BastaBugie n�384 del 14 gennaio 2015

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1 STRAGE DI PARIGI: IO NON SONO CHARLIE
Chi sono gli autori della strage di Parigi e perché hanno agito
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 STRAGE DI PARIGI: GLI EUROPEI SI SOTTOMETTERANNO ALL'ISLAM?
La donna che, minacciata di morte, ha comunicato ai terroristi i codici per aprire la porta blindata della redazione, è la sintesi della prevedibile disfatta dell'Occidente
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi
3 STRAGE DI PARIGI: GIORNALISTI EROI? LA LIBERTA' SENZA VERITA' DIVENTA TOTALITARISMO
Tutti difendono la libertà di Charlie di offendere e bestemmiare, nella stessa Francia dove appena pochi mesi fa la polizia picchiava e arrestava tranquilli padri di famiglia colpevoli di essere in piazza a chiedere il rispetto della famiglia naturale
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 SPOSARSI A 21 ANNI? PERCHE' NO?
Intervista a Marco e Chiara, 6 anni di matrimonio e 3 splendidi bambini... (per ora...)
Autore: Giulia Tanel - Fonte: Libertà e persona
5 PRENDERSI PER MANO DURANTE IL PADRE NOSTRO?
Non è esplicitamente proibito, ma comunque non corrisponde a una sana liturgia
Autore: Henry Vargas Holguín - Fonte: Aleteia
6 RENZI, DA BUON DEMOCRISTIANO, FA FINTA DI SOSTENERE LA FAMIGLIA, MA LAVORA INVECE PER DISTRUGGERLA
Dal divorzio breve alla fecondazione eterologa, passando dalla farsa degli 80 euro, al riconoscimento delle unioni omosessuali, alla spinta in Europa del movimento gay
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone
7 IL CONVEGNO CHE NON S'HA DA FARE, NOI LO FAREMO LO STESSO
Non ci credevo quando mi dicevano che tutti mi avrebbero tirato per la giacchetta... eppure anche Giuliano Ferrara mi attribuisce cose che non ho mai detto
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
8 SALVANDO IL FIGLIO DALL'ABORTO, SI SALVA ANCHE LA MADRE
Una donna incinta parla sempre di attesa di un ''bambino'', non di ''embrione'' o ''feto'', perché lei sa che è diventata madre... e una volta madri, lo si è per sempre
Autore: Carluccio Bonesso - Fonte: NotizieProVita
9 OMELIA II DOMENICA T. ORD. - ANNO B - (Gv 1,35-42)
Disse loro: Venite e vedrete
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - STRAGE DI PARIGI: IO NON SONO CHARLIE
Chi sono gli autori della strage di Parigi e perché hanno agito
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12-01-2015

Nel giorno in cui, dai capi di Stato ai calciatori, tutti sono Charlie, molti nostri lettori – che non sono Charlie neanche un po' – si saranno sentiti isolati, soli contro il mondo intero. Vorrei rassicurarli. Siamo in molti, probabilmente la maggioranza. Per non farsi intimidire si tratta però di dare al «Non sono Charlie» una dimensione culturale, giuridica e politica adeguata. Di questo siamo invece in pochi a parlare, ma – se ci spieghiamo bene e ci organizziamo – possiamo diventare molti.

PREMESSA
Occorre anzitutto una premessa, che riguarda il terrorismo islamico. La polizia francese sta ancora cercando di dipanare la matassa, ma è chiaro fin da ora che i terroristi di Parigi non erano «cani sciolti». Avevano contatti reali con la Siria e lo Yemen, erano bene addestrati, e sembra avessero rapporti sia con al-Qa'ida sia con l'Isis. Queste organizzazioni sono entrate da tempo in una fase nuova nella storia del terrorismo ultra-fondamentalismo islamico, che ha come prima priorità quella di creare «emirati» (al-Qa'ida) o un grande «califfato» medio-orientale (l'Isis) che funzionino come veri e propri Stati – s'intende, non riconosciuti da nessuno – i quali battono moneta, hanno una polizia, scuole, tribunali e offrono al mondo l'esempio di aree completamente islamizzate secondo i dettami del fondamentalismo più radicale. Per costituire e difendere questi pseudo-Stati c'è bisogno di molti combattenti. Non bastano quelli reclutati in Medio Oriente. Occorre trovarne tra i musulmani di tutto il mondo, e oggi molti musulmani vivono in Occidente. Per reclutarli serve la propaganda. A differenza di quelli del passato – l'11 settembre, Madrid, Londra – gli attentati attuali non sono tentativi di destabilizzare i governi occidentali o di condizionare la loro politica estera – forse anche i terroristi hanno capito che questa si condiziona già da sola, senza bisogno delle bombe –, ma giganteschi spot per arruolare militanti al servizio del Califfo o degli «emiri» di al-Qa'ida che combattono in Iraq, in Siria, in Somalia, nello Yemen.
Le modalità di funzionamento attuali, nel 2015, di al-Qa'ida e dell'Isis - che sono molto diverse dalle strategie di bin Laden nel 2001 - inducono a pensare che chi ha programmato l'attentato di Parigi - perché è stato programmato, e non è l'opera di pazzi isolati - non avesse come primo scopo quello di «punire» Charlie Hebdo o di reagire alla provocazione rappresentata da certe vignette. La cupola terroristica non è partita da Charlie Hebdo. È partita dalla necessità - lo aveva spiegato un messaggio del leader di al-Qa'ida Zawahiri di un mese fa, uno di quelli che finiscono in un trafiletto a pagina quindici dei nostri giornali - di rilanciare il reclutamento con attentati spettacolari che infiammino l'immaginazione di giovani musulmani occidentali e li spingano ad arruolarsi. Pensando a quale spot per l'arruolamento avrebbe potuto essere più efficace, il terrorismo ha trovato Charlie Hebdo, ideale per un gesto propagandistico popolare perché conosciuto e detestato da tanti musulmani. Ma avrebbe potuto trovare tanti altri obiettivi. Non dobbiamo dunque cadere nella facile trappola che ci farebbe derubricare come «eccesso di legittima difesa» da parte dei musulmani gli accadimenti di Parigi, così come altri passati che presero a pretesto le «vignette danesi», un film americano e persino il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Per il terrorismo ultra-fondamentalista islamico queste «provocazioni» sono sempre pretesti, elementi sfruttati in chiave propagandistica per creare attentati funzionali allo scopo di reclutare nuovi terroristi alzando una bandiera. Dunque nessuna «comprensione» per gli attentatori. Non sono giustizieri, sono terroristi criminali.

CHARLIE HEBDO
Una volta chiarito chi sono i terroristi e perché hanno agito possiamo cominciare a parlare seriamente anche di Charlie Hebdo, non senza un momento previo - che per il cristiano è sempre obbligatorio - di pietà e di preghiera per i morti, chiunque siano. Pietà e preghiera non significano però approvazione incondizionata di tutto quanto i morti hanno fatto in vita, che nel caso dei vignettisti di Charlie Hebdo comprende disgustose vignette pornografiche sulla Trinità e sulla Madonna. Si ha tutto il diritto di dissentire, senza essere immediatamente accusati di essere alleati di al-Qa'ida, da Giuliano Ferrara che ha descritto i vignettisti di Charlie Hebdo come «splendidi, spavaldi, eroici» (Il Foglio, 9-1-2015), e da Camillo Langone che sullo stesso giornale li ha definiti «martiri», dimenticando - eppure lo conosce - il detto di sant'Agostino secondo cui «martyres non facit poena sed causa», non è il modo in cui ti ammazzano che ti fa diventare martire, ma la causa per cui sei morto. Volendo cercare dei martiri, li si troverà più facilmente tra i duemila uccisi da Boko Haram lo stesso giorno in Nigeria. Capisco bene il discorso simbolico sull'attacco a Parigi cuore dell'Europa: ma resta che duemila morti in Nigeria hanno trovato spazio infinitamente minore di sedici in Francia.
Ma c'è un aspetto ancora più delicato. L'attentato di Parigi ha purtroppo ridato fiato alla tesi secondo cui chiunque discuta di possibili limitazioni al diritto dei vignettisti di offendere le religioni è sullo stesso piano dei terroristi. Non è così. La libertà di espressione fa certamente parte delle libertà fondamentali ma non è assoluta. Diversamente, dovrebbe essere lecito anche ripubblicare le caricature naziste contro gli ebrei. Nel 2011, come molti lettori sanno, sono stato Rappresentante dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) per la lotta al razzismo, alla xenofobia e alla discriminazione religiosa. Quella esperienza mi convince che trovare il punto di equilibrio fra libertà di espressione – specie quando si presenta, a ragione oppure (come nel caso di Charlie Hebdo) a torto, come espressione «artistica» – e libertà religiosa, che comprende il diritto delle persone e delle comunità religiose a non essere offese, è una questione molto delicata e giuridicamente complessa. Se il pendolo va troppo dalla parte del diritto delle comunità religiose a essere tutelate dalle offese, ci troveremo con i musulmani che considerano qualunque rappresentazione critica come islamofobia e ne chiedono la repressione penale. Ero tra i relatori alla conferenza dell'Osce sull'islamofobia che si tenne a Vienna nel 2011. Per fortuna prevalse il buon senso, ma diversi Paesi musulmani chiedevano direttive internazionali che avrebbero messo fuori legge qualunque critica dell'islam, una specie di versione planetaria delle leggi contro la blasfemia in nome delle quali si condannano all'impiccagione cristiani come Asia Bibi in Pakistan. Se però, spaventati da queste proposte, lasciamo che il pendolo vada troppo dalla parte della libertà di espressione indiscriminata, assoluta e senza nessun limite ci ritroveremo, anzi ci siamo già ritrovati, con le vignette porno sulla Trinità e la Madonna.

LIBERTÀ DI ESPRESSIONE, MA NON SENZA LIMITI
Occorre dunque uno sforzo culturale e giuridico per far riflettere almeno chi è ancora disponibile a pensare sul fatto che l'Occidente si vanta a ragione della sua nozione ampia della libertà di espressione, ma ampia non significa senza limiti, e anche le vignette possono diventare strumento di quell'intolleranza che è il terreno su cui nascono la discriminazione e la persecuzione. Aiutiamo chi ne dubita a riflettere su come le vignette della stampa popolare nazista, che dipingevano gli ebrei con l'occhio torvo e il naso adunco intenti a divorare bambini tedeschi, abbiano contribuito – e non poco – a creare un clima in cui molti in Germania hanno tacitamente approvato le leggi antisemite di Norimberga e le deportazioni.
Oppure sfogliamo la collezione di Charlie Hebdo e prendiamo un esempio, e non scelgo quello ovvio della fin troppo famosa vignetta dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono raffigurati, con tutti i dettagli, impegnati in un rapporto a tre omosessuale. Dopo che un certo numero di militanti islamici sono stati massacrati in Egitto, Charlie Hebdo ha pubblicato una copertina dove vediamo un musulmano crivellato di colpi mentre cerca di difendersi facendosi scudo con il Corano. Il commento è: «Il Corano è una merda. Non ferma le pallottole». Per spiegarsi meglio, il disegno raffigura un Corano dal sospetto e sgradevole colore marrone. Prendo questo esempio perché qualche giornale italiano lo ha riprodotto, esaltandone la fine ironia. Dal momento che qualcuno ora minaccia un'edizione italiana di Charlie Hebdo mi chiedo che reazioni susciterebbe, sugli stessi giornali, una prossima copertina, la prima volta che la mafia ammazza un poliziotto o un giudice, con il Corano sostituito dalla Costituzione, e il commento: «La Costituzione è una merda. Non ferma le pallottole». Sarebbe disgustoso e da condannare senza se e senza ma, con sequestro del giornale in edicola? Certo che sì. Ma perché offendere gli italiani dovrebbe essere illecito e offendere i musulmani o i cristiani no?
Trovare il punto di equilibrio giuridico fra libertà di espressione e libertà religiosa è un esercizio difficile e serio. Non possiamo risolvere la questione né scrivendo intemperanze su Facebook né indossando una maglietta «Je suis Charlie». Capire quello che è successo a Parigi senza essere Charlie: richiede riflessione e pacatezza, ma si deve e si può.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12-01-2015

2 - STRAGE DI PARIGI: GLI EUROPEI SI SOTTOMETTERANNO ALL'ISLAM?
La donna che, minacciata di morte, ha comunicato ai terroristi i codici per aprire la porta blindata della redazione, è la sintesi della prevedibile disfatta dell'Occidente
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi, 9 gennaio 2015

La reazione dell'europeo occidentale medio di fronte al massacro della redazione di Charlie Hebdo è quella che il pensiero dominante detta da cinquant'anni a questa parte. Ieri sera a Matrix su Canale 5 Oliviero Toscani l'ha espressa nella forma pop che John Lennon aveva cantato nel 1971 sulle note suadenti di Imagine: «La storia del mondo è piena di massacri e di omicidi ispirati dalla fede religiosa. I musulmani non hanno l'esclusiva. I Crociati uccidevano per la fede, in Norvegia un esaltato di nome Breivik ha ucciso 77 persone per restaurare la cristianità in Europa. I nazisti portavano scritto sulla divisa "Gott mit uns". Se non ci fossero più le religioni, ci sarebbero molti massacri di meno».

UN MONDO SENZA RELIGIONI
Immaginate un mondo senza religioni, oh come sarebbe pacifico. La versione intellettualmente colta della stessa convinzione l'ha espressa stamattina sul Corriere della Sera Umberto Eco, intervistato dal giornale milanese: «Gli uomini si sono sempre massacrati per un libro: la Bibbia contro il Corano, il Vangelo contro la Bibbia eccetera. Le grandi guerre sono state scatenate dalle religioni monoteiste per un libro. Sono le religioni del libro a provocare le guerre per imporre l'idea contenuta nei loro testi».
La persona che negli ultimi cinquant'anni più intelligentemente ha obiettato a questa interpretazione relativista e tardo-illuminista della religione è un prete italiano: don Luigi Giussani. Proprio in questi giorni gli aderenti al movimento ecclesiale da lui fondato, Comunione e Liberazione, hanno iniziato un nuovo ciclo di catechesi (detto Scuola di Comunità) prendendo a riferimento un libro, Perché la Chiesa, che nel capitolo introduttivo mette il dito sull'errore concettuale, metafisico e antropologico dei promotori dell'abolizione delle religioni per il bene della pace. L'errore sta nel mancato riconoscimento del fatto che ciascuno di noi, anche l'ateo o colui che si disinteressa della religione per sciatteria o per decisione consapevole, in realtà un dio ce l'ha e fa tutti i giorni un'esperienza religiosa. L'uomo non può vivere, e di fatto non vive, senza un significato ultimo al quale dedica, o almeno tende a dedicare, la sua vita.
Scrive Giussani: «Durante una conversazione in cui ebbi occasione di essere coinvolto, un importante professore universitario si lasciò sfuggire questa frase: "Se non avessi la chimica mi ammazzerei!". Un gioco del genere, nella nostra dinamica interiore, anche quando non dichiarata, esiste sempre. Qualcosa c'è sempre che rende la vita degna ai nostri occhi di essere vissuta e senza la quale, anche se non si arrivasse ad augurarsi la morte, tutto sarebbe incolore e deludente. A quella "cosa", qualunque essa sia, senza alcun bisogno che sia teorizzata o espressa in sistema mentale – può essere infatti implicata in una banalissima pratica di vita – l'uomo offre tutta la sua devozione. Nessuno può evitare una finale implicazione: qualunque essa sia, nel momento in cui la coscienza umana vi corrisponde vivendo, è una religiosità che si esprime, è un livello di religiosità che si realizza».
Giussani chiamava questa dinamica interiore che definisce l'uomo "senso religioso", e denunciava il rifiuto di riconoscerla da parte della maggioranza dei suoi contemporanei occidentali: «Esiste in noi una ripugnanza divenuta istintiva a che il senso religioso domini, determini ogni azione coscientemente. È precisamente questo il sintomo dell'atrofia e della parzialità dello sviluppo del senso religioso in noi: quella difficoltà estesa e greve, quella estraneità che avvertiamo quando ci sentiamo dire che il "dio" è il determinante di tutto, è il fattore al quale non si può sfuggire, è il criterio in base al quale si sceglie, si studia, si completa il prodotto del proprio lavoro, si aderisce a un partito, si indaga scientificamente, si cerca una moglie o un marito, si governa una nazione».

PRENDERE COSCIENZA SU QUAL'E' IL NOSTRO DIO
Il punto decisivo, il salto di qualità che tutti siamo chiamati a fare davanti a una tragedia come la strage religiosamente motivata della redazione di Charlie Hebdo consiste proprio in questo: non si tratta di puntare il dito contro il dio degli assassini, o di esecrare il loro distorto senso religioso o di evocare lo sradicamento delle religioni dalla vita dell'uomo. La prima risposta alla provocazione rappresentata dalla violenza omicida in nome di dio compiuta da persone che sono pronte sia a uccidere che a morire come martiri in nome di quel dio, è prendere coscienza di quale sia il nostro dio, quello che determina la nostra vita, e di interrogarci intorno ad esso. Questo, scriveva Giussani, in Occidente nessuno vuole più farlo per una sola ragione: la maggioranza della gente scoprirebbe che quel dio per cui vive è inadeguato, non risponde veramente al desiderio del cuore dell'uomo, e allora dovrebbe rimettersi in discussione.
Il dio dell'uomo e della donna occidentali sono il prestigio sociale, il consumo di beni, l'ebrezza del potere sulle cose e sulle persone, il piacere in tutte le sue forme e varianti, l'esaltazione narcisistica dell'immagine di sé; sono anche l'innamoramento per una persona alla quale tutto si sacrifica, il fare tutto per i propri figli, il vivere solo per la chimica o per scalare l'Himalaya. Se ognuno si interrogasse sulla religiosità implicita in questi modi di vivere, si renderebbe conto che non rispondono pienamente alla grandezza e alla profondità del desiderio del cuore umano, che deludono proprio quando appaiono più profondi (la dedizione totale alla donna/uomo che si ama, il sacrificio di sé per i figli) e si metterebbe in ricerca.
Nella circostanza storica che ci troviamo a vivere, caratterizzata dalla presenza e dall'azione di singoli e di organizzazioni ramificate e adesso quasi statali (vedi il Califfato di Mosul e Raqqa) i cui appartenenti uccidono e si fanno uccidere in nome di dio, compiono sacrifici umani e sacrificano se stessi in nome del loro dio, dobbiamo chiederci se il nostro dio ci rende abbastanza forti da non sottometterci al loro dio. Dobbiamo chiederci se la nostra fede è più forte della loro, se la nostra capacità di sacrificio in nome del nostro dio è più grande della loro. Se la risposta a queste domande è negativa, l'esito storico della vicenda sarà uno solo: la sottomissione. La sottomissione alla volontà e al potere degli estremisti islamici.
E non sarà una sottomissione meramente materiale, politica. Sarà anche una sottomissione spirituale, culturale. Questo purtroppo un numero crescente di intellettuali e leader cattolici non riescono a capirlo; uno spiritualismo sempre più insinuante non permette loro di capire che l'esercizio della forza politica da parte di un potere totalitario produce mutamenti antropologici in coloro su cui viene esercitata. I totalitarismi, che sono costruzioni politiche, producono conformismo e subalternità culturale nelle masse e nelle leadership delle articolazioni sociali delle masse.

GLI EUROPEI SI SOTTOMETTERANNO ALL'ISLAM
Non lo capiscono tanti cattolici, ma lo capiscono atei intelligenti e sofisticati come Michel Houellebecq e Michel Onfray. Il primo col suo romanzo appena uscito in Francia e il secondo in varie interviste, l'ultima delle quali è apparsa sul Corriere della Sera, convergono in un medesimo giudizio: gli europei si sottometteranno all'islam politico perché la civiltà europea è sfinita dal suo nichilismo (cioè dagli dèi inadeguati che si è data in sostituzione del Dio cristiano a partire dall'illuminismo).
Dice Onfray: «Houellebecq continua a dipingere il ritratto di una Francia post-68. E ha ragione di vedervi un esaurimento, meno in rapporto con il breve termine del Maggio 68 che con il lungo periodo della civiltà giudaico-cristiana che crolla. Questa civiltà è nata con la conversione di Costantino all'inizio del IV secolo, il Rinascimento intacca la sua vitalità, la Rivoluzione francese abolisce la teocrazia, il Maggio 68 si accontenta di registrarne lo sfinimento. Siamo in questo stato mentale, fisico, ontologico, storico. Houellebecq è il ritrattista terribile di questo Basso Impero che è diventata l'Europa dei pieni poteri consegnati ai mercati. L'Europa è morta, ecco perché i politici vogliono farla!».
Tonnellate di bombe sganciate in questi anni sulle teste dei jihadisti di vari paesi (e sui civili che avevano la sfortuna di essere loro parenti o di vivere nei pressi) e ininterrotti bombardamenti culturali a tappeto a base di pornografia, consumismo, edonismo e materialismo non hanno sortito alcun effetto, anzi hanno reso più risoluto, efficiente e numeroso il nemico: gli islamici che vanno a uccidere e a farsi uccidere per il loro dio sono sempre di più e sempre più attivi. La potenza economica, militare e tecnologica dell'Occidente, apparentemente superiore, in realtà vacilla per una semplice ragione: il nostro dio è debole, noi non siamo certi di credere veramente nel dio che professiamo, noi non siamo disposti all'estremo sacrificio, noi esitiamo a preferire la morte alla sottomissione.
Il comportamento della redattrice che, minacciata di morte, ha comunicato ai terroristi i codici che hanno loro permesso di aprire la porta blindata della redazione e di fare irruzione, è la tristissima sintesi delle ragioni della prevedibile disfatta dell'Occidente. Per non perdere la vita e per non lasciare orfani i suoi figli si è sottomessa al ricatto estremo, cosa che ha facilitato l'uccisione dei suoi colleghi. A parti invertite, è praticamente certo che le cose sarebbero andate diversamente: la moglie di un terrorista e madre dei suoi figli avrebbe preferito farsi ammazzare piuttosto che mettere in condizione i corpi speciali francesi di neutralizzare il marito jihadista.

LA PAURA DI MORIRE
Per trovare cristiani indisponibili alla sottomissione bisogna guardare a Oriente, dentro alle tende e ai prefabbricati dei profughi cristiani iracheni che hanno perduto tutto per non rinunciare alla fede. In un reportage su Tempi di qualche anno fa l'arcivescovo di Mosul rispondeva alla domanda su cosa significava essere il pastore di un gregge afflitto da estorsioni, rapimenti, uccisioni dovute alla sola colpa di credere in Cristo. «Significa insegnare che non bisogna avere paura di morire», rispondeva Amel Nona, successore di quel Paulos Rahho che era morto dopo essere stato rapito. «Ma per non avere paura di morire bisogna sapere come si deve vivere. Con la parola e con la vita noi pastori insegniamo come si deve vivere».
Immaginare qualcosa del genere in Occidente, sia fra i cristiani praticanti che fra quei cristiani culturali che sono i nostri atei, è molto difficile. La sottomissione sembra davvero il pronostico favorito. Lo conferma quello che ha scritto sul Financial Times un commentatore di punta come Tony Barber: «La Francia è la terra di Voltaire, ma troppo spesso la follia editoriale ha prevalso a Charlie Hebdo. Questo non significa minimamente giustificare gli assassini, che devono essere presi e puniti, o suggerire che la libertà di espressione non dovrebbe estendersi alle rappresentazioni satiriche della religione. Significa semplicemente che un po' di buonsenso sarebbe utile a pubblicazioni come Charlie Hebdo e il danese Jyllands-Posten, che pretendono di sostenere la libertà quando provocano i musulmani, mentre sono soltanto stupide».
Naturalmente difendere il diritto di Charlie Hebdo alla blasfemia – perché le cose vanno chiamate col loro nome, ed è di questo che stiamo parlando – in quanto non farlo rappresenterebbe in questo momento un atto di sottomissione ai jihadisti, non significa approvare la linea editoriale di quel giornale e la filosofia che lo ispira. I redattori del settimanale sono, come tutti noi occidentali, corresponsabili dell'accaduto non perché hanno offeso dio o ferito i sentimenti dei musulmani. Dio non ha bisogno degli uomini per difendersi dalle offese, se così fosse non sarebbe Dio, e chi si sente offeso ha a disposizione molti modi di reagire all'offesa diversi dallo sterminio degli offensori. La blasfemia e la dissacrazione alimentano la violenza nella società non perché eccitano reazioni violente da parte dei credenti, ma perché se non c'è più niente di sacro, se tutto può essere dissacrato, anche la vita umana perde sacralità. Dissacrare Dio significa automaticamente dissacrare tutto ciò che da Dio proviene. Significa dissacrare le creature, dunque anche l'uomo. Se niente più è sacro, non lo è nemmeno la vita umana. Sia il jihadista che il rapinatore, sia l'antagonista del sistema che il tossicodipendente in cerca di soldi si sentiranno legittimati a violare quella vita umana che non è più sacra, in conseguenza della dissacrazione del Creatore.
Con ciò non si intende dire che i redattori di Charlie Hebdo avessero tutti perso il senso del sacro. Poco tempo prima del massacro il direttore Stephane Charbonnier aveva affermato in un'intervista filmata: «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio». Uno che dice così il senso del sacro ce l'ha. È consapevole che c'è qualcosa di grande per cui vale la pena vivere e vale la pena morire. Qualcosa che è più importante della vita del singolo perché è ciò che dà senso alla vita del singolo.
John Lennon cantava che sarebbe bello vivere in un mondo dove non c'è più nulla per cui uccidere o essere uccisi. Ma la verità è che se non c'è più nulla per cui vale la pena morire, non c'è nemmeno più nulla per cui vale la pena vivere. Finché c'è qualcuno in Occidente che testimonia che ciò per cui si vive è anche ciò per cui si è pronti a morire, la guerra non è persa e la sottomissione non è inevitabile.

Nota di BastaBugie: un esempio di cristiani eroici che non hanno avuto paura di affrontare la morte per salvare la vita di innocenti è narrato nel film United 93. In quella terribile mattina dell'11 settembre 2001, quando nei cieli degli Stati Uniti venne attuato il più grave attentato terroristico della storia, uno dei 4 aerei dirottati dai fanatici islamici non giunse a colpire il bersaglio prefissato, per merito della eroica rivolta dei passeggeri.
Per approfondire vai al seguente link:
http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=37
Per vedere il trailer di United 93, clicca qui sotto


http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=106

Fonte: Tempi, 9 gennaio 2015

3 - STRAGE DI PARIGI: GIORNALISTI EROI? LA LIBERTA' SENZA VERITA' DIVENTA TOTALITARISMO
Tutti difendono la libertà di Charlie di offendere e bestemmiare, nella stessa Francia dove appena pochi mesi fa la polizia picchiava e arrestava tranquilli padri di famiglia colpevoli di essere in piazza a chiedere il rispetto della famiglia naturale
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12-01-2015

Diceva oltre un secolo fa lo scrittore inglese G.K. Chesterton che il grave errore delle Scienze sociali è l'uso dello schema medico, ovvero cercare di definire la malattia prima di ricercare la cura. Ma nella società umana, avverte Chesterton, questo schema porta in un vicolo cieco, il rimedio non si trova mai. «In ambito sociale – spiega – ci si deve prima curare della piena definizione di uomo e della sua dignità, prima di considerare i suoi mali». Vale a dire, che è facile e ovvio essere d'accordo su ciò che è male, il problema nasce quando passiamo a definire il bene, perché non c'è dubbio che quello che una parte della popolazione considera bene, un'altra parte lo considererà un male peggiore. Queste riflessioni mi sono tornate in mente guardando l'oceanico corteo umano che ieri ha attraversato Parigi e le altre analoghe manifestazioni in tutta la Francia.
In effetti il terrorismo, la violenza cieca del fanatismo religioso è un male evidente su cui tutti siamo d'accordo: per quel che è successo a Parigi il 7 gennaio – come altrove nel mondo – non ci può essere alcuna giustificazione. Il problema – e la divisione – nasce quando passiamo a definire come è possibile fermare tale fanatismo, come si costruisce – o su quali valori si costruisce - una società dove diverse culture possano convivere pacificamente.

COS'È LA LIBERTÀ?
Tutti siamo stati concordi nel definire la strage del Charlie Hebdo e dell'ipermercato Kosher «un attacco alla libertà». Ma è quando andiamo a definire cosa sia la libertà che allora le strade si dividono e si comprende che quel popolo così unito in piazza contro il terrorismo ben difficilmente lo sarà domani quando si tratterà di decidere cosa fare per difendere la libertà.
La libertà, per chi condivide il pensiero dei giornalisti di Charlie Hebdo, è totale assenza di legami, disconoscimento di ogni paternità. Per questo diventa fanatismo laicista, l'obiettivo preferito è la religione, tutte le religioni. È l'espressione di una ragione "ridotta", secondo la definizione di Benedetto XVI nella tanto citata quanto incompresa lezione di Ratisbona, una ragione che esclude la possibilità del divino. È l'altra faccia – sempre seguendo Benedetto XVI - di una fede in un Dio che agisce anche contro la ragione, come avviene nell'islam, e produce perciò quel fanatismo cieco cui stiamo assistendo.
Ma tornando all'Occidente, diceva papa Ratzinger, «una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture». È la fotografia dell'Europa odierna, che ad esempio fa ancora fatica a capire il fallimento del multiculturalismo.
Di più: siamo di fronte – diceva il cardinale Giacomo Biffi nel 2000 nella famosa lettera alla città di Bologna - a una «ricerca della "libertà senza verità", che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l'uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell'aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell'istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti».

LA LIBERTÀ SENZA VERITÀ TENDE A DIVENTARE TOTALITARISMO
E una libertà senza verità tende a diventare totalitarismo, arbitrio del potere. Così succede oggi: tutti difendono la libertà di Charlie di offendere e bestemmiare, nella stessa Francia dove appena pochi mesi fa la polizia picchiava e arrestava tranquilli padri di famiglia colpevoli di essere in piazza a chiedere il rispetto della famiglia naturale. E anche in Italia i soliti giornaloni e leader politici si stracciano le vesti per la minaccia alla libertà di satira proprio mentre stanno cercando di impedire che a Milano si svolga un convegno in difesa della famiglia naturale, mentre infamano le Sentinelle in piedi e vogliono tappare la bocca a tutti coloro che rifiutano l'ideologia omosessualista.
La libertà senza verità si trasforma inesorabilmente nella libertà di dire solo ciò che vuole il potere, qualunque esso sia.
Nella tradizione cristiana, che ha forgiato l'Europa facendone una grande civiltà fondata sul valore sacro della persona – perché immagine e somiglianza di Dio -, la libertà è invece adesione al vero, è fare il bene, cercare e vivere nella verità. È questo attaccamento alla verità che nei secoli ha permesso sia di integrare nuove popolazioni sia di difendersi da aggressioni. L'islam più volte nella storia ha cercato di conquistare l'Europa con la forza ma alla fine è sempre stato respinto, e grazie alla fede di un popolo per cui la libertà consisteva nell'appartenenza alla Chiesa.
Oggi invece l'islam trova "la cultura del niente", come l'ha definita sempre il cardinale Biffi nella già citata lettera. Così che quanto accaduto a Parigi sembra rappresentare ciò che ancora Biffi aveva profetizzato: «Io penso che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'islam che non mancherà». Da qui l'unica strada possibile: «Solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».
Prima di qualsiasi analisi sul male del terrorismo, dunque, dobbiamo scegliere quale libertà vogliamo perseguire. Da domani non basta più dire "Non sono Charlie", dobbiamo dire chi siamo.

Nota di BastaBugie: torna di drammatica attualità un discorso di Giacomo Biffi che fece molto discutere. Ecco il link per rileggerlo
L'EUROPA O RIDIVENTERA' CRISTIANA O DIVENTERA' MUSULMANA
Il Cardinal Biffi aveva visto giusto nel 2000 mettendo in luce il problema della denatalità e della necessità di selezionare i flussi migratori
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1980

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12-01-2015

4 - SPOSARSI A 21 ANNI? PERCHE' NO?
Intervista a Marco e Chiara, 6 anni di matrimonio e 3 splendidi bambini... (per ora...)
Autore: Giulia Tanel - Fonte: Libertà e persona, 20 novembre 2014

In questi ultimi giorni, alla luce del Sinodo straordinario sulla Famiglia e dei dati dell'Istat, si è parlato molto del sacramento del matrimonio. Purtroppo la realtà dimostra che in Italia le persone che decidono di unirsi "per sempre" sono in continuo calo e, tra questi, il tasso di separazioni e divorzi non lascia presagire nulla di buono.
Eppure i motivi per non perdere la speranza ci sono, dal momento che è ancora possibile trovare sposi giovani e con tanti bambini.
Noi di Notizie ProVita abbiamo posto alcune domande a Marco e Chiara, entrambi di ventisette anni, sposati dal 2008 e genitori di tre splendidi bambini. Le loro risposte sono uno squarcio di sereno...
Marco e Chiara, in controcorrente con il mondo, siete arrivati all'altare giovanissimi. Quando avete annunciato il matrimonio come hanno reagito le persone a voi vicine? E, soprattutto, perché avete deciso di sposarvi e non avete invece preferito la convivenza?
A dire la verità non tutti erano d'accordo che ci sposassimo a ventun anni. In molti ci hanno detto: "È un passo importante, siete giovani, potreste ripensarci! Non sapete quanti sacrifici comporta la vita familiare: divertitevi finché potete!".
Tuttavia noi non siamo mai stati d'accordo con questo modo di concepire il matrimonio: esso non è la tomba dell'amore, bensì è un vincolo che aiuta a ricordare un impegno preso, è il porto in cui tornare dopo una qualsiasi tempesta, è un'alleanza, è una promessa di felicità... in quale altro rapporto "si fa il tifo affinché l'altro vinca"?!?
Per noi il matrimonio è un'unione in grado di dare stabilità, non è solo un sentimento con i suoi alti e bassi, che oggi c'è ma magari un domani viene meno. Ed è una scelta che dev'essere rinnovata ogni singolo giorno perché non è affatto scontato donare la propria vita in pienezza a un'altra persona. Per questo insieme di motivi non abbiamo neanche mai preso in considerazione la convivenza.
Quali sono le più grandi gioie e le più grandi fatiche derivanti dall'essere due persone distinte - uomo e donna, con pregi e difetti - impegnati in un percorso di vita comune?
A essere pienamente sinceri, la nostra esperienza di vita ci ha insegnato che, se si considera esclusivamente il piano strettamente umano, uomo e donna non sembrano fatti per convivere sotto lo stesso tetto. L'unica cosa che rende possibile questa unione è, secondo la nostra visione, il matrimonio cattolico. Questo ci stimola a superare le inevitabili difficoltà, semplicemente perché l'opzione 'divorzio' non è contemplata: "Nessuno osi separare ciò che Dio ha unito". Se abbiamo un problema o lo risolviamo o lo risolviamo, tertium non datur.
Detto questo, la vita insieme si basa su una profonda stima reciproca: se l'altro dice una cosa che non si comprende al volo, bisogna fermarsi per cercare di capire. Questo perché una donna vede cose che passano inosservate per un uomo, e viceversa. È necessario dare fiducia all'altro e non basare tutto sulla propria convinzione: è come fondere assieme due cervelli per trarne un'azione unica.
Nella nostra vita insieme abbiamo compreso quanto i difetti che all'inizio ci facevano sprecare tanto tempo in discussioni ora sono diventati un pretesto per aiutarsi a migliorare a vicenda e se da soli era difficile fare autocritica e migliorare, nella vita di coppia si matura e si diventa migliori molto più facilmente e con meno fatica. Si impara a vedere i propri limiti con gli occhi dell'altro ed è così che il coniuge diventa uno specchio nel quale vedere e correggere i propri difetti.
In pochi anni di matrimonio, a dispetto della crisi economica e del contesto sociale, avete avuto tre bambini. Cos'è che vi muove verso una così generosa apertura alla vita?
I figli sono il frutto concreto del nostro amore. Essere sposi significa assumere su di sé il titolo di procreatori, nel senso di poter essere compartecipi con Dio nella creazione di una nuova vita. Non vi è onore più grande.
Nessun bambino ha mai portato una famiglia in rovina. Oggi più che mai è costoso avere dei bambini (non solo dal punto di vista materiale, quanto per poter offrire loro una buona formazione ed educazione), ma il 'problema' economico va affrontato dopo che il bambino è arrivato, non prima. Spesso, infatti, le cose che nella teoria sembrano impossibili, nella pratica si rivelano assolutamente realizzabili. Fino ad ora, a dispetto dei nostri tre figli, siamo sopravvissuti con un solo stipendio e con un mutuo... anche se nessuno ci crede!
Se uno dei vostri bambini non fosse stato sano, avreste pensato all'aborto?
Assolutamente no! Abbiamo sempre rifiutato anche tutti gli esami che ci proponevano per diagnosticare eventuali 'difetti' del bambino.
Siete ancora troppo giovani per fare un bilancio della vostra vita. Tuttavia, se qualcuno vi chiedesse com'è essere padre e madre, cosa rispondereste?
Risponderemmo molto semplicemente che non potremmo più fare a meno di non esserlo. Ogni sacrificio fatto per un figlio è ripagato con il centuplo. Ed è meglio faticare quando i figli sono piccoli, per poi un giorno, quando saranno liberi, godere della loro compagnia e raccogliere i frutti di ciò che abbiamo seminato.
In conclusione, in base alla vostra esperienza, vi sentireste di dire a una giovane coppia di fidanzati di sposarsi presto (e per sempre!) e di fare tanti figli?
Certamente! Perché sposarsi e, quindi, fare figli è la risposta che tantissimi giovani cercano ma che, spesso, viene loro nascosta. Finite le scuole superiori troppi ragazzi e ragazze cadono in una routine fatta di superficialità e materialismo, che danno loro una felicità immediata e apparente ma che svanisce a serata finita o quando un oggetto non è più nuovo e di moda.
Un giovane si sentirà sempre incapace di una vita di successo finché non si sposerà e avrà una vita propria. Allora non sarà più un figlio, ma un capofamiglia. Non sarà più un ragazzo, ma un uomo. Non è il primo stipendio che rende un giovane adulto, ma la sua prima grande responsabilità: il matrimonio. E lo stesso vale per la donna, che essendo sposa e madre realizza in pieno le sue capacità di donazione e di accoglienza.

Fonte: Libertà e persona, 20 novembre 2014

5 - PRENDERSI PER MANO DURANTE IL PADRE NOSTRO?
Non è esplicitamente proibito, ma comunque non corrisponde a una sana liturgia
Autore: Henry Vargas Holguín - Fonte: Aleteia, 30/12/2014

La pratica di prendersi per mano al momento di recitare il Padre Nostro deriva dal mondo protestante. Il motivo è che i protestanti, non avendo la Presenza Reale di Cristo, ovvero non avendo una comunione reale e valida che li unisca tra loro e con Dio, considerano il gesto di prendersi per mano un momento di comunione nella preghiera comunitaria.
Noi nella Messa abbiamo due momenti importanti: la Consacrazione e la Comunione. È lì – nella Messa – che risiede la nostra unità, è lì che ci uniamo a Cristo e in Cristo mediante il sacerdozio comune dei fedeli; il prendersi per mano è ovviamente una distrazione da questo. Noi cattolici ci uniamo nella Comunione, non quando ci prendiamo per mano.
Nell'Istruzione Generale del Messale Romano non c'è nulla che indichi che la pratica di prendersi per mano vada effettuata. Nella Messa ogni gesto è regolato dalla Chiesa e dalle sue rubriche.

PRENDERSI PER MANO DURANTE IL PADRE NOSTRO?
È per questo che abbiamo parti particolari della Messa in cui inginocchiamo, parti in cui ci alziamo, altre in cui ci sediamo ecc., e non c'è alcuna menzione nelle rubriche che parli del fatto che dobbiamo prenderci mano al momento di recitare il Padre Nostro.
Si deve quindi evitare questa pratica durante la celebrazione della Messa. Se qualcuno vuole farlo può (a mo' di eccezione) con qualcuno di assoluta fiducia, senza forzare nessuno, senza dar fastidio a nessuno e senza volere che questa pratica diventi una norma liturgica per tutti.
Bisogna tener conto del fatto che non tutti vogliono prendere la mano del vicino, e cercare di imporlo è qualcosa che va a detrimento della preghiera, della pietà e del raccoglimento.
Un'altra cosa molto diversa è la preghiera comunitaria al di fuori della Messa; quando si recita fuori dalla Messa non c'è alcuna opposizione se si prende la mano di qualcuno, perché è un gesto emotivo e simbolico.
Questo, come altri atteggiamenti, non è altro che l'esaltazione del sentimento. L'essere in comunione con qualcuno non consiste tanto nel prendere qualcuno per mano quando si recita il Padre Nostro, ma nel fatto di essere confessato, di essere in stato di grazia e soprattutto nell'essere preparato all'Eucaristia.
Se il gesto di prendersi la mano fosse necessario o importante o conveniente per tutta la Chiesa, i vescovi o le Conferenze Episcopali avrebbero inviato già da molto tempo una richiesta a Roma perché questa pratica venisse impiantata. Non lo hanno fatto, né credo che lo faranno mai.

PRATICHE NON LITURGICHE
Un'altra cosa che vedo molto quando si recita il Padre Nostro è che la gente alza le mani come fa il sacerdote. Nemmeno questo va bene, perché non spetta ai laici durante la Messa compiere gesti riservati al sacerdote o pronunciare le parole o le preghiere del sacerdote confondendo il sacerdozio comune con il sacerdozio ministeriale.
Solo i sacerdoti stendono le mani, e la cosa migliore è che i fedeli restino o preghino con le mani giunte perché la fede interiore è ciò che conta, è quello che Dio vede.
I gesti esterni nella Santa Messa da parte dei sacerdoti servono a far sì che i fedeli – in primo luogo – vedano che il sacerdote è l'uomo designato che intercede per loro.
Stendere le braccia nella preghiera era già abituale nella Chiesa delle origini, ma nel contesto di un circolo di preghiera, o nella preghiera in privato o in un altro incontro non liturgico.
I gesti nella Messa sono precisi sia nel sacerdote che per i fedeli; ciascuno fa i propri e i fedeli non devono copiare quelli dei sacerdoti. I gesti dei fedeli nella Messa sono le loro risposte, il loro canto, le loro posizioni.
Sia prendere la mano di qualcuno che alzare le mani recitando il Padre Nostro sono, nei fedeli, pratiche non liturgiche, che pur non essendo esplicitamente proibite nel Messale non corrispondono nemmeno a una sana liturgia.
I fedeli non devono ripetere né con parole né con azioni ciò che dice e fa il sacerdote la cui funzione è presiedere l'assemblea liturgica.

Fonte: Aleteia, 30/12/2014

6 - RENZI, DA BUON DEMOCRISTIANO, FA FINTA DI SOSTENERE LA FAMIGLIA, MA LAVORA INVECE PER DISTRUGGERLA
Dal divorzio breve alla fecondazione eterologa, passando dalla farsa degli 80 euro, al riconoscimento delle unioni omosessuali, alla spinta in Europa del movimento gay
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone, Novembre 2014

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi, ciò che è accaduto nel Consiglio dei ministri dello scorso 8 agosto dovrebbe averli definitivamente fugati. Cosa è successo infatti quel giorno? Che a sorpresa il presidente del Consiglio Matteo Renzi si è presentato in Consiglio e ha posto il veto a un decreto legge teso a contenere i drammatici effetti della cervellotica sentenza della Corte Costituzionale che introduceva la fecondazione artificiale eterologa nel nostro ordinamento. Si ricorderà che il 10 aprile 2014, a proposito dell'ennesimo ricorso contro la Legge 40 sulla fecondazione artificiale, la Consulta ha fatto cadere il divieto di eterologa, ovvero di fecondazione con la donazione di gameti o ovuli da terza persona estranea alla coppia. A un male oggettivo - la fecondazione artificiale omologa, cioè all'interno della coppia - si aggiunge un ulteriore peggiorativo, che oltre al resto fa saltare anche la famiglia come "luogo" della procreazione. Da quel momento il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha cercato di trovare un accordo nella maggioranza per un decreto legge che - agendo sul fattore della sicurezza sanitaria - ponesse almeno dei limiti al ricorso a tale tipo di pratica. Accordo difficile, visto che il Partito Democratico - principale forza di governo - è in larga maggioranza favorevole alla liberalizzazione della fecondazione artificiale, ma alla fine il ministro ci era riuscita e già da giorni si dava per scontata l'approvazione del decreto legge in Consiglio dei ministri. Poi, il colpo di scena dell'8 agosto: Renzi blocca tutto con la scusa che dei temi etici si deve occupare il Parlamento e quindi - malgrado le assicurazioni contrarie - via libera ai centri privati e alle Regioni già pronte a sfruttare o favorire il business dell'eterologa.

IL PARA-MATRIMONIO GAY
Pressioni delle associazioni pro-eterologa o mero calcolo politico? Non si può dire con certezza, ma resta il fatto che il governo - ma dovremmo dire il presidente del Consiglio - conferma la propria ostilità alla famiglia naturale.
Tanto è vero che mentre rinviava al Parlamento la questione della fecondazione eterologa con la scusa dei "temi etici" che non spettano al governo - ma il decreto previsto parlava solo di problemi sanitari -, Renzi sbandierava la sua decisione dl varare un decreto per legalizzare le unioni fra persone dello stesso sesso, un vero e proprio para-"matrimonio" gay stando alle linee annunciate.
Il modello evocato dal presidente del Consiglio è infatti quello britannico, in cui alle coppie gay che rendono pubblica e registrata la loro unione vengono attribuiti tutti i diritti della famiglia naturale, ad esclusione dell'adozione. È evidente che, proprio sull'esempio britannico, si promuove un vero e proprio "matrimonio" tra persone dello stesso sesso, non chiamandolo inizialmente con questo nome: l'approvazione del "matrimonio" gay vero e proprio avviene in un secondo tempo, quando ormai l'opinione pubblica ha familiarizzato con l'idea. Ma l'elenco dei provvedimenti anti-famiglia che Renzi ha promosso o avallato è lungo, al punto che si può dire che nessun governo ha mai fatto tanto contro la famiglia. Certo, dobbiamo renderci conto che l'attacco alla famiglia viene da molte parti e riguarda molti argomenti, ma il presidente del Consiglio mostra di compiacere questi attacchi e vi partecipa con grande entusiasmo. Si tratta di provvedimenti che hanno effetti diretti o indiretti o anche semplicemente di indirizzo culturale.

RIVOLUZIONE DEL DIRITTO DI FAMIGLIA
È una manovra a tenaglia, letale per l'istituto del matrimonio. Non si tratta infatti, in un caso e nell'altro, di una semplice abbreviazione dei tempi di attesa che evita ulteriori liti e tensioni. Al contrario, è una vera e propria rivoluzione nel diritto di famiglia. Pur con l'introduzione del divorzio, il nostro ordinamento mantiene comunque una struttura per cui il matrimonio resta il valore positivo, e la concessione del divorzio una deroga per una serie di casi previsti. Per questo motivo è stato previsto un tempo lungo di ripensamento (all'inizio 5 anni, poi ridotti a tre) nel tentativo di recuperare il rapporto coniugale. Il sostanziale azzeramento di questo periodo, invece, pone ormai sullo stesso piano la decisione di sposare con quella di divorziare, lo Stato si proclama sostanzialmente indifferente. E con il decreto salva-liti si completa l'opera: il ricorso al giudice, infatti, nei casi di divorzio sottolinea l'aspetto pubblicistico del matrimonio, ovvero la sua rilevanza per la società e per lo Stato. Eliminando questo passaggio, il matrimonio viene ridotto a un mero contratto privatistico, ovvero un contratto fra le due parti come avviene per un qualsiasi contratto di compravendita. Viene quindi di fatto a cadere il riconoscimento della famiglia come società naturale, così come è definita dalla Costituzione italiana all'articolo 29.

LA FARSA DEGLI 80 EURO
Prendiamo ad esempio quello che finora è stato il provvedimento più significativo del governo Renzi, gli 80 euro in più in busta paga per chi ha redditi bassi. Ebbene, pure in questo caso si è deciso di penalizzare le famiglie, soprattutto quelle con figli: nell'assegnazione di questi 80 euro nessun riferimento al reddito familiare, così che due conviventi che lavorano potranno godere di 160 euro in più al mese (80+80), mentre una famiglia con figli, con il solo reddito del padre avrà soltanto gli 80 euro. È solo un esempio, la lista è lunga tenendo anche conto che Renzi gioca su due tavoli: non è infatti solo il capo del governo, ma è anche il segretario del Pd, maggiore forza politica in Parlamento. E così per promuovere il divorzio-express manovra entrambe le leve. Da una parte, dopo l'approvazione alla Camera, spetta ora al Senato dare via libera al disegno di legge sul divorzio breve che ridurrà ad appena sei mesi il tempo di attesa per sciogliere il matrimonio (se consensuale) che potrà diventare un anno se ci sono dei figli minorenni. Dall'altra parte, nelle maglie del cosiddetto decreto salva-liti, varato a settembre, il governo ha inserito anche il divorzio tra le cause che si possono risolvere rapidamente con la mediazione degli avvocati senza ricorrere al giudice.

COMANDA SCALFAROTTO
Da non sottovalutare poi le iniziative che hanno un valore di indirizzo politico e danno un segnale culturale chiarissimo. Parliamo ad esempio del voto negativo del governo italiano alla risoluzione a favore della famiglia votata al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Onu) lo scorso 25 giugno. Si trattava di un testo molto prudente, in occasione del XX anniversario dell'Anno Internazionale della famiglia, che recitava così: «La famiglia è l'unità naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato». Lo stesso concetto scritto nella nostra Costituzione, quasi parola per parola. Ebbene, l'Italia ha votato contro, giustificandosi con la volontà di uniformarsi alla posizione tenuta dall'Unione Europea. Ma come? Proprio il governo che ha a suo capo quel Renzi che un giorno sì e l'altro pure grida che non prende lezioni dall'Europa? E infatti in Europa si fa sentire e come, tanto che come Presidenza del Consiglio Europeo (quel famoso semestre in cui l'Italia, nelle intenzioni, doveva mettere tutti in riga) il nostro governo ha organizzato per il 28 ottobre a Bruxelles una conferenza di alto livello sul tema "Lottare contro la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere: prossime tappe nell'elaborazione delle politiche dell'UE e degli Stati membri". A parlare, ovviamente, tutti i principali leader europei omosessualisti e le principali associazioni gay, a rappresentare l'Italia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Ivan Scalfarotto. Sì, proprio lui, il promotore della legge liberticida sull'omofobia in attesa di approvazione al Senato. Ogni commento appare superfluo.

Fonte: Il Timone, Novembre 2014

7 - IL CONVEGNO CHE NON S'HA DA FARE, NOI LO FAREMO LO STESSO
Non ci credevo quando mi dicevano che tutti mi avrebbero tirato per la giacchetta... eppure anche Giuliano Ferrara mi attribuisce cose che non ho mai detto
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 05/01/2015

Un'amica - forse atea forse cattoprogressista, di certo intelligentissima, radical chic – me lo aveva detto due giorni dopo l'uscita del mio primo libro: bello. Dici cose vere anche per me che non sono così allineata alla Chiesa. Ma sta' attenta, perché tutti ti tireranno per la giacchetta, e cercheranno di farti diventare una bandiera di idee che non avrai mai espresso né pensato. Io, col mio formidabile fiuto strategico, pensavo che si sbagliasse. Figurati, chi mai potrebbe ascoltare o addirittura tirare per la giacchetta una come me, che da giorni cerco invano qualcuno che ospiti una presentazione del mio libro (alla fine la moglie di un collega, nel suo negozio peraltro non di libri, ha avuto pietà di me, e tra i figli, i suoceri, le amichette di scuola e due valorose amiche del mare che hanno valicato l'Appennino abbiamo raggiunto la venticinquina di persone).

TIRATE PER LA GIACCHETTA
Invece in qualche modo è successo. Una bandiera no, ma di tirate per la giacchetta ne ho avute diverse. E così l'altro giorno ho scoperto (da Repubblica) di essere sul punto di partecipare a un convegno omofobo, e (dal Foglio) di avere detto che "i gay vanno curati". Io in realtà credevo di avere scritto un libro di lettere alle amiche per convincerle a sposarsi, poi un altro sul linguaggio maschile e femminile e la manutenzione del matrimonio, infine uno sull'obbedienza. Non so niente dell'omosessualità e non mi interessa. Chiedo a gran voce che mi siano riportate chiaramente e precisamente le parole in cui ho offeso gli omosessuali, in cui ho detto che è lecito mancare loro di rispetto, in cui li ho giudicati o ho detto che vanno curati.
Nei miei libri il tema non è sfiorato, mentre in altre circostanze l'unica cosa che ho detto – e ripetuto fino alla nausea sul tema – è che i bambini hanno diritto a un padre maschio e a una madre femmina. Se questa è omofobia, be', allora siete usciti allo scoperto, attivisti lgbt. Se è omofobia dire che abbiamo bisogno di rapportarci all'identità maschile e femminile per definire la nostra (cosa che affermano moltissimi omosessuali per primi), allora siamo davvero alla negazione della realtà.

CATTOLICA DI FERRO?
Un'altra cosa che mi fa sbellicare dalle risate è quando mi definiscono "cattolica di ferro" (Il Fatto), paladina della famiglia tradizionale. Io sono cristiana cattolica, sì, ma di ferro proprio no. Sono così tanto peccatrice e così tanto incoerente e così tanto misera che non basterebbero dieci libri per elencare le mie mancanze e cadute e debolezze. Altro che ferro. Però noi che crediamo nel Vangelo, sappiamo che noi uomini non siamo buoni, da soli, che dal cuore umano escono ogni sorta di schifezze, sappiamo che addirittura Gesù dice di se stesso che nessuno è buono se non Dio solo. Figuriamoci. Figuriamoci se non sappiamo che la famiglia è anche il luogo della nostra miseria, della fatica, delle nevrosi a volte, del sudore delle lacrime. Dello scontro, delle litigate furibonde in alcune, oppure del grigiore. Sappiamo che la famiglia non è mai perfetta, a volte è proprio un disastro, altre volte invece funziona, ma sempre a prezzo di fatica e impegno. Soprattutto di una decisione di fondo.
Noi che andiamo in giro a difendere la famiglia non abbiamo nessuna intenzione di farne un quadretto a tinte pastello. Noi sappiamo che un padre e una madre sono una condizione necessaria ma non sufficiente alla crescita serena dei figli. Ci sono pessimi padri e pessime madri. Però che la condizione è necessaria dobbiamo dirlo, e se questa è percepita come omofobia, non so che farci. Se le lettere in cui dico alle mie amiche che vale la pena sposarsi sono oscurantiste, non so che farci. Se i capitoli in cui scrivo che maschi e femmine sono diversi e parlano due lingue sono considerati stereotipi da bigotta, non so che farci.

NUOVI AMICI
Poi a un certo punto grazie ai libri ho incontrato nuovi amici e abbiamo scoperto che stavamo dicendo le stesse cose. Padre Maurizio Botta, Mario Adinolfi, Marco Scicchitano e io abbiamo tenuto diversi incontri a Roma, uno nel cuore della città, gli altri in periferia. Gli incontri, che hanno un format ricorrente, li abbiamo chiamati "Contro i falsi miti di progresso" (video). Anche a Milano faremo lo stesso incontro, e mi piacerebbe che chi ci ha attaccati senza sapere quello che avremmo detto lo ascoltasse, e ci dicesse cosa c'è di sbagliato nelle nostre parole. Noi cerchiamo di ragionare su quello che viene dal pensiero unico considerato progresso e che invece secondo noi è qualcosa che fa male alle persone, tutte. I temi si sono via via definiti insieme ad altri amici davanti a qualche bicchiere di vino, a qualche piatto di cose buone preparate da un altro nostro amico, Gerry, nel suo locale, Est, che è il nostro rifugio. Insieme abbiamo capito, o almeno così a noi è sembrato, che tra i falsi miti i più pericolosi in giro nell'aria oggi ci siano quelli legati all'ideologia del gender, per i loro riflessi sulla vita quotidiana delle persone che ne sono profondamente e spesso inconsapevolmente imbevute, e anche per gli effetti più estremi, che invece riguardano pochissimissime persone: se maschio e femmina sono solo orientamenti e inclinazioni culturali, allora non è necessario che ci siano proprio esattamente un maschio e una femmina per tirar su un bambino, e se la biologia testarda omofoba e oscurantista si ostina a continuare a pretendere che un figlio venga da un padre maschio e una madre femmina, la cosa deve poter essere aggirata in diversi modi. Per esempio iperstimolando donne che producano molti ovuli insieme, nonostante i gravissimi rischi per la salute, e poi pagando altre donne che facciano crescere il bambino prodotto grazie a spermatozoi di varia provenienza (venduti, prestati, donati, prodotti dall'uomo che farà il padre...). Queste e molte altre tecniche per produrre persone, che trasformano esseri umani in cose manipolabili e vendibili, ci preoccupano molto, mentre dal sentire comune vengono completamente rimosse: quando si mettono in copertine patinate foto di omosessuali di successo che stringono un bebè fra le braccia, oppure dichiarano di avere deciso che entro una certa età avranno senz'altro il loro (loro solo in parte) bambino, si omette di dire quanto dolore c'è dietro quella foto.

LA DIFFERENZA TRA MASCHILE E FEMMINILE
Ora, io vorrei dire con il cuore in mano e con tutta la sincerità di cui sono capace che capisco benissimo il desiderio di paternità e di maternità di chiunque, e che un bambino che nasce è sempre una cosa bellissima, ma i nostri desideri non sempre possono essere realizzati, l'esperienza del limite la facciamo tutti, tutti i giorni. E se vogliamo superarli facendoci del male siamo liberi, ma quando il male viene fatto ai più piccoli (bambini che non potranno mai conoscere uno o entrambi i genitori, bambini staccati dalla mamma che li ha custoditi nove mesi, bambini con fratelli congelati, e poi bambini che non potranno rapportarsi con la figura del loro stesso sesso o di quello opposto, solo per dire qualche possibilità) chiunque possa deve alzare la voce per difendere chi non può farlo da solo.
Padre Maurizio, Marco, Mario e io abbiamo deciso di farlo come ci è possibile. Ognuno di noi viene da una storia diversa, ognuno ha la sua sensibilità e la sua competenza: un sacerdote oratoriano, uno psicoterapeuta, un giornalista campione di poker e fondatore del Pd. E poi ci sono io, che ho cercato solo di ragionare sulla differenza tra maschile e femminile scrivendo dei libri, perché ho sperimentato nella mia vita di moglie e di mamma che questa differenza non solo esiste, ma è fondamentale. Ognuno di noi nel nostro format mette la propria parte e sensibilità. Nessuno di noi ha mai detto che si possa mancare di rispetto alle persone omosessuali, né che vadano curate. Se quello che diciamo per smascherare le bugie sulla "omogenitorialità" suscita tanto odio e tante accuse false, è perché noi diciamo la verità, e non ci possono controbattere con la ragione. Possono solo urlare.
Infine sul tema "i gay vanno curati": non l'ho mai detto. Non è vero. Gli omosessuali non vanno curati. Se vivono contenti la loro condizione non hanno bisogno di nessuna cura. Se la loro non contentezza dipende da violenze subite, tali violenze vanno perseguite severamente (e ci sono già le leggi che perseguono ogni violenza contro ogni persona, con l'aggravante dei motivi abietti). Ci sono però persone omosessuali che vivono con dolore la loro inclinazione, e non solo per lo stigma sociale. Se queste persone vanno di loro iniziativa a cercare aiuto, chiedendo l'assistenza di qualcuno, io non trovo niente di offensivo nel fatto che specialisti – psichiatri, psicoterapeuti – provino ad aiutarli.

Nota di BastaBugie: l'incontro a cui parteciperà Costanza Miriano di cui si parla nell'articolo, si terrà a Milano sabato 17 gennaio
Per informazioni cliccare qui
https://www.bastabugie.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=eventi

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 05/01/2015

8 - SALVANDO IL FIGLIO DALL'ABORTO, SI SALVA ANCHE LA MADRE
Una donna incinta parla sempre di attesa di un ''bambino'', non di ''embrione'' o ''feto'', perché lei sa che è diventata madre... e una volta madri, lo si è per sempre
Autore: Carluccio Bonesso - Fonte: NotizieProVita, giugno 2013

La legge 194 ha legalizzato l'aborto quando la gravidanza comporta "un serio pericolo per la sua (della donna) salute fisica o psichica". Se il pericolo fisico può medicalmente in qualche modo esser prevedibile, non lo è per l'ambito psichico, perché la donna si trova di fronte ad un problema e a una soluzione che sono un bivio tragico.
Chi ha contatto frequente con donne incinte può notare che la donna incinta parla sempre di "attesa di un bambino". Il fatto, pur nella sua semplicità disarmante, non va trascurato, perché essa non usa termini come embrione o feto, ma "bambino". Il suo parlare cela un evento potente, ovvio per le donne, ma nascosto al pensiero maschile. Accade che in essa passi in secondo piano il suo "esser donna" per far posto al nuovo "esser madre". C'è un cambiamento d'identità: da donna a madre! E una volta madri, lo si è per sempre.
Il fatto non è solo fisico, ma anche profondamente psicologico, perché nella donna si schiude uno spazio fisico e interiore per il figlio, che prelude alla relazione amorosa di accudimento.

SENTIMENTO DI FALLIMENTO
L'aborto s'inserisce in questo scenario emotivo e intimo. Perdere un figlio nelle prime settimane di gravidanza per aborto spontaneo ha l'effetto di uno choc caratterizzato da un senso di svuotamento, soprattutto se il figlio era desiderato. Non è solo delusa l'attesa di maternità, ma si prova anche un sentimento di fallimento.
Quando invece l'aborto è procurato, l'identità materna subisce un colpo devastante. Successivamente la donna tende a cambiare la percezione di se stessa, a volte anche in là col tempo.
Le testimonianze evidenziano una caduta dell'autostima, un sorriso che svanisce sotto l'azione del senso di colpa. Il dramma cresce nella solitudine e nel tentativo di rimuovere l'evento, tacendo il proprio malessere a se stessa, al partner e agli altri. All'inizio comincia col trascurarsi, non sentendosi degna di meritare d'esser ancora felice, perché ciò che di sé la donna pensava prima dell'aborto non corrisponde più a quello che dopo prova per se stessa. La verità è che l'aborto non è mai un ritornare a prima della gravidanza: il tempo non torna mai indietro.
Testimonia una ragazza: "L'aborto non ti riporta a prima della gravidanza. L'aborto non evita che tu mater diventi madre. Dal momento del concepimento sei già madre, ti piaccia o no. La verità è che l'aborto ti rende madre di un bambino morto". E qui scatta la coscienza devastante post aborto, che rende consapevole la donna del fatto che precedentemente il figlio era vivo.
La gravidanza è l'inizio dell'interazione fra un Io materno e un Tu filiale, il via a una relazione che è per sempre, poiché è assiomatico che dalla relazione non si esce. Non è che l'aborto concluda la relazione, come si va affermando. E non vi è negazione, rimozione o razionalizzazione di sorta che possa cancellare l'evento.
Dopo l'aborto, la donna dovrà affrontare la propria impotenza a modificare ciò che è definitivamente accaduto. Non si è liberata del problema, ma l'ha trasformato in un lutto! E il lutto non è mai per definizione una soluzione, ma una tragedia, qualcosa di traumatico che ricorre nell'immaginazione, nei pensieri, nei ricordi e nei sogni della madre mancata. Nei primi tempi può accadere che la donna provi anche del sollievo per essersi tolta "il problema" che non sapeva come sciogliere. E la negazione può funzionare anche per anni. Ma prima o poi dal fondo della sua identità qualcosa busserà al suo corpo. Alcuni esperti l'hanno configurato come disturbo post traumatico da stress.
Tutto questo porta a concludere che la donna, la madre, si salva o si perde con il figlio.

Fonte: NotizieProVita, giugno 2013

9 - OMELIA II DOMENICA T. ORD. - ANNO B - (Gv 1,35-42)
Disse loro: Venite e vedrete
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 18 gennaio 2015)

Il tema centrale di questa seconda domenica del Tempo Ordinario è la vocazione. La vocazione è una chiamata particolare che Dio rivolge a qualche sua creatura, affinché essa sia tutta sua e si consacri a Lui nella vita sacerdotale o religiosa.
Già nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della vocazione di Samuele. Nella notte, Dio chiamò per tre volte il giovane Samuele e, per tutte e tre le volte, il giovane pensò che fosse stato il suo maestro Eli a chiamarlo. Alla fine Eli comprese che si trattava del Signore, e allora invitò il giovane a seguire questa chiamata di Dio. Così, quando per la quarta volta Samuele udì quella voce misteriosa che a lui si rivolgeva, così rispose: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,10).
In questo brano colpisce molto la prontezza e la disponibilità di Samuele, il quale, appena si accorse che Dio lo chiamava si rese subito disponibile a compiere la sua Volontà. Sul suo esempio anche noi dobbiamo essere pronti ad eseguire la Volontà di Dio, a chiedere con insistenza che il Signore ci indichi ciò che Lui vuole da noi. Ogni volta che recitiamo il Padre nostro, tra le varie richieste, diciamo anche «sia fatta la Tua Volontà». Affinché queste non siano parole superficiali, da parte nostra ci deve essere tutta la disponibilità a uniformare la nostra volontà alla Volontà Divina. Dobbiamo essere sempre pronti a rinunciare al nostro punto di vista appena ci accorgiamo che il Signore vuole qualcos'altro da noi. In questa uniformità alla Volontà di Dio consiste la vera santità.
In questa prima lettura colpisce anche il fatto che fu Eli a far comprendere l'origine di questa chiamata. Così sarà anche per noi. È indispensabile la presenza di una guida spirituale che ci indichi con certezza ciò che il Signore vuole da noi. Su ciascuno di noi, Dio ha un progetto particolare e solo se riusciremo a realizzare questo piano troveremo la nostra felicità. Fino a che non riusciremo a compiere ciò, il nostro cuore sarà sempre insoddisfatto. Ma, per comprendere quella che è la nostra chiamata, c'è bisogno di una guida spirituale.
Questo vale per tutti i cristiani e vale soprattutto per quella che è la grande scelta della vita. Da alcuni Dio vuole una vocazione particolare, una consacrazione nella vita religiosa o sacerdotale. Secondo san Giovanni Bosco, che fu il Santo dei giovani, Dio chiama un ragazzo su tre. Si capisce allora quanto numerose dovrebbero essere le vocazioni. Purtroppo si assiste un po' ovunque al calo delle vocazioni. Ciò dipende dal fatto che molti giovani chiamati dal Signore non ascoltano o non vogliono seguire questa speciale vocazione. Non la ascoltano perché distratti da mille cose, e non la comprendono perché non sono guidati da nessuno.
È dunque importante pregare affinché molti giovani comprendano e rispondano come Samuele; ed è importante, per chi si pone questo interrogativo, trovare una buona guida spirituale che li possa aiutare.
Nel brano del Vangelo abbiamo invece la chiamata dei primi Discepoli da parte di Gesù. Sono loro a seguire il Maestro alle parole di Giovanni il Battista: «Ecco l'Agnello di Dio» (Gv 1,36). Colpisce profondamente il disinteresse del Precursore, il quale non raduna attorno a sé dei discepoli se non per indirizzarli a Gesù. Egli non ricercò la propria gloria, ma unicamente quella di Dio. E così Andrea, che prima era discepolo di Giovanni, da quel momento iniziò a seguire Gesù e indusse suo fratello Pietro a fare altrettanto. Già in questo brano del Vangelo possiamo vedere il primato dell'apostolo Pietro, per il fatto che Simone, il fratello di Andrea, fu l'unico Apostolo a cui fu cambiato il nome: «Sarai chiamato Cefa – che significa Pietro» (Gv 1,42).
Ai primi Discepoli che chiedevano qualcosa su di Lui, il Signore disse: «Venite e vedrete» (Gv 1,39). Così, a tutti quelli che, pur sentendo la chiamata di Dio, hanno paura di fare questo passo, Gesù dice: «Venite e vedrete» (Gv 1,39). Queste parole sono un invito a fidarsi di Lui, ad abbandonarsi giorno per giorno alla Divina Provvidenza, sicuri che Egli ci sosterrà ogni giorno della nostra vita.
Colpisce un ultimo particolare. Trovato il Messia, Andrea coinvolge subito il fratello Simone. Trovato il Signore, Andrea sentì l'ardente desiderio di farlo conoscere anche agli altri. E quello fu il suo primo apostolato. Se veramente ameremo il Signore, sentiremo anche noi il desiderio di farlo conoscere a chi ci sta intorno e a tutti quelli che incontreremo. Questa è una chiamata che Dio rivolge a tutti.
Infine, nella seconda lettura, l'apostolo san Paolo ci ricorda che noi apparteniamo a Dio e che, pertanto, dobbiamo stare lontani da ogni forma di impurità. «State lontani dall'impurità!» (1Cor 6,18), grida san Paolo, ricordandoci che il nostro corpo «è tempio dello Spirito Santo» (1Cor 6,19). Spesso è proprio l'impurità che impedisce a tanti giovani di capire qual è la loro strada. Accecati dalla carne, essi non sentono la chiamata di Dio, il quale li invita a qualcosa di diverso e di immensamente superiore a qualsiasi gioia terrena. Se saremo puri di cuore comprenderemo sempre la Volontà di Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 18 gennaio 2015)

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