BastaBugie n�130 del 05 marzo 2010

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1 I PRO-LIFE AMERICANI DANNO IL BELL'ESEMPIO
A Washington in trecentomila alla annuale marcia per la difesa della vita (e annunciano che finalmente il 51 per cento della popolazione e' contraria all'aborto)
Autore: Elena Molinari - Fonte: Avvenire
2 LA SCIENZA LO CONFERMA: IL SANGUE DI SAN GENNARO E' AUTENTICO

Fonte: TG5
3 IL 2010 L'ITALIA TORNA DAVANTI ALLA SPAGNA
Zapatero da' l'addio ai sogni di sorpasso economico (aveva annunciato che avrebbe superato Italia, Francia e Inghilterra, poverino...)
Fonte: Avvenire
4 FINALMENTE ANCHE IN ITALIA LA COLTIVAZIONE DI MAIS GENETICAMENTE MODIFICATO
Un modo semplice e sicuro per salvare i prodotti tipici italiani
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire
5 SCIENTOLOGY
Le drammatiche esperienze di chi ha cercato di uscire dalla setta di Tom Cruise e John travolta
Autore: Antonio Giuliano - Fonte: Avvenire
6 EMMA BONINO NEL LAZIO
Ecco perche' anche a sinistra si avverte il mal di pancia
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: L'Ottimista
7 COME VALUTARE SENZA PELI SULLA LINGUA L'EPOCA DEL CARDINALE CAMILLO RUINI ALLA PRESIDENZA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio
8 FOIBE
Quella strage scomoda che la politica ci ha fatto a lungo dimenticare
Fonte: Iilsussidiario.net
9 OMELIA PER LA III DOMENICA TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Lc 13,1-9)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - I PRO-LIFE AMERICANI DANNO IL BELL'ESEMPIO
A Washington in trecentomila alla annuale marcia per la difesa della vita (e annunciano che finalmente il 51 per cento della popolazione e' contraria all'aborto)
Autore: Elena Molinari - Fonte: Avvenire, 23 gennaio 2010

Sul palco che incornicia una veduta limpida del Campidoglio americano, una ventina di donne stava da ore in piedi in semicerchio attorno a un podio. Avevano età diverse, diverso colore della pelle. Ma con la stessa determinazione reggevano un cartello che a grandi caratteri proclamava: «Mi sono pentita del mio aborto».
La trentasettesima marcia per la vita a Washington era giunta da poco ai piedi del palcoscenico, dopo essere partita in anticipo sull’orario. I gruppi di giovani raccolti lungo Constitution avenue erano già folti alle 10 di mattina e avevano avuto fretta di mettersi in movimento verso The Hill, “la collina” sulla quale svetta il Congresso americano, e dove è in bilico una legge di riforma sanitaria che potrebbe introdurre forme di finanziamento pubblico per l’aborto. «Eppure il 75 per cento degli americani si oppongono ad usare i soldi dei cittadini per pagare un’interruzione di gravidanza», spiegava Stephen Phelan dell’associazione Human Life International, citando una ricerca dell’Università di Quinnipiac.
Il numero che rimbalzava di bocca in bocca ieri nel “Mall”, la grande spianata al centro della capitale americana, era un altro: cinquantuno. Per la prima volta dal giorno della sentenza Roe contro Wade, con la quale la Corte suprema americana ha legalizzato l’aborto nel 1973, negli Stati Uniti il 51% della popolazione è contraria all’aborto.
«È un segnale chiaro che i nostri sforzi non sono stati vani, che vinceremo la causa della vita, che il dibattito si è riaperto», ha esclamato il deputato repubblicano dell’Arkansas Todd Akin. «Questa è la mia decima marcia per la vita, e finalmente posso dire di essere orgoglioso di vivere in un Paese dove la maggioranza rifiuta l’uccisione di vite innocenti». A suscitare il continuo entusiasmo dei partecipanti (300mila secondo gli organizzatori) era anche un monitor con una cifra che continuava a salire rapidamente, 71mila, poi 72mila, fino a 75mila. Era il numero dei partecipanti della marcia virtuale che per la prima volta era stata organizzata su Internet per coloro che non sono potuti andare a Washington. Una novità di quest’anno, che permetteva di creare un proprio alter ego animato e di vederlo muoversi lungo le vie della capitale verso la Corte suprema. È lì infatti, la tappa finale della marcia, che i manifestanti sperano che venga il cambiamento sotto forma di una sentenza che ribalti Roe contro Wade. «È quasi impossibile sopravvalutare quanto si sia trasformato lo scenario politico nei confronti del rispetto della vita negli ultimi mesi», diceva Karen Cross, direttore politico del Comitato National Right to Life. Ma il movimento per la vita non è convenuto a Washington solo per dire no all’aborto. Nell’agenda c’è anche la difesa della vita al suo termine, come ha ricordato Bobby Schindler, fratello di Terry Schiavo, la donna rimasta in stato vegetativo per oltre 10 anni prima che la rimozione del tubo che l’alimentava ne provocasse la morte nel marzo 2005. Un’altra novità della marcia per la vita 2010 è stata la veglia davanti alla Casa Bianca dove tremila persone, tutte quelle che avevano ricevuto l’autorizzazione della polizia, si sono riunite pacificamente in serata per pregare e cantare. «Preghiamo e digiuniamo per te, presidente Obama – recitavano i cartelli che sostenevano – perché tu capisca che l’aborto è violenza verso i più indifesi». Se infatti George W. Bush ha sempre chiamato i leader del movimento per la vita per esprimere la solidarietà, il gruppo non si aspettava una telefonata da Obama.

Fonte: Avvenire, 23 gennaio 2010

2 - LA SCIENZA LO CONFERMA: IL SANGUE DI SAN GENNARO E' AUTENTICO

Fonte TG5, 5 febbraio 2010

Sono terminati in questi giorni gli studi svolti da una commissione scientifica appositamente nominata (formata da credenti e non) per effettuare una ricognizione canonica su quello che la tradizione di Napoli ha sempre venerato come il "sangue di San Gennaro".
Ogni anno, nella festa del Santo Patrono di Napoli, all'ora dei vespri, il "sangue", contenuto in un'ampolla di vetro, si liquefà improvvisamente, tutto di un colpo, e l'arcivescovo di Napoli mostra il sangue liquefatto capovolgendo l'ampolla. E come è avvenuta improvvisamente la liquefazione, così allo stesso modo avviene nuovamente la coagulazione.
Molti uomini di scienza avevano espresso varie perplessità a proposito di questo annuale evento miracoloso, ricordando come, nei primi secoli della Chiesa, spesso si usasse un liquido colorato con ocra rossa in sostituzione del vero sangue dei martiri, il quale, in quanto sangue cruentemente versato, non veniva portato in chiesa, per un senso di rispetto verso il luogo sacro.
Ora sappiamo con sicurezza che:
a) il liquido contenuto nell'ampolla del Duomo di Napoli è veramente Sangue Umano maschile autentico;
b) quel sangue è con un altissimo margine di certezza proprio il Sangue del Santo Patrono di Napoli: la conferma è venuta dal confronto con altri reliquiari sparsi in Italia e contenenti piccole quantità di sangue del Santo, la più importante delle quali è quella conservata in un'ampolla dell'Eremo di Camaldoli;
c) alla luce dei risultati ottenuti dagli studiosi, la liquefazione spontanea improvvisa del Sangue (che prima risulta essere completamente coagulato) è un fatto scientificamente inspiegabile, che trascende ogni regola della chimica e della biologia.

Fonte: TG5, 5 febbraio 2010

3 - IL 2010 L'ITALIA TORNA DAVANTI ALLA SPAGNA
Zapatero da' l'addio ai sogni di sorpasso economico (aveva annunciato che avrebbe superato Italia, Francia e Inghilterra, poverino...)
Fonte Avvenire, 26 gennaio 2010

Cattive notizie per Josè Luis Zapatero, da tre settimane presidente di turno dell’Ue: l’operazione sorpasso sull’Italia è fallita, e i dati appena arrivati da Bruxelles suonano piuttosto come uno «schiaffo», ha scritto il quotidiano Abc. Nel 2010 l’Italia è tornata infatti davanti alla Spagna anche in termini di reddito procapite a parità di potere d’acquisto: il 98,4% della media Ue per gli italiani, contro il 97,4% per gli spagnoli. «L’Italia supererà la Spagna per ricchezza, e frustra Zapatero», ha titolato invece il quotidiano economico di Madrid Expansion. Nel 2007, un allora euforico Zapatero, dati Eurostat alla mano, aveva annunciato al mondo che la Spagna aveva realizzato uno storico sorpasso dei 'rivali' italiani in termini di ricchezza individuale, accendendo una educata polemica con l’allora premier Romano Prodi. Nei mesi successivi, convinto della forza inarrestabile del boom economico spagnolo, Zapatero aveva anche promesso un imminente sorpasso della Francia, e poi del Regno Unito. Le elezioni politiche del marzo 2008 erano alle porte, e il nazionalismo economico, ma non solo, in Spagna rimane un argomento politico apprezzato. Ma la crisi già si affacciava in Spagna.

Fonte: Avvenire, 26 gennaio 2010

4 - FINALMENTE ANCHE IN ITALIA LA COLTIVAZIONE DI MAIS GENETICAMENTE MODIFICATO
Un modo semplice e sicuro per salvare i prodotti tipici italiani
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Avvenire, 3 febbraio 2010

 «Le biotecnologie costituiscono il naturale sviluppo dell’agricoltura, e chi vi si oppone guida l’agricoltura italiana verso la distruzione». A pensarla così è il professore Francesco Sala, professore emerito di Biotecnologie vegetali all’Università di Milano e una delle massime autorità in materia.
 PROFESSOR SALA, NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO GLI OGM SI CONTRAPPONGONO A UNA AGRICOLTURA CONSIDERATA NATURALE.
 L’agricoltura naturale semplicemente non esiste. Dalle origini a oggi c’è stato un continuo sviluppo basato sulla selezione genetica. Oggi sappiamo molto di più sul Dna delle piante per cui siamo in grado di intervenire con maggiore successo in questo processo di selezione genetica. E anche in modo più sicuro.
 ALCUNI CRITICI SOSTENGONO CHE SAREBBE LA ROVINA PER IL PRODOTTO TIPICO ITALIANO.
 Al contrario, è l’unico modo per salvarlo.
 ADDIRITTURA?
 I prodotti tipici italiani non sono un dono dal cielo, ma il frutto della ricerca di genetisti vegetali dall’inizio del 1900 in poi. Abbiamo avuto in Italia una scuola di genetisti vegetali che tuttora ci è invidiata nel mondo. Da qui nascono prodotti come il riso Carnaroli e il pomodoro San Marzano. Non solo: pensi che metà delle varietà di pioppo presenti in Cina (coltivati su 6 milioni di ettari) sono state prodotte negli ultimi 70-80 anni a Casale Monferrato.
 E ADESSO PERCHÉ LE BIOTECNOLOGIE SALVEREBBERO QUESTI PRODOTTI?
 Certe varietà sono state sviluppate secondo le esigenze di allora: negli anni ’50 la ricerca era indirizzata ad aumentare la produttività e la qualità. Non c’è stata invece sufficiente ricerca per offrire resistenza ai parassiti. Questo è comprensibile perché allora avevamo in Italia una importante industria chimica che produceva anti-parassitari. Negli anni ’70 però è maturata una diversa sensibilità, ovvero la coscienza che un uso massiccio dei prodotti chimici rischiava di avvelenarci. Da qui l’introduzione di limiti sempre più stringenti che hanno però lasciato più vulnerabili certe coltivazioni. Fino a dieci anni fa, nel Napoletano, la zona tipica di produzione, il San Marzano rappresentava il 35% della produzione di pomodori, oggi è meno dell’1%. Quello che troviamo in commercio oggi è pomodoro 'tipo San Marzano'.
 E LE BIOTECNOLOGIE COSA POSSONO FARE?
 Possono correggere i difetti genetici delle nostre piante tipiche, per difenderle dai parassiti a cui sono vulnerabili. Per questo dico che solo gli Ogm possono salvare il prodotto tipico italiano.
 C’È PERÒ IL TIMORE DI DIPENDERE TOTALMENTE DA POCHE MULTINAZIONALI.
 Sciocchezze, perché sono tecnologie che chiunque può sfruttare. La versione Ogm del San Marzano era già pronta dieci anni fa, sviluppata da una piccola azienda lucana, la Agrobios di Metaponto. Poi nel 2001 la politica ha bloccato tutto. Ma in quel momento solo in Italia c’erano ben 15 gruppi di buon livello in grado di fare queste ricerche.

Fonte: Avvenire, 3 febbraio 2010

5 - SCIENTOLOGY
Le drammatiche esperienze di chi ha cercato di uscire dalla setta di Tom Cruise e John travolta
Autore: Antonio Giuliano - Fonte: Avvenire, 16 dicembre 2009

Oggi possono dire di essere fuori dal tunnel. Ma non è stato affatto facile uscirne e raccontare apertamente l’abisso conosciuto nella cosiddetta «chiesa» di Scientology. 14 «apostati» hanno avuto la forza di farlo in un libro toccante di Alberto Laggia e Maria Pia Gardini Il coraggio di parlare. Storie di fuoriusciti da Scientology (Paoline, pp.166, euro 16,50). Un testo che squarcia il velo di inquietante segretezza che avvolge un movimento nato negli Stati Uniti nel 1954, al quale aderiscono centinaia di migliaia di adepti in tutto il mondo. Ideata da Ron Hubbard, scrittore di fantascienza, Scientology ha sostenitori famosi come Tom Cruise e John Travolta ed è diffuso in Italia dal 1974. La tecnica di reclutamento si è evoluta negli anni. Fino a poco tempo fa ci si limitava a un test della personalità, proposto gratis per strada, in cui venivano puntualmente evidenziati disturbi psicologici. Adesso invece sono associazioni filantropiche della «galassia scientologica» a far proseliti sbandierando la promessa di migliorare la propria vita e diventare «vincenti». Come i gruppi Narconon che propongono una terapia di recupero della tossicodipendenza. In questo modo è stato adescato uno degli ex del libro, Enrico Costantini: «Ti viene detto che il potere spirituale che acquisisci ti rende simile a Dio. Ho ricevuto decine e decine di ore della preziosissima 'consulenza spirituale' e – come succede a chiunque intraprenda il cammino – spesi decine e decine di milioni di lire in poche settimane». Altre volte sono gli stessi genitori a introdurre i figli. Come nel libro Andrea G., 38 anni, inviato dai suoi parenti nella sede di Scientology a Copenaghen quando aveva 11 anni: «Fui tenuto in una stanza per due settimane per circa 3-4 o­re al giorno, durante le quali mi impedivano di uscire e cercavano di convincermi in tutti i modi che dovevo entrare a far parte dell’organizzazione. Alla fine cedetti e firmai il famoso contratto valevole 'un miliardo di anni' per tutte le mie altre prossime vite». Perché la dottrina scientologica prevede una sorta di reincarnazione. Spiega nel testo Bryce, nome di fantasia di un ex staff piemontese: «Secondo le teorie di Hubbard la nostra vita non è altro che una trappola: in quanto esseri spirituali saremmo imprigionati in questo corpo e, quando esso morirà, verremo intrappolati nel prossimo. E quando riescono a convincerti il gioco è fatto. Nulla è più importante: amici, ferie, svaghi, interessi. Scientology diventa il perno sul quale ruota tutta la vita». Così rischi di trovarti a 'salvare' il pianeta con vitto e alloggio da fame, senza più lavoro, lontano da parenti e amici. Questo libro è proprio il frutto dei contatti che Maria Pia Gardini, ex anche lei di Scientology, intrattiene con coloro che hanno perso tutto: gente che ha visto i propri cari assorbiti dall’organizzazione, mogli e mariti abbandonati, figli o genitori tagliati fuori. Ritmi sovrumani di lavoro, soppressione delle voci dissidenti, continue richieste economiche: nell’ultima vicenda giudiziaria che riguarda Scientology, il Tribunale di Parigi ha condannato i responsabili dell’organizzazione francese per aver sottratto migliaia di euro a 4 anziani adepti. Ma risarcire i danni psicologici appare ben più arduo. Per rivedere la luce ci vogliono anni, confidano i fuoriusciti. Eppure Giuseppina ammette: «Mi ha aiutato molto nella riconquista del mio equilibrio interiore l’incontro con la fede cristiana. Ho capito che era più importante accettare il limite, piuttosto che pensarci follemente come Dio».

Fonte: Avvenire, 16 dicembre 2009

6 - EMMA BONINO NEL LAZIO
Ecco perche' anche a sinistra si avverte il mal di pancia
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: L'Ottimista, 26 febbraio 2010

La candidatura alla presidenza della regione Lazio di Emma Bonino, da parte dell’alleanza di centro sinistra, rappresenta un punto di svolta decisivo non solo per le sorti del Partito democratico (Pd) ma per l’intero arco politico nazionale e per le rispettive componenti di voto. Come ha scritto Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, rispondendo a Pier Luigi Bersani “il nome e la storia di Emma Bonino sono un programma”. Un  programma, “superabortista e iperliberista” che  è “incompatibile con (…) la visione cristiana della vita e dei rapporti sociali”. Per i cattolici il programma e la storia di Emma Bonino sono sufficientemente chiari, si tratta della candidata più radicale di quella che Giovanni Paolo II ha indicato come “cultura della morte”. Morte per i bambini e le bambine concepite, perché la Bonino ha promosso e praticato l'aborto. Scelta di cui non si è mai pentita e di cui, anzi, si è vantata e si sente fiera. Il Lazio è una delle regioni italiane con il più alto numero di interruzioni volontarie di gravidanza. Un eventuale presidenza Bonino ridurrebbe ulteriormente la fertilità privando il Lazio della speranza che solo i bambini e le bambine sanno comunicare così gioiosamente. Morte per i matrimoni, perché la Bonino è stata anche promotrice e sostenitrice della cultura e delle leggi che hanno visto moltiplicarsi separazioni e divorzi fino ad un numero di oltre 130.000, con una media di circa 356 al giorno. Morte per i giovani perché la Bonino è da sempre sostenitrice della legalizzazione delle sostanze stupefacenti. Morte per chi è anziano, malato e disabile, visto che la Bonino sostiene la cultura e le proposte legislative per la legalizzazione dell’eutanasia.  Inoltre come ha scritto su Avvenire, Domenico Delle Foglie, portavoce di Scienza & Vita, la candidatura nel Lazio della Bonino è  “uno schiaffo alla comunità cristiana”. Nella regione dove vivono da circa due millenni i romani Pontefici, nella capitale del cristianesimo, il Pd ha presentato colei che nega e combatte da sempre i “valori che sono alla base di ogni civiltà” gli stessi “vita, famiglia e libertà di educazione” che Benedetto XVI ha indicato come “non negoziabili”. L’insostenibilità della cultura e del programma radicale non è solo rispetto all’identità e ai valori dei cattolici, ma anche e soprattutto rispetto a coloro che si riconoscono in ideali moderatamente liberale e socialista. Alla base delle misure anti-vita e anti-famiglia della Bonino, infatti, c’è una mentalità utilitaristica, le cui finalità economiciste e di darwinismo sociale non tengono in alcun conto la sacralità e l’irriducibilità della persona umana. In questo senso la Bonino giustificherebbe le politiche di diffusione della pillola abortiva Ru486 e dell’eutanasia, come misure necessarie per la riduzione del deficit sanitario. Nella stessa direzione taglierebbe in maniera drastica il bilancio delle attività di assistenza sociale, soprattutto nella parte relativa al sostegno delle famiglie numerose. Volontà che la Bonino ha già manifestato opponendosi radicalmente all’ipotesi della sfidante Renata Polverini di dare seguito all’applicazione del “quoziente familiare”. Nonostante queste evidenti e laceranti contraddizioni, i vertici del Pd, continuano ad indicare la Bonino come la miglior candidata possibile per il centro sinistra. Bersani ha addirittura dichiarato che “Emma è una fuoriclasse, è la scelta migliore”, mentre Walter Veltroni, da parte sua ha aggiunto “E’ la migliore candidata alla presidenza della regione Lazio che il centrosinistra potesse trovare”. Ma dietro a queste dichiarazioni rassicuranti si stanno verificando divisioni profonde. È accaduto così che alla presentazione delle liste dei candidati a Roma, la Bonino non c’era. Assente giustificata, secondo Bersani, perché stava facendo lo sciopero della fame e della sete. La Bonino infatti, che certi sondaggi danno addirittura come vincente, non sta riuscendo a raccogliere neanche le firme necessarie per presentare le liste radicali nelle varie regioni. La colpa, secondo la Bonino è della Tv e dei consiglieri e funzionari comunali che non si rendono disponibili ad autenticare le firme. Ma come è possibile? Forse quelli del Pd non la stanno aiutando? La “candidata eccellente” di Bersani e Veltroni, quella di cui ci “si può fidare” (slogan elettorale sui manifesti della Bonino), non convince neanche i militanti del Pd, tanto che appena ufficializzata la sua candidatura gli onorevoli Enzo Carra, Dorina Bianchi, Renzo Lusetti e Paola Binetti sono usciti dal partito. E non si capisce come di fronte ad una così evidente “radicalizzazione del partito” la presidente del Pd, Rosy Bindi e l’ex segretario Dario Franceschini possano rimanervi. Per quanto riguarda poi i sondaggi che darebbero la Bonino addirittura vincente sulla Polverini, bisognerebbe rileggersi gli stessi sondaggi precedenti il referendum sulla legge 40 e il family Day. In quelle due occasioni la Bonino si presentò a capo delle truppe che volevano abolire la legge sulla procreazione assistita e che volevano contrastare il mare di famiglie che scese a Roma per il Family Day. Non è passato poi così tanto tempo da questi due eventi e non crediamo che le forze in campo si siano rovesciate. A differenza del poster della Bonino, noi dell’Ottimista “ci fidiamo” molto di più del popolo italiano piuttosto che dei giacobini manovrati dal Palazzo.

Fonte: L'Ottimista, 26 febbraio 2010

7 - COME VALUTARE SENZA PELI SULLA LINGUA L'EPOCA DEL CARDINALE CAMILLO RUINI ALLA PRESIDENZA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Il Foglio, 18 Febbraio 2010

Ci siamo fatti una certa idea della pluridecennale presidenza ruiniana della Conferenza episcopale italiana. A volerla riassumere alla guareschiana, potrebbe suonare così: "Ruini, don Camillo ma non troppo". Per dire che il cardinale di Sassuolo, provincia di Modena e diocesi di Reggio Emilia, come il celebre omonimo letterario ha incontrato i suoi Pepponi, ma che le schermaglie non sono sempre finite in gloria come invece accade a Mondo piccolo. Il don Camillo che è stato al vertice della Cei dal 1986 al 2007, prima come segretario generale e poi come presidente, ha il merito indiscutibile della messa in mora del progressismo cattolico. L’operazione deve ancora concludere il proprio corso, ma è inesorabilmente avviata e comporta un inequivocabile segno più nel bilancio di fine mandato del cardinale. Per fugare ogni dubbio, basti pensare alle uscite biliose di una Rosy Bindi e di un Pierluigi Castagnetti in ritiro a Bose o quelle di un Alberto Melloni atterrito da ciò che definisce "ruinismo-leninismo". Se si pensa a che cosa era la chiesa italiana degli anni Settanta, si deve riconoscere che oggi potremmo stare molto peggio se il ruinismo non avesse tentato una certa normalizzazione.
Ruini comprese presto che la chiesa italiana era minata dal cattocomunismo dossettiano, la dottrina secondo cui il radioso destino dell’umanità consisterebbe nell’incontro di un cattolicesimo un po’ meno cattolico con un comunismo un po’ meno comunista. Teoria che, quando si trasforma in prassi, produce sempre l’incontro tra un cattolicesimo molto meno cattolico e un comunismo perfettamente comunista. Senza rischiare troppo di essere generosi, si può pure ipotizzare che il cardinale vide nel dossettismo il figlio primogenito dell’idea di Jacques Maritain secondo cui, morta la cristianità, bisognerebbe pensare a una nuova forma di presenza cristiana nel mondo. La soluzione del filosofo di Umanesimo integrale stava nella bifida invenzione dei due assoluti: "l’assoluto di quaggiù, ove l’uomo è Dio senza Dio, e l’assoluto di lassù dove Dio è in Dio". Come scrisse padre Antonio Messineo, secondo Maritain, "sul piano della storia non opererebbe il Cristianesimo in quanto religione rivelata e trascendente, non il Vangelo nella sua purità originaria di parola divina trasmessa all’uomo, non l’ordine della Grazia e delle realtà superiori in esso contenute, ma un cristianesimo e un Vangelo vuotati del loro contenuto originale e naturalizzati, temporalizzati". Da qui, la necessità di dar vita a una "cristianità profana" da contrapporre alla "cristianità sacrale" ormai superata. Un’opera pratica "da realizzare in spirito di amicizia fraterna fra i componenti delle varie famiglie spirituali presenti nella società". Per fare ciò, quali migliori compagni di strada dei comunisti, ritenuti dei cugini un po’ eretici ma riconducibili all’ovile? Gli effetti sul mondo cattolico di questa netta separazione tra natura e sopranatura si sono mostrati devastanti, sia ab intra sia ad extra. Abbandono della pratica religiosa, calo di vocazioni, anarchia e rivolta antigerarchica ab intra, cui ha fatto da pendant, ad extra, la progressiva ininfluenza cattolica nella società. Dal canto suo, il presidentissimo della Cei si rese conto che l’abbraccio con il cattolicesimo democratico avrebbe avuto esiti mortali. E che il male era già molto progredito nel corpo ecclesiale, coinvolgendo la forma mentis di molti vescovi e di molte curie, abituati ormai a ragionare e ad agire "etsi Papa non daretur". La risposta ruiniana a tale situazione si concretizzò in una granitica lealtà al Pontefice e nel commissariamento della Cei avviato sotto Giovanni Paolo II. Don Camillo, quello di Sassuolo, ebbe carta bianca e, di punto in bianco, un episcopato abituato a rispondere solo a se stesso o, al più, alla linea dettata dal cardinale Martini nel ruolo di Grande Antagonista, capì che la ricreazione era finita. Ma qualcosa non ha funzionato a dovere.
Oggi, due decenni dopo, Carlo Maria Martini continua a essere il Grande Antagonista a capo di una chiesa che poco o nulla vuole avere a che fare con Roma. Basta fare un giro per le parrocchie della penisola per trovare parroci, curati, catechisti e catecumeni orgogliosi di essere portatori di un pensiero "altro" rispetto a quello del Papa. "Caro don Tal dei Tali", si è sentito dire dai catechisti un sacerdote di fresca nomina in parrocchia, "guardi che qui insegniamo che tutti i metodi per la contraccezione sono buoni e lei non si sogni nemmeno di dire il contrario. Il Papa dica quel che vuole e noi facciamo quel che vogliamo". Sono innumerevoli le parrocchie italiane nelle quali si susseguono episodi analoghi sul piano della dottrina, della morale, della liturgia. Ed è qui che il modello ruiniano mostra la corda: il divorzio tra Roma e la periferia, il "federalismo dottrinale", la forbice sempre più ampia tra magistero e predica domenicale, tra Evangelium vitae e singole facoltà teologiche sono cronaca di oggi come, e forse più, di vent’anni fa. Tutti fenomeni che il commissariamento della Cei non ha saputo contrastare. Se, a lungo andare, una malattia non passa, significa che il medico si è occupato dei sintomi invece che delle cause. Allarmato dalle sbandate del suo episcopato, il presidente della Cei ha scelto una cura squisitamente pragmatica, anzi empirica, riassumibile in due postulati: primo, la conferenza detta la linea, e ogni vescovo si adegua e tace, secondo, la linea è più importante della dottrina. Risultato: la febbre ora si vede forse di meno, ma c’è esattamente come prima. Basta pensare alla rivolta pressoché generale dei vescovi in occasione del Motu proprio con cui Benedetto XVI ha ridato piena cittadinanza alla liturgia antica: la Cei avrebbe potuto e dovuto ricordare ai vescovi il loro giuramento di fedeltà al Papa, ma non disse nulla, assistendo impassibile allo scisma strisciante della diocesi di Milano, che dichiarò non applicabile il documento pontificio aggrappandosi al cavillo del rito ambrosiano. Il vero problema sta nel fatto che la crisi del cattolicesimo italiano non è solo politica, ma innanzitutto dottrinale. Messa fra parentesi la dottrina per manifesta irrilevanza e ridotto al silenzio l’episcopato sul versante propriamente ecclesiale, si è ottenuto di spingere ulteriormente i vescovi, singolarmente o in gruppo, verso l’unica ribalta che potesse dar loro lustro, la politica.
Una deriva a cui non ha posto argine l’altra idea che ha segnato l’era di Ruini alla guida della Cei, il "Progetto culturale" varato nel 1997. Un disegno faraonico che avrebbe dovuto riconquistare il popolo cattolico alla gerarchia e il mondo alla chiesa, ma che, invece, si palesa come una kermesse continua di iniziative dai contenuti equivoci. Basti pensare che le vere star del "Progetto culturale" si chiamano Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Enzo Bianchi, Edoardo Boncinelli. Oppure che, nonostante le oltre duecento radio del circuito InBlu sovvenzionate dal "Progetto", per trovare una programmazione radiofonica cattolica 24 ore su 24, bisogna sintonizzarsi su Radio Maria. Per non parlare di Sat 2000, una tv dal dimenticabile, e dimenticato, palinsesto fatto con le repliche delle fiction sui santi prodotte dalla Lux e già passate su Raiuno e che per giunta irradia via satellite verso un popolo cattolico che ignora quasi totalmente l’esistenza delle parabole. Se oggi, dopo 13 anni di elaborazione, si va sul sito del "Progetto culturale" si trovano affermazioni come le seguenti: "A che serve tutto questo? A costruire, con le categorie di oggi, una visione del mondo cristiana, consapevole delle proprie radici e della propria pertinenza sulle questioni vitali e fiduciosa circa le proprie potenzialità nel dialogo con la cultura contemporanea". "Creare una nuova enciclopedia cattolica? No: si tratta di riconoscere le sfide cruciali che la cultura pone oggi alla fede. Proprio raccogliendo queste sfide la fede esprime la sua energia creativa e alimenta il rinnovamento dell’uomo e della società. Se si punta infatti a definire tutto, ad avere l’inventario dei contenuti per poi svilupparli uno a uno il rischio è quello della paralisi. Se, al contrario, cerchiamo di abitare le questioni che concretamente sono di fronte a noi, allora ci mettiamo in condizione di proporre stili di vita cristiani praticabili e plausibili. Insomma, i contenuti del progetto culturale non sono e non saranno un’enciclopedia, piuttosto il frutto di un cammino quotidiano di traduzione del Vangelo nella vita". Viene da chiedersi dove si possa arrivare con un simile linguaggio burocratico-piacione che sa dire solo un "No" deciso e lo grida contro l’idea di "una nuova Enciclopedia cattolica". Quella vecchia, detto per inciso, la si può trovare a prezzi stracciati in liquidazione nei seminari della Penisola.
Non è questa la strada per riportare il cristianesimo al centro dello spazio pubblico e misurarsi con il mondo. Se non si ripiglia in mano la questione dottrinale, se non si torna ai fondamenti della fede, non si potrà mai pensare a un progetto di presenza culturale nella società. Il cattolico medio, oggi, non solo non è in grado di esporre decentemente le ragioni della propria fede, ma non sa esporre, neanche indecentemente, la propria fede. Anzi, facilmente mostrerà con orgoglio dubbi sostanziali sugli articoli del "Credo", che pure recita ogni volta che va a Messa. Così, gettato nella mischia privo di dottrina, il mondo cattolico ha finito per muoversi sull’unico piano in cui, almeno in apparenza, la dottrina non gli sembrava fondamentale: la politica. E qui si è creato il cortocircuito in cui l’opera ruiniana ha fatto da conduttore. Piuttosto che lasciare spazio ai singoli, si è pensato fosse meglio che delle questioni politiche si occupasse direttamente l’apparato. E la Cei è divenuta vero e proprio attore politico finendo per mediare sui valori. Non poteva andare diversamente visto che qualsiasi controparte, in una mediazione, mette in gioco ciò che possiede. [..] Perché il ruinismo è anche questo: un trionfalismo senza fondamento vagheggiante un’Italia immaginaria che sarebbe ritornata "pro life" e "per la famiglia", e che invece, nella realtà, si dibatte nel medesimo processo di secolarizzazione che affligge tutto il mondo. Qui, quella che molti hanno definito la "genialità politica" di Ruini mostra tutti i suoi limiti, in primis quello di servirsi della politica per amministrare alla meno peggio la realtà invece che tentare di ri-cattolicizzarla. Limite che, a ben guardare, ripropone lo schema dossettiano della separazione tra piano della natura e piano della Grazia.
Ecco perché, per tornare simmetricamente all’inizio di queste riflessioni, il don Camillo della Cei si discosta da quello di Guareschi. Quando Peppone e i suoi vogliono impedirgli di andare in processione a benedire il Po, lui si avvia verso il fiume seguito solo da un cagnetto e, una volta trovatasi davanti la banda comunista al completo, cava il Crocifisso dalla cinghia e lo brandisce come una clava. Poi, recita questa preghiera: "Gesù, se in questo sporco paese le case dei pochi galantuomini potessero galleggiare come l’arca di Noè, io vi pregherei di far venire una tal piena da spaccare l’argine e da sommergere tutto il paese. Ma siccome i pochi galantuomini vivono in case di mattoni uguali a quelle dei tanti farabutti, e non sarebbe giusto che i buoni dovessero soffrire per le colpe dei mascalzoni tipo il sindaco Peppone e tutta la sua ciurma di briganti senza Dio, vi prego di salvare il paese dalle acque e di dargli ogni prosperità". Ora, direttore, ci dirai che siamo ben originali a proporre una pastorale di tal guisa all’epoca del dialogo. Ma noi ti possiamo dire che qualche prete alla don Camillo di Mondo piccolo c’è ancora e ognuno può raccontare per le loro storie di evangelizzazione un finale che somiglia molto a quello che andiamo a trascrivere: "Amen - disse dietro le spalle di don Camillo la voce di Peppone. - Amen, risposero in coro, dietro le spalle di don Camillo, gli uomini di Peppone che avevano seguito il Crocifisso. Don Camillo prese la via del ritorno e, quando fu arrivato sul sagrato e si volse perché il Cristo desse l’ultima benedizione al fiume lontano, si trovò davanti: il cagnetto, Peppone, gli omini di Peppone e tutti gli abitanti del paese. Il farmacista compreso che era ateo ma che, perbacco, un prete come don Camillo che riuscisse a rendergli simpatico il Padreterno non lo aveva mai trovato". I non pochi don Camillo di oggi dicono che questo metodo funziona ancora. Si chiama Regalità sociale di Cristo e, come si è visto, riesce a trovare a ciascuno il suo posto, persino al farmacista ateo.

Fonte: Il Foglio, 18 Febbraio 2010

8 - FOIBE
Quella strage scomoda che la politica ci ha fatto a lungo dimenticare
Fonte Iilsussidiario.net, 11 febbraio 2010

Il presidente Napolitano le ha commemorate ieri, durante il giorno dedicato alla loro memoria. Si tratta della strage delle foibe, il genocidio italiano. Le foibe, come molti fenomeni di pulizia etnica perpetrati dai cosiddetti “vincitori”, sono state a lungo e volutamente dimenticate. Per motivi di quieto vivere da una parte politica e di connivenza dall’altra. Oggi, dopo quasi 70 anni da quelle efferatezze, se ne torna a parlare. Si parla del crimine demandando la responsabilità a non meglio precisate “forme di rimozione diplomatica”, non ancora specificando nomi e cognomi dei responsabili. Abbiamo interpellato in merito il professor Roberto Spazzali, da anni studioso dell’argomento intorno al quale ha pubblicato numerosi volumi di ricerca e opere divulgative.
PROFESSOR SPAZZALI, LA PAROLA “FOIBE”, EVOCA IN NUMEROSI CASI ANCORA OGGI UN’IDEA CONFUSA RISPETTO A QUANTO IN REALTÀ STA A SIGNIFICARE SOTTO UN PROFILO STORICO. PUÒ DARCENE UNA DEFINIZIONE SINTETICA?
Molto semplicemente le foibe in sé non sono altro che cavità naturali scavatesi nella roccia lungo le regioni carsiche. Cavità dove vennero gettate migliaia di persone, italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, e lasciate morire di stenti. Per estensione con la parola “foibe” si indicano appunto questi delitti. Si tratta di crimini perpetrati nell’Istria nell’autunno del 1943 in una prima fase e successivamente ripresi alla fine della seconda guerra mondiale nel maggio-giugno del 1945.
CRIMINI PERPETRATI DA CHI? E PER QUALE MOTIVO?
Sostanzialmente perpetrati da forze che si appellavano e guardavano come punto di riferimento il movimento di liberazione jugoslavo o, nello specifico, sloveno o croato.  Forze che erano animate da attivisti comunisti italiani, sloveni e croati. Obiettivo principale di questi massacri era la società istriana in sé. Soprattutto coloro che di questa società potevano rappresentare dei punti di riferimento, i borghesi, i maggiorenti del potere politico e delle istituzioni. Il motivo è semplice: si voleva decapitare la società dell’Istria, e più tardi dell’intera Venezia Giulia, di modo da accelerare il processo di annessione di queste regioni alla futura Jugoslavia che Tito stava costruendo sulla lotta di liberazione.
QUINDI NON FU UNA LOTTA AL FASCISMO, MA ALLA SOCIETÀ ISTRIANA
Certo che sì. Il Fascismo era oramai sconfitto. Preoccupazione degli stragisti fu quella di sbarazzarsi di coloro che potevano porsi come ostacolo all’annessione di Istria e Dalmazia al territorio jugoslavo. Vittime delle foibe furono dunque non soltanto i fascisti, ma soprattutto gli esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale, i democratici, gli stessi antifascisti partigiani che però si opponevano a un disegno annessionistico.
SI PUÒ COMPRENDERE, SEBBENE A FATICA, UN OBLIO CAUSATO DAL TRASCORRERE DEGLI ANNI. PIÙ SORPRENDENTE È IL SILENZIO, L’OMERTÀ CON LA QUALE GLI ITALIANI DI ALLORA VISSERO QUEL FENOMENO DI CUI IN PARTE ERANO A CONOSCENZA. COME SI SPIEGA QUESTO TIPO DI COMPORTAMENTO?
Diciamo che l’oblio e l’omertà di allora ebbero cause diverse. La più remota e più profonda, che è quasi antropologica, è questa: non parlando più di foibe si cancellava dalla testa degli italiani la sconfitta, la guerra persa. Una guerra che è stata perduta e che gli italiani della Venezia Giulia hanno pagato più di ogni altro italiano, soprattutto con l’espulsione dalle loro case. Inoltre concorse il timore di alcune forze democratiche per le quali parlare di foibe avrebbe significato delegittimare la visione e il significato della Resistenza in Italia. Il terzo aspetto, ma non per questo secondario, riguarda il ruolo che assunse in quel frangente il PCI. Non dimentichiamo che fino al 1946/47 il Partito Comunista Italiano sosteneva la causa Jugoslava e vedeva dietro Tito il potere di Stalin.
CHE COSA IMPEDÌ POI, NEGLI ANNI SUCCESSIVI ALLA RESTITUZIONE DI TRIESTE ALL’ITALIA, CHE SE NE PARLASSE?
Fu una politica del quieto vivere. Di fondo l’ipocrisia che ha contraddistinto la nostra Prima Repubblica, dove nessuno voleva assumersi responsabilità per alcun evento relativo al periodo fascista e dell’immediato dopoguerra. L’Italia di allora pagò il proprio debito di guerra con la Jugoslavia mediante le proprietà e i beni di quegli italiani disgraziati che vennero espulsi dalla propria terra. Una vicenda politica orrenda che la dice lunga su quella che era la logica politica della Prima Repubblica. Non ci fu risarcimento. Gli istriani e i dalmati dovettero solo subire l’esilio o la persecuzione.
OLTRE AL PARTITO COMUNISTA ITALIANO MOLTE VOCI HANNO RIVOLTO L’ACCUSA CONTRO DE GASPERI E LA DEMOCRAZIA CRISTIANA. QUALI FURONO LE RESPONSABILITÀ DI QUESTI ULTIMI?
De Gasperi ebbe in un certo senso le mani legate. Più che altro le colpe della Democrazia Cristiana si accumularono negli anni successivi. Quando per non agitare le acque preferì far sì che il tempo rimarginasse la ferita, senza fare memoria di quanto accaduto o, peggio, consegnando la memoria alla destra.
PERCHÉ DICE CHE FU UNA SCELTA PEGGIORE?
Perché trasformò la questione delle foibe in un tema elettorale. Le foibe venivano rievocate ogniqualvolta si ponevano questioni di conflitto politico e basta. Non ci fu una seria riflessione storica, culturale sul problema. Nessuno è andato a chiedere una pubblica ammenda alle sinistre, ai comunisti alla Jugoslavia. E poi subentrò la concezione terzomondista dei Paesi comunisti, poveri e intoccabili. La Jugoslavia rientrava fra questi, per cui per questioni politicamente corrette non se ne interpellò mai la responsabilità.
 NON TROVA SINGOLARE CHE IL MASSACRO DELLE FOIBE, COME TUTTI GLI ALTRI CRIMINI COMUNISTI, ABBIA GODUTO DI UNA MAGGIORE PROTEZIONE DA PARTE DEL GIUDIZIO STORICO RISPETTO AI PUR FEROCISSIMI CRIMINI NAZISTI E FASCISTI?
Sicuramente c’è sempre stato un doppiopesismo. È un problema sì connaturato al comunismo, ma in questo caso particolarmente al comunismo italiano. Il PCI ha orientato per decenni gli studi incentivando una sorta di riduzionismo sulle foibe. Ancora oggi in alcune frange estrema sinistra troviamo posizioni negazioniste o che addirittura vanno ancora a giustificare i crimini commessi. È sacrosanto che si condanni chi osa mettere in dubbio la Shoah. Ma sicuramente viene perdonato chi solleva perplessità maliziosamente sui crimini commessi dai titini. Nel ’96 Priebke venne condannato. L’infoibatore Pisculich trovò invece una scappatoia per salvarsi dalla condanna sui medesimi crimini. Ci sarà un motivo, no?
 LO STUDIO DEL FENOMENO FOIBE È OGGETTO DI INTERESSE ANCHE DA PARTE DI STUDIOSI INTERNAZIONALI?
 Grazie a Dio sì. In primo luogo bisogna dire che c’è una generazione di giovani studiosi sloveni e croati che se ne sta occupando. Ci sono studiosi anche di area tedesca che hanno affrontato. A questi si aggiunge la preziosa opera della studiosa statunitense Pamela Ballinger, ricercatrice presso un’università californiana, la quale ha pubblicato più di dieci anni fa un volume rivolto al pubblico anglosassone sulla questione dell’esodo italiano. Sono testi che non hanno avuto fortuna sul piano editoriale per decenni e che grazie alle attività di piccole e locali case editrici sono riusciti a diffondersi. Oggi per fortuna anche i grandi editori stanno comprendendo l’importanza culturale di pubblicazioni riguardanti il tema delle foibe e dell’esodo istriano. Una speranza per la nostra memoria e il nostro futuro.

Fonte: Iilsussidiario.net, 11 febbraio 2010

9 - OMELIA PER LA III DOMENICA TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Lc 13,1-9)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 7 marzo 2010)

Siamo giunti a metà del nostro itinerario quaresimale e la lettura del Vangelo ci presenta la parabola del fico infruttuoso. Quell’albero di fico simboleggia ciascuno di noi chiamati a portare frutti abbondanti che rimangano per la Vita eterna. Come un albero carico di frutti piega i suoi rami a terra, fino quasi a spezzarsi, così noi, al termine della nostra vita, dovremmo giungere ricolmi di opere buone per il Paradiso.
Nel racconto della parabola, il padrone di quel campo attende per tre anni che il fico porti i suoi frutti, fa di tutto affinché possa restare, lo pota, lo concima, ma tutto è inutile: i frutti tanto attesi non maturano. Allora lo taglia affinché possa per lo meno essere bruciato nel fuoco.
Questa parabola ci insegna prima di tutto che la nostra vocazione è quella di portare frutti abbondanti di opere buone. Solo così potremo essere felici. Certamente ciò comporterà sacrificio: i rami pieni di frutti quasi si spezzano, ma se un albero non fruttifica a cosa serve? Un genitore è contento di tutti i suoi sacrifici quando vede che questi sono serviti a far crescere i figli buoni e onesti. Quando si ama, i sacrifici sono amati e benedetti.
Per dare frutto autentico, noi dobbiamo intraprendere un cammino di seria conversione. Ciò è indispensabile. Dobbiamo intensificare la nostra preghiera, lottare contro il peccato, e dobbiamo esseri generosi nella nostra mortificazione. In poche parole, dobbiamo convertirci. Per ben due volte, nel brano del Vangelo di oggi, Gesù ci dice: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3-4).
La Quaresima è il tempo adatto per convertirci e cambiare rotta. La mortificazione, la penitenza di cui il Vangelo tante volte parla, si possono paragonare a tutte quelle cure che il contadino prodiga affinché gli alberi da lui curati portino frutto. La sua opera è faticosa, ma indispensabile.
La parabola del fico ci insegna inoltre la pazienza di Dio. Il padrone del campo attese per tre anni prima di tagliare quell’albero infruttuoso. Così fa Dio con noi. Egli non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Ma non bisogna abusare della sua pazienza. San Bernardino da Siena insegnava che Dio aspetta la conversione del peccatore, ma, dopo un certo tempo più o meno lungo, interviene per il bene stesso di quel peccatore. Questi interventi medicinali di Dio che tante volte chiamiamo “castighi di Dio”, su questa terra, sono espressioni della sua infinita Misericordia. Il castigo è come una medicina amara che Dio non vorrebbe somministrare, ma che usa come estremo rimedio per scuotere i suoi figli prodighi e ricondurli al suo Amore. Dio, che tanto ama le sue creature, non può disinteressarsi della sorte dei suoi figli che camminano per la via della perdizione: Egli fa di tutto per ricondurli sulla retta strada che conduce al Cielo.
Non dobbiamo attendere questi interventi, convertiamoci subito! Chiediamo incessantemente a Gesù per intercessione della Madre sua e nostra la grazia di una continua e profonda conversione.
Anni fa un missionario incontrò una donna, la quale aveva un figlio che da poco si era convertito. In precedenza egli era un delinquente, un violento e rubava di continuo. La mamma cercava di richiamarlo, di condurlo alla Fede, ma inutilmente. A un certo punto, dopo diversi anni di questa vita dissoluta, il giovane disse alla madre: «Se Dio veramente esiste e se Dio veramente mi ama, come tu dici, certamente mi punirà, perché un padre corregge sempre un figlio che sbaglia». Passarono pochi giorni e dopo l’ennesimo furto, il giovane fu arrestato. In quel Paese le carceri sono molto dure e in mezzo a tanta sofferenza il giovane si convertì e divenne un apostolo per tanti compagni di prigionia, distribuendo loro i Rosari e le Medagline che la mamma gli portava. Accettò con rassegnazione la sofferenza di quella dura prigionia, in riparazione dei suoi numerosi e gravi peccati.
Dio amava davvero quel giovane e proprio perché lo amava permise quella sofferenza, per convertirlo e salvarlo. Da questo episodio possiamo capire come la più grande sventura che ci possa capitare è quella di non essere corretti da Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 7 marzo 2010)

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