BastaBugie n�133 del 26 marzo 2010

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1 TRE FATTI CHE NON CI DICONO SULLA PEDOFILIA
1) la pedofilia è fino a dieci volte più alta tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici, 2) rispetto ai sacerdoti condannati i professori di ginnastica sono 60 volte tanto, 3) l'80% dei pedofili sono omosessuali
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
2 FACEBOOK CHIUDE BASTABUGIE
Ecco i messaggi dei nostri lettori che ci incoraggiano ad andare avanti!
Fonte: BASTABUGIE
3 APPROVATA LA LEGGE SULLE CURE PALLIATIVE E TUTTI VISSERO FELICI E CONTENTI
Ecco perche' se tutti i partiti erano d'accordo, noi ancora una volta cantiamo fuori dal coro
Fonte: Corrispondenza Romana
4 AUSTRALIA: UN UOMO CAMBIA SESSO A 28 ANNI E DIVIENE DONNA, POI A 48 ANNI OTTIENE IL RICONOSCIMENTO DI NON ESSERE NE' UOMO, NE' DONNA, CIOE' NEUTRO
(Ma poi il governo ci ripensa e lo costringe a decidere se essere uomo o donna!)
Fonte: Yahoo notizie
5 IL PRIMATO DEI TRE PRINCIPI NON NEGOZIABILI (VITA, FAMIGLIA, LIBERTA' DI EDUCAZIONE) NELLE SCELTE ELETTORALI SECONDO BENEDETTO XVI
Analizziamo la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica della Congregazione per la Dottrina della Fede del 24 novembre 2002
Autore: Laura Boccenti - Fonte: Il Timone
6 IRLANDA 1
Mentre giornali e televisioni hanno solo lo scopo di attaccare la Chiesa, il Papa va alla radice dei problemi per risolverli
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
7 IRLANDA 2
Una sintesi della lettera del Papa ai cattolici d'Irlanda
Autore: Marco Ciamei - Fonte: Avvenire
8 OMELIA PER LA DOMENICA DELLE PALME TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Lc 19,28-40)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio
9 OMELIA PER IL GIOVEDI' SANTO TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Gv 13,1-15)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - TRE FATTI CHE NON CI DICONO SULLA PEDOFILIA
1) la pedofilia è fino a dieci volte più alta tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici, 2) rispetto ai sacerdoti condannati i professori di ginnastica sono 60 volte tanto, 3) l'80% dei pedofili sono omosessuali
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 13 marzo 2010

Perché si ritorna a parlare di preti pedofili, con accuse che si riferiscono alla Germania, a persone vicine al Papa e ormai anche al Papa stesso? La sociologia ha qualche cosa da dire o deve lasciare libero il campo ai soli giornalisti? Credo che la sociologia abbia molto da dire, e che non debba tacere per il timore di scontentare qualcuno. La discussione attuale sui preti pedofili – considerata dal punto di vista del sociologo – rappresenta un esempio tipico di “panico morale”. Il concetto è nato negli anni 1970 per spiegare come alcuni problemi siano oggetto di una “ipercostruzione sociale”. Più precisamente, i panici morali sono stati definiti come problemi socialmente costruiti caratterizzati da una amplificazione sistematica dei dati reali, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica. Altre due caratteristiche sono state citate come tipiche dei panici morali. In primo luogo, problemi sociali che esistono da decenni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche e politiche come “nuovi”, o come oggetto di una presunta e drammatica crescita recente. In secondo luogo, la loro incidenza è esagerata da statistiche folkloriche che, benché non confermate da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di comunicazione all'altro e possono ispirare campagne mediatiche persistenti. Philip Jenkins ha sottolineato il ruolo nella creazione e gestione dei panici di “imprenditori morali” le cui agende non sono sempre dichiarate. I panici morali non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezione dei problemi e compromettono l’efficacia delle misure che dovrebbero risolverli. A una cattiva analisi non può che seguire un cattivo intervento.
Intediamoci: i panici morali hanno ai loro inizi condizioni obiettive e pericoli reali. Non inventano l’esistenza di un problema, ma ne esagerano le dimensioni statistiche. In una serie di pregevoli studi lo stesso Jenkins ha mostrato come la questione dei preti pedofili sia forse l’esempio più tipico di un panico morale. Sono presenti infatti i due elementi caratteristici: un dato reale di partenza, e un’esagerazione di questo dato ad opera di ambigui “imprenditori morali”.
Anzitutto, il dato reale di partenza. Esistono preti pedofili. Alcuni casi sono insieme sconvolgenti e disgustosi, hanno portato a condanne definitive e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti. Questi casi – negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia – spiegano le severe parole del Papa e la sua richiesta di perdono alle vittime. Anche se i casi fossero solo due – e purtroppo sono di più – sarebbero sempre due casi di troppo. Dal momento però che chiedere perdono – per quanto sia nobile e opportuno – non basta, ma occorre evitare che i casi si ripetano, non è indifferente sapere se i casi sono due, duecento o ventimila. E non è neppure irrilevante sapere se il numero di casi è più o meno numeroso tra i sacerdoti e i religiosi cattolici di quanto sia in altre categorie di persone. I sociologi sono spesso accusati di lavorare sui freddi numeri dimenticando che dietro ogni numero c’è un caso umano. Ma i numeri, per quanto non siano sufficienti, sono necessari. Sono il presupposto di ogni analisi adeguata.
Per capire come da un dato tragicamente reale si è passati a un panico morale è allora necessario chiedersi quanti sono i preti pedofili. I dati più ampi sono stati raccolti negli Stati Uniti, dove nel 2004 la Conferenza Episcopale ha commissionato uno studio indipendente al John Jay College of Criminal Justice della City University of New York, che non è un’università cattolica ed è unanimemente riconosciuta come la più autorevole istituzione accademica degli Stati Uniti in materia di criminologia. Questo studio ci dice che dal 1950 al 2002 4.392 sacerdoti americani (su oltre 109.000) sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili. Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori. In alcuni casi le vere o presunte vittime hanno denunciato sacerdoti già defunti, o sono scattati i termini della prescrizione. In altri, all’accusa e anche alla condanna canonica non corrisponde la violazione di alcuna legge civile: è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che abbia una relazione con una – o anche un – minorenne maggiore di sedici anni e consenziente. Ma ci sono anche stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti accusati. Questi casi si sono anzi moltiplicati negli anni 1990, quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transazioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Gli appelli alla “tolleranza zero” sono giustificati, ma non ci dovrebbe essere nessuna tolleranza neanche per chi calunnia sacerdoti innocenti. Aggiungo che per gli Stati Uniti le cifre non cambierebbero in modo significativo se si aggiungesse il periodo 2002-2010, perché già lo studio del John Jay College notava il “declino notevolissimo” dei casi negli anni 2000. Le nuove inchieste sono state poche, e le condanne pochissime, a causa di misure rigorose introdotte sia dai vescovi statunitensi sia dalla Santa Sede.
Lo studio del John Jay College ci dice, come si legge spesso, che il quattro per cento dei sacerdoti americani sono “pedofili”? Niente affatto. Secondo quella ricerca il 78,2% delle accuse si riferisce a minorenni che hanno superato la pubertà. Avere rapporti sessuali con una diciassettenne non è certamente una bella cosa, tanto meno per un prete: ma non si tratta di pedofilia. Dunque i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia negli Stati Uniti sono 958 in cinquantadue anni, diciotto all’anno. Le condanne sono state 54, poco più di una all’anno.
Il numero di condanne penali di sacerdoti e religiosi in altri Paesi è simile a quello degli Stati Uniti, anche se per nessun Paese si dispone di uno studio completo come quello del John Jay College. Si citano spesso una serie di rapporti governativi in Irlanda che definiscono “endemica” la presenza di abusi nei collegi e negli orfanatrofi (maschili) gestiti da alcune diocesi e ordini religiosi, e non vi è dubbio che casi di abusi sessuali su minori anche molto gravi in questo Paese vi siano stati. Lo spoglio sistematico di questi rapporti mostra peraltro come molte accuse riguardino l’uso di mezzi di correzione eccessivi o violenti. Il cosiddetto rapporto Ryan del 2009 – che usa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa Cattolica – su 25.000 allievi di collegi, riformatori e orfanatrofi nel periodo che esamina riporta 253 accuse di abusi sessuali da parte di ragazzi e 128 da parte di ragazze, non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o religiose, di diversa natura e gravità, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più raramente hanno condotto a condanne.
Le polemiche di queste ultime settimane sulla Germania e l’Austria mostrano una caratteristica tipica dei panici morali: si presentano come “nuovi” fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni casi a oltre trent’anni fa, in parte già noti. Il fatto che – con una particolare insistenza su quanto tocca l’area geografica bavarese, da cui viene il Papa – siano presentati sulle prime pagine dei giornali avvenimenti degli anni 1980 come se fossero avvenuti ieri, e che ne nascano furibonde polemiche, con un attacco concentrico che ogni giorno annuncia in stile urlato nuove “scoperte” mostra bene come il panico morale sia promosso da “imprenditori morali” in modo organizzato e sistematico. Il caso che – come alcuni giornali hanno titolato – “coinvolge il Papa” è a suo modo da manuale. Si riferisce a un episodio di abusi nell’Arcidiocesi di Monaco di Baviera e Frisinga, di cui era arcivescovo l’attuale Pontefice, che risale al 1980. Il caso è emerso nel 1985 ed è stato giudicato da un tribunale tedesco nel 1986, accertando tra l’altro che la decisione di accogliere nell’arcidiocesi il sacerdote in questione non era stata presa dal cardinale Ratzinger e non gli era neppure nota, il che non è strano in una grande diocesi con una complessa burocrazia. Perché un quotidiano tedesco decida di riesumare questo caso e sbatterlo in prima pagina ventiquattro anni dopo la sentenza dovrebbe essere la vera questione.
Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra difensivo, e non consola le vittime – ma importante è se essere un prete cattolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o di abusare sessualmente di minori – le due cose, come si è visto, non coincidono perché chi abusa di una sedicenne non è un pedofilo – più elevato rispetto al resto della popolazione. Rispondere a questa domanda è fondamentale per scoprire le cause del fenomeno e quindi per prevenirlo. Secondo gli studi di Jenkins se si paragona la Chiesa Cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni protestanti si scopre che la presenza di pedofili è – a seconda delle denominazioni – da due a dieci volte più altra tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici. La questione è rilevante perché mostra che il problema non è il celibato: la maggior parte dei pastori protestanti è sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti americani era condannato per abusi sessuali su minori, il numero professori di ginnastica e allenatori di squadre sportive giovanili – anche questi in grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai tribunali statunitensi sfiorava i seimila. Gli esempi potrebbero continuare, non solo negli Stati Uniti. E soprattutto secondo i periodici rapporti del governo americano due terzi circa delle molestie sessuali su minori non vengono da estranei o da educatori – preti e pastori protestanti compresi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esistono per numerosi altri Paesi.
Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c’è un dato che è assai più significativo: per oltre l’ottanta per cento i pedofili sono omosessuali, maschi che abusano di altri maschi. E – per citare ancora una volta Jenkins – oltre il novanta per cento dei sacerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori e pedofilia è omosessuale. Se nella Chiesa Cattolica c’è stato effettivamente un problema, questo non è stato il celibato ma una certa tolleranza dell’omosessualità nei seminari particolarmente negli anni 1970, quando è stata ordinata la grande maggioranza di sacerdoti poi condannati per gli abusi. È un problema che Benedetto XVI sta vigorosamente correggendo. Più in generale il ritorno alla morale, alla disciplina ascetica, alla meditazione sulla vera, grande natura del sacerdozio sono l’antidoto ultimo alle tragedie vere della pedofilia. Anche a questo deve servire l’Anno Sacerdotale.
Rispetto al 2006 – quando la BBC mandò in onda il documentario-spazzatura del parlamentare irlandese e attivista omosessuale Colm O’Gorman – e al 2007 – quando Santoro ne propose la versione italiana su Annozero – non c’è, in realtà, molto di nuovo, salva l’accresciuta severità e vigilanza della Chiesa. I casi dolorosi di cui più si parla in queste settimane non sono sempre inventati, ma risalgono a venti o anche a trent’anni fa.
O, forse, qualche cosa di nuovo c’è. Perché riesumare nel 2010 casi vecchi o molto spesso già noti, al ritmo di uno al giorno, attaccando sempre più direttamente il Papa – un attacco, per di più, paradossale se si considera la grandissima severità del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi su questo tema? Gli “imprenditori morali” che organizzano il panico hanno un’agenda che emerge sempre più chiaramente, e che non ha veramente al suo centro la protezione dei bambini. La lettura di certi articoli ci mostra come – alla vigilia di scelte politiche, giuridiche e anche elettorali che un po’ dovunque in Europa e nel mondo mettono in questione la somministrazione della pillola RU486, l’eutanasia, il riconoscimento delle unioni omosessuali, in cui quasi solo la voce della Chiesa e del Papa si leva a difendere la vita e la famiglia – lobby molto potenti cercano di squalificare preventivamente questa voce con l’accusa più infamante e oggi purtroppo anche più facile, quella di favorire o tollerare la pedofilia. Queste lobby più o meno massoniche manifestano il sinistro potere della tecnocrazia evocato dallo stesso Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate e la denuncia di Giovanni Paolo II, nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1985 (dell’8-12-1984), a proposito di “disegni nascosti” – accanto ad altri “apertamente propagandati” – “miranti a soggiogare tutti i popoli a regimi in cui Dio non conta”.
Davvero è questa un’ora di tenebre, che riporta alla mente la profezia di un grande pensatore cattolico del XIX secolo, il vercellese Emiliano Avogadro della Motta (1798-1865), secondo cui alle rovine arrecate dalle ideologie laiciste avrebbe fatto seguito un’autentica “demonolatria” che si sarebbe manifestata particolarmente nell’attacco alla famiglia e alla vera nozione del matrimonio. Ristabilire la verità sociologica sui panici morali in tema di preti e pedofilia di per sé non risolve i problemi e non ferma le lobby, ma può costituire almeno un piccolo e doveroso omaggio alla grandezza di un Pontefice e di una Chiesa feriti e calunniati perché sulla vita e la famiglia non si rassegnano a tacere.

DOSSIER "SACERDOTI ALLA GOGNA"
Accusati ingiustamente, poi assolti

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Fonte: Cesnur, 13 marzo 2010

2 - FACEBOOK CHIUDE BASTABUGIE
Ecco i messaggi dei nostri lettori che ci incoraggiano ad andare avanti!
Fonte BASTABUGIE, 22 marzo 2010

Come abbiamo ampiamente riferito nel n. 132 di BASTABUGIE, Facebook ha chiuso il nostro gruppo senza preavviso e senza motivo. La dittatura del relativismo, del resto, ammette tutti i pareri eccetto quelli contrari a sé stesso (ecco perché è contraddittorio e quindi sbagliato: mentre dice che non c'è nessuna verità, sta affermando una verità).
Pensate che dei 4.328 iscritti a BASTABUGIE, ben 1.272 ricevevano le nostre notizie tramite Facebook, cioè ben il 30 per cento. Sarebbe come se, dall'oggi al domani, un giornale (ad esempio La Repubblica) non fosse venduto nel 30 per cento delle edicole italiane. O come se, sempre dall'oggi al domani, un singolo canale televisivo (ad esempio Canale 5) non fosse più visibile nel 30 per cento del territorio nazionale. Il giornale o la televisione in questione avrebbe un danno enorme. Ecco: per noi di BASTABUGIE è stato lo stesso, con l'aggravante che noi non abbiamo (come La Repubblica o Canale 5) altri mezzi con cui pubblicizzarci, se non il passaparola tra amici. Voi che ci apprezzate e che diffondete le nostre mail siete la nostra risorsa!
Il nostro unico finanziamento viene da coloro che hanno richiesto il cd con l'archivio di oltre 1000 articoli. Ma state tranquilli, noi non ci diamo per vinti. Continueremo la nostra battaglia e vi ringraziamo per l'affetto con cui ci seguite.
Ecco alcuni dei vostri graditi messaggi con cui in questi giorni ci avete fatto arrivare la vostra solidarietà.
 
Apprendo con viva e sgraditissima sorpresa, dall'ultimo numero, dell'inopinata vostra cancellazione da facebook. Credo che vi siano buone e anzi ottime ragioni per sospettare di qualche lobby gay, cui abbiamo dato di certo fastidio anche con più d'uno dei consueti appuntamenti periodici d'informazione e dibattito.
Francesco
 
Sarà poco ma potete contare sul mio incondizionato appoggio. Grazie!
Valerio
 
Fate un bel lavoro. Complimenti. Che il Signore vi illumini sempre.
Carmelo
 
Semplicemente grandi...
Vincenzo
 
E' vero che è sempre interessante leggere i vostri articoli... ;)
Gilles
 
Articoli veri e interessanti, ma perché i cristiani non ne tengono conto o solo in modo marginale?
Sergio
 
Siete uno dei rari spiragli di verità che è rimasto in questo mondo.... forza ragazzi!!
Gualtiero

Fonte: BASTABUGIE, 22 marzo 2010

3 - APPROVATA LA LEGGE SULLE CURE PALLIATIVE E TUTTI VISSERO FELICI E CONTENTI
Ecco perche' se tutti i partiti erano d'accordo, noi ancora una volta cantiamo fuori dal coro
Fonte Corrispondenza Romana, 20/3/2010

L’8 marzo la Camera ha approvato a larghissima maggioranza la norma che assicura l’accesso alle cure palliative (ossia l’insieme degli interventi aventi lo scopo di migliorare il benessere del morente) ed alla terapia del dolore. Con questa legge viene introdotto per il medico l’obbligo del monitoraggio del dolore nei confronti di tutti i pazienti (non solo, dunque, per i malati terminali), indipendentemente dalla patologia per la quale vengono ricoverati.
Inoltre, la modifica introdotta semplifica la prescrizione dei medicinali destinati al trattamento dei malati affetti da dolore severo e prevede lo stanziamento di un fondo da cui le regioni potranno e dovranno attingere per adempiere al nuovo obbligo di legge; le regioni inadempienti non potranno accedere per l’anno successivo ai finanziamenti sanitari nazionali; è prevista anche la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario specializzato ed un Osservatorio nazionale permanente, che avrà il compito di stilare un rapporto annuale sull’andamento delle prescrizioni (“Avvenire”, 9 marzo 2010).
Queste, in sintesi, le linee guida della nuova legge, la cui approvazione definitiva alla Camera è stata salutata da un unanime coro di apprezzamento da parte di tutte le forze politiche. Da parte nostra, ci permettiamo di sollevare qualche dubbio sulla bontà della norma introdotta.
Alleviare le sofferenze del malato e dunque assicurare alla famiglia un effettivo sostegno nel prendersi carico del congiunto, è certamente lodevole e doveroso; tuttavia, ciò che lascia perplessi è l’implicita affermazione del diritto a non soffrire sancito dalla norma, che addirittura obbliga il medico e la struttura sanitaria ad intraprendere terapie, più o meno standardizzate, per la cura del dolore.
Il medico, ed in generale gli operatori sanitari, rischiano di diventare dei semplici esecutori di terapie oppure dei certificatori della volontà altrui, tendenza che potrebbe acuirsi con l’eventuale e purtroppo probabile approvazione della cosiddetta legge sul fine vita. In altri termini, la capacità di valutazione del medico risulterebbe pericolosamente ridotta, con il conseguente rischio per il malato di ricevere le cure necessarie non sulla base del suo effettivo stato di salute, bensì sulla base di uno schema ideologico di riferimento che tende a vedere la sofferenza e la malattia in maniera distorta, frutto avvelenato di un clima culturale nichilista ed edonista, regolato dal freudiano “principio del piacere”.
In effetti, l’affermazione secondo cui il malato ha il diritto di vivere con dignità la malattia invalidante oppure l’approssimarsi della morte, equivale implicitamente ad ammettere l’esistenza di situazioni in cui l’estrema sofferenza oppure la condizione di vita vegetativa non siano da considerare dignitose per l’essere umano. Dunque, come nel triste caso di Eluana Englaro, potrebbero frequentemente verificarsi casi in cui per evitare le sofferenze presunte o reali di un paziente (che, sulla base degli standard culturali suddetti, perde la dignità propria dell’essere umano) se ne procura de facto la morte. Occorre tener presente che la tipologia e la potenza dei farmaci utilizzati nel “pallium” è tale (ad esempio gli oppiacei) da risultare potenzialmente letale; occorre anche tener presente che le pressioni dei familiari affinché venga accelerato od intrapreso il procedimento di sedazione, possono mettere il medico nella condizione di cedere facilmente alle loro implicite od esplicite richieste.
D’altra parte, egli correrebbe meno rischi nell’eccedere nella dose dei palliativi da prescrivere al ricoverato, piuttosto che il contrario. Desta inoltre un certo sospetto il fatto che la legge sulle cure palliative inizialmente inclusa nel ddl Calabrò sul testamento biologico, ne sia stata poi separata, probabilmente per celare il sostanziale legame tra i due progetti normativi (l’uno sembra completare e rafforzare l’altro).
La formidabile spinta culturale a considerare la sofferenza in generale come una condizione inumana da cui rifuggire, unita all’approvazione di leggi in linea con tale tendenza, potrebbe costituire una seria minaccia alla vita di un numero imprecisato di esseri umani inabili, handicappati o incapaci di intendere e di volere.

Fonte: Corrispondenza Romana, 20/3/2010

4 - AUSTRALIA: UN UOMO CAMBIA SESSO A 28 ANNI E DIVIENE DONNA, POI A 48 ANNI OTTIENE IL RICONOSCIMENTO DI NON ESSERE NE' UOMO, NE' DONNA, CIOE' NEUTRO
(Ma poi il governo ci ripensa e lo costringe a decidere se essere uomo o donna!)
Fonte Yahoo notizie, 16 e 18 marzo 2010

Norrie May Welby è la prima persona al mondo dichiarata ufficialmente nè uomo nè donna. A raccontarne la storia è il quotidiano britannico 'Telegraph', spiegando che Norrie è nato uomo 48 anni fa nella contea di Renfrewshire, in Gran Bretagna, si è trasferitosi all'età di 7 anni in Australia e ha cambiato sesso, diventando donna nel 1990 a 28 anni. Ma anche con un corpo femminile May-Welby non era felice, si legge, e ora raggiunti i 48 anni e' stato dichiarato ufficialmente una persona "senza sesso specifico".
Dopo l'esame di diversi medici, nessuno è stato in grado di specificare il sesso di Norrie; così il certificato di nascita originario, stilato in Gran Bretagna, è stato modificato e, alla casella 'sesso' c'è scritto "neutro". "Il concetto di uomo o donna non fa per me. La soluzione più semplice è non avere identificazione di tipo sessuale", ha commentato May-Welby.
POI IL GOVERNO CI RIPENSA
Forse il clamore attorno al suo caso è stato troppo, forse il governo australiano non ama che si parli tanto delle sue scelte. Non sappiamo esattamente cosa sia successo, ma sta di fatto che quella che sembrava essere una scelta molto all'avanguardia è stata ritrattata. Norrie May-Welby, il primo essere umano ad avere un "sesso non specificato" dovrà, da oggi, scegliersi un orientamento di appartenenza. L'ufficio per lo stato civile del Nuovo Galles del Sud  ha annullato il certificato di nascita di Norrie che riportava l'ormai famosa dicitura "di sesso non specificato".
"Quando ho ricevuto la telefonata mi sono sentito come se mi avessero ucciso - ha dichiarato alla stampa Norrie, che ha già presentato ricorso alla Commissione diritti umani -. La mia identità è stata divulgata in tutto il mondo, e ora il governo si riprende quello che mi aveva riconosciuto. Non poteva procurarsi prima la consulenza legale?".
Norrie, infatti, aveva usato quel certificato per tutti in tutti gli uffici con cui aveva avuto a che fare, dalla banca alla motorizzazione. Adesso, Norrie chiede delle scuse formali da parte del governo e un risarcimento danni.

Fonte: Yahoo notizie, 16 e 18 marzo 2010

5 - IL PRIMATO DEI TRE PRINCIPI NON NEGOZIABILI (VITA, FAMIGLIA, LIBERTA' DI EDUCAZIONE) NELLE SCELTE ELETTORALI SECONDO BENEDETTO XVI
Analizziamo la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica della Congregazione per la Dottrina della Fede del 24 novembre 2002
Autore: Laura Boccenti - Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2009 (n.85)

Sono in molti, forse soprattutto tra i cattolici, a ritenere che gli squilibri e le ingiustizie che affliggono la società attuale dipendano principalmente da un deficit di solidarietà e di giustizia. L'affermazione dei diritti inalienabili della persona, che in linea di principio sono eguali in ogni uomo, suscita il desiderio di porre rimedio alle situazioni di povertà e d'ignoranza, liberando dall'indigenza coloro che vi si trovano. La solidarietà, così, viene posta al centro del discorso sulle relazioni tra gli Stati, ed è all'origine del fenomeno delle Organizzazioni non governative (Ong) e di molteplici organismi promossi dai governi, singolarmente o in reciproca collaborazione.
Sempre la solidarietà, intesa sia come atteggiamento della persona, sia come categoria etico-politica, viene invocata come rimedio efficace, appunto, al problema della povertà. Essa è diventata una «parola talismano», indispensabile per essere accolti in ambienti progressisti, anche e soprattutto d'ispirazione cristiana, e il suo uso spregiudicato l'ha privata di qualsiasi sostanza e resa capace di evocare qualsiasi sottinteso. Come è avvenuto per tante altre parole, originariamente cariche di significato positivo (per esempio, libertà, democrazia), essa può voler dire tutto e il suo contrario e quindi necessita di una spiegazione circa i suoi contenuti, prima di poter essere utilizzata senza equivoci.
Pur richiamando un valore indiscutibile, la solidarietà è successiva alla questione antropologica: senza una precedente spiegazione di che cosa sia una persona, rischia di diventare parziale e di non giungere al cuore del problema. Alla radice della questione sociale c'è infatti la questione antropologica. Ciò che è dovuto all'uomo per giustizia dipende da ciò che l'uomo è per natura. Se non si parte dalla natura dell'uomo, si corre il rischio di contrapporre i principali valori non negoziabili, la vita, la famiglia e l'educazione, alla solidarietà.
La vita della società si fonda su alcuni principi-valori naturali, appunto non negoziabili: i primi e principali sono la dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e la libertà di educazione. Si tratta di contenuti non negoziabili perché indicano i pilastri su cui viene edificata la società. Si può discutere sul numero dei piani o sullo stile architettonico, ma non sul fatto che un edificio debba avere le fondamenta.
Alla fine del 2002 la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicava una Nota dottrinale sull'impegno e il comportamento politico dei cattolici. Il documento affronta i temi dottrinali adeguati alla nuova situazione storica in cui i cattolici si sono venuti a trovare dopo la fine dell'epoca delle ideologie nel 1989. La caduta del Muro di Berlino, infatti, ha segnato la fine del voto di appartenenza, che di fatto impegnava i cattolici a votare e/o a sostenere quei partiti che, almeno nominalmente, si richiamavano, o almeno non contraddicevano, la dottrina sociale della Chiesa. Venuta meno l'epoca delle ideologie e la divisione del mondo in due blocchi contrapposti anche militarmente - di uno dei quali, l'Urss, il Pci era il rappresentante in Italia - l'elettore entrò in uno stato di «confusione elettorale».
Nel mutato contesto politico, avveniva che i cattolici «di sinistra» si orientavano sui partiti che appunto privilegiavano la cosiddetta solidarietà, cioè una maggiore distribuzione delle risorse, grazie a un più deciso intervento dello Stato, che avvantaggiasse le classi più disagiate, mentre i cattolici «di destra», o comunque con una sensibilità culturale diversa, privilegiassero invece i partiti che mettevano al centro della loro proposta politica la libertà della società civile dall'invadenza dello Stato.
Il bene comune, che è il fine dell'attività politica, veniva così dilaniato ideologicamente. Ma questo era possibile perché non venivano adeguatamente valutate le caratteristiche originarie della persona umana, così come essa è nella realtà. Perché se è vero, come scrive la Nota dottrina/e, che non tutte le proposte politiche sono uguali (e neppure compatibili con il diritto naturale), è altrettanto vero che non tutte le concezioni della persona sono accettabili alla luce della verità sull'uomo insegnata dalla Chiesa.
Gli stessi diritti che accompagnano la definizione di persona nell'insegnamento della Chiesa non sono tutti uguali e non possono essere messi tutti sullo stesso piano. Una persona ha il diritto di partecipare alla vita politica, per esempio, ma questo diritto non può essere messo sullo stesso piano del diritto alla vita, o di quello di costituire una famiglia e di educare i propri figli in un contesto coerente con i valori dei genitori stessi.
Analogamente per i doveri. Lo Stato ha il dovere di esercitare la solidarietà verso i più deboli, nel rispetto del principio di sussidiarietà (ossia quando le società minori non possono più fare nulla), ma questo dovere non ha la stessa importanza della protezione della vita, dal concepimento alla morte naturale, o della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna.
Soltanto dopo l'accettazione di una corretta concezione della persona umana comincia il pluralismo delle scelte politiche.
Nel pieno della polemica scoppiata in Usa sulla liceità di dare la comunione a un candidato cattolico che non fosse contrario alla legalizzazione dell'aborto, il card. Ratzinger, che nel 2004 presiedeva ancora la Congregazione per la Dottrina della Fede, scrisse che un cattolico può avere un'opinione diversa dal Papa sul tema della liceità della guerra o della pena di morte, ma non quando in discussione sono l'eutanasia o il diritto di aborto (Nota trasmessa al card. Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington, e all'arcivescovo Wilton Gregory, Presidente della Conferenza episcopale Usa...).
RICORDA
«Quando l'azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l'impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità.
Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l'essenza dell'ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all'accanimento terapeutico, la quale è,  anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale.
Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell'embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale.
Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l'altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi, ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un'economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale "i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti"».

Fonte: Il Timone, settembre-ottobre 2009 (n.85)

6 - IRLANDA 1
Mentre giornali e televisioni hanno solo lo scopo di attaccare la Chiesa, il Papa va alla radice dei problemi per risolverli
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 21 marzo 2010

È evidente che la “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” di Benedetto XVI non è rivolta ai sociologi. Il Papa parla a una Chiesa ferita e disorientata dalle notizie relative ai preti pedofili. Denuncia con voce fortissima i “crimini abnormi”, “la vergogna e disonore”, la violazione della dignità delle vittime, il colpo inferto alla Chiesa “a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione”. A nome della Chiesa “esprime apertamente la vergogna e il rimorso”. Affronta il problema dal punto di vista del diritto canonico – ribadendo con forza che è stata la sua “mancata applicazione” da parte talora anche di vescovi, non le sue norme come una certa stampa laicista pretenderebbe, a causare la “vergogna” – e della vita spirituale dei sacerdoti, la cui trascuratezza è alle radici del problema e cui chiede di ritornare attraverso l’adorazione eucaristica, le missioni, la pratica frequente della confessione. Se questi rimedi saranno presi sul serio è possibile che la Provvidenza, che sa trarre il bene anche dal peggiore di mali, possa nell’Anno Sacerdotale avviare per i sacerdoti “una stagione di rinascita e di rinnovamento spirituale”, dimostrando “a tutti che dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr Rm 5, 20)”. Peraltro, “nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo”.
Tuttavia il Papa – che pure non intende certamente rubare il mestiere ai sociologi – offre anche elementi d’interpretazione delle radici di un problema che, certo, “non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa”. Dopo avere evocato le glorie plurisecolari del cattolicesimo irlandese – una storia di santità che non può e non deve essere dimenticata –, Benedetto XVI fa cenno agli ultimi decenni e alle “gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”. “Si è verificato – spiega il Papa – un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. C’è stata una “rapida” scristianizzazione della società, e c’è stata contemporaneamente anche all’interno della Chiesa “la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo”. “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso”. “Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali” furono “disattese”. “È in questo contesto generale” di “indebolimento della fede” e di “perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti” “che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi”.
In questo quarto paragrafo della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” Benedetto XVI entra su un terreno che è anche quello del sociologo, e che naturalmente non è rigidamente separato dagli altri elementi d’interpretazione. Certo, le norme del diritto canonico furono violate. Certo, la vita di pietà di molti sacerdoti si affievolì. Ma perché, precisamente, questo avvenne? E quando? Riprendendo temi familiari del suo magistero, Benedetto XVI elenca fra le cause il “fraintendimento” del Concilio – altrove ha parlato di una “ermeneutica della discontinuità e della rottura” –, non i documenti del Vaticano II in se stessi. Ma anche questo “fraintendimento” fu possibile in un quadro generale da cui la Chiesa non poteva completamente tenersi fuori, e che oggi è al centro di un vasto dibattito.
Benedetto XVI entra così nel vasto dibattito che è al centro della sociologia delle religioni contemporanea, quello sulla “secolarizzazione”. Il dibattito è stato particolarmente caldo alla fine del secolo XX, ma – anche attraverso scambi fra studiosi non sempre cortesi – è arrivato a un risultato che oggi la maggior parte dei sociologi condivide. Se le dimensioni della religione sono tre – le “tre B”, in inglese “believing” (credere), “belonging” (appartenere) e “behaving” (comportarsi) – tutti concordano che non c’è, in Occidente – perché è dell’Occidente che si parla, mentre per l’Africa o per l’Asia i termini sono diversi – una significativa secolarizzazione delle credenze (believing). La grande maggior parte delle persone si dichiara ancora credente. Nonostante un’attiva propaganda, il numero degli atei non aumenta. È invece chiaro a tutti che c’è un’ampia secolarizzazione dei comportamenti (behaving). Dal divorzio all’aborto e all’omosessualità la società e le leggi tengono sempre meno conto dei precetti delle Chiese. Il dibattito rimane vivo sulla secolarizzazione delle appartenenze (belonging) e sulla diminuzione della pratica religiosa, perché sul modo di raccogliere le statistiche ci sono molte polemiche e fra Stati Uniti ed Europa, così come fra diversi Paesi europei, i numeri variano. Non c’è dubbio, però, che in alcuni Paesi il numero di praticanti cattolici e protestanti sia sceso in modo particolarmente drastico negli ultimi cinquant’anni e che fra questi ci siano le Isole Britanniche, anche se in Irlanda le cifre assolute, pure in discesa, rimangono più alte della media europea.
Attenuatesi le polemiche sulla nozione di secolarizzazione, il dibattito si è ampiamente spostato sulle cause e le date d’inizio del processo, con un fitto dialogo fra storici e sociologi. Oltre una decina di anni di discussioni ha convinto la maggioranza degli studiosi che non si è trattato di un processo graduale. C’è stata una drammatica accelerazione della secolarizzazione – dei comportamenti e delle appartenenze, non delle credenze – negli anni 1960. Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano “the Sixties” (“gli anni Sessanta”) e noi, concentrandoci sull’anno emblematico, “il Sessantotto” appare sempre di più come il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione. C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, una contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo americano recentemente scomparso Ralph McInerny – Vaticano II, che cosa è andato storto? – rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica. Ci si può anche chiedere se sia venuto prima l’uovo o la gallina, cioè se sia stato il Sessantotto nella società a influenzare quello nella Chiesa, o se non sia anche avvenuto il contrario. All’inizio degli anni 1990 un teologo cattolico poteva per esempio scrivere che la “rivoluzione culturale” del 1968 “non fu un fenomeno d’urto abbattutosi dall’esterno contro la Chiesa bensì è stata preparata e innescata dai fermenti postconciliari del cattolicesimo”; lo stesso “processo di formazione del terrorismo italiano dei primi anni ’70”, il cui legame con il 1968 è a sua volta decisivo “rimane incomprensibile se si prescinde dalla crisi e dai fermenti interni al cattolicesimo postconciliare”. Il teologo in questione era il cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo libro Svolta dell’Europa?.
Ma – ancora – perché gli anni 1960? Sul tema, per rimanere nelle Isole Britanniche, Hugh McLeod ha pubblicato nel 2007 presso Oxford University Press, un importante volume – The Religious Crisis of the 1960s – che fa il punto sulle discussioni in corso. Due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui a determinare la rivoluzione degli anni 1960 è stato il boom economico, che ha diffuso il consumismo e ha allontanato le popolazioni dalle chiese, e quella di Callum Brown secondo cui il fattore decisivo è stata l’emancipazione delle donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della pillola anticoncezionale e dell’aborto. McLeod pensa, a mio avviso giustamente, che un solo fattore non può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra psicanalisi e marxismo) sia all’interno (le “nuove teologie”).
Senza entrare negli elementi più tecnici di questa discussione, Benedetto XVI nella sua “Lettera” si mostra consapevole del fatto che ci fu negli anni 1960 un’autentica rivoluzione, non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese, che fu “rapidissima” e che assestò un colpo durissimo alla “tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. Con molto acume un pensatore cattolico brasiliano, Plinio Corrêa de Oliveira, parlò a suo tempo di una Quarta Rivoluzione – successiva appunto alla Riforma, alla Rivoluzione francese e a quella sovietica – più radicale delle precedenti perché capace di penetrare “in interiore homine” e di sconvolgere non solo il corpo sociale, ma il corpo umano.
Nella Chiesa Cattolica della portata di questa rivoluzione non ci fu subito sufficiente consapevolezza. Anzi, essa contagiò – ritiene oggi Benedetto XVI – “anche sacerdoti e religiosi”, determinò fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò “insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati”. In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni Sessanta, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili: sappiamo dalle statistiche che il numero reale dei preti pedofili è molto inferiore a quello proposto da certi media. E tuttavia questo numero non è uguale – come tutti vorremmo – a zero, e giustifica le severissime parole del Papa. Ma lo studio della “Quarta Rivoluzione” degli anni 1960, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali. Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi. E abbiamo tutti molto bisogno del Papa: di questo Papa, che ancora una volta – per riprendere il titolo della sua ultima enciclica – dice la verità nella carità e pratica la carità nella verità.

Fonte: Cesnur, 21 marzo 2010

7 - IRLANDA 2
Una sintesi della lettera del Papa ai cattolici d'Irlanda
Autore: Marco Ciamei - Fonte: Avvenire

Cosa direbbe un padre alla sua famiglia in un tempo di particolari difficoltà? Con quale stile parlerebbe ai suoi amati? Come riprenderebbe chi ha sbagliato, come consolerebbe chi ha sofferto, come incoraggerebbe chi vuol rimboccarsi le maniche per migliorare la situazione? Come affronterebbe, insomma, una grande crisi?
“Lettera pastorale del Santo Padre Benedetto XVI ai cattolici dell’Irlanda”, firmata venerdì 19 marzo e diffusa ieri. La lettera di un padre ai suoi figli nel momento di maggiore prova e, in fondo, al mondo intero (proprio così) profondamente scosso da quanto sta sentendo ogni giorno nei mass media.
Lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa irlandese prende avvio pubblicamente nel 1994, a seguito del venire alla ribalta del caso del religioso Brendan Smyth, condannato a 4 anni di prigione per aver usato violenze nei confronti di quattro ragazzi in Irlanda del Nord. Di seguito vi è stato il caso di Andrew Madden, 1995, che denunciò le violenze subite da un sacerdote dell’arcidiocesi di Dublino da quando aveva 12 anni. Quelli furono l’inizio di una escalation che ha portato alla pubblicazione, nel maggio 1999, da parte della giornalista Mary Raftery, di un documentario (States of fear = Stato di paura), poi trasposto in un libro (Suffer of little children = Sofferenza di un piccolo bambino).
Il “caso” è diventato sempre più imponente, portando diversi governi a disporre commissioni di inchiesta: la prima è quella relativa alla diocesi di Fern, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2005; è seguita poi nel maggio 2006 la pubblicazione del rapporto Ryan, il quale dà conto di 9 anni di indagini sulle testimonianze di circa 2.500 ex allievi di scuole cattoliche; per arrivare nell’ottobre 2009 al rapporto Murphy, il più dettagliato, con analisi di storie di abusi dal 1975 al 2004 nella diocesi di Dublino.
Nel febbraio 2010 il Papa ha convocato a Roma i vescovi irlandesi per confrontarsi insieme sul problema, sulle cause da individuare e sui rimedi da attuare per evitare che in futuro possano di nuovo accadere fatti del genere.
Sino al 19 marzo 2010: spiazzando tutti, con una lettera dal contenuto tanto appassionato quanto inedito (che ricorda un'altra lettera, quella di un anno fa indirizzata ai vescovi per "spiegare" il ritiro della scomunica ai lefebvriani), nella sua veste di padre come non se ne vedono da tanto tempo, il Papa ha inviato alla Chiesa d’Irlanda una lettera pastorale che è davvero il caso di leggere, essendo peraltro di un contenuto per nulla cattedratico, anzi quanto mai semplice e diretto.
Di seguito propongo una sintesi: sicuramente non potrà rendere la passione e l'autenticità che emergono dal testo di questa lettera ... che, a mio parere, verrà ricordata a lungo.
1. LA GRANDE PREOCCUPAZIONE DEL PAPA.
“Con grande preoccupazione” e “come Pastore della Chiesa universale”, il Papa si rivolge ai fedeli irlandesi, in quanto “profondamente turbato dalle notizie apparse circa l’abuso di ragazzi e giovani vulnerabili da parte di membri della Chiesa in Irlanda, in particolare da sacerdoti e religiosi”.
Condividendo il “senso di sgomento e di tradimento” che ogni fedele ha sperimentato alla notizia di tali fatti e di come alcuni pastori li hanno gestiti, il Papa rende innanzitutto conto del recente incontro avuto con i vescovi d’Irlanda in cui, con riflessioni “franche e costruttive”, si è affrontata la vicenda al fine di “riparare alle ingiustizie del passato e per affrontare le tematiche più ampie legate all’abuso dei minori secondo modalità conformi alle esigenze della giustizia e agli insegnamenti del Vangelo”.
2. L’ESIGENZA DI AFFRONTARE CON CORAGGIO E VERITÀ IL PROBLEMA.
Prendendo quindi atto che “il problema dell’abuso dei minori non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa”, il Papa invita i fedeli irlandesi tutti ad affrontare il problema “con coraggio e determinazione”, “con grande fiducia nella forza risanatrice della grazia di Dio”.
Il primo passo da fare, per la Chiesa d’Irlanda, dunque, è per il Papa quello di “riconoscere davanti al Signore e davanti agli altri, i gravi peccati commessi contro ragazzi indifesi”. Solo in tal modo, infatti, e con una tale consapevolezza sarà possibile pervenire ad uno “sforzo concentrato concertato per assicurare la protezione dei ragazzi nei confronti di crimini simili in futuro”. Questo, comunque, deve essere fatto ricordando della “roccia in cui siete stati tagliati” (frase tratta dal libro di Isaia al cap. 51,1), ossia facendo memoria della forza e della testimonianza che la Chiesa irlandese ha saputo dare con grandi risultati nel passato.
3. LA TRADIZIONE GLORIOSA DELLA CHIESA D’IRLANDA.
Il Papa, quindi, senza alcun tono trionfalistico, ma al solo fine di incoraggiare i suoi figli, ricorda ai fedeli irlandesi il glorioso passato della Chiesa d’Irlanda, contrassegnato da personaggi di spicco della cultura monastica (san Colombano tra tutti); dalla costruzione e conduzione di ospedali, scuole, chiese, biblioteche; da una lunga ed intensa persecuzione dal ‘500 in poi, con una attesa rinascita a partire dall’ ‘800; dalla ricca presenza di fedeli consacrati al Signore e che hanno donato la loro vita anche per altri popoli (i missionari in Africa, in Asia, in Australia); da una vita spirituale presente capillarmente nel popolo.
4. L’ANALISI DEL PROBLEMA DEGLI ABUSI SUI MINORI.
Sennonché, rileva il Papa, le nuove sfide degli ultimi decenni e il rapidissimo cambiamento sociale hanno “colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. Il “programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II fu a volte frainteso”, anche se “era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti”.
In particolare e scendendo al cuore del problema, il Papa nota come “vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”: è proprio in questo contesto che va compreso “lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi”, in quanto esaminando con attenzione le cause è possibile “trovare rimedi efficaci”.
Il Papa, dunque, elenca quelli che a suo parere (e non solo, ovviamente) sono stati i fattori che hanno contribuito all’esplosione del problema:
- “procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa”;
- “una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità” e “una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”, che hanno portato come risultato alla “mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona”.
Si tratta di circostanze la cui comprensione e risoluzione va affrontata “con urgenza”, in quanto hanno portato a terribili sofferenze per le vite delle vittime e per le loro famiglie, oscurando la luce del Vangelo “a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione”.
5. LA VISITA DEI VESCOVI A ROMA NEL 2006.
Il Papa, dunque, fa sapere che nella visita dei vescovi d’Irlanda a Roma del 2006 aveva chiesto di “stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i princìpi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi” (citazione diretta dal “Discorso ai vescovi dell’Irlanda, 28 ottobre 2006”).
Si perviene, quindi, al cuore della lettera: il Papa, che già “in diverse occasioni” ha “incontrato vittime di abusi sessuali” ascoltandoli e pregando con e per loro, si rivolge ora ai suoi figli coinvolti in questa dolorosa vicenda.
6. ALLE VITTIME DI ABUSO E ALLE LORO FAMIGLIE.
Il profondo dolore, che è di tutti noi, traspare dalle parole del Papa. “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia e la vostra dignità è stata violata”. Il Papa riconosce che molti di coloro che sono stati vittime di abusi, i più coraggiosi che hanno parlato delle loro sofferenze, nessuno li ha ascoltati; così come riconosce che le vittime nei convitti hanno sperimentato la disperazione di non poter fuggire alla causa del loro dolore. Il Papa, quindi, esprime a nome di tutta la Chiesa “la vergogna e il rimorso che tutti proviamo”, ma allo stesso tempo chiede di “non perdere la speranza”.
È infatti nella Chiesa che si incontra Cristo Gesù, “egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato”, che “come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire”. Il Papa crede fermamente e invita le vittime di abusi a credere al “potere risanatore del suo [di Gesù, n.d.a.] amore sacrificale”, che passa proprio attraverso una “Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata nella carità pastorale”.
7. AI SACERDOTI E AI RELIGIOSI CHE HANNO ABUSATO DEI RAGAZZI.
Un giudizio severo, anche se non inclemente. “Avete tradito la fiducia risposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio e davanti ai tribunale debitamente costituiti. Avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli”.
Consapevoli del “danno immenso causato alle vittime” e del grande danno “perpetrato alla Chiesa”, hanno la possibilità di aprirsi al pentimento e ricevere la misericordia di Dio, “offrendo preghiere e penitenze per coloro che avete offeso”, consapevoli che “il sacrificio redentore di Cristo ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali”. Senza disperare della misericordia di Dio, quindi, i colpevoli devono rendere conto delle proprie azioni, non nascondere nulla e sottomettersi alle “esigenze della giustizia”.
8. AI GENITORI.
Vittime non meno sofferenti dei ragazzi, ma a volte anche assenti dalla loro vita, i genitori ricevono dal Papa parole di verità riguardo alle “cose terribili che ebbero luogo in quello che avrebbe dovuto essere l’ambiente più sicuro di tutti” e li invita a riscoprire ulteriormente al “compito nobile ed esigente” che Dio a loro, prima di tutto e di tutti, ha affidato nell’educazione dei figli.
Un rinnovato appello a “fare la vostra parte per assicurare la miglior cura possibile dei ragazzi”, mentre la Chiesa, da parte sua, “continua a mettere in pratica le misure adottate negli ultimi anni per tutelare i giovani negli ambienti parrocchiali ed educativi”.
9. AI RAGAZZI E AI GIOVANI DELL’IRLANDA.
Anche loro vittime dello scandalo. Il Papa offre a loro “una particolare parola di incoraggiamento”: infatti, “siamo tutti scandalizzati per i peccati e i fallimenti di alcuni membri della Chiesa”, ma – qui il Papa mostra con coraggio e gioia il fondamento dell’insegnamento di Gesù e degli Apostoli – “è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre” (si veda la Lettera del Nuovo Testamento agli Ebrei, cap. 13,8).
L’invito è, quindi, a cercare un “rapporto personale con lui nella comunione della sua Chiesa, perché lui non tradirà mai la vostra fiducia!”. Ai giovani guarda il Papa, perché contribuiscano con il loro entusiasmo e il loro idealismo, “tanto necessari alla ricostruzione e al rinnovamento della nostra amata Chiesa”.
10. AI SACERDOTI E AI RELIGIOSI DELL’IRLANDA.
Si rivolge il Papa ai tanti sacerdoti e religiosi presenti e operanti in Irlanda, feriti anch’essi dai peccati di loro confratelli. Molti di loro si sentono, infatti, “personalmente scoraggiati e anche abbandonati”, anche perché agli occhi di alcuni appaiono (con espressione tanto precisa quanto emblematica) “colpevoli per associazione”. L’invito del Papa è a riaffermare la “fede in Cristo” e l’amore verso la sua Chiesa: solo in questo modo, infatti, potranno ancora dimostrare che “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia” (frase tratta dalla Lettera ai Romani, al cap. 5,20).
Pur consapevole che molti dei sacerdoti e dei religiosi sono “delusi, sconcertati e adirati per il modo in cui queste questione sono state affrontate da alcuni superiori”, il Papa li invita con rinnovato slancio a collaborare di nuovo e da vicino con “coloro che sono in autorità”, adoperandosi affinché le misure trovate per rispondere alla crisi “siano veramente evangeliche, giuste ed efficaci”.
11. AI VESCOVI.
I “miei fratelli vescovi”, così si esprime il Papa. Parla sin da subito molto chiaro: “non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori hanno mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi sui ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse”. Allo stesso tempo il Papa capisce “quanto era difficile afferrare l’estensione e la complessità del problema”, “ottenere informazioni affidabili” e “prendere decisioni giuste alla luce di consigli divergenti di esperti”.
Il Papa apprezza gli sforzi fatti per rimediare agli errori del passato e per evitare che si ripetano, li invita però a proseguire con una “azione decisa portata vanti con piena onestà e trasparenza”, in modo tale da “ripristinare il rispetto e il benvolere degli irlandesi verso la Chiesa alla quale abbiamo consacrato la nostra vita”. Ai vescovi e ai superiori religiosi, il Papa ricorda che la gente dell’Irlanda “giustamente si attende che siate uomini di Dio, che siate santi, che viviate con semplicità, che ricerchiate ogni giorno la conversazione personale”. A tal fine li invita – indicando forse una delle più importanti ricette per la soluzione del problema – ad essere “sensibili alla vita spirituale e morale di ciascuno dei vostri sacerdoti. Siate un esempio con le vostre stesse vite, siate loro vicini, prestate ascolto alle loro preoccupazioni, offrite loro incoraggiamento in questo tempo di difficoltà e alimentate la fiamma del loro amore per Cristo e il loro impegno nel servizio dei loro fratelli e sorelle”.
12. A TUTTI I FEDELI DELL’IRLANDA.
Rivolgendosi a tutti i fedeli irlandesi, dunque, il Papa ricorda quanto sia importante che i giovani siano “incoraggiati a crescere fino alla loro piena statura umana e spirituale, ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalla ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale”.
In tale opera, ogni fedele ha il suo compito, risultando necessario per superare la presente crisi che ci sia “una nuova visione per ispirare la generazione presente e quelle future a far tesoro del dono della nostra comune fede”.
13. LA VICINANZA SPIRITUALE DEL PAPA.
Le parole del Papa sono rivolte, quindi, ai suoi fedeli della Chiesa d’Irlanda “con profonda preoccupazione” verso loro tutti, mosso dal desiderio di offrire “parole di incoraggiamento e di sostegno”, quali segno della sua “spirituale vicinanza” e della fiducia nelle “capacità di rispondere alle sfide dell’ora presente”.
14. LA CONCLUSIONE E LE PROPOSTE DI INIZIATIVE.
Il Papa, dunque, conclude la sua lettera pastorale proponendo alcune “iniziative concrete per affrontare la situazione”: sono indirizzate alla Chiesa d’Irlanda, ma certamente risultano valide per la Chiesa intera, oggi sofferente per questo problema.
Eccole:
- che la “Quaresima di quest’anno sia considerata tempo di preghiera per una effusione della misericordia di Dio e dei doni di santità e di forza dello Spirito Santo sulla Chiesa” irlandese;
- dedicare “le penitenze del venerdì, per un intero anno, da ora fino alla Pasqua del 2011, per questa finalità”;
- offrire il digiuno, la preghiera, la lettura della Sacra Scrittura e le opere di misericordia “per ottenere la grazia della guarigione e del rinnovamento per la Chiesa in Irlanda”;
- “riscoprire il Sacramento della Riconciliazione”, avvalendosi “con maggiore frequenza della forza trasformatrice della sua grazia”;
- riservare una particolare attenzione alla adorazione eucaristica, prevedendo in ogni diocesi “chiese o cappelle specificamente riservate a questo fine”. Il Papa chiede che “le parrocchie, i seminari, le case religiose e i monasteri organizzino tempi per l’adorazione eucaristica, in modo che tutti abbiano la possibilità di prendervi parte”, riparando così ai peccati di abuso che “hanno recato tanto danno” e invocando così “la grazia di una rinnovata forza e di un più profondo senso della missione da parte di tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli”;
- il Papa intende, inoltre, “indire una visita apostolica in alcune diocesi dell’Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose”;
- una “missione a livello nazionale per tutti i vescovi, i sacerdoti e i religiosi”.
Il Papa dà, nuovamente, in consegna ai consacrati della Chiesa dell’Irlanda, la figura autenticamente sacerdotale e consacrata di san Giovanni Maria Vianney (il santo Curato d’Ars), affinché il sacerdozio in Irlanda “possa riprendere vita e possa l’intera Chiesa in Irlanda crescere nella stima del grande dono del ministero sacerdotale”.
Il Papa, quindi – dopo aver incoraggiato i fedeli ricordando che nella Chiesa del mondo “le prassi vigenti di tutela, fatte proprie dalle Chiese locali, sono considerate, in alcune parti del mondo, un modello da seguire per altre istituzioni” – lascia in consegna una speciale “Preghiera per la Chiesa in Irlanda”, che invia loro “con la cura che un padre ha per i suoi figli e con l’affetto di un cristiano come voi, scandalizzato e ferito per quanto accaduto nella nostra amata Chiesa”.

Fonte: Avvenire

8 - OMELIA PER LA DOMENICA DELLE PALME TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Lc 19,28-40)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 28 marzo 2010, Domenica delle Palme)

Lucia di Fatima, quando era ancora bambina, un giorno raccontò alla piccola beata Giacinta la storia della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. La piccola Giacinta, di circa sei anni, ascoltava attentamente e da allora chiese a Lucia di ripetergliela spesso. E ogni volta che ascoltava il racconto delle sofferenze di Gesù piangeva e diceva: «Oh! Povero Signore! Io non devo fare più nessun peccato. Non voglio che il Signore abbia a soffrire ancora».
La piccola Giacinta di Fatima piangeva al sentir parlare della Passione del Signore, noi invece rimaniamo indifferenti. Il motivo è che noi abbiamo un cuore di pietra, insensibile e glaciale; la piccola Giacinta aveva invece un cuore puro, che amava davvero. Domandiamo al Signore la grazia di un cuore nuovo e meditiamo spesso la Passione del Signore, piangendo i suoi dolori e i nostri peccati.
San Leonardo da Porto Maurizio affermava che dalla mancanza di questa meditazione derivano tutti i nostri mali. Per questo motivo, egli esortava caldamente alla pia pratica della Via Crucis da lui ideata e da lui propagata in tutta l’Italia. Egli, dopo anni di predicazione popolare, così scriveva: «La causa di tutti i mali per noi va ricercata nel fatto che nessuno pensa alle realtà che dovrebbero costituire un oggetto di continua meditazione. Non c’è da meravigliarsi se ne consegue un completo disordine morale. La frequente meditazione sulla Passione di Cristo dà lumi salutari all’intelletto, fervore alla volontà e sincero pentimento dei propri peccati. Ho constatato quotidianamente, e toccato con mano, che il miglioramento dei cristiani è condizionato dalla pratica del pio esercizio della Via Crucis. Tale pratica è un antidoto ai vizi, un freno alle passioni, un incitamento efficace a una vita virtuosa e santa. Se terremo presente davanti agli occhi della mente l’acerbissima Passione di Cristo, non potremo non detestare il peccato e ci sentiremo trascinati a rispondere con amore alla carità di Cristo e ad accettare gioiosamente le inevitabili avversità della vita».
Contemplando il Crocifisso noi comprendiamo tutto l’amore di Dio per l’umanità e comprendiamo la bruttezza del peccato. Ogni volta che siamo presi dalla tentazione, pensiamo che con i nostri peccati noi mettiamo in Croce Gesù e rifiutiamo il dono della salvezza.
In questa breve riflessione vorrei prendere spunto da una frase che Gesù rivolse ai suoi Discepoli sul monte degli Ulivi. Nell’imminenza della sua Passione, Egli disse: «Pregate, per non entrare in tentazione». Con questo, il Signore ci insegna che la preghiera è la nostra migliore difesa contro il male, che essa è come l’arma del cristiano. Senza preghiera, inevitabilmente, soccomberemo. Gli Apostoli in quella occasione non pregarono, furono presi dal sonno e, al momento della prova suprema, quando Gesù fu condotto alla Croce, tutti, all’infuori di Giovanni, scapparono via spaventati. Così sarà per noi: se non pregheremo, non riusciremo a superare la tentazione.
L’evangelista Luca è l’unico che riporta il particolare del sudore di sangue. Il testo dice: «Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra». Questo particolare ci rivela tutta la sofferenza che Gesù provò al monte degli Ulivi durante quella preghiera. In quel momento, Gesù vedeva ciascuno di noi, vedeva tutti i nostri peccati, vedeva tutti quelli che avrebbero rifiutato il dono della sua salvezza, e per essi provava un’angoscia mortale.
In qualche modo, vogliamo stare con Gesù ed essergli di conforto in questa agonia. Gesù, in quel momento, vedeva anche tutte le nostre preghiere, le nostre riparazioni, le nostre Adorazioni eucaristiche. Sull’esempio di tanti Santi, prendiamo la buona abitudine di fermarci anche a lungo in chiesa, davanti al Tabernacolo, con l’intenzione di consolare Gesù e di coprire con la nostra devozione tutti i peccati che si commettono nel mondo.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 28 marzo 2010, Domenica delle Palme)

9 - OMELIA PER IL GIOVEDI' SANTO TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Gv 13,1-15)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 1° aprile 2010, Giovedì Santo)

Con la Messa del Giovedì Santo inizia il Triduo pasquale, e si ricorda in modo particolare l’Istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio.
La prima lettura ci presenta il racconto della Pasqua ebraica. Per celebrare la Pasqua, gli ebrei dovevano procurarsi un agnello «senza difetto» (Es 12,5). Quell’agnello che veniva sacrificato simboleggia Gesù, immolato sull’altare della Croce. Dal suo Sangue tutti noi siamo redenti e, se corrisponderemo alla grazia di Dio, non andremo perduti in eterno.
La seconda lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi, ci riporta il racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia. L’Eucaristia è l’Agnello immolato che si fa nostro nutrimento. La Santa Messa è lo stesso Sacrifico del Calvario. Non sono due avvenimenti diversi, ma è l’unico Sacrifico di Gesù. È come se anche noi fossimo sotto la Croce, ai piedi del Crocifisso. Si capisce allora come dovrebbe essere la nostra partecipazione durante la Messa: dovremmo avere le stesse disposizioni che la Madonna ebbe quando assisteva con dolore alla morte del Figlio e si univa alla sua sofferenza.
Durante l’Ultima Cena, Gesù ha istituito anche il Sacerdozio. Quando il sacerdote celebra la Messa è Gesù che è presente sull’altare. È sempre Lui che, nella persona del suo Ministro, compie il gesto consacratorio. Il sacerdote non dice «questo è il corpo di Gesù, questo è il suo sangue», ma dice «questo è il mio corpo, questo è il calice del mio sangue». In quel momento è Gesù che agisce, servendosi delle mani e delle labbra del suo Ministro. Il sacerdote è l’uomo dell’Eucaristia e non c’è azione, per quanto nobile possa essere, che eguagli il valore di una celebrazione della Messa. L’Eucaristia l’abbiamo grazie al sacerdote. Se non ci fosse lui, noi rimarremo privi di un bene così grande.
Nel sacerdote dobbiamo vedere Gesù. Quando il sacerdote celebra la Messa, è Gesù che si immola per noi sull’altare; quando il sacerdote ci assolve dai nostri peccati, è Gesù che ci perdona di tutte le nostre colpe; quando il sacerdote amministra il Battesimo, è Gesù che purifica una creatura dal peccato originale e la rende figlia di Dio. E così per tutti i Sacramenti: è Gesù che agisce per mezzo dei suoi sacerdoti.
Un giorno, una figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina si accusò in Confessione di aver criticato alcuni sacerdoti per certi loro comportamenti non buoni, e sentì rispondersi da Padre Pio con voce forte e decisa: «Invece di criticarli, pensa a pregare per loro!». Con le critiche si ottiene poco o niente; con la preghiera si riceve tutto. Santa Teresina pregava perché i sacerdoti all’altare celebrassero la Messa con la stessa purezza e delicatezza della Vergine Santissima.
Dobbiamo pregare per i sacerdoti, non solo per la loro santificazione, affinché siano sempre all’altezza della missione loro affidata da Gesù, ma anche perché ve ne siano tanti. La mancanza di sacerdoti, e di santi sacerdoti, è la sciagura più grande che possa capitare ad un paese. Diceva san Giovanni Maria Vianney: «Lasciate un paese senza sacerdote per vent’anni e alla fine la gente finirà con l’adorare le bestie». Preghiamo dunque per le vocazioni sacerdotali, affinché vi siano sempre numerosi e santi sacerdoti nella Chiesa di Cristo.
Quasi all’inizio del brano del Vangelo di oggi c’è una frase che colpisce in un modo particolare: «Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con l’Eucaristia, Gesù ci ha amati «fino alla fine». Con l’Eucaristia, Gesù ci ha dato il dono supremo, ci ha donato tutto se stesso nelle umili sembianze di un po’ di pane e un po’ di vino.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 1° aprile 2010, Giovedì Santo)

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