delle passioni che lo abbruttiscono sempre di più. Contemplando l'Immacolata Assunta in Cielo, noi possiamo vedere la grande dignità dell'uomo e della donna. Se vogliamo raggiungere la gloria che già da ora risplende in Maria, dobbiamo amare e praticare la bella virtù della purezza.
Questa virtù forse è "fuori moda", ma rimane l'unica via per giungere alla comunione eterna con Dio. Quando a san Domenico Savio, giovane discepolo di Don Bosco, dicevano che non occorreva essere così mortificato negli occhi e che poteva anche vedere i divertimenti delle giostre, egli rispondeva che voleva mantenere puri gli occhi per poter vedere Gesù e Maria in Paradiso.
Un tempo si arrossiva anche per la più piccola immodestia, ora l'indecenza imperversa e a molti sembra quasi una cosa normalissima. Si è perso il senso del pudore e i mezzi di comunicazione (televisione, stampa, internet) propongono molto spesso "immondizia a basso costo". Per recuperare il senso cristiano della vita guardiamo con gli occhi del cuore la gloria della "Tutta Santa" Assunta in Cielo. Chiediamo a Lei un grande amore alla virtù della purezza e la grazia di rimanere fedeli in mezzo alle tante insidie di questa odierna società.

Nota di BastaBugie
: ogni 5 minuti nel mondo un cristiano viene ucciso per la sua fede. I vescovi italiani con il seguente comunicato ricordano le vittime del terrorismo islamico, ad esempio in Iraq e Nigeria, dove i cristiani sono uccisi per la loro fede e fatti oggetto di attacchi continui. Il 15 agosto sarà una giornata di preghiera per i nostri fratelli perseguitati.
Riportiamo il comunicato della Presidenza della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) del 2 agosto 2014. A seguire, una proposta per la celebrazione eucaristica della solennità dell'Assunzione della beata Vergine Maria con uno speciale ricordo dei cristiani perseguitati nella monizione iniziale e nella preghiera universale.

COMUNICATO CEI: NOI NON POSSIAMO TACERE!
Dal 14 al 18 agosto siamo chiamati ad accompagnare spiritualmente il Santo Padre nella sua visita in Corea del Sud, dove partecipa alla VI Giornata della Gioventù asiatica.
Per le nostre comunità è un'occasione preziosa per accostare la realtà di quella Chiesa: una Chiesa giovane, la cui vicenda storica è stata attraversata da una grave persecuzione, durata quasi un secolo, nella quale circa 10.000 fedeli subirono il martirio: 103 di loro sono stati canonizzati nel 1984, in occasione del secondo centenario delle origini della comunità cattolica nel Paese.
In questa luce si coglie la forza del tema che scandisce l'evento: "Giovani dell'Asia! Svegliatevi! La gloria dei martiri risplende su di voi: "Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui" (Rm 6,8).
Sono parole che vorremmo potessero scuotere anche questa nostra Europa, distratta ed indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani. Se la mancanza di libertà religiosa – fondativa delle altre libertà umane – impoverisce vaste aree del mondo, un autentico Calvario accomuna i battezzati in Paesi come Iraq e Nigeria, dove sono marchiati per la loro fede e fatti oggetto di attacchi continui da parte di gruppi terroristici; scacciati dalle loro case ed esposti a minacce, vessazioni e violenze, conoscono l'umiliazione gratuita dell'emarginazione e dell'esilio fino all'uccisione. Le loro chiese sono profanate: antiche reliquie, come anche statue della Madonna e dei Santi, vengono distrutte da un integralismo che, in definitiva, nulla ha di autenticamente religioso. In queste zone la presenza cristiana – la sua storia più che millenaria, la varietà delle sue tradizioni e la ricchezza della sua cultura – è in pericolo: rischia l'estinzione dagli stessi luoghi in cui è nata, a partire dalla Terra Santa.
A fronte di un simile attacco alle fondamenta della civiltà, della dignità umana e dei suoi diritti, noi non possiamo tacere. L'Occidente non può continuare a volgere lo sguardo altrove, illudendosi di poter ignorare una tragedia umanitaria che distrugge i valori che l'hanno forgiato e nella quale i cristiani pagano il pregiudizio che li confonde in modo indiscriminato con un preciso modello di sviluppo.
A nostra volta, vogliamo che la preoccupazione per il futuro di tanti fratelli e sorelle si traduca in impegno ad informarci sul dramma che stanno vivendo, puntualmente denunciato dal Papa: "Ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli".
Con questo spirito invitiamo tutte le nostre comunità ecclesiali ad unirsi in preghiera in occasione della solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto) quale segno concreto di partecipazione con quanti sono provati dalla dura repressione.
Per intercessione della Vergine Madre, il loro esempio aiuti anche tutti noi a superare l'aridità spirituale di questo nostro tempo, a riscoprire la gioia del Vangelo e il coraggio della testimonianza cristiana.

Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana

PREGHIERA PER I CRISTIANI PERSEGUITATI
La preghiera per i cristiani perseguitati potrà trovare opportuno contesto nella Solennità dell'Assunzione della B.V. Maria (15 agosto 2014), con un richiamo nella monizione iniziale e nella Preghiera universale della Celebrazione eucaristica.
In sintonia con la solennità mariana, si potranno proporre altri momenti di preghiera comunitaria, familiare e personale: ad es. Liturgia delle ore, Liturgia della Parola, Adorazione Eucaristica, Santo Rosario.

MONIZIONE INIZIALE DELLA MESSA
Fratelli e sorelle, mentre diamo inizio alla festosa celebrazione dell'Assunzione di Maria nella gloria del Cielo, non distogliamo lo sguardo dalla nostra terra, in cui ella ha vissuto con amore e fedeltà. Chiediamo la sua intercessione perché tanti cristiani, oggi perseguitati in molte nazioni, non si sentano abbandonati dall'indifferenza e dall'egoismo, e perché la violenza ceda il passo al rispetto e alla pace. Partecipi e solidali con questi nostri fratelli, invochiamo per noi e per tutti la misericordia del Signore.

PREGHIERA UNIVERSALE
Maria, Madre del Signore, è segno splendente sul cammino del popolo di Dio, figura di un'umanità nuova e fraterna. Chiediamo a lei, Regina della pace, di intercedere perché, nei paesi devastati da varie forme di conflitti e dove i cristiani sono perseguitati a causa della loro fede, la forza dello Spirito di Dio riporti alla ragione chi è irriducibile, faccia cadere le armi dalle mani dei violenti, e ridoni fiducia a chi è tentato di cedere allo sconforto.
Preghiamo, dicendo: Santa Maria, intercedi per noi!

Per le nazioni dove da troppo tempo la vita è resa impossibile dai conflitti armati e dall'odio che li alimenta, perché il rifiuto della violenza e l'avvio di una coesistenza giusta e fraterna aprano a un futuro migliore, preghiamo.

Per le vittime di ogni guerra, per i rifugiati, gli oppressi, e soprattutto per i cristiani perseguitati a causa della fede, perché sia riconosciuto il loro diritto alla libertà e onorata la dignità di ogni figlio di Dio, preghiamo.

O Dio, Padre di tutti gli uomini, rinnova nel tuo Santo Spirito la faccia della terra e conduci questa tua umanità sulle vie della giustizia e della pace, perché possa giungere a godere un giorno con Maria della tua gloria senza fine. Per Cristo nostro Signore.
(a cura dell'Ufficio Liturgico Nazionale CEI 31 luglio 2014)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 15 agosto 2014)

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