BastaBugie n�393 del 18 marzo 2015

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1 CENERENTOLA, IL NUOVO FILM DELLA DISNEY DOVE IL PRINCIPE CHE TI VIENE A CERCARE E' GESU'
Non siamo solo polvere, cenere, anzi il Figlio del Re viene per donarci, senza nostro merito, dignità regale (VIDEO: trailer)
Autore: Renato Calvanese - Fonte: Blog di Costanza Miriano
2 MARIO ADINOLFI MANIPOLA I DATI SUL VOTO DELL'EUROPARLAMENTO CHE PROMUOVE ABORTO E NOZZE GAY
Il direttore de La Croce si inventa un'inesistente area corposa del PD contraria alle nozze gay e si autonomina salvatore della Patria
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 LA KAFALA ANCHE IN ITALIA: ECCO COME IL NOSTRO PARLAMENTO SI PIEGA DOCILMENTE ALL'ISLAM
Se il senato lo approva, anche da noi varrà il principio della sharia per cui i bambini musulmani possono essere dati in adozione solo se la famiglia adottante si dichiara musulmana
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
4 IL DECALOGO DEL BUON CHIERICHETTO
Servire all'altare è più importante di quanto si pensi
Autore: Dwight Lonecker - Fonte: Sito del Timone
5 LE DONNE SONO INFELICI SE ABORTISCONO
Le mamme che hanno abortito devono poter incontrare qualcuno che permetta loro di guardare il male fatto, ma anche di ricevere il perdono di Dio e di perdonarsi
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
6 TUTTI CONTRO DOLCE & GABBANA PER LE DICHIARAZIONI CONTRO I FIGLI IN PROVETTA
Elton John e Cecchi Paone invitano al boicottaggio, ma ecco cosa hanno detto di preciso i due stilisti
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 EROE DEL FOOTBALL AMERICANO, OGGI MALATO DI SLA, E' CONTRARIO ALL'EUTANASIA
''Da quando sono malato, ho fatto più bene di quanto non avessi fatto nei precedenti 37 anni'' (VIDEO: le regole del football)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
8 MARIO PALMARO: CORAGGIO, FEDE E UMANITA' DI UN GRANDE BIOETICISTA
Ricordiamo la sua figura e riproponiamo un suo articolo sulla Comunione ai divorziati risposati
Fonte: Sito del Timone
9 OMELIA V DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 12,20-33)
E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CENERENTOLA, IL NUOVO FILM DELLA DISNEY DOVE IL PRINCIPE CHE TI VIENE A CERCARE E' GESU'
Non siamo solo polvere, cenere, anzi il Figlio del Re viene per donarci, senza nostro merito, dignità regale (VIDEO: trailer)
Autore: Renato Calvanese - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 15/03/2015

Per capire una fiaba bisogna cancellare la distinzione tra realtà e fantasia. Le fiabe sono troppo vive, e la vita è troppo fantastica perché tale distinzione possa essere valida. La storia di Cenerentola, in uscita in questi giorni nelle sale cinematografiche nella versione girata da Kenneth Branagh, non fa eccezioni: non è infatti solo un racconto destinato a popolare l'immaginazione di un bambino, pieno com'è di colpi di scena, di personaggi curiosi, di animali parlanti, e non è nemmeno l'ennesimo atto della propaganda maschilista che suggerisce alle donne di tutto il mondo che il massimo cui aspirare è incontrare un principe azzurro e sposarlo. Cenerentola è invece la risposta convinta a questa domanda che prima o poi assale la vita di ognuno di noi: che cos'è l'uomo?
C'è qualcuno che se ne curi o è solo polvere che viene dalla polvere?

LA REGINA DELLA CENERE
Cenerentola è la regina della cenere, la figura di colei che letteralmente si rivolta nella polvere, oppressa com'è da una realtà che continuamente le rende presente la sua miseria. A questa condizione prova a reagire dispensando gentilezza e docilità senza ottenere non dico una ricompensa, ma nemmeno un'attenuazione della pena. Nessun gesto, seppure ben fatto, serve a liberarla dalla morsa di una realtà ingiusta, cattiva e insensibile ad ogni supplica. La sporcizia, questo è il posto che il mondo ha pensato per Cenerentola. La sporcizia di un caminetto ricolmo di cenere. Un lamento senza fine apparentemente destinato a non essere mai udito da nessuno. E' questa l'ultima parola sulla mia vita? E' la cenere il mio destino?
Un povero non avrebbe dubbi sulla risposta da dare; anche l'ultimo dei mendicanti custodisce nel proprio intimo una parola, un sogno, che ha in sé la forza di ricordare che la realtà, che ciò che si vede non è tutto. L'uomo non è solo ciò che si vede. La realtà non si esaurisce in ciò che è pensabile, ragionevole o prevedibile. Una zucca può trasformarsi in carrozza, un topolino in destriero, uno straccio in un vestito splendido, e una lavandaia può trasformarsi in una regina. E' quello che accade tutti i giorni.
"I sogni son desideri di felicità" canta allegramente la Cenerentola di Walt Disney, ed è proprio questo il mistero custodito dalla fiaba: il mistero di una persona miserabile che nonostante tutti i segni contrari continua a credere nella propria grandezza. Il dramma che si consuma nella fiaba, così come nella nostra esistenza consiste proprio in questo conflitto tra una realtà che ti umilia, che ti accusa, che ti fa continuamente presente un limite, e un desiderio di grandezza infinito che non si sa dove viene. Un desiderio che non è incredibile pensare che non sia di questo mondo. Sotto la cenere, in mezzo alla fuliggine di una vita sbagliata e disordinata, arde la brace di un desiderio di un'esistenza completamente altra, finalmente vera. Cenerentola diventa così l'incarnazione di una fierezza invincibile, di una tenace e paziente speranza nonostante tutte le privazioni. Nel suo cuore è depositata una verità che ha la forza di un richiamo: "io sono degna di stare accanto ad un re. Nonostante tutte le mie miserie un castello è la mia casa, un regno è ciò che mi spetta."

LA PROGRESSIVA SCOPERTA DELLA PROPRIA DIGNITÀ REGALE
Il cuore di questa fiaba millenaria è tutto qua: la progressiva scoperta della propria dignità regale. Una dignità che però non va conquistata, perché non dipende da quello che fai, dal curriculum scolastico o dalla posizione lavorativa. Questa dignità è il frutto di un'elezione, proprio come cantato nel Magnificat: il Signore ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. L'umiltà, non le gesta eroiche, non le mie vittorie, non i miei primati. Anche questo è scritto nella fiaba. Cosa fa infatti Cenerentola per realizzare il suo sogno? Diciamo che ogni volta che si dà da fare finisce a gambe all'aria. Ad esempio quando alla notizia del gran ballo si arma di ago e filo e confeziona da sé il suo abito, destinato poi a finire a brandelli sotto le unghie della matrigna e delle sorrellastre.
Appena Cenerentola si muove la realtà la sbrana. Quand'è allora che le cose iniziano a muoversi nella giusta direzione? Quando Cenerentola si arrende, quando si decide a non fare nulla, quando erompe in un pianto di resa. Perché c'è questo da capire, ossia che non si deve fare nulla. E' una verità questa che non deve scoraggiarci ma deve finalmente permetterci di riposare. Non vi è nulla di esteriore da guadagnare, non vi è nulla da conquistare perché per realizzare il nostro sogno, per vedere sbocciare la nostra natura regale bisogna solo ricevere. Un dono, è questo quello che serve. Un dono tanto grande da poter realizzare una metamorfosi che renda visibile ciò che giace perduto da qualche parte, nascosto sotto una coltre di cenere.

IL PRINCIPE CHE TI VIENE A CERCARE
L'erompere del vero io in tutta la sua bellezza è reso possibile solo grazie all'intervento di qualcun altro. La figura della fata madrina fa memoria di questo. Non trasforma Cenerentola rendendola un'altra persona, ma la incoraggia ad essere esattamente ciò che è. Certo crea anche le condizioni per andare al ballo, procura alla sua figlioccia un bel vestito, le sistema l'acconciatura, ma non la trasforma in qualcun altro. Diciamo che l'aiuta [...] dando a Cenerentola la forza di presentarsi al ballo, convincendola che anche lei può prendere parte alla festa della vita. E allora succede questa cosa straordinaria: incontra il principe che rimane incantato da lei al punto da non mollarla neanche un minuto. Danzano tutta la notte, la felicità sembra finalmente a portata di mano, ma all'improvviso qualcosa spaventa Cenerentola che fugge. La menzogna su sé stessa torna a bussare alla sua porta: "come posso io essere degna d'amore se sono così misera? Cosa succederà quando questo bel principe scoprirà di che pasta sono fatta? Diciamoci la verità, io non merito l'amore di un re, io non merito l'amore di nessuno." Sembrerà strano ma questo è il pensiero che impedisce alla maggior parte delle persone di essere felice. L'indegnità di prender parte alla vita, di pretendere la parte migliore, di vivere all'altezza dei propri desideri. Convinta da questo ragionamento Cenerentola torna a casa, si toglie le vesti splendenti e si rifugia nella certezza della cenere decisa a non smuoversi più da lì. A questo punto per sbloccare la situazione c'è bisogno che qualcuno di potente prenda un'iniziativa. La madrina non basta più. C'è bisogno che un principe ti venga a cercare, che esca dal suo palazzo portando con sé la tua scarpa, il calco della tua apparizione, ossia la verità su di te. C'è bisogno che un figlio di re ti venga a prendere nella sporcizia nella quale ti sei rifugiato, e che non abbia paura di sporcarsi, che ti faccia capire che non si è sbagliato sul tuo conto, e che è proprio te che vuole. Ti vuole con la tua miseria, perché sa che la miseria non si può nascondere, che i limiti di ciascuno di noi non possono essere superati ma solo offerti. Viene a prenderti senza sperare che tu cambi. Vuole te, con i tuoi chiari di luna, con il tuo passato, con i tuoi errori, con le tue incapacità, con questo senso di inadeguatezza che da sempre ti perseguita. C'è bisogno di questo futuro re per ritornare a te stesso, un re che non ha autorità sulla tua vita in virtù di un potere, ma unicamente perché la sua presenza per te è fonte di felicità.

VENGA IL TUO REGNO
La sua potenza è il non rivendicare alcun potere, la sua compagnia è desiderabile perché ha come unica preoccupazione il tuo bene. Ma un re così dove lo si trova? Qual è il suo numero? Come si chiama il suo regno? Chi è quell'uomo capace di dimenticare fino a questo punto sé stesso, tanto da avere la forza di accoglierti così come sei senza temere per la sua vita? Chi è quell'uomo che accetta con gioia la tua compagnia dichiarandosi pronto a morire per te? Un uomo così un giorno è apparso sulla scena del mondo. Il suo nome era Gesù di Nazareth. Lo chiamavano Re dei re perché realmente non si può essere re se non nel suo nome.

Nota di BastaBugie: per vedere ulteriori video che parlano del film di Cenerentola, vai al seguente link
http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=326


https://www.youtube.com/watch?v=uPARjcBLi6w

DOSSIER "WALT DISNEY"
Indottrinamento per piccoli e grandi

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Fonte: Blog di Costanza Miriano, 15/03/2015

2 - MARIO ADINOLFI MANIPOLA I DATI SUL VOTO DELL'EUROPARLAMENTO CHE PROMUOVE ABORTO E NOZZE GAY
Il direttore de La Croce si inventa un'inesistente area corposa del PD contraria alle nozze gay e si autonomina salvatore della Patria
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14-17/03/2015

Eh no. Così non vale. Manipolare così palesemente i fatti su quanto successo a Strasburgo intorno al Rapporto Panzeri per far fare la figura dell'eroina alla sua amica Patrizia Toia e dimostrare che nel PD c'è spazio per posizioni pro-life e pro-family. Non si fa così. Spiace doverlo dire ma su questo Mario Adinolfi una spiegazione la deve dare.
Ieri il quotidiano La Croce, diretto da Adinolfi, con un breve articolo spiegava che a Strasburgo il PD si era spaccato sul Rapporto Panzeri che prevedeva, tra l'altro, la richiesta di approvare ovunque nell'Unione Europea le nozze o le unioni civili gay. E artefice di questa spaccatura era la capogruppo PD Patrizia Toia che si era astenuta anziché votare a favore come la disciplina di partito avrebbe imposto (perché poi astenersi se veramente si è contrari?). Poi durante la giornata Adinolfi ha diffuso la seguente dichiarazione: «Anzitutto esprimo il rammarico per l'approvazione della relazione Panzeri, ma voglio anche sottolineare il coraggio della capo-delegazione del Partito democratico a Strasburgo, Patrizia Toia, che, con la sua scelta, ha dimostrato che c'è un'area consistente nel Pd che non segue le direttive che stanno giungendo dall'alto sull'equiparazione tra unioni civili e matrimonio e su altri temi sensibili».
Leggere in modo diverso gli stessi fatti è legittimo, dare giudizi anche molto diversi non è un problema, ma la realtà deve essere rispettata. Non si può falsificare i dati a proprio piacimento per dimostrare le proprie idee.
E allora dobbiamo dire con chiarezza che - come già evidente da quanto abbiamo scritto ieri - i fatti sono andati ben diversamente da come li ha raccontati La Croce.
Riepiloghiamo brevemente: il Rapporto Panzeri sui diritti umani, oltre a quello sulle nozze gay, conteneva anche un paragrafo in cui si collegava l'aborto ai diritti inalienabili della persona; la votazione ha riguardato prima 7 paragrafi controversi e poi c'è stata la votazione sull'intero Rapporto. Sui paragrafi riguardanti aborto e nozze gay, Patrizia Toia ha votato contro sul primo e si è astenuta sul secondo; ma i due paragrafi sono stati comunque approvati. E al voto finale Patrizia Toia ha votato a favore, quindi approvando anche aborto e nozze gay che erano compresi nel pacchetto. Gli unici voti contrari nel PD sono stati di Morgano e Zoffoli: 2 soltanto su 31 eurodeputati PD. Sul paragrafo delle nozze gay i voti contrari del PD sono stati 2 (Morgano e Zoffoli), 2 le astensioni e 2 non hanno votato; infine, sul paragrafo dell'aborto ci sono stati 3 voti contrari, una astensione e 4 non hanno votato.
Quello che si rileva dai fatti, dunque, è che nel PD non c'è stata alcuna spaccatura, appena un po' di esitazione da parte di alcuni e coraggio solo da parte di due deputati, tra cui non figura certamente Patrizia Toia, che ha votato a favore del Rapporto con tutto quello che c'era dentro, secondo ordine di partito. Dove sarebbe dunque l'area consistente del PD che non segue le direttive dall'alto e su cui si potrebbe contare per le battaglie che ci stanno a cuore?
A che pro dunque questa mistificazione della realtà?
Riccardo Cascioli (La Nuova Bussola Quotidiana, 14-03-2015)

LA REPLICA DI ADINOLFI
Sul web qualcuno incredibilmente rimprovera a La Croce - Quotidiano di aver sottolineato positivamente l'astensione del capogruppo Pd Patrizia Toia sulle nozze gay nel rapporto Panzeri approvato dall'Europarlamento e il voto contrario di "solo" due deputati Pd. Lo fa con la solita posizione del cattolico moralista: punta il dito. Potremmo chiuderla facilmente mettendoci sullo stesso piano e ricordando al tizio che ha passato decenni della sua vita a sostenere un puttaniere, evasore fiscale, corruttore, che andava a minorenni e ora si fa i selfie con Luxuria da ottuagenario con la fidanzata ventottenne. Ma sarebbe una risposta scema. La Croce non dà mai risposte sceme, noi spieghiamo. E allora, con pazienza, ancora una volta spieghiamo. Il Pd può, da solo, decidere e far approvare normative terrificanti per il diritto di famiglia. Noi siamo in campo per evitare quell'approvazione. Quando il 19 settembre 2013 passò alla Camera il ddl Scalfarotto il Pd lo votò senza neanche un'astensione, passò con quattrocento sì e il Pd totalmente compatto. Quel giorno decisi di fare qualcosa, cominciai a scrivere Voglio la mamma, nel 2014 nacquero i circoli, il 13 gennaio 2015 è uscita La Croce. Io, si sa, sono stato parlamentare Pd. Il Pd nel suo complesso vive le mie posizioni come "alto tradimento" e io non mi sono mai tirato indietro nell'attacco senza peli sulla lingua tanto che quando vado a parlare in giro per l'Italia (provare oggi a Verona alle 15.30 per credere) devo essere protetto da decine di agenti e molti mezzi blindati, per il carico d'odio che mi viene riversato contro non privo di fisiche minacce e di caterve di insulti a me e alla mia famiglia. Nonostante questo sono abbastanza intellettualmente libero e privo di museruole ideologiche da capire che solo l'apertura di un fronte interno al Pd impedirà l'approvazione di norme su omofobia, gender, unioni gay e utero in affitto. Abbiamo lavorato per costruire e incoraggiare l'apertura di quel fronte, così all'Europarlamento sulla relazione Panzeri il fronte Pd che si è opposto in qualche modo in particolare al passaggio sulle nozze gay ha potuto contare su 3 membri su 31, una dei quali (Patrizia Toia) aveva una caratteristica particolare per essere sottolineata positivamente: è la capogruppo Pd dei parlamentari europei. 3 su 31 sono pochi? Certo. Ma avere un'area del dieci per cento del Pd che comincia a porsi domande dal nostro punto di vista è un grande risultato in vista delle battaglie (prossime) nel Parlamento italiano. Speriamo diventi più ampia, noi continuiamo a lavorare incoraggiandola. Così succede che una senatrice Pd, Francesca Puglisi, percependo dissensi interni ritiri l'emendamento che avrebbe permesso ai single (anche gay) di adottare. Altro passo importante e per tutti sorprendente, che è accaduto mentre alcuni già si fasciavano la testa ipocritamente e lucidavano il dito da puntare. Ma noi non siamo moralisti, le mani le teniamo impegnate nel fare. La Croce incoraggia e incoraggerà sempre chi si espone e paga di persona per sostenere le attuali leggi sul diritto di famiglia, difendendo la famiglia naturale. Lo abbiamo fatto anche andando a parlare ad un convegno fortemente caratterizzato e organizzato dalla Lega a Milano, prendendoci gli sputi del Pd per questo. Lo faremo ovunque e sempre perché noi non abbiamo pregiudizi ideologici da difendere e non tifiamo per questo o quel partito. La Croce non fa politica, La Croce sostiene positivamente tutti i parlamentari che si battono. Quelli del Pd fanno fatica doppia e tripla, in più il Pd è il partito dove tutto si decide. Siamo tipi pragmatici e sosteniamo chi fa quella fatica doppia e tripla. Agiamo affinché quelle norme pericolose non siano approvate. Se dire bene di chi non le approva è una colpa, siamo colpevoli. Ma continueremo così. Si saranno accorti, i nostri critici, che siamo tipi tenaci e potranno pure continuare a tirarci le pietre. Noi li guardiamo e sorridiamo. Abbiamo da fare, le pietre per costruire tornano utili. Costruire, non chiacchierare ideologicamente e ispirare divisioni nel già debolissimo fronte di chi si oppone alla violazione del diritto di famiglia. Pensare che dire "Toia è una stronza perché si è astenuta solo sulle nozze gay" sia una linea politica intelligente è una posizione talmente debole da non meritare risposta. Toia è stata coraggiosa a astenersi sulle nozze gay, tre deputati Pd su trentuno sono ancora poco, ma sono qualcosa. Qualcosa, badate bene, dal punto di vista numerico e politico forse di decisivo in vista delle battaglie da combattere. Nel 2013 quel qualcosa era zero, oggi è il dieci per cento. Però a chi non sa manco fare di conto e di politica non capisce, o meglio capisce solo il triste derby destra-sinistra per piccoli interessi di bottega, è inutile spiegare. Non capirà.
Dalla pagina Facebook di Mario Adinolfi

LA CONTROREPLICA DI CASCIOLI
Qualche giorno fa, da queste colonne, avevo posto delle domande a Mario Adinolfi dopo i suoi commenti al voto dell'Europarlamento sul Rapporto Panzeri sui diritti umani, che conteneva tra l'altro il diritto all'aborto e l'invito ad approvare le unioni gay. E Adinolfi ha prontamente risposto via Facebook in modo molto più esauriente di quel che forse immaginava. Lo ha fatto ovviamente con il suo stile, sul quale non mi soffermo, ma che dà l'idea del personaggio. Dal suo messaggio [...] si ricavano comunque alcune informazioni interessanti:
- Quello di manipolare i dati per piegarli alle proprie idee è evidentemente un vizio ben radicato. L'obiezione infatti che gli avevo mosso non riguardava la valutazione globale sul comportamento del PD e della capogruppo italiana Patrizia Toia, quanto sulla realtà del voto che era stato espresso. E su questo Adinolfi continua a mentire: la Toia in effetti ha votato a favore del Rapporto Panzeri e non contro. Si è astenuta quando si è votato sul paragrafo specifico delle nozze gay, ma ha poi votato a favore dell'intero rapporto che lo conteneva. E che conteneva anche il diritto all'aborto. Qualsiasi sia il giudizio che si dà, da questo dato di realtà bisogna partire. Dare l'impressione che le cose siano andate diversamente da come sono andate è disonesto.
Ma il vizio di manipolare i dati va molto oltre. Dice Adinolfi: i voti contrari saranno pure pochi (ma non aveva scritto La Croce che il PD si era spaccato?) ma almeno qualcosa si è mosso; prima che lui scendesse in campo il PD era tutto compatto contro la vita e la famiglia. Nel 2013 si era a zero, oggi c'è già il 10% del partito sul nostro fronte. Peccato che siano numeri di fantasia: Adinolfi mette infatti a confronto il voto del Parlamento italiano sul ddl Scalfarotto con il voto del Parlamento europeo della scorsa settimana. Forse non si è reso conto, ma si tratta di due parlamenti diversi. A Bruxelles invece, l'on. Toia votava allo stesso modo anche prima dell'avvento di Adinolfi, basta andarsi a rivedere le classifiche che La Bussola aveva fatto in occasione delle elezioni europee. Tanto per dare un'idea, sul famigerato Rapporto Estrela le astensioni del PD furono sei (su un numero molto minore di deputati). Peraltro è anche un po' patetico attribuirsi il merito di un presunto cambiamento all'interno dei democratici presenti a Strasburgo, lasciando credere che basti un articolo della Croce due giorni prima del voto per provocare un terremoto. Prima di arrivare al voto, intorno alle risoluzioni ci sono battaglie che vanno avanti per mesi, e all'Europarlamento ci sono diverse ong pro-family e pro-life che lavorano quotidianamente per portare gli eurodeputati sulle posizioni giuste. Se qualcosa cambia nelle convinzioni di qualche eurodeputato è a loro che va dato il merito, non a qualche giornalista che si improvvisa "uomo del destino";
- Appare abbastanza evidente dalle sue parole che il progetto di Adinolfi sia strettamente interessato - per non dire legato - alle vicende interne del PD, considerato il partito da cui tutto dipende. Valutazione legittima, per carità, ma affermare allo stesso tempo che La Croce non fa politica è un pochino difficile da conciliare. Tanto più che mentre dice di incoraggiare chiunque lavori per la famiglia, esalta la Toia (che vota con il partito) e ignora gli unici due eurodeputati del PD - Morgano e Zoffoli - che veramente si sono ribellati alla linea del partito, e per questo stanno pagando sul serio. E ovviamente non cita neanche di striscio chi - anche da altri fronti - lavora allo stesso fine.
- Adinolfi ha anche una sua personale concezione della storia, che si può riassumere così: fino al settembre 2013 (approvazione alla Camera del Ddl Scalfarotto) tutto andava a rotoli, poi si è svegliato lui, ha scritto "Voglio la mamma" e dal 2014 finalmente è iniziata una riscossa, il Ddl Scalfarotto è stato bloccato, anche il PD si interroga, e vedrete a quali vittorie vi porterò se mi seguirete. Ora è giusto riconoscere ad Adinolfi una grande capacità comunicativa, e una grande brillantezza nel difendere le ragioni della famiglia e della vita, e il merito di avere aggregato un bel movimento intorno a sé, ma la storia è cominciata molto prima di lui e - aspettando la sua discesa in campo - il Ddl Scalfarotto sarebbe già stato approvato come legge già prima del settembre 2013 se non ci fossero stati altri a combattere la battaglia: un manipolo di parlamentari, di Forza Italia (allora era ancora unita, ma poi sono confluiti in massima parte nel Nuovo Centro Destra), della Lega e (in misura diversa) di Scelta Civica; e alcuni siti web (in primis La Nuova BQ con Giuristi per la Vita e Cultura Cattolica) che hanno lanciato l'allarme su quanto stava accadendo alla Camera e hanno raccolto più di 40mila firme in pochi giorni; poi sono arrivate le Sentinelle in piedi e La Manif pour Tous Italia, e le proteste hanno cominciato a occupare le piazze. Così un provvedimento che doveva essere approvato alla chetichella in luglio alla fine è slittato a settembre (per la Camera) e al Senato si è arenato. Questo quando il signor Adinolfi non era ancora all'orizzonte.
E quel lavoro è continuato sia in Parlamento sia fuori e va avanti, perché vincere lo vogliamo tutti. Ma nella realtà, non nel mondo virtuale.
Riccardo Cascioli (La Nuova Bussola Quotidiana, 17-03-2015)

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14-17/03/2015

3 - LA KAFALA ANCHE IN ITALIA: ECCO COME IL NOSTRO PARLAMENTO SI PIEGA DOCILMENTE ALL'ISLAM
Se il senato lo approva, anche da noi varrà il principio della sharia per cui i bambini musulmani possono essere dati in adozione solo se la famiglia adottante si dichiara musulmana
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 10 marzo 2015

Il nostro futuro è quello tratteggiato nel romanzo "Sottomissione" da Michel Houellebecq? [Per la trama del romanzo: https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3630, N.d.BB]
In realtà già il nostro presente europeo mostra scene di allarmante sottomissione ideologica, politica ed economica all'Islam. E non c'è neanche bisogno (per ora) di un partito islamico.
L'ultimissimo esempio di questa tendenza alla resa ci è fornito dal dibattuto in corso in Senato sulla ratifica della Convenzione dell'Aja sui diritti dei minori del 1996.

EURABIA
Tutti gli altri paesi europei l'hanno già recepita senza batter ciglio, un po' perché alla fine degli anni Novanta non si poneva ancora, con l'attuale gravità, il problema islamico o almeno non si notava il già disastroso dilagare della sharia nelle legislazioni dei paesi musulmani.
Un po' perché l'Europa è ormai a tutti gli effetti quello che Bat Ye'Or definiva l'Eurabia (neologismo che dà anche il titolo al suo famoso libro) e ha abbassato le difese culturali nei confronti dell'aggressività e dell'espansionismo islamico.
In Italia c'è stata nel corso di questi anni qualche resistenza perché, pur trattandosi di una questione particolare e apparentemente limitata (riguarda le adozioni, o meglio gli affidi di minori), la ratifica di quella Convenzione rappresenterebbe di fatto la prima introduzione ufficiale e formale nella legislazione italiana della "legge islamica".
Con tutte le conseguenze che oggi, anno di grazia 2015, con l'islamismo all'arrembaggio, possiamo prefigurare.
Perché un simile precedente giuridico è una sorta di cavallo (o – se preferite – un cavillo) di Troia, che apre la strada a problemi futuri.

KAFALA
In breve si tratta di questo. Il diritto islamico non prevede l'istituto dell'adozione.
Un bambino rimasto orfano di padre e di madre è islamico per natura e irrevocabilmente (perché secondo i musulmani tutti gli uomini nascono islamici) e non può essere dato in adozione, ma solo in affido, anche internazionale, unicamente se la coppia affidataria – secondo la cosiddetta "kafala" – è islamica o si converte all'Islam e si islamizza.
Il senatore Giovanardi – uno dei pochi a suonare l'allarme fra tanti spensierati colleghi – ha usato parole gravi che dovrebbero far riflettere tutti: "l'introduzione della 'kafala' nel nostro ordinamento" ha dichiarato "significa la sottomissione del nostro ordinamento al diritto islamico".
Giovanardi ha poi fatto riferimento alle note elaborate in proposito dagli uffici legislativi di Palazzo Chigi negli anni passati, "in cui si scrive, nero su bianco, che poiché è obbligatorio per chi prende in affidamento un bambino che professi la religione musulmana o che comunque si islamizzi e quindi si converta, si configurano evidenti profili di contrasto con il diritto di professare liberamente la propria fede, sancito dall'articolo 19 della Costituzione, nonché con il principio costituzionalmente garantito, e affermato anche a livello comunitario, del divieto di discriminazioni fondate sulla religione di appartenenza".
In pratica sarebbe come se ratificassimo una convenzione col vecchio Sudafrica secondo la quale si possono fare in quello Stato adozioni e affidi internazionali solo se si è "ariani" o "bianchi".
Un'aberrazione.
Ma se fosse proposta una convenzione di questo tipo tutti griderebbero allo scandalo. Mentre oggi sembra che l'introduzione della "kafala" nel sistema giuridico italiano ed europeo non faccia problema a nessuno.

VULNUS
Naturalmente di fronte a chi evidenzia il "vulnus" giuridico e morale che questa ratifica rappresenterebbe ci sono sempre i faciloni, i superficiali che minimizzano sostenendo che una famiglia italiana nel caso può fare una dichiarazione formale (cioè fasulla) di conversione all'Islam e così ottenere l'affido senza bisogno poi di essere veramente musulmani.
Ma si tratta di un'enormità.
Anzitutto perché anche un volontario atto di conversione finalizzato al raggiungimento dell'affido sarebbe frutto di un'imposizione religiosa, quindi sarebbe una grave coartazione morale, che viola le coscienze e i principi costituzionali.
In secondo luogo – come nota Giovanardi – per una coppia che "si converte per avere il bambino, dopo è difficile dire che si tratta di una conversione coatta e ancora più difficile è ottenere la revoca della conversione perché in questo caso subentra l'apostasia, la pena di morte prevista per chi dovesse giocare sulla questione di una falsa conversione".
Il varco che si aprirebbe nella nostra giurisprudenza potrebbe diventare una voragine dove si perde lo stato democratico, considerata la massiccia immigrazione musulmana che si stabilizza da noi e considerato il fatto che – come nota Giovanardi – "i movimenti fondamentalisti musulmani degli ultimi anni hanno accentuato la loro pretesa di imporre, anche extra territorialmente (vedi Inghilterra), la 'sharia' nelle corti islamiche di quel Paese".
Possibile che nessuno si avveda che tutto questo rischia di essere il classico buco nella diga?

MA QUALI LAICI ?
E' davvero singolare che soprattutto la Sinistra, la quale fa sempre altisonanti professioni di laicità, trangugi senza batter ciglio una simile imposizione religiosa da parte di stati nei quali – evidentemente – la religione islamica è il fondamento della legge civile e delle istituzioni statali.
Ieri sulla "Repubblica" sono uscite due pagine contenenti un proclama di Paolo Flores d'Arcais che iniziava così: "La laicità è diventata una questione di vita o di morte, alla lettera. Costituisce, non a caso, la questione cruciale della democrazia".
Dopodiché, senza problemi, recepiamo la "kafala" nel nostro ordinamento costringendo delle coppie italiane a convertirsi all'Islam per prendere un minore in affido?
L'aspetto singolare del laicismo nostrano è che anzitutto fa di tutta l'erba un fascio e non distingue una religione per la quale le leggi dello stato e la religione non sono distinte, come l'Islam, dal cristianesimo che invece ha addirittura fondato la distinzione fra lo Stato (Cesare) e il tempio di Dio.
Ha scritto Joseph Ratzinger: "La moderna idea di libertà è perciò un legittimo prodotto dello spazio vitale cristiano... bisogna anzi aggiungere: essa non è affatto separabile da esso e piantabile in qualsiasi altro sistema, come si può oggi constatare con chiara evidenza nel rinascimento dell'Islam... la costruzione sociale dell'islam è teocratica, quindi monistica e non dualistica. Il dualismo, che è la condizione previa della libertà, presuppone a sua volta la logica cristiana [date a Cesare...]".
Paradossalmente – ma lo hanno capito da sempre i grandi pensatori liberali – per mantenersi laico l'Occidente ha bisogno di non recidere le proprie radici cristiane.
Senza le quali dà vita a una laicità ideologica e totalitaria (come quella giacobina o quella dei totalitarismi novecenteschi).
Oppure decade in quel nichilismo relativista che oggi si mostra incapace di dare spazio a forti proposte ideali per le giovani generazioni e che si trova disarmato e inerte di fronte all'arrembaggio aggressivo dell'islamismo.
Invece la cultura laicista – che è davvero masochista – odia le radici cristiane, rischiando di tagliare il ramo su cui stanno sedute in trono la laicità e la libertà.
Quella cultura laicista arriva al punto di essere indulgente (o reticente o indifferente) verso l'intolleranza islamista e invece mostrarsi implacabile contro la (non violenta) proposta cristiana.
Come sottolineò don Luigi Giussani già vent'anni fa, prevedendo una persecuzione in arrivo per i cristiani.
Parlando dell'odio che sentiva nell'aria da parte della cultura dominante, osservò: "il fondamentalismo islamico, anche quando non rispetta le scelte di chi si vuol sottrarre alle sue pretese, è comprensibile. Il cattolicesimo, che accetta e rispetta il no, è (considerato) peggio del nazismo".
L'episodio odierno della "kafala" sembra una delle tante conferme.

Fonte: Libero, 10 marzo 2015

4 - IL DECALOGO DEL BUON CHIERICHETTO
Servire all'altare è più importante di quanto si pensi
Autore: Dwight Lonecker - Fonte: Sito del Timone, 17/03/2015

1) RICORDATI CHE... NON SEI NECESSARIO
Lo so, non sembra un grande punto di partenza... ma è vero: il sacerdote può fare da solo tutto quello che fai durante la Messa. Ciò significa che il tuo ruolo nella liturgia è più che un semplice "essere utile". Leggi gli altri nove punti per capire bene cosa intendo.

2) SEI UN TESTIMONE SILENZIOSO
Arrivando in chiesa venti minuti prima dell'inizio della Messa, vestendo la tua piccola talare e preparando la celebrazione, stai dicendo a tutti: "È importante arrivare presto. È importante prepararsi per la Messa. È importante prendersi il tempo necessario". Ricorda, qualsiasi cosa che fai è vista dagli altri, usa quindi grande attenzione e riverenza.

3) LE AZIONI DICONO PIÙ DELLE PAROLE
Devi presentarti vestito bene per la Messa. Non devi sfoggiare abiti eleganti, perché tanto la veste li coprirà, ma quello che la gente vede deve essere dignitoso. Indossa scarpe nere. Scarpe da ginnastica? Scarponcini da montagna? Calzature da spiaggia? Andiamo... vali molto di più! Nessun dettaglio del tuo aspetto deve attirare l'attenzione su di sé. Qualsiasi cosa che fai deve portare l'attenzione all'altare, non sul ministro dell'altare. Pettinati come si deve e pulisciti da quel che ti resta addosso della colazione...

4) ANCHE IL LINGUAGGIO DEL CORPO PARLA CHIARO
Mentre ti prepari per la Messa muoviti un po' più lentamente. Nella processione avanza in modo cadenzato. Viviamo in una vita sempre di corsa: per ascoltare Dio dobbiamo fare silenzio e per camminare al suo passo dobbiamo rallentare. Dio procede lentamente e tranquillamente, il suo è un cammino lungo. Mantieni quindi una postura distinta e muoviti con tranquillità. Non correre. Che tu lo creda o no, ciò aiuta le persone a mettersi nella giusta disposizione per l'adorazione.

5) LA PROCESSIONE È PIÙ CHE UN SEMPLICE ENTRARE IN CHIESA
La processione è un'antica cerimonia religiosa in sé. Mentre entri in chiesa in processione guidi ognuno alla presenza di Dio. Questo richiama l'Antico Testamento, quando gli ebrei salivano in processione a Gerusalemme e al tempio di Dio. La processione è il tuo guidare il popolo di Dio attraverso la desolazione nella terra promessa. La processione è il trionfo del re che arriva nella sua città. La processione dovrebbe quindi essere fatta con dignità e solennità. Non affrettarti per raggiungere la tua postazione. Sii orgoglioso di essere un servo dell'altare del re! Quando porti la croce in testa alla processione, stai dicendo ai fedeli: "Guardate, siamo chiamati a portare la nostra croce e a seguire Cristo. Questo è lo stendardo della battaglia". Porta quindi la croce solennemente come un soldato in parata.

6) PORTARE UN LIBRO O UN CERO HA UN SIGNIFICATO PIÙ PROFONDO DI QUANTO PENSI
Porti le candele? Stai dicendo: "Tutti portiamo nei nostri cuori la luce di Cristo che abbiamo ricevuto nel Battesimo. Siamo la luce nell'oscurità, le stelle luminose dell'universo". Le candele accompagnano la croce e il Vangelo perché il Vangelo e la croce portano la luce al mondo. Porti il libro del Vangelo? Rappresenti gli apostoli che hanno portato la Parola di Dio al mondo. Ricordi anche a ognuno di noi che siamo chiamati a portare la buona novella dell'amore di Dio al mondo intero.

7) I CHIERICHETTI SONO COME GLI ANGELI DAVANTI AL TRONO
Al "Santo, Santo, Santo" devi inginocchiarti per la preghiera di consacrazione. A questo punto sei come uno degli angeli in adorazione di fronte al trono di Dio. Inchinati profondamente. Suona il campanello con cura e bellezza. Il modo con cui adori in questo momento della Messa parla ai cuori di tutti.

8) SERVI ALL'ALTARE CON AZIONI RITUALI
Fai un inchino di fronte all'altare. Fai un piccolo inchino di fronte sacerdote e al diacono nei momenti richiesti. Questi piccoli gesti trasmettono ai fedeli una forma mentis rituale. Il rito trascende le nostre persone e ci rende più grandi delle nostre piccole vite quotidiane. Quando servi in questo modo aiuti le menti e i cuori di tutti a levarsi verso l'alto. Le tue azioni siano piene di dignità. Questo linguaggio visivo funziona anche se le persone non ne sono coscienti.

9) SII ORGOGLIOSO DI QUELLO CHE FAI
Sii fedele ai tuoi doveri perché Dio è fedele a te. Fai attenzione ai dettagli, perché Dio è nei dettagli. Trasforma le tue azioni in preghiere perché tutto può portare a Dio se lo permettiamo. Quello che stai facendo è un servizio a Dio e aprirà il tuo cuore e lo porterà vicino a lui anche se non te ne rendi conto. Se sei orgoglioso del tuo servizio ti sorprenderai nel renderti conto, man mano, come questa autostima si riflette in tutta la tua vita: dal tuo lavoro a scuola, al tuo impegno nello sport, alle tue amicizie.

10) SEI NECESSARIO
Avevo detto che non lo eri? In realtà volevo dire che tu sei molto più che necessario. Sei vitale, perché il tuo non è solamente un ruolo funzionale ma un ruolo simbolico e quello dei simboli è il linguaggio dell'adorazione. Le tue azioni a Messa sono simboliche molto più di quanto tu pensi e il modo in cui si svolge il tuo servizio può avvicinare gli altri Dio. Sei più che necessario, perché la bellezza è più che necessaria e quello che stai facendo è... bellissimo. C'è troppa poca bellezza del nostro mondo. Non sottovalutare la tua importanza!

Nota di BastaBugie: il decalogo è stato scritto dallo statunitense padre Dwight Lonecker, pastore anglicano convertitosi nel 1995 al cattolicesimo e oggi sacerdote cattolico.

Fonte: Sito del Timone, 17/03/2015

5 - LE DONNE SONO INFELICI SE ABORTISCONO
Le mamme che hanno abortito devono poter incontrare qualcuno che permetta loro di guardare il male fatto, ma anche di ricevere il perdono di Dio e di perdonarsi
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 16/03/2015

C'è un'infinità di argomenti contro l'aborto, ma io, visto che mi piace perdere facile, scelgo il più opinabile, il più attaccabile, il meno spendibile in un dibattito pubblico: l'aborto rende le donne infelici. Si potrebbe affrontare il tema sul piano filosofico, come Bobbio o [...] economico, come fa chi elenca nomi dei finanziatori dei prochoice e cifre (fiumi di denaro: perché?). Si potrebbero contestare i numeri falsi che hanno alimentato falsi miti e portato all'approvazione delle leggi sulla base di bufale (come la sentenza Roe – Wade negli Usa o la campagna radicale in Italia), e mostrare come l'aborto ha risparmiato pochissime vite di donne evitando l'aborto clandestino ma ha sterminato schiere infinite di bambini che senza la 194 sarebbero nati.
Si potrebbe raccontare la storia delle leggi e delle bugie, come Socci nell'imperdibile "Il genocidio censurato", o raccogliere le voci di medici che dopo migliaia di corpi straziati non ce la fanno più, a volte neanche gli abortisti più convinti, perché loro lo sanno che stanno tradendo il giuramento di Ippocrate, per cui hanno promesso di curare e non di procurare morte.

LE DONNE SONO INFELICI SE ABORTISCONO
Invece a me l'argomento che mi infiamma – lo so, "a me mi" non si dice, ma serve a sottolineare -, quello che mi fa arrabbiare, che mi toglie anche il sonno quando incontro qualche storia di donna alle prese con LA decisione della sua vita (e non solo della sua), è che le donne sono infelici se abortiscono, e a me dispiace tanto per loro, e mi arrabbio per le bugie che hanno ascoltato. Non credo che sia neanche un fatto di bontà, o di sensibilità o nobiltà d'animo. Le donne soffrono perché le nostre viscere più profonde e ancestrali fremono quando uccidono la vita che pulsa dentro di loro, e che chiede di essere accolta, chiede sangue e cellule e carne e fiato per resistere. È una questione prima di tutto animale. Una donna lo sa che sta facendo una cosa contraria a quello a cui tutto il suo essere tende. Lo sa che il suo corpo e il suo cervello sono programmati per questo. Lo sa che sta uccidendo il suo bambino, e non sta raschiando via il frutto del concepimento. Lo sa che poi per tutta la vita si chiederà chi sarebbe stato quel bambino, che gusto di gelato avrebbe preferito, se avrebbe avuto paura dell'acqua o del buio o dei ragni. Si tormenterà per questo piccolo che lei ha lasciato andare via da solo, nel freddo, tra i rifiuti, tradito dalla sua mamma.
Certo, se la potrà raccontare per un po'. Per un bel po', anche. Io le conosco direttamente, di persona, nomi e facce. Alcune sono arrivate alla fine della vita senza riuscire ad ammettere a se stesse quello che avevano fatto. Perché era troppo doloroso e faticoso e complicato ammettere di avere sbagliato tutto. Poi sul letto di morte invocavano quel bambino. Le ho viste coi miei occhi. Donne che a 80 anni non riuscivano a perdonarsi di un aborto clandestino fatto magari 60 anni prima. Donne che si erano indurite e sono rimaste sole. Donne che avevano portato la nevrosi nella loro famiglia, facendone pagare il prezzo anche ad altri figli. Donne dipendenti dall'alcol, dagli psicofarmaci. Donne che non potevano più guardarsi allo specchio. Donne che avevano perso tutta la stima di sé, e che quindi non si facevano stimare dagli uomini. Donne che non denunciavano gli stupratori perché a causa di un aborto fatto anni prima pensavano di meritarsi quel male.
Eppure nessuna di quelle donne si meritava nessun male, tanto meno una violenza. Quelle donne si meritavano di essere prese per mano, abbracciate, contenute in un abbraccio più grande del dubbio, della paura, dell'incertezza. Andava detto loro che non sarebbero state sole: a una mamma non serve tanto per dire sì. Serve solo una spinta, perché poi una mamma trova dentro di sé delle energie che neanche sospettava di avere. Una mamma prende a spallate i muri, solleva le montagne, dorme tre ore a notte e ne ha ancora sempre per tutti, per leggere I viaggi di Giovannino Perdigiorno e preparare la cena e ascoltare un racconto di supereroi anche se non si siede da diciannove ore.

PER AVERE PERDONO SERVE CHIEDERLO
E le mamme che hanno abortito, sempre mamme sono, oggi si meritano un abbraccio, qualcuno che le lasci piangere fino a che gli occhi si secchino e la mente si svuoti, qualcuno che permetta loro di guardare il male fatto, di perdonarsi e di ricominciare, ricordando loro che tutti siamo peccatori perdonati infinite volte al giorno. Ma per avere perdono serve chiederlo, guardare una volta, una sola, quello che si è fatto, perché neanche i regali si possono ricevere se noi non li si accolgono.
Non è che solo le donne che abortiscono abbiano qualcosa da farsi perdonare, basta essere uomini per essere poveri uomini, come diceva Mazzolari. Il punto è che sono loro che non si perdonano, perché continuano a dirsi di avere esercitato un diritto, quando sanno benissimo, da qualche parte nelle viscere, che non è così. Non voglio assolutamente in nessun modo alimentare la mistica della madre santa eroica perfetta. Non è che essere mamma sia niente di straordinario, né ci rende particolarmente speciali in sé il fatto di partorire (lo fanno anche gli animali, volevo dire). E' avvenuto svariati miliardi di volte e avverrà ancora, mentre le piogge continueranno a cadere e i tram ad andare e le patatine a essere fritte, non è che il mondo si fermerà perché una fa un figlio. Perché c'è anche l'esagerazione opposta, a volte, almeno tra noi occidentali. Abbiamo talmente tanto perso il senso della naturalezza della maternità che poi quando capita a una, pare la fine del mondo. Si mobilitano schiere di nonni, si fanno i party coi regali delle amiche, gli album fotografici, si comprano attrezzature atte allo sbarco di un commando di piccole dimensioni in Vietnam, si fanno analisi e controlli che manco alla Nasa prima di una missione su Marte.

ESSERE MAMME È NORMALE
Essere mamme è fisiologico, è normale. Siamo nate per questo, così come camminiamo perché abbiamo due gambe. Poi si può camminare con eleganza come una modella, magari danzare come una étoile, o marciare verso l'oro olimpico, oppure si può camminare arrancando con le buste della spesa, come la maggior parte di noi, cioè essendo mamme normali, che a volte sbagliano a volte fanno bene. Non c'è nessun merito a essere mamme, è nor-ma-le.
Né voglio al contrario alimentare la mistica della maternità tutta delizie e angeli che svolazzano intorno al focolare. Credo che nessuna di noi tragga particolare soddisfazione dal pulire vomiti alle tre di notte o dallo spazzare da terra pezzi di patata lessa spalmata. Non è questo il punto. E poi si può essere mamme in molti modi, anche orribili (io mi accontenterei di essere una madre decente). Anzi, credo che quasi tutte noi proiettiamo il nostro mondo interiore ferito - mai totalmente riconciliato, sempre memore del peccato originale - nel rapporto più viscerale che abbiamo. Possiamo essere insopportabili, possessive, invadenti, fanatiche. Possiamo anche essere affette da una sorta di delirio di onnipotenza nei confronti dei nostri figli, dei quali dimentichiamo troppo spesso che non sono nostri (noi diamo una mano a Dio, gli permettiamo di usarci, ma i figli sono i suoi). Rischiamo spesso di essere così madri da dimenticare di essere prima spose, ed estromettere i padri dal rapporto, privandoli del ruolo fondamentale: tagliare il cordone, non solo quello di carne, mandare i figli fuori di casa, proteggerli dalla madre, rappresentare il principio di realtà. Siamo tutte un po' quella mamma dell'esercizio di grammatica che racconta spesso Franco Nembrini (compito: analizza la mia mamma mi vuole bene. La=articolo determinativo mia= aggettivo ossessivo). Spesso non ci accontentiamo di essere mamme, vogliamo essere mamme al cubo, e questo non è certo un bene. Ma è in qualche modo anche per questo che dico che sono certa che una donna abortendo faccia una cosa contro la sua più profonda natura.

NESSUNA MAMMA DEVE ESSERE LASCIATA SOLA
Mi si obietterà che non è vero niente, che ridurre le donne a corpi da fattrici è da Medio Evo e da cattonazista-fascista-islamica (cattoislamica ora che ci penso è da Nobel dell'ignoranza) bla bla bla, e che comunque le donne devono essere libere di rovinarsi la vita, se lo desiderano. Ci sarebbero molte cose da rispondere, prima di tutto che c'è anche un'altra vita in gioco, e potrei andare avanti per ore. Ma il punto che fa fremere le mie viscere come dicevo è che c'è un bombardamento culturale su queste donne che non le rende pienamente consapevoli di quello che stanno facendo. Non è vero che siamo liberi. Siamo tutti anche culturalmente condizionati nelle nostre scelte. Paola Bonzi, tanto per dirne una, solo abbracciando, contenendo, offrendo aiuto economico è riuscita a far nascere 18mila mamme e altrettanti bambini. Nessuna mamma deve essere lasciata sola. Mai più. Una donna ha solo bisogno di qualcuno che le dica quanto è bella e forte, che non è sola, che qualcuno la aiuterà a provvedere al suo bambino, che la aiuti a vedere la felicità pazza e strabordante alla quale è stata miracolosamente chiamata. Io ne sono testimone. Ci può essere, molto spesso c'è, un momento di sgomento di fronte alla chiamata: non è il momento, il lavoro, non ci sono i soldi, la casa è piccola, lui non mi ama, non lo amo, sarà la persona giusta, ma i fratelli come la prenderanno, li trascurerò, adesso che ero tornata magra, ho la tiroide sfasata, è il quarto cesareo, il cuore fa i capricci, è il sesto figlio, era la prima sera che uscivo con quest'uomo, proprio adesso che mi hanno offerto il posto in America/all'università/nello studio, sono grande e il bimbo potrebbe avere problemi. Lo sgomento arriva, spesso, ma la morte non è mai la soluzione. Chiedete a una mamma che ha già figli di uccidere quello di sette anni, visto che non c'è posto in casa. Vi guarderà come se le aveste chiesto di strapparsi via il cuore a morsi. Ecco, si tratta solo di dire a tutte le donne che stanno abortendo che si stanno strappando via il cuore a morsi, solo che non ha sette anni ma qualche giorno di vita.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 16/03/2015

6 - TUTTI CONTRO DOLCE & GABBANA PER LE DICHIARAZIONI CONTRO I FIGLI IN PROVETTA
Elton John e Cecchi Paone invitano al boicottaggio, ma ecco cosa hanno detto di preciso i due stilisti
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/03/2015

Uno per tutti: Alessandro Cecchi Paone, mancato europarlamentare, showman e consulente gay (le due cose vanno insieme) per Forza Italia, sezione Francesca Pascale da Arcore. Sempre sulle barricate dell'indignazione glamour.« Ho buttato tutte le mutande D&G che avevo. Non le regalerò più ai miei fidanzati». La tignosa dichiarazione gli è venuta dopo aver letto le dichiarazioni di Domenico Dolce su famiglia, figli della provetta e matrimoni gay. Vendetta tardiva, dato che quelle verità lo stilista le aveva dichiarate a Panorama addirittura la scorsa settimana, ma nessuno nel sciccoso ambiente gay friendly se l'era filate più di tanto. Ci voleva invece la furia di Elton John e il suo appello al boicottaggio della griffe per ridare fuoco a polveri ormai bagnate e turbare l'animo del Cecchi pavone. Che fare? Dare alle fiamme le mutande e chiedere pure la restituzione di quelle regalate ai fidanzati. C'è da tremare davanti allo scoppio d'ira dell'ormai smutandato Alessandro.

BOICOTTAGGIO GAY E FECONDAROLO
Con la sua sortita a dare manforte agli amichetti del boicottaggio gay e fecondarolo, Cecchi Paone ci informa che: a) lui possiede un guardaroba bel fornito di boxer e slipponi usciti dalla sartoria di Dolce & Gabbana; b) ai fidanzati il tirchio Paone non fa certo cadeau da mille e una note anche se portare la griffe di D&G sui luoghi strategici dev'essere un must per certa gente. Nel coro mondiale intonato da Elton John contro Gabbana, Cecchi Paone giunge in cattiva compagnia. L'idea delle mutande da buttare sul rogo la deve aver rubata da Courtney Love che ha espresso lo stesso proposito («Ho raccolto tutti i miei vestiti Dolce e Gabbana e li voglio bruciare. Non ho parole. Boicottiamo la bigotteria insensata»), mentre l'ex tennista milionaria e lesbica Martina Navratilova ha colto subito il lato commerciale della faccenda: «Bisognerà vedere», ha insinuato, «se queste sciocchezze faranno male al loro conto in banca».
Tutti a condannare quelle affermazioni di Domenico Dolce che ha avuto il coraggio di affrontare il pensiero unico con evidenze di fatti e di buon senso: «Sono gay, non posso avere un figlio, la vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia». A seguire la frase incriminata: «Non mi convincono i figli della chimica, i bambini sintetici, gli uteri in affitto, semi scelti da un catalogo». Il capofila della campagna di boicottaggio, Elton John ha fatto sapere che indosserà più nulla di Dolce Gabbana e ha invitato gli amichetti dello star system a fare altrettanto. Posizioni intolleranti e fasciste, gli ha replicato Gabbana invitando a suo volta a boicottare i dischi di Elton John. Comunque, una cosa è certa: D&G non sono della stessa pasta di Barilla [ricordate? https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3528, N.d.BB], loro non si sono rimangiati nulla. Anzi, rilanciano: «forse perderemo qualche fan di Elton John, forse guadagneremo qualche mamma».

IL RESTO È NOIA E FINZIONE
Tra un boicottaggio e l'altro, un cincillà che brucia e t-shirt griffate che finiscono nella spazzatura, la guerra in corso non ha nulla di nobile e drammatico, come sono la difesa dei diritti della vita e la venuta al mondo dei bambini. Verrebbe da mandare al diavolo questo mondo di miliardari che sfodera il suo orgoglio gay perché non ha più nulla di decente da esibire. Eppure, da Cecchi Paone a Ricky Martin, padre surrogato e impotente, la polemica hollywoodiana e tutta mercantile su Dolce & Gabbana ha molto da dire e da scoprire. Una volta accettato che maschio e femmina pari sono genericamente pari, che l'embrione possa essere non il frutto di un rapporto d'amore tra un uomo e una donna, ma il prodotto di una manipolazione in laboratorio, che al desiderio non c'è limite se non quello provvisorio e mutevole della scienza, che per fare un matrimonio non ci vogliono una donna e un uomo e neppure mamma e papà per fare un figlio. Beh allora bisogna solo scegliere la tecnica migliore o la banca dei gameti capace di soddisfare anche i più eugeneticamente esigenti. In questo folle puzzle Frankenstein, tutti ci possono mettere il loro pezzettino biologico: come quella madre inglese che si è fatta impiantare nell'utero un embrione prodotto con lo sperma del figlio. Il bambino, che ora ha già sette mesi, è nei fatti figlio di suo fratello e di sua nonna. Mica poi tanto diverso dai «figli sintetici della chimica» ricordati da Dolce.
Comprereste un paio di boxer da genitori così? O uno sparato gay-fucsia con occhiali a pois verdi da un Elton John che in un attacco di paternità si procura due gemelli da un donna in affitto? Il pensiero unico e anti umano che l'ideologia gender mira a imporre a tutti, vorrebbe che tutto ciò fosse accettato come "naturale" e che innaturale e deviante diventasse invece chi si oppone a questa delirante deriva totalitaria. Le avanguardie abitano il mondo dorato dello spettacolo e del vippaio fashion perché, si sa, la moda è ormai l'unica certezza rimasta ai sudditi consumatori. Contro Dolce e Gabbana la lobby dei ricchi e famosi agita lo spauracchio del boicottaggio e del no logo, contro tutti gli altri basta la legge Scalfarotto e l'accusa di omofobia, malattia considerata ormai più pericolosa del cancro.

Nota di BastaBugie: ma cosa hanno detto di preciso Dolce e Gabbana? Ecco le loro parole più un ottimo commento apparso su GWN (Gender Watch News) del 16/03/2015:
Gli stilisti Dolce e Gabbana, entrambi omosessuali dichiarati, rilasciano queste dichiarazioni a Panorama: "Se c'è una cosa che non deve cambiare è la famiglia". Spiega Stefano: "La famiglia non è una moda passeggera. È un senso di appartenenza sovrannaturale". E Domenico riprende: "Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L'ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c'è religione, non c'è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre". Poi l'intervista vira sui figli delle coppie gay: "Non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici", afferma Dolce. "Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d'amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni". "Che fossi gay", prosegue ancora Gabbana, "mia madre lo venne a sapere da un telegiornale. Fu difficile all'inizio. Mi fece una scenata: Cosa dico alla vicina? Nulla, non dirle nulla mamma. E poi se amo un uomo o una donna che importanza ha per te? Lei mi guardò e poi mi disse: è vero, non ha nessuna importanza. Un figlio? Sì, lo farei subito". La palla passa a Dolce che è di avviso opposto: "Io sono gay, e non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c'è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. Una di queste è la famiglia". L'uscita dei due stilisti non è andata giù ad Elton John che ha avuto due bambini tramite la pratica dell'utero in affitto. La pop star su Instagram ha così replicato: "Come vi permettete di dire che i miei meravigliosi figli sono 'sintetici'? Dovrebbero vergognarsi per aver puntato i loro ditini contro la fecondazione in vitro, un miracolo che ha consentito a legioni di persone che si amano, etero ed omosessuali, di realizzare il loro sogno di avere figli". Successivamente Elton John ha lanciato la campagna #boycottDolce&Gabbana per boicottare i prodotti dei due stilisti. Un paio di riflessioni. Bene che Dolce e Gabbana difendano la famiglia. Ma allora perché fanno coppia? Non scimmiottano così l'unica relazione di coppia esistente che loro stessi vogliono tutelare e si chiama "famiglia"? In secondo luogo qui si rischia di dire no ad adozione e figli in provetta ma sì all'omosessualità. Perché le prime due paiono pratiche un po' troppo estreme ma la seconda no. Ormai è passato questo messaggio: bene la coppia omosessuale ma non quella che vuole adottare. Ma a rigor di logica se dici sì alla relazione omosessuale perché negare a questa la possibilità di adottare? Insomma, si vuole tenere sia il bambino che l'acqua sporca. Infine anche nel mondo omosessuale ci sono i dissidenti. E in ogni ideologia, compresa quella gender, quelli che fanno la fine peggiore sono sempre i dissidenti interni perché i più pericolosi. E lo sono proprio perché sono i soggetti più credibili. La campagna sui social a danno del marchio Dolce & Gabbana, scoppiata come una bomba in rete, è una riprova. E' come nell'Isis: i musulmani non perfettamente ortodossi vengono decapitati perché sono la feccia peggiore.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/03/2015

7 - EROE DEL FOOTBALL AMERICANO, OGGI MALATO DI SLA, E' CONTRARIO ALL'EUTANASIA
''Da quando sono malato, ho fatto più bene di quanto non avessi fatto nei precedenti 37 anni'' (VIDEO: le regole del football)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 13/03/2015

«Il pensiero che una persona potrebbe avere un modo legale di togliersi la vita mi rattrista profondamente. È una tragedia». Non volava una mosca martedì nell'aula del Senato del Maryland, mentre Orenthial James Brigance con la sua voce metallica rendeva una testimonianza «in opposizione alla legge 676 sul suicidio assistito».

EROE DEL SUPER BOWL
O. J. Brigance non è una persona qualunque. Stella ed «eroe» degli Stallions e dei Baltimore Ravens, è uno dei sette giocatori nella storia del football americano ad aver vinto sia il campionato della lega canadese che il Super Bowl nel campionato nazionale. Ma è l'unico nella storia ad averlo fatto per la stessa città: Baltimore.
Davanti ai senatori del Maryland, Brigance non parlava in qualità di stella del football ma di malato, inchiodato da otto anni a una sedia a rotelle. Nel 2007, infatti, durante una partita di racquetball, si è accorto che il suo braccio destro rispondeva in modo strano ai movimenti comandati. Dopo una serie di esami, «ho ricevuto una notizia devastante: avevo la Sla», una malattia neurodegenerativa che in pochi mesi può portare alla paralisi totale dei muscoli volontari e di conseguenza alla morte.

SULLA MIA PELLE
«Mi sento in dovere di dare la mia testimonianza su questo tema, perché otto anni fa ho ricevuto una notizia devastante: avevo la Sla», ha esordito Brigance in Senato. «Ho vissuto sulla mia pelle il dibattito che stiamo facendo questo pomeriggio, mi sono domandato se questa vita fosse degna di essere vissuta. Io sono stato un atleta professionista e per me perdere progressivamente l'abilità di correre, camminare e infine parlare» è stato molto difficile. Brigance, infatti, è in grado di comunicare solo grazie a un sintetizzatore vocale.
Dopo un lungo percorso io e mia moglie abbiamo preso una decisione, che è stata ovviamente molto difficile», ha proseguito. «Io non ho creato la mia vita e non ho il diritto di togliermela. E poiché ho deciso di vivere al meglio delle mie possibilità, si è verificato un effetto di bene a cascata nel mondo». Quello a cui si riferisce è l'operato della sua associazione, la Squadra di Brigance, fondata «nel 2008 insieme a mia moglie per incoraggiare ed aiutare i malati di Sla».

HO FATTO PIÙ BENE ORA
Negli anni, «abbiamo sostenuto tante famiglie nel momento del bisogno, anche finanziario, e con l'aiuto della tecnologia io sono riuscito a scrivere un libro due anni fa. Non vi dico quante persone si sono sentite incoraggiate nella loro lotta, perché io ho deciso di affrontare la mia battaglia contro la Sla. In questi otto anni, da quando mi è stata diagnosticata la malattia, io ho fatto più bene per questa società di quanto non avessi fatto nei precedenti 37».
In base ai criteri della legge, invece di fondare quest'opera, Brigance avrebbe potuto togliersi la vita con il suicidio assistito. Consapevole di questo, la stella del football americano ha concluso: «Non so quanto tempo mi rimanga ancora da vivere, ma il pensiero che una persona potrebbe avere un modo legale di suicidarsi nel momento della disperazione – privando la famiglia, gli amici e la società della sua presenza e del suo contributo – mi rattrista profondamente. È una tragedia. Ecco perché chiedo ad ognuno di voi di opporsi a questa legge. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo della vita ci viene dato da Dio e ha un valore. Il suicidio assistito svaluta le vite e il possibile futuro contributo che gli abitanti del Maryland possono offrire. Grazie per avermi dato l'opportunità di parlare».

Nota di BastaBugie: per conoscere il football americano (di cui anche in Italia si gioca un campionato) si può vedere il seguente video che in cinque minuti spiega molto bene le regole di questo affascinante gioco


https://www.youtube.com/watch?v=Zg2av8PnIjg

Fonte: Tempi, 13/03/2015

8 - MARIO PALMARO: CORAGGIO, FEDE E UMANITA' DI UN GRANDE BIOETICISTA
Ricordiamo la sua figura e riproponiamo un suo articolo sulla Comunione ai divorziati risposati
Fonte Sito del Timone, 09/03/2015

Un anno fa, il 9 marzo 2014, moriva Mario Palmaro. Firma storica del Timone e per anni membro del suo comitato di redazione, aveva iniziato a collaborare con la rivista a partire dal n. 6 (marzo-aprile 2000). Il suo ultimo articolo, dedicato ad Eugenio Corti, è stato pubblicato il mese stesso della sua scomparsa.
L'esempio di Mario è vivo in chi l'ha conosciuto personalmente, in chi ha seguito le sue lezioni universitarie, in chi ha assistito alle sue conferenze e ha letto i suoi tanti libri. L'esempio di un vero miles Christi, che ha condotto la sua Buona Battaglia fino alla fine con la sprezzatura e lo humour di un gentiluomo brianzolo e la lucidità, la fermezza e la parresia di un apologeta di altri tempi.
Noi lo ricorderemo pubblicando nei prossimi giorni una raccolta di tutti i suoi interventi sul Timone, riprodotti con stessa impaginazione grafica degli originali. Si tratta di 131 scritti, per oltre 300 pagine, introdotti da una lettera della moglie Annamaria.
Il ricavato delle vendite andrà alla famiglia, alla moglie e ai quattro splendidi figli.
Segnaliamo inoltre che dal 2 marzo è in distribuzione anche il libro Mario Palmaro. Il buon seme fiorirà, curato da Alessandro Gnocchi e pubblicato da Fede & Cultura. [...]
Qui riproponiamo un articolo scritto da Palmaro per il Timone di maggio 2010, su un tema di stringente attualità nella Chiesa di oggi: la Comunione ai divorziato risposati.

NEL SEGNO DELLA SPERANZA
di Mario Palmaro

La posizione della Chiesa nei confronti dei fedeli divorziati è molto chiara. Ma quanti la conoscono veramente? Basta ascoltare i discorsi della gente per accorgersi che equivoci, fraintendimenti ed errori clamorosi sono assai diffusi: si confondono situazioni oggettivamente molto diverse tra loro, in un tripudio di luoghi comuni e di nozioni raccogliticce orecchiate dalla Tv o spigolate su qualche giornale sfogliato dal parrucchiere.
Questa situazione dipende certamente da una diffusa superficialità in materia di fede e di morale, alla quale non sono estranei gli stessi credenti. Ma è anche conseguenza di colpevoli omissioni da parte di coloro che nella Chiesa hanno il compito di insegnare e di "pascere" il gregge affidato da Gesù. Non è raro infatti sentirsi dire che "queste cose ormai si sanno", e che – per ragioni pastorali, per carità, per rispetto umano – "è meglio non parlare di queste cose nelle prediche o nella catechesi". Il risultato è che i fedeli in realtà "queste cose non le sanno", o le sanno in modo approssimativo, ignorando le precise indicazioni del Magistero e soprattutto le ragioni che stanno alla base di questo rigoroso insegnamento.
Il fatto è reso ancor più grave dalla enorme diffusione del divorzio nella nostra società, al punto che quasi tutti ormai hanno almeno un parente o un amico o un collega che vive un fallimento matrimoniale e che, come si usa dire, "si rifà una vita" con un altro partner. È dunque ancora più urgente sapere che cosa la Chiesa dice esattamente, anche per poter fare davvero del bene a coloro che si trovano in questa profonda sofferenza umana e spirituale. Anche per questi fratelli, infatti, Cristo ha parole di speranza. Anche per loro il bene proposto dal Vangelo è possibile.

LUOGHI COMUNI E MALA FEDE
La gente sa in maniera assai vaga che se sei divorziato non puoi ricevere la Comunione. Così capita che ci siano dei divorziati erroneamente convinti di essere colpiti da questa reclusione, mentre in realtà il divieto si riferisce ai divorziati risposati, cioè a coloro che hanno contratto matrimonio civile dopo aver celebrato un precedente matrimonio valido. E ancora: la maggior parte delle persone non sa che anche ai divorziati risposati la Chiesa offre una strada per ritornare alla Comunione. Di più: in alcune parrocchie si va diffondendo l'idea che ogni divorziato risposato decide in coscienza se vuole fare la Comunione, e che nessuno, tanto meno il sacerdote, può interferire in questa scelta. Altri pensano che i divorziati risposati siano degli scomunicati. E in generale si ritiene che la Chiesa escluda questi fedeli dall'eucarestia con un intento punitivo.
Come vedremo in questo articolo, tutti questi luoghi comuni sono davvero molto lontani dalla verità. Sono lontani dal vero anche quei cattolici che inveiscono contro la Chiesa, olpevole di "discriminare" i fedeli divorziati. Un atteggiamento di ribellione davvero singolare, soprattutto se assunto da coloro che magari per anni hanno snobbato la vita cristiana, la Messa domenicale, la confessione, le devozioni, e che improvvisamente "riscoprono" una sospetta "fame eucaristica" proprio nel momento in cui – per loro libera scelta – si sono messi in una condizione irregolare.

L'ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA
I divorziati risposati possono pensare che la Chiesa provi nei loro confronti disprezzo. Nulla di più falso: i pastori sono chiamati ad accogliere questi fedeli «con carità e amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio». Sono le parole testuali dell'autorevolissima Congregazione per la Dottrina della Fede, che nel 1994 ha inviato a tutti i vescovi del mondo un documento sulla materia. La Congregazione – allora guidata dal Cardinal Ratzinger – aggiunge che i pastori devono suggerire a questi fedeli «con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione». In queste parole c'è tutto il Magistero: la carità di Cristo, la maternità della Chiesa, la possibilità di lasciare alla spalle il male per fare il bene.

IL GIUDIZIO DELLA CHIESA
Comprendere non significa però giustificare. La misericordia è autentica solo quando procede insieme alla verità. Ed è per questo che vescovi e sacerdoti hanno il dovere (non quindi una generica possibilità discrezionale) di richiamare ai fedeli divorziati la dottrina della Chiesa, in particolare sulla ricezione dell'Eucarestia. Qual è questa dottrina? Eccola: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura questa situazione».

UNA PUNIZIONE?
Qualcuno può pensare che questa norma contenga una pena, inflitta ai divorziati per sanzionare la loro condotta. Non è così. Nella Familiaris consortio (1982) Giovanni Paolo II spiega limpidamente che il rifiuto della Comunione deriva da due fondamentali ragioni: la prima, che consiste nella oggettiva condizione in cui si trovano questi fedeli, che non sono in grazia di Dio; la seconda, che é di ordine pastorale, perché se queste persone fossero ammesse all'eucarestia ne deriverebbe una grave confusione per i fedeli, indotti in errore circa la dottrina della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio. I vescovi e i sacerdoti dovranno inoltre compiere ogni sforzo affinché venga compreso bene che questa disciplina è frutto «soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo».

CHI DECIDE?
Secondo qualche sacerdote, la disciplina della Chiesa su questa materia si risolverebbe in una classica questione di coscienza. Poiché valutare la giusta disposizione d'animo a ricevere l'eucarestia spetta normalmente al singolo fedele, anche in questo caso sarebbe il divorziato risposato a dover decidere che fare. Con la conseguenza pratica che, sempre secondo taluni sacerdoti, «se un fedele si presenta a fare la comunione, io ho il dovere di dargliela in ogni caso, anche se so che è un divorziato risposato». Questa posizione non è conforme all'insegnamento della Chiesa, che impone un "grave dovere a tutti i pastori".
Qual è questo obbligo grave? Quando qualcuno, convivendo more uxorio con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, giudicasse possibile ricevere la Comunione, allora vescovi e sacerdoti – in particolare nel ruolo di confessori – «hanno il grave dovere di ammonire che tale giudizio è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa». Questa dottrina dovrà essere ricordata «anche nell'insegnamento a tutti i fedeli».
Dunque ai sacerdoti è richiesta una specifica vigilanza, rispetto ad altri peccati, e la ragione è evidente: il matrimonio è essenzialmente una realtà pubblica.

NEMMENO IN CERTI CASI?
Secondo alcuni, in svariati casi bisognerebbe eliminare il divieto di accesso alla Comunione. Tali situazioni particolari sono state evocate dallo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede:
a. Quando il divorziato risposato era stato abbandonato ingiustamente dal coniuge, pur cercando in ogni modo di salvare il matrimonio;
b. Quando il divorziato risposato è convinto in coscienza che il precedente matrimonio sia nullo, pur non potendolo dimostrare nel foro esterno;
c. Quando il divorziato risposato si è sottoposto a un lungo cammino di penitenza, ed è assistito da un sacerdote prudente ed esperto.
Nel n. 84 della Familiaris Consortio Giovanni Paolo II esorta i pastori a tenere in considerazione queste situazioni, distinguendole da atteggiamenti colpevoli. D'altra parte, il n. 4 del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede usa parole inequivocabili, che non lasciano scampo a interpretazioni lassiste. Anche in questi casi molto particolari, l'accesso alla Comunione non può essere consentito.

ESISTE UNA VIA DI USCITA?
A questo punto, i divorziati risposati potrebbero sembrare dei condannati a una sorta di "ergastolo morale", una gabbia senza scampo. Ma non è così. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede è anche qui molto preciso: «Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'acceso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale». E a chi può essere data tale assoluzione?
«Solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio». In concreto ciò significa che i due hanno l'obbligo di separarsi. Ma qualora i due non possono più separarsi, perché ad esempio devono educare i figli, assumeranno «l'obbligo di vivere in piena continenza, astenendosi dagli atti propri dei coniugi». Quindi, due divorziati che vivano "come fratello e sorella" possono accedere alla Comunione «fermo restando l'obbligo di evitare lo scandalo», ad esempio ricevendo l'eucarestia in una chiesa diversa da quella della propria comunità.

LA CHIESA POTRÀ CAMBIARE LA SUA POSIZIONE?
No. La prassi di escludere i divorziati risposati dalla Comunione è costante e universale, ed è fondata sulla Sacra Scrittura. Questa prassi è vincolante, e «non può essere modificata in base alle diverse situazioni», poiché «agendo in tal modo la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità».

DUE SCOMUNICATI?
I divorziati risposati non sono affatto degli "scomunicati". Questo significa che non sono colpiti da una sanzione grave da parte della Chiesa – come avviene ad esempio nei confronti di chi ha commesso il peccato di aborto volontario – e significa anche che essi devono essere incoraggiati a partecipare alla vita cristiana. In particolare, la Chiesa li incoraggia a non abbandonare la pratica della Messa, anche quando fossero impossibilitati a ricevere la Comunione, perché questa loro partecipazione al sacrificio di Cristo non è senza valore e senza significato. La Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento del 1994 li esorta «ad approfondire il valore della comunione spirituale», a pregare, a educare i figli nella fede cristiana, a impegnarsi in opere di carità.

SEGNALI DI SPERANZA
Non ci sono dubbi: un cattolico sincero, trovandosi nella condizione di divorziato risposato, vive nella sua coscienza una sofferenza molto profonda. Le motivazioni umane che lo hanno spinto verso certe decisioni, la forza coinvolgente degli affetti umani, le conseguenze talvolta irrimediabili degli errori, lo avviluppano da ogni parte. È proprio in questa dura prova che il divorziato risposato dovrà resistere ad alcune tentazioni: ribellarsi alla Chiesa; abbandonare la vita cristiana; perdere ogni speranza. Per quanto grave sia la nostra colpa, per quanto ardua sia la strada da percorrere, con l'aiuto di Dio tutto è possibile. Realmente tutto.

Fonte: Sito del Timone, 09/03/2015

9 - OMELIA V DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 12,20-33)
E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22 marzo 2015)

Nel Vangelo di questa domenica, la quinta di Quaresima, Gesù annunzia ai suoi discepoli che ormai è giunta la sua ora. Di quale ora si tratta? Di quella di essere glorificato per mezzo della sua morte in Croce e della sua Risurrezione. Gesù, nella sua umanità, avverte tutta l'angoscia di questo momento. Nel Getsemani Egli pregherà il Padre che si allontani, se possibile, questo calice amaro della sofferenza; tuttavia, sia fatta la volontà del Padre. Ai suoi discepoli dice: «Adesso la mia anima è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!» (Gv 12,27).
Gesù avverte questa angoscia, ma aderisce pienamente alla volontà del Padre e va incontro alla morte con il desiderio di donarci la vita. E così, per insegnare ai suoi discepoli la necessità di questa morte, Gesù usa il bel paragone del chicco di grano che morendo porta molto frutto: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
Con questo paragone Gesù ci insegna la grande legge dell'amore che è quella del dono di sé: solo donando la nostra vita noi saremo felici. Per imprimere nel cuore e nella mente dei suoi discepoli questa verità, Gesù adopera delle parole molto forti, che devono essere rettamente intese. Egli dice: «Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25).
Non dobbiamo prendere queste parole alla lettera. Gesù non ci insegna a odiare e a disprezzare la vita, che è un suo dono, ma ci vuol far comprendere che solo donando la nostra vita potremo dire di amare davvero. E amare significa sapersi sacrificare.
Così ha fatto Gesù e così hanno fatto i suoi fedeli discepoli. Con queste parole il nostro Maestro Divino non vuole solamente insegnarci quella che è stata la sua vita, ma ci vuole indicare come deve essere la vita di tutti quelli che vogliono essere cristiani e desiderano seguire la sua via. Per questo Egli afferma: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26). Se realmente vogliamo essere cristiani, dobbiamo seguire Gesù fin sul Calvario, e anche noi un giorno saremo glorificati.
Per esprimere ancora la fecondità della sua morte in Croce, Gesù pronuncia questa frase: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il significato di queste parole è chiaro: quando sarà innalzato in Croce, Gesù donerà la vita al mondo intero e diverrà «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9), come dice la seconda lettura di oggi.
Anche per noi giungerà un giorno "l'ora del dolore" che sarà l'ora della suprema testimonianza d'amore. Forse per qualcuno di noi quest'ora è già suonata e dura da molto tempo. Dobbiamo però sapere una cosa: Gesù non ci abbandonerà in questa ora così difficile; non ci toglierà la croce, ma ci aiuterà a portarla, facendoci comprendere che sarà proprio per mezzo di questa croce che noi saremo come quel chicco di grano che morendo porta molto frutto.
I Martiri hanno guardato a quest'ora come all'ora suprema della loro glorificazione. Tra tutte, è molto bella la testimonianza di sant'Ignazio di Antiochia, che era un vescovo dei primi secoli. Egli fu condannato ad essere sbranato dalle belve feroci, e si paragonò a del buon grano che doveva essere macinato dai denti di quelle fiere per poter divenire pane di vita. Così egli scrisse ai cristiani di Roma che cercavano in tutti i modi di salvarlo: «Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore».
In quell'ora suprema del martirio, sant'Ignazio sentiva la vicinanza di Gesù e andava fiducioso incontro alla difficile prova.
Anche noi, come Gesù e come tutti i Martiri, sentiremo l'angoscia e la paura; ma, per farci coraggio, dobbiamo pensare che quanto più saremo vicini alla croce, tanto più saremo uniti a Gesù, e che da un apparente fallimento scaturirà la più grande vittoria.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 22 marzo 2015)

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