BastaBugie n�508 del 31 maggio 2017

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1 I MIGRANTI, POVERINI, CHE USANO GESU' COME WATER
Succede in un campo di migranti e nessuno dice nulla (consigliamo il libro di Anna Bono ''Migranti!? Migranti!?'')
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LA STAMPA NASCONDE LE FOTO DI MELANIA IN PREGHIERA
Moglie e figlia di Trump in Vaticano con il velo (e in Arabia Saudita senza velo) hanno dimostrato di essere fiere di appartenere a una civiltà contraria all'islam e di riconoscere nel Papa un'autorità suprema
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 PRIMA IL FEMMINICIDIO SI PREVENIVA CON IL BUONSENSO
Quando i carabinieri potevano applicare le leggi senza l'odierno garantismo a favore dei delinquenti, le donne erano più tutelate e gli uomini più scoraggiati dall'infierire nei loro confronti
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 LA TOLLERANZA NON ESISTE (NESSUNO E' TOLLERANTE)
Chi ha almeno una convinzione farà di tutto per farla prevalere: anche chi si dichiara tollerante usa le maniere forti contro chi non la pensa come lui (l'esempio tragicomico della Nivea)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 IN SVIZZERA CI SONO PIU' ARMI CHE ABITANTI, EPPURE (O FORSE PROPRIO PER QUESTO) CI SONO POCHI OMICIDI
Al contrario il buonismo toglie le armi ai cittadini e le lascia al governo e ai delinquenti, penalizzando i cittadini onesti
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 ANCHE A TORINO IL RIDICOLO SEMAFORO GAY
Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): prima pensione di reversibilità per coppia gay, bus gratis ai trans, abusi e discriminazioni Lgbt, a Bari vigili a lezione di gender
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 FREGANDOSENE DELL'ECUMENISMO, PADRE PIO CONVERTE AL CATTOLICESIMO UN'INTERA PARROCCHIA ORTODOSSA
Invece una parrocchia cattolica elimina il suono delle campane a morto perché così il funerale è troppo... triste (?)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 LA NOTTE DEI TESTIMONI
Aiuto alla Chiesa che soffre racconta due testimonianze di martiri di oggi di cui non sappiamo quale sia più insopportabile: la decapitazione immediata o il logoramento senza fine?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 OMELIA PENTECOSTE - ANNO A (Gv 20,19-23)
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - I MIGRANTI, POVERINI, CHE USANO GESU' COME WATER
Succede in un campo di migranti e nessuno dice nulla (consigliamo il libro di Anna Bono ''Migranti!? Migranti!?'')
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 03/05/2017

Ecco, una notizia del genere fa torcere le budella dall'indignazione. E non solo ai credenti; vale per ogni persona di medio buonsenso. Cristo non è soltanto addirittura Dio per i cristiani, ma è anche - e dai tempi di Costantino - il simbolo stesso dell'Occidente. Venire a sapere che qualcuno ci defeca sopra sdegna e dovrebbe sdegnare tutti. Lo fanno in quel di Ventimiglia, indovinate chi? «Profughi», poverini. Se ne è accorto qualche giorno fa l'assessore regionale all'agricoltura ligure, Stefano Mai, che ha compiuto un sopralluogo lungo le sponde del fiume Roja.
Perché il sopralluogo? Per vedere che succede nella specie di tendopoli organizzata (da chi?) per dare riparo agli immigrati che rifiutano di andare nel centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Perché non ci vogliono andare? «Queste persone vivono in situazioni borderline e di clandestinità, sfuggendo ai controlli per entrare più facilmente in contatto con i passeurs, che quasi quotidianamente orbitano proprio in quell'area per prelevarli ed accompagnarli al di là del confine».

UNA OFFESA VOLUTA
Insomma, «un ignobile business criminale», dice l'assessore. Il quale ha personalmente trovato il cesso all'aperto usato dai «profughi» (ripetiamo, poverini: l'aggettivo è sempre d'obbligo, ormai, a sentire i politicamente corretti e, ahimè, pure il papa): si tratta di una testa in marmo di Cristo [vedi foto], staccata da chissà quale statua (decapitazione: vi ricorda niente?) e ricoperta da più strati di escrementi, segno di abitudine collettiva e inveterata. Ora, è appena il caso di notare che la testa di una statua, data la sua forma ovale, non è la più adatta a fungere da water, perciò ogni ignoranza è esclusa.
No, l'atto è voluto, ed è - la si giri come si vuole - la peggiore offesa, ai cristiani e all'Occidente, che chi il cristianesimo e l'Occidente odia possa escogitare. A quale categoria di immigrati detti offensori appartengano è facile immaginare. Sì, perché un ateo o un animista non si accosciano per mettersi a evacuare nel modo più scomodo possibile. In altri luoghi del mondo (indovinate quali) intere cittadine sono intervenute a linciare poveracci solo sospettati di aver strappato una pagina del Libro. Una bambina di cinque anni, analfabeta e ritardata, ne aveva trovato un foglio per strada e ci aveva fatto i coriandoli per una festicciola: è stata sottratta a stento a una sorte terribile.

LE CULTURE SONO TUTTE UGUALI O CE N'E' UNA SUPERIORE?
Asia Bibi è nella cella della morte da otto anni, e ben due politici, un ministro e un governatore, hanno pagato con la vita il tentativo di difenderla. Basta addirittura un equivoco, come nel caso della giovane coppia di coniugi gettati vivi in una fornace. O una semplice incomprensione (il famoso discorso di papa Ratzinger a Ratisbona scatenò pogrom anticristiani in Asia e in Africa). Nel caso dei defecatori di Ventimiglia si potrebbe sperare almeno nella riconoscenza per il Paese che li salva dalle acque, li ospita, li coccola. Seeeh! La loro «cultura» prevale su tutto e tutti, anche sul senso di umanità (sempre che sappiano che cosa sia).
Noi, che siamo di cultura signorilmente superiore (si potrà dire, o è politicamente scorretto?), anziché andare a prenderli a pedate del deretano glissiamo. Anzi, tra noi c'è pure chi è ideologicamente contento. L'assessore ligure si è stretto nelle spalle e ha abbozzato. Al massimo, potrà intervenire per l'inquinamento che quei gentiluomini provocano gettando nel fiume ogni sorta di immondezza. Al massimo. E sarà fortunato se le anime belle nostrane non lo indurranno a lasciar correre, perché, si sa, ogni popolo ha la sua «cultura».

Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "Questa non è emigrazione. E' un'altra cosa" parla del nuovo libro di Anna Bono (che scrive su La Nuova Bussola Quotidiana) "Migranti!? Migranti!? Migranti!?" che tratta da un'angolazione originale il "più grande problema del terzo millennio", quello dell'emigrazione di massa verso l'Europa. In questi anni assistiamo a un fenomeno completamente differente rispetto all'emigrazione che abbiamo sempre conosciuto. E' un fenomeno che va capito fino in fondo.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 maggio 2017:
«L'ho rivisto due anni dopo, lavora in nero nei campi e fa quasi la fame. Mi ha detto che avevo ragione, che si è pentito di non avermi ascoltato, che avrebbe fatto molto meglio a restare in Pakistan, che questa non è la terra delle opportunità». Così parlò Kabir, che "aiuta" i connazionali a venire clandestinamente in Italia. E si riferisce a un giovane pakistano insoddisfatto della sua condizione in patria (tecnico di laboratorio), che, potendo pagarsi il viaggio, sognava di fare fortuna nella terra delle opportunità. Che non è l'America ma, chissà perché, gli occhi di asiatici e africani è l'Italia.
Nella fattispecie narrata, Kabir non è un trafficante senza scrupoli; anzi, è uno coscienzioso: parla al ragazzo, cerca di convincerlo a cambiare idea perché le cose non stanno come immagina. Niente. L'epilogo lo conosciamo. Quello raccontato è solo uno dei tanti spunti preziosi contenuti nel libro di Anna Bono (nostra firma), Migranti!? Migranti!? Migranti!? (Segno, pp. 145, €. 12), il cui titolo già da solo dice tutto. Le migrazioni sono, come recita la quarta di copertina, «il più grande problema del terzo millennio». Ma si farebbe torto alla realtà parlando in generale di «migrazioni», perché a far veramente problema, se vogliamo dirla tutta, sono specialmente quelle dirette nel nostro Paese e provenienti dalla costa africana. Anna Bono sa bene di cosa parla, visto il suo impressionante curriculum: già ricercatrice in storia e istituzioni dell'Africa all'università di Torino, si è fatta dieci anni di studio e ricerca in Kenya, poi ha collaborato per diversi anni con l'istituto superiore di studi sulla donna dell'università pontificia Regina Apostolorum, per sei anni ha diretto il dipartimento sviluppo umano del Cespas (Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo), collaboratrice per il Forum strategico del nostro ministero degli Esteri, autrice di articoli, libri e saggi scientifici.
Nel libro, al capitolo 15, spiega in che cosa è sempre consistita l'emigrazione, almeno fino a ieri. Da un certo punto in avanti, però, le cose cambiano e, «fatto del tutto anomalo, da alcuni anni milioni di persone pensano di risolvere i loro problemi, addirittura di fare fortuna, emigrando, per giunta illegalmente, in un continente in difficoltà, l'Europa, e in un paese che lo è di più ancora. L'Italia». E giù cifre, come giustamente ci si aspetta da un'esperta del suo calibro. Ma non vogliamo togliere le sorprese al lettore. Noi, semplici spettatori - finché non diverremo subitori o, Dio non voglia, vittime - del «fenomeno», ci chiediamo: adesso che farà il giovane che Kabir non è riuscito a dissuadere? Tornerà indietro? E dove li prenderà i soldi per il viaggio di ritorno? Se la sentirà, poi, di ripresentarsi sconfitto in patria? Che cosa fanno (e che faranno), da noi, tutti quelli che si sono svenati e/o indebitati per un posto sui barconi della speranza? Sì, lo Stato li alloggia, sfama, cura e dà loro pure qualche euro (e la voce si è sparsa in tre continenti, da qui la corsa all'Italia). Ma quanto potrà durare? I più, è vero, sono giovani e in salute, ma è una condizione che non può andare avanti in eterno. Ormai quasi non c'è negozio che non abbia davanti un immigrato col cappello in mano. E gli sbarchi dei c.d. «disperati» continuano senza sosta.
Qualcuno subodora una specie di complotto internazionale per la creazione di un nuovo tipo - addirittura - di umanità rimescolata, un progetto filosoficamente gnostico. Ma la triste realtà potrebbe essere diversa (e più agghiacciante): non c'è alcun progetto, anche gli gnomi navigano a vista.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 03/05/2017

2 - LA STAMPA NASCONDE LE FOTO DI MELANIA IN PREGHIERA
Moglie e figlia di Trump in Vaticano con il velo (e in Arabia Saudita senza velo) hanno dimostrato di essere fiere di appartenere a una civiltà contraria all'islam e di riconoscere nel Papa un'autorità suprema
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29-05-2017

Il fatto di chiamarsi come la comprimaria «buona» di Via col vento, quella interpretata da Olivia de Havilland, non le è valso un minimo di considerazione positiva da parte della stampa. La quale, orfana di Hillary e perciò rosicona, l'ha inchiodata alla parte di «moglie di Trump», perciò da denigrare e, quando proprio non si può, snobbare. All'indomani della trionfale elezione di The Donald le prefiche democratiche si lanciarono subito nel loro sport preferito, la demonizzazione dell'avversario politico.
Ero in un grande magazzino di cinesi che tenevano la radio ad alto volume per la gioia (si fa per dire) dei clienti, e sentii uno di quei programmi in cui i conduttori, tra una musica e l'altra, cazzeggiano tra loro credendo di essere divertenti, o leggono tweet e sms inviati dal pubblico, i quali tweet e sms sono sempre, chissà perché, in linea ideologica con la trasmissione. Ebbene, la battuta più fine all'indirizzo di Melania Trump fu questa: «Adesso c'è una speranza per le sciampiste».

AVVENENZA, CLASSE ED ELEGANZA
Il disprezzo ha accompagnato questa bellissima donna fin dalla discesa in campo del marito. E dire che, quanto ad avvenenza, classe ed eleganza, potrebbe reggere il paragone con l'osannato «mito» Jacqueline Kennedy, se non addirittura batterla ai punti. La stampa italiana, invece, quanto a servilismo provinciale non la batte nessuno. Così, di Melania ain giro per l'Italia e negli incontri ufficiali in Israele e Bruxelles si è detto che ha rifiutato la mano che il marito le tendeva, diniego che potrebbe avere mille ragioni, dalla semplice noncuranza alla mano sudata di lui, ma che importa?
Focus, grandangolo, zoom su quella mano, magari interi talkshow appositamente dedicati. Melania ha superato in altezza «di buoni 30cm» tutte le altre first ladies presenti: in altre donne (politicamente corrette) sarebbe stato un pregio, invece per la stangona balcanica niente. Il vestito a fiori sbalzati, il giubbino di 51mila dollari: il cattivo gusto di questa parvenue è dato per palmare, anche se non c'è bisogno di sottolinearlo, basta spararlo in pagina. Il fatto che questa cinquantenne slovena abbia un fisico da fare invidia alle adolescenti non fa notizia.

UNA MISE PERFETTA
Né in Italia sono state pubblicate certe foto che dicono anche altro. La «sciampista» si è presentata in Vaticano con una mise perfetta e del tutto omaggiante un protocollo che da tempo non si vedeva tra le Sacre Mura. Abito di pizzo nero, sotto il ginocchio, capo coperto con veletta, atteggiamento rispettoso e compunto. Rosario in mano, lei, cattolica, è stata immortalata in preghiera davanti alla statua della Madonna (mentre si fa il segno della croce) e in riflessione devota davanti a un affresco dell'Ultima Cena.
Per un paragone, la moglie di Renzi premier andò in visita al papa a capo scoperto, ed è cattolica di battesimo pure lei. Per un altro paragone, da quelle parti, poco tempo fa, si è presentato il premier lussemburghese col «marito». Ma la luce viene dall'Est, è inutile, e c'è da rimpiangere Putin che, in diretta, dava lezioni di stile al papa riguardo all'icona Vladimirskaja.
Dite quel che vi pare, ma tutti gli indizi portano a Fatima e al suo messaggio. Di speranza. Malgrado le divergenze tra Francesco e Trump (sul clima, sui muri, sul capitalismo), la moglie di quest'ultimo ha impartito una lezione di bon ton a tutti [per vedere la foto di Melania davanti alla Madonna e con il Papa clicca qui, N.d.BB]. Naturalmente, la stampa italiota non se n'è accorta. [...]

Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo sottostante dal titolo "Melania e Ivanka, semplicemente se stesse" racconta che la moglie e la figlia del Presidente Trump, in viaggio per conto e in nome degli Stati Uniti, in Arabia Saudita e in Vaticano sono state se stesse: senza velo e con il velo, persone appartenenti a una civiltà alla quale regole, istituzioni, cultura e società arabo islamiche sono estranee e che nel Papa riconoscono un'autorità suprema.
Ecco dunque l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 25 maggio 2017:
Bellissime, eleganti, sobrie nello stile, nella scelta dei gioielli. Così si sono viste in questi giorni al fianco del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Melania, sua moglie, e Ivanka, la sua secondogenita; e, per chi non lo avesse notato, entrambe a capo scoperto, durante il soggiorno in Arabia Saudita, velate e in nero invece in Vaticano, in visita al Papa, secondo un protocollo peraltro ormai non da tutti rispettato. Agnese Renzi, ad esempio, insieme al marito Matteo allora Primo ministro italiano, in Vaticano si era presentata a capo scoperto.
Nessuno l'aveva messa alla porta (almeno era vestita di ero e a braccia coperte), così come nessuno ha fermato Melania e Ivanka Trump a Riyad. Molte donne straniere prima di loro sono andate in Arabia Saudita a capo scoperto e non è successo niente. Non è come in Iran dove alle donne in visita tuttora è richiesto di indossare l'hijab, il velo islamico in una qualunque delle sue interpretazioni: per una straniera, anche solo una sciarpa sui capelli. Se l'era messo persino Oriana Fallaci nel 1979, sei mesi dopo la rivoluzione, pur di riuscire a intervistare l'ayatollah Khomeini nella città santa di Qum, per poi toglierselo con un gesto clamoroso che tuttavia Khomeini aveva incassato senza neanche punirla interrompendo l'intervista: forse troppo allibito per reagire. [...]
Tornando a Melania e Ivanka Trump, un incidente diplomatico tremendo sarebbe scoppiato se avessero mostrato una croce: qualsiasi cosa a forma di croce o che la raffiguri. I luoghi sacri del'Islam, i suoi santuari, sono in Arabia Saudita, niente croci sul suo suolo e nei suoi cieli. Tuttavia chi scrive, ad esempio, per sbadataggine, si è presentata alcuni anni or sono alla Farnesina a un incontro con oltre 50 uomini d'affari sauditi portando al collo una croce lunga cinque centimetri, fatta di pietre preziose birmane e nessuno dei presenti al vederla ha lasciato la sala offeso.  
Ormai indossare il velo, in fin dei conti persino in Iran, non è una sfida, non una provocazione (caso mai indossarlo in Vaticano) né una prova di forza. Piuttosto intende essere una dimostrazione di disponibilità, di volontà di dialogo, a tutto beneficio di un pubblico occidentale imbevuto di relativismo culturale e di avversione all'Occidente. Invece agli occhi del mondo arabo islamico, in effetti di tutto il resto del mondo, appare come una resa, un segno di debolezza e, quel che in effetti è, di un'identità incerta o perduta, di un senso di appartenenza debole o assente.
La moglie e la figlia del Presidente Trump, in viaggio per conto e in nome degli Stati Uniti, in Arabia Saudita e in Vaticano sono state se stesse: senza velo e con il velo, persone appartenenti a una civiltà alla quale regole, istituzioni, cultura e società arabo islamiche sono estranee e che nel Papa riconoscono un'autorità suprema. Tanto è vero che Melania Trump, che è cattolica, ha evidentemente sfidato i divieti sauditi portando con sé addirittura un rosario, nascosto da qualche parte nell'Air Force One. Infatti durante l'incontro in Vaticano lo aveva con sé e ha chiesto al Papa di benedirlo. Poi Francesco le ha domandato se a suo marito dà da mangiare la potica, un dolce sloveno, e lei ridendo ha risposto di si. [...]


DOSSIER "DONALD TRUMP"
Il presidente nemico del politicamente corretto

Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29-05-2017

3 - PRIMA IL FEMMINICIDIO SI PREVENIVA CON IL BUONSENSO
Quando i carabinieri potevano applicare le leggi senza l'odierno garantismo a favore dei delinquenti, le donne erano più tutelate e gli uomini più scoraggiati dall'infierire nei loro confronti
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/04/2017

Una gentile e affezionata lettrice ha sottoposto alla mia attenzione un trafiletto di cronaca italiana del 1935, trovato frugando tra le carte di suo nonno. Ecco che cosa dice: «L'operaio Ernani Barberis si presentava ieri sera ai carabinieri di Forte dei Marmi dicendo di voler denunziare la moglie infedele. Ma questa lo aveva preceduto reclamando dai rappresentanti della Benemerita la loro protezione per le continue sevizie cui veniva fatta segno dal marito. Poiché la denunzia della moglie rispondeva a verità e poiché il Barberis era in evidente stato di ubriachezza molesta e ripugnante, i carabinieri invece di raccogliere la sua denuncia lo dichiaravano in arresto» (da «Il Messaggero» del 10 luglio 1935).
Il caso è istruttivo perché si tratta di un femminicidio evitato grazie al buonsenso, in un tempo in cui la polizia poteva fare la polizia e prendere iniziative senza dover prima farsi autorizzare dalla magistratura. La stampa, poi, si limitava a dare le notizie (almeno queste, spicciole) senza commentarle alla luce dell'ideologia imperante, che oggi è quella politicamente corretta del buonismo e dell'ipergarantismo, con ciò mettendo in cattiva luce (e, dunque, in difficoltà) gli esponenti delle forze dell'ordine che intendessero prendere iniziative sua sponte. La cronaca suddetta è del 1935, ma posso testimoniare che così andavano le cose anche in tutti gli anni Sessanta del secolo appena trascorso.

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO
Ricordo alcuni compagni di liceo che si erano riempiti le tasche alla Standa, naturalmente senza pagare, ed erano usciti fieri della bravata. Pescati e consegnati alla polizia, per loro fortuna erano finiti nelle mani di un vecchio maresciallone, di quelli che avevano fatto la guerra. Questo li aveva riempiti di schiaffoni, poi li aveva riconsegnati ai padri perché ricevessero il resto.
Tutto qui: era stata una ragazzata, ovvia e lampante, non valeva la pena di procedere, di scrivere denunce e quant'altro, che a quelli avrebbero «macchiato le carte» stigmatizzandoli per sempre. Altri tempi. Tempi in cui, non essendoci il femminismo, le donne erano protette davvero. Oggi le cronache, al contrario, sono piene di femminicidi le cui vittime invano avevano cercato protezione presso le forze dell'ordine. Cavilli, burocrazia, mani legate. Poi ci scappa il morto (anzi, la morta) e la stampa strilla al «delitto annunciato».
Ecco il commento della lettrice di cui sopra: «Vuoi vedere che quando i carabinieri potevano applicare le leggi già in vigore con più buon senso e minor garantismo dei delinquenti, le donne erano più tutelate e i mariti (e non) più scoraggiati dall'infierire nei loro confronti?». Che cosa aggiungere? Che forse si stava meglio quando si stava peggio?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/04/2017

4 - LA TOLLERANZA NON ESISTE (NESSUNO E' TOLLERANTE)
Chi ha almeno una convinzione farà di tutto per farla prevalere: anche chi si dichiara tollerante usa le maniere forti contro chi non la pensa come lui (l'esempio tragicomico della Nivea)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/03/2017

Quando ho letto l'aforisma che la benemerita agenzia cattolica Zenit.org ha posto a esergo del suo lancio del 2 marzo 2017 ho fatto un salto sulla sedia. Eccolo: «La tolleranza è la virtù dell'uomo senza convinzioni». Sarà sfuggito di penna in un'agenzia in genere pacata e clericalmente corretta che, lodevolmente, mai si discosta dallo stile della conferenza episcopale italiana? Boh.
L'aforisma in questione l'ha scritto Gilbert K. Chesterton (1874-1936). Lo scrittore profetico (non a caso c'è chi ne propugna la beatificazione) aveva anche previsto che spade sarebbero state sguainate per sostenere che l'erba è verde e il cielo è azzurro. Infatti - tanto per dirne una - in Spagna le autorità hanno multato e sequestrato un autobus che recava la scritta «I bambini hanno il pene e le bambine hanno la vagina». Sì, perché l'ovvio non si può più dire: è reato di «intolleranza».

LA TOLLERANZA PRODUCE GALERA, LINCIAGGI E MORTE CIVILE
Come il goyano sonno della ragione produce mostri, così la c.d. tolleranza produce galera, quando non linciaggi e morte civile. Per forza: se ho una convinzione, vuol dire che io ho ragione e chi non la pensa come me ha torto. Tanto più forte sarà la mia convinzione, tanto più dura sarà la mia reazione contro chi non è d'accordo. Chi ha una convinzione forte farà di tutto per mettere a tacere chi si permette di dissentire. E' nella natura delle cose.
La «tolleranza» è una forzatura, non ha senso. Infatti, la natura si ribella e rimette le cose a posto. Qualche tempo fa il principe britannico William, figlio di Diana Spencer, fu visto a una festa - privata - mascherato da nazista e successe il finimondo. Era il massimo dell'autoironia in un inglese, ma venne costretto ad abiurare come Galileo. Se si fosse mascherato da khmer rosso nessuno avrebbe avuto da ridire; anzi, nessuno se ne sarebbe accorto.
Potremmo produrlo, ma sarebbe inutile, perché lo conoscono tutti: c'è un elenco preciso di cose che, se le fai o le dici, finisci in galera, e va sotto il nome generico di «politicamente corretto». E' la dimostrazione che la «tolleranza» non esiste, è stata solo un grimaldello dialettico usato per disarmare gli avversari, ora non serve più. Il famoso detto attribuito a Voltaire? Sì, quello che recita: non sono d'accordo con quel che dici ma darò la vita perché tu possa dirlo. Balle, non solo Voltaire non l'ha mai detto, ma gli insulti riservati a chi non la vedeva come lui dimostrano pure che si sarebbe guardato bene dal dirlo.

NEMMENO I TOLLERANTI TOLLERANO IL DISSENSO
Sì, perché chi ha una convinzione chiara, precisa e decisa non «tollera» dissenso. Al massimo lo sopporta momentaneamente. Basta vedere che fine fanno quelli che si permettono di dissentire col papa della «misericordia». Papa Francesco, infatti, ha una convinzione ben precisa e, come tutti quelli che ne hanno una, cerca di imporla. Bando alle ipocrisie, anche io farei lo stesso.
Chesterton ha avuto la vista lunga e ci aveva avvertiti che il re è nudo, ma lo abbiamo ascoltato - ahimè vanamente - soltanto noi «intolleranti», colpevoli solo di avere le idee chiare. E ancora, tanto per cambiare, la Chiesa si ritrova come è sempre stata, con due nemici da combattere, uno interno e l'altro esterno. Quello esterno è, ari-tanto per cambiare, l'islam. Quello interno è il «politicamente corretto», che invoca, a scopo autodemolitorio, il «dialogo» e la «tolleranza», due concetti cioè che - ci si faccia caso - fanno a cazzotti tra loro.

Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "Nivea, il politically correct fa un altro schiavo" parla del colosso Nivea che è costretto a ritirare uno spot che associa il bianco alla purezza. La casa produttrice cade vittima dei guardiani rossi del politically correct, che ai tempi del nazismo sarebbero stati in prima fila contro i giudei. Ma Nivea non vuol dire "come la neve"? Razzista anche quella?
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 07-04-2017:
La Nivea ha dovuto ritirare uno spot pubblicitario di un suo deodorante che recitava «Il bianco è purezza». Apriti cielo sui social. Vedete, ormai non ha più senso parlare di «dittatura» del politicamente corretto, perché sono gli stessi schiavi a volerla. Se qualcuno «sbaglia» a parlare, ecco che torme di plagiati insorgono e lo linciano. Ma nella civiltà della «comunicazione», dove valanghe di chiacchiere si incrociano ogni giorno nell'etere, come si fa a sorvegliare la lingua? La svista è facile, dal momento che il politicamente corretto fa a botte col buonsenso e quest'ultimo riaffiora continuamente.
E' come con l'asfalto: se non lo rispalmi di continuo, l'erba(ccia) riemerge, perché è più forte. Anzi, è naturale, mentre il bitume non lo è. Il colore bianco è stato da sempre (sempre!) associato alla purezza, ne fanno fede i paramenti liturgici (vecchi di duemila anni) e il fatto che, in Africa, i missionari devono vestire di bianco, non di nero, perché anche per i nativi il bianco è il colore del sacro e, dunque, del puro per eccellenza. Del resto, basta aver frequentato un poco l'Africa per sapere che, tra gli africani, più chiaro (di pelle) sei e più bello sei giudicato. Quando alla mia ex colf filippina nacque un nipotino, la prima cosa che mi disse per magnificarne le fattezze fu che era «molto bianco». Fatevi un giro tra le colf filippine e vedrete quanto uso fanno di creme sbiancanti. E le geishe giapponesi? Avete visto quanta biacca (bianca) sulla faccia? E non si venga a parlare di influsso culturale colonialistico, perché le geishe avevano la faccia dipinta di bianco secoli prima di vedere un europeo da quelle parti.
Niente, la Nivea, spaventata, ha ritirato la pubblicità e si è profusa in scuse: non intendeva offendere (i neri). Spot razzista? Ma per favore! E che dovrebbe fare, la Nivea, cambiare anche la sua ragione sociale? «Nivea» in latino vuol dire «come la neve». E la neve, mi spiace, ma è razzista: mai vista neve nera, se non a Hiroshima dopo la bomba. «La discriminazione deve essere esclusa in tutte le decisioni e in tutti i settori delle nostre attività - ha dichiarato un portavoce della ditta -. Siamo profondamente dispiaciuti per chiunque possa essersi sentito offeso». Ma caro portavoce, a sentirsi offesi sono solo gli imbecilli dei social, i quali sarebbe opportuno contarli, prima o poi. Si scoprirebbe che, magari, sono sempre i soliti nullafacenti pronti a sposare l'ultima moda per sentirsi esistenti.
Durante il nazismo sarebbero stati tutti con la svastica al braccio, solerti nel dipingere la scritta «juden» sui negozi ebraici. Sono le Guardie Rosse della rivoluzione politically correct, sono quelli che magari non usano deodoranti e, come cantava Battiato, «sono come sabbie mobili, tirano giù», verso il vuoto spinto del loro pensiero di plastica. Avviso ai bacchettoni trinariciuti dei social: esistono i film in bianco e nero. Protestate per quelli, così che avremo schermi interamente neri a prova di razzismo. Ma il problema non sono loro, il problema sono queste ditte che hanno paura perfino della loro ombra e si lasciano intimidire da quattro perditempo. Forza, Nivea, lascia perdere le creme, specialìzzati in abbronzanti.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/03/2017

5 - IN SVIZZERA CI SONO PIU' ARMI CHE ABITANTI, EPPURE (O FORSE PROPRIO PER QUESTO) CI SONO POCHI OMICIDI
Al contrario il buonismo toglie le armi ai cittadini e le lascia al governo e ai delinquenti, penalizzando i cittadini onesti
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/03/2017

Ero studente universitario a Pisa quando si verificò un episodio grottesco. Quelli della mia cricca avevano conosciuto un giovane imprenditore rampante che voleva festeggiare il suo compleanno nella sua villa in Svizzera con un scherzo singolare per i suoi ospiti: un finto rapimento. Alcuni miei amici accettarono di andare in auto fin là e, con mitra-giocattolo e passamontagna, fare il blitz.
Che riuscì bene, alla fine venne rivelato tutto e finì a champagne. Scherzo goliardico, anche se, va detto, idiota. In effetti, in Italia correvano gli Anni di Piombo e ciò doveva, nelle intenzioni, rendere più credibile lo scherzo (ripeto, di cattivo gusto). Il fatto è che, nel tornare, l'auto dei finti rapitori ebbe un incidente. Venne la polizia (svizzera) che, con rigorosa efficienza, vista la targa italiana, volle perquisire la macchina. Aperto il portabagagli e trovate le armi e i cappucci, i quattro imbecilli furono arrestati all'americana (gambe divaricate, manette ai polsi dietro la schiena) e portati in cella.

LA SVIZZERA È UN POSTO SERIO
Ci stettero una settimana prima che un giovane commissario pisano, nostro amico, confermasse la loro versione. La lezione se la ricordano ancora. Sì, perché la Svizzera è un posto serio. Leggo, in un articolo di Marco Giglio (sulla rivista «Tfp» di questo mese), che in Svizzera circolano dodici milioni di armi da fuoco su appena nove milioni di abitanti. Tutti gli svizzeri prestano il servizio militare (tre settimane all'anno) e si portano a casa l'equipaggiamento, armi comprese. Le armi le tengono anche a ferma finita, per sempre. Lo stesso fanno i poliziotti.
Stando a quel che si sente dire dell'America, dove i morti ammazzati di quando in quando fanno notizia, in Svizzera dovrebbe esserci un massacro al giorno. In realtà negli Usa gli incidenti vanno raffrontati alla popolazione (è un continente) e la politica della «tolleranza zero» ha reso New York un posto sicuro. Dunque, il problema non sono le armi, ma la magistratura. In Svizzera «pochi ladri hanno il coraggio di entrare in casa di una persona sicuramente armata e anche addestrata». Il caso recente di Lodi insegna. Questa filosofia l'ha espressa, da noi, lo showman Francesco Facchinetti, quando ha dichiarato che un ladro da casa sua non uscirebbe vivo. Scandalo e vesti stracciate dei residenti ai Parioli. Ma il Facchinetti ha solo espresso a voce un vecchio adagio che recita: meglio un cattivo processo che un buon funerale.

ARMI E SICUREZZA VANNO A BRACCETTO
La Svizzera è al quinto posto mondiale nella classifica della sicurezza secondo il World Peace Index. E, finora, in Svizzera di terrorismo non si è neanche parlato. Incidenti con le armi? Rari. Per forza: l'addestramento continuo fa il suo lavoro. Il risultato è la pace, interna ed esterna. Nemmeno Hitler osò forzare il sistema difensivo svizzero, che lo stesso Führer definì «mostruoso e pauroso». Gli svizzeri si addestrano all'uso delle armi fin da ragazzi, e continuano a farlo quasi vita natural durante. Al solito, il problema non sta nelle armi ma in chi le usa. Cioè, nella testa. E nella filosofia corrente.
E' il buonismo ideologico il problema. Esso favorisce i potenziali delinquenti e penalizza gli onesti creando una situazione «all'italiana» il cui costo sociale è sotto gli occhi di tutti. L'eccellenza svizzera sarà forse dovuta al fatto che là i comunisti e i preti sono pochi? E che le quote di immigrati sono decise con referendum dal popolo?

Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "La neolingua politicamente corretta entra in carcere" racconta come la neolingua viene imposta anche in carcere. Perché? Semplice, ce lo chiede l'Europa. E allora "cella" diventa "camera di pernottamento" perché il mondo della prigione deve essere uguale a quello fuori.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12/04/2017:
Un verso misconosciuto della famosa canzone folk siciliana Ciuri ciuri recita: «Tu dici ca lu càrzaru è galera, a mia mi pari 'na villeggiatura». Traduco, anche se non ce n'è molto bisogno: «Tu dici che il carcere è galera, a me mi pare una villeggiatura». Le alate parole si affacciano automaticamente all'immaginazione nello scorrere la recente circolare del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) che introduce la neolingua nelle patrie galere.
Dice anche, senza parafrasare, che ce lo chiede l'Europa. E ti pareva. Così, per esempio, la cella diventa «camera di pernottamento». Più chic (ma allora perché non «zona notte»?). Segue tutta una serie articolata di cambio-parole in neolingua «per adeguarsi alle regole europee». In effetti eravamo in pensiero: una Europa che regola la curvatura delle banane e il diametro dei piselli, possibile che avesse lasciato fuori l'altra metà del cielo (quello a scacchi)?
Con tutta l'abbondanza di popolazione carceraria, tanto che a intervalli irregolari si deve varare l'ennesimo decreto svuota-carceri (e riempi-obitori), era giusto che si ponesse mano a quest'ennesimo regolamento. Che per i maligni è della serie: non riesco a risolvere il problema, allora lo chiamo in un altro modo.
A giudicare da certi ceffi che entrano ed escono dall'istituzione, non ce li vediamo intenti a ingentilire il loro linguaggio. Tenendo conto anche del fatto che metà della popolazione carceraria è costituita da extracomunitari e/o stranieri. Perciò, è quasi sicuro che la nuova normativa sia indirizzata più che altro a quelli del personale di custodia, che già da un pezzo non si possono più chiamare secondini (pare sia diventato offensivo, come, per un paragone, «negro» e «zingaro»).
Il quale personale, vediamo, che cosa ne pensa dei nuovi standard linguistici europeizzanti? L'Osapp, sindacato di polizia penitenziaria, su «L'Espresso» parla senza mezzi termini (e saltando a piè pari il politicamente corretto) di «un'Amministrazione ormai giunta alla frutta». Banane e piselli europei? No, noccioline.
Invece di «affrontare e risolvere i gravissimi problemi del personale di polizia penitenziaria e della popolazione detenuta nell'attuale e scadente sistema penitenziario italiano», si preoccupa di adeguare la terminologia carceraria a quella svedese.
Riassumiamo detti problemi: personale insufficiente, carceri che scoppiano, altre carceri non utilizzate, sistema penale spietato con certi reati e lassista con altri, eccetera. Ma l'Amministrazione non ha dubbi: si modifichi il linguaggio, perché «la vita all'interno del carcere deve essere il più possibile simile a quella esterna e questa assimilazione deve comprendere anche il lessico». Posta la premessa, in effetti, il resto è logico.
Ma ci si permetta una domanda ingenua: perché la vita all'interno del carcere deve essere il più possibile simile a quella esterna? Non era un «luogo di pena»? Non si chiamava «penitenziario» (da «penitenza»)? Il Codice non si chiama Penale? A questo punto, perché la riforma del linguaggio non comincia dalla testa? Perciò, le teste d'uovo europee si scervellino per sostituire questi nomi. Suggeriamo il primo: Codice (non più Penale ma) di Reinserimento Sociale. Per il resto rimando alla canzone Ciuri ciuri: non carcere né galera, bensì...

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/03/2017

6 - ANCHE A TORINO IL RIDICOLO SEMAFORO GAY
Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): prima pensione di reversibilità per coppia gay, bus gratis ai trans, abusi e discriminazioni Lgbt, a Bari vigili a lezione di gender
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/05/2017

Qualche psicologo, ma esperto, qualificato, dovrà prima o poi indagare (e spiegarci) questa misteriosa attrazione fatale che il mondo Lgbt ha per i semafori. La notizia, ultima, è che, dopo Londra e Vienna, anche Torino avrà le sue traffic lights (feux rouges, se preferite il francese) gay friendly. In effetti, la tentazione di applicare mascherine che modificano la luce rosso-giallo-verde quando essa si accende è antica, ma finora era sempre stata una trovata spiritosa di qualche buontempone.
Per esempio, vicino a casa mia, qualcuno, con la gomma da masticare, aveva plasmato un minuscolo pene in erezione e lo aveva appiccicato tra le gambe dell'omino verde. L'effetto, a luce accesa, era certo suggestivo, ma ai pedoni costava solo un'indifferente alzata di spalle. Ora, Londra e Vienna avevano almeno un motivo, un'occasione: i rispettivi Gay Pride, le variopinte sfilate che, appunto, si snodano per le strade cittadine, luoghi in cui, com'è noto, i semafori, anche quelli intelligenti, spesseggiano.
Torino, città recentemente pentastellata, fa a meno delle ricorrenze e dà (cito) «un segnale tangibile di svolta verso il riconoscimento della libertà di tutti». Così, si comincia col salotto cittadino, via Roma, e presto altri quartieri - sperano gli ideatori - seguiranno. Certo, a vedere sui giornali le foto dei nuovi semafori modificati si resta un attimino interdetti. Le donnine (si suppone lesbiche) sono sulla luce rossa, gli omini (si suppone gay) su quella verde. E' vero, a montare una luce che, in ogni colore, mostrasse uno dei millanta «generi» in cui l'umanità da qualche tempo (non molto) si sarebbe suddivisa, la spesa per le casse comunali si sarebbe rivelata magari eccessiva.
Così, due mascherine e via. Ma il rosso con le donnine potrebbe ingenerare equivoci nei più sprovveduti. Che significa? Che due donne affiancate non possono attraversare mai? Sì, perché quando scatta il verde compaiono gli omini. I quali, però, non sono affiancati di prospetto e fermi. No, sono ripresi di profilo, con uno che precede e conduce per mano l'altro. Dato l'aspetto dimesso della silhouette di quest'ultimo, sembrano un vecchietto e il suo badante filippino. Insomma, dilemma per il turista straniero (o per l'immigrato di recente) che nulla sa delle alzate d'ingegno della modernità europea.
Potrebbe, infatti, essere una Giornata della Solidarietà, intesa in senso largo e lato. Sempre stando alle foto, il giallo è rimasto intonso. Eppure, data la sua natura di corpo intermedio, forse era il più adatto a rappresentare la società gen(d)ericamente liquida nella quale si sforzano, con gran dispendio di politica, di farci annaspare. Certo che, limitandosi a soli gay e lesbiche, 'sti semafori sono proprio discriminatori: e le altre cinquantasei opzioni? E i trans? E i queer? Boh. Il buonsenso suggerirebbe che, forse, era meglio lasciare i semafori come stavano, e ognuno era libero di indentificarvisi o meno a suo piacimento (sempre che ne sentisse la necessità). Ma il buonsenso, in tutta questa storia, ahimè, è stato il primo ad annegare nella liquidità.

Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal gaio mondo gay (sempre meno gaio).

PRIMA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ PER COPPIA GAY
Gianni Reinetti, 79 anni, e Franco Perrello, 83 (nella foto davanti al sindaco di Torino Appendino) si sono uniti civilmente lo scorso anno. Perrello è morto a gennaio e il compagno Reinetti ha potuto beneficiare della pensione di reversibilità così come previsto dalla legge Cirinnà. E' la prima volta che capita in Italia. «Avrò il 60 per cento della pensione di Franco, ma confesso che avrei preferito avere Franco», confessa Reinetti.
Quest'ultimo quindi è stata trattato al pari di qualsiasi coniuge superstite. Un'altra ferita all'istituto matrimoniale.
(Gender Watch News, 28/03/2017)

SPAGNA, BUS GRATIS AI TRANS: ABUSI E DISCRIMINAZIONI LGBT
E poi strillano all'esclusione sociale! Ormai, se discriminazione c'è, è sempre più ai danni degli eterosessuali, non certo degli Lgbtq...
L'ultima notizia, in merito, giunge dalla Spagna: Manuela Carmena, sindaco di Madrid, ha copiato il pessimo esempio della sua collega Cristina Cifuentes, presidente della Comunità autonoma di Madrid, ed ha sottoscritto un accordo con l'azienda municipale dei Trasporti, la Emt, e con l'Associazione spagnola Transexualia, per donare ai soggetti transessuali 20 pass annui di libero accesso all'intera rete di trasporto pubblico.La "prima cittadina" ha così cercato di spiegare a La Gaceta il proprio assurdo gesto: «Per promuovere la piena integrazione sociale delle donne e degli uomini transgender di Madrid. I pass vengono distribuiti tramite la loro associazione, tenendo conto delle rispettive situazioni di esclusione sociale o condizioni di necessità, nell'esercizio del diritto alla mobilità ed allo spostamento». E questa la chiama esclusione sociale? O non piuttosto vergognosa discriminazione? Perché non aiutare piuttosto le famiglie con figli, in difficoltà economica? Loro non hanno diritto alla mobilità ed allo spostamento?
Già lo scorso anno Cifuentes, un'agnostica "infiltratasi" nel Partito Popolare, fornì 38 pass annui ai membri dell'associazione Transexualia. Ed ora, con "compagna" Carmena, il bis di un'operazione, che si sperava venisse dimenticata, anziché rilanciata.
(Mauro Faverzani, Osservatorio Gender, 30 marzo 2017)

A BARI VIGILI A LEZIONE DI GENDER
Ieri al comando di polizia municipale è iniziato un corso "contro le discriminazioni su orientamento e identità di genere" in collaborazione con il tavolo LGBT-QI per i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali e l'Università di Bari. Il corso è costato alla cittadinanza 80mila euro.
Ventiquattro ore divise in quattro giornate che vedranno coinvolti 160 agenti a cui si aggiungeranno insegnanti di asili nido e scuole dell'infanzia, addetti dell'Ufficio pubbliche relazioni, assistenti sociali, insomma tutta la pubblica amministrazione di Bari.
Il professor Alessandro Taurino, ricercatore di Psicologia clinica all'Università di Bari, spiega così il programma: "avremo vari moduli: si parte con la decostruzione dei pregiudizi, si passa alle novità legislative legate alla legge Cirinnà e poi al linguaggio che ha un ruolo importante nei processi di costruzione della realtà e che deve essere inclusivo e pluralista. Ci saranno esperti di diritto per la parte giuridica ed esperti di educazione alle differenze con il coinvolgimento di associazioni". Da sottolineare: le parole creano una realtà inesistente.
Tra le associazioni coinvolte anche Polis aperta, l'associazione di gay, lesbiche, transessuali e bisessuali in uniforme. Il corso è stato organizzato a seguito di un questionario realizzato tra i dipendenti comunali in cui è emerso che un 30% prova fastidio nel vedere effusioni di affetto gay e un 15% avrebbe difficoltà ad invitare ad un festa un collega gay. Reazioni legittime, ma che vengono invece considerate problematiche e quindi da curare a suon di lezioni.
(Gender Watch News, 29/03/2017)

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/05/2017

7 - FREGANDOSENE DELL'ECUMENISMO, PADRE PIO CONVERTE AL CATTOLICESIMO UN'INTERA PARROCCHIA ORTODOSSA
Invece una parrocchia cattolica elimina il suono delle campane a morto perché così il funerale è troppo... triste (?)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23/03/2017

Avendo a suo tempo scritto un fortunato libro su Padre Pio (una decina di edizioni con Piemme, ripreso anche in una elegante edizione del Corriere della Sera) non posso non continuare ad esser intrigato da tutto quel che riguarda quel potente mistico e taumaturgo. Morì quando avevo diciotto anni ed avevo la testa piena di Sessantotto, perciò non lo potei conoscere quando ne avevo la possibilità (e ancora mi mordo le mani).
Perciò rilancio volentieri un'agenzia di Aleteia.org che lo riguarda. Con il consueto miracolo il Santo ha recentemente convertito un'intera parrocchia ortodossa in Romania. La cosa è andata così: il giovane pope della parrocchia in questione, Victor Tudor, aveva la madre Lucrecia malata di cancro all'ultimo stadio e l'aveva mandata a Roma dal suo fratello minore, pittore di icone: quest'ultimo, Marian, l'aveva fatta visitare da uno specialista italiano, il quale non aveva potuto fare altro che prescrivere degli antidolorifici. La donna, data per spacciata, passava le sue giornate romane a far compagnia al figlio che lavorava ai mosaici di una chiesa.

UNA STATUA DI PADRE PIO
Detta chiesa aveva in un angolo una statua di Padre Pio. Lei, chissà perché incuriosita proprio da quella statua, aveva chiesto notizie al figlio e quello gli aveva detto quel poco che sapeva sul frate con le stimmate. Lucrecia da quel giorno aveva preso l'abitudine di sedersi di fronte alla statua. Il figlio ogni tanto le lanciava un'occhiata e vedeva lei parlare alla statua suddetta. Spallucce, cose di donne. Finita la parentesi romana, Lucrecia era tornata a casa per morirci. Ultima visita medica, di routine e, sorpresa: il cancro è sparito.
Chi è stato? Padre Pio. Lei, infatti, nelle sue conversazioni con la statua aveva chiesto la di lui intercessione. Parrocchia piccola, la notizia si sparge immediatamente e comincia la caccia a Padre Pio. Tutti cercano di procurarsi i libri che ne parlano e li divorano. Non solo, altri malati si tuffano sul Santo e in diversi guariscono. Scoppia la Padrepiomania che culmina nella conversione generale al cattolicesimo, in versione greco-cattolica. Parroco in testa.

PADRE PIO E IL PROSELITISMO
La cosa non è facile, perché la Chiesa ortodossa, com'è noto, è piuttosto gelosa di quello che considera suo territorio. Difficoltà burocratiche senza fine, anche perché si tratta di una Chiesa di Stato, non mancano neppure le visite della polizia. Ma mettersi contro Padre Pio non è facile, e oggi non solo quella parrocchia è interamente cattolica, ma ha una sua chiesa ex novo (la vecchia ha dovuto restituirla) dopo qualche celebrazione all'addiaccio. Naturalmente intitolata a Padre Pio.
Non solo. Sulla scia dell'entusiasmo (e dei miracoli) hanno trovato i soldi per mettere in piedi un ospedale per malati terminali e pazienti poveri, più un ospizio per anziani. Eh, Padre Pio ha convertito comunisti e massoni, figurarsi se ha problemi con gli ortodossi. I quali, va detto, possono benissimo venerare i nostri Santi come noi possiamo venerare i loro. Certo, la questione è delicata, perché il processo di canonizzazione ortodosso è profondamente diverso da quello cattolico e non prevede la fase intermedia della beatificazione. Così, per esempio, per gli ortodossi è santa l'intera famiglia dell'ultimo Zar, considerata martire della fede. Un'ultima cosa: l'ex pope Tudor, rimasto senza chiesa, era venuto a Roma a bussare a denari. Gli era stato risposto che ci avrebbe pensato Padre Pio. In effetti, in clima di ecumenismo ci sta che uno che si vuole convertire al cattolicesimo venga visto come un rompiscatole, ma Padre Pio, in ogni caso, non è uno che lascia le cose a metà.

Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "Campane a morto addio, è il funerale festaiolo" racconta del sacerdote che nel comasco decide di non far suonare più le campane a morto perché il decesso è un rinascere a vita nuova. Vero, ma non sappiamo se verso l'inferno o il paradiso. E' il nuovo clima ecclesiastico festaiolo, quasi carnevalesco. E non si sa più se ridere o se piangere o entrambi.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 28-02-2017:
E vai con la liturgia creativa: a Ronago, nel comasco, il consiglio pastorale ha deciso di farla finita con le campane a morto durante i funerali. Il parroco, al grido di «e chi sono io per giudicare?», ha preso atto democraticamente della volontà della maggioranza. Del resto, il prete è solo colui che «presiede» l'«assemblea liturgica», nella quale risiede la sovranità celebrativa. Il popolo sovrano di Ronago, con un ragionamento teologicamente adamantino (l'adamantio di Wolverine, avete presente?), si è chiesto: ma uno, quando muore, non rinasce forse a nuova vita? Perciò, campane a festa, altro che lugubri rintocchi.
Uno rigido, uno di quelli cioè che usano la dottrina come una clava e nulla sanno di misericordia, potrebbe obiettare che non sappiamo mai se il defunto possa permettersi di festeggiare. Infatti, è vero che rinasce a nuova vita, ma dall'altra parte non c'è una sola cosa, bensì tre opzioni: Paradiso, Purgatorio, Inferno. E non si può sapere dove il de cuius sia finito. Spiacenti, ma non c'è voto di maggioranza o unanime che tenga. Né parroco creativo. Certo, il nuovo clima sudamericano è festaiolo, quasi carnevalesco (il più famoso carnevale del mondo è infatti quello di Rio, anche se batte i record di morti ammazzati), perciò bisogna adeguarsi.
Il lugubre rintocco che costringeva a essere seri almeno davanti alla morte? In soffitta, con tutte le clave e le rigidità preconciliari. Applausi alla bara, discorsetti alla luterana, bandiere di calcio, canzoni sanremesi sì e campane no? E allora forza, ch'è sempre Pasqua. Ma aboliamola questa Quaresima, coi suoi digiuni e l'astinenza dalle carni che mina il patrimonio zootecnico. E via quei paramenti viola che portano pure sfiga. Abbasso i muri e viva i ponti, comunione a richiesta e senza esame previo. Non lo sapete, duri di cuore che non siete altro, che ci sono legioni di divorziati alle seconde e terze nozze che soffrono perché non possono fare la comunione? Il loro assordante grido di dolore è giunto fino alla sacra pantofola. E dategliela, 'sta comunione, che vi costa?
E se gli omosessuali vogliono sposarsi in chiesa, a voi che ne cale? Vi tolgono qualcosa? No, perciò, forza venite gente, aggiungi un posto a tavola, più siamo e meglio è. Lasciatevi contagiare dallo stile del papa bianco e dalla teologia, sempre sudamericana, di quello nero. Perché fate resistenza allo Spirito? Il quale, si sa soffia dove vuole e quest'anno va di moda il «liberi tutti».
E' normale che ogni pontificato porti il suo stile. Noi di una certa età abbiamo visto quello «della luna», poi quello «amletico», poi quello brevissimo, poi quello delle grandi adunate, poi quello teutonico, era ora vai col tango alla Carlos Gardel. Mi toccherà fare testamento e stabilire fin d'ora la coreografia del mio funerale. Il quale dovrà svolgersi non certo in chiesa, perché figurati se il consiglio pastorale, il parroco e il vescovo mi concedono il rito straordinario.
Anzi, ci sta che il mio feretro debba sfilare tra due ali di convenuti festanti con i cani al guinzaglio. Ho detto guinzaglio? Ma sono ammattito? In braccio, che fa tanto pet therapy, povere creature (a quando la rivendicazione della comunione pure a loro? badate che non scherzo).
Ora, però, devo dire che io ce l'ho con la Madonna. Sì, perché sono cent'anni che aspettiamo il trionfo del suo Cuore Immacolato e invece quella santa donna che fa? Ci manda un papa progressista. Mah, dove andremo a finire... Che dico? Ci siamo già finiti: Bergoglio che accantona i discorsi scritti e parla a braccio come al bar, così costringendo i giornalisti a esegesi doppie, Bagnasco che dà la comunione a Luxuria, Paglia che elogia Pannella, il capo gesuita che non sa che cosa ha detto Gesù perché nessuno lo ha registrato. Devo continuare? No, lo fa già puntualmente la La Nuova BQ. Ahimè, voglio morire. Anzi, no: mi farebbero un funerale «gioioso» e non saprei mai se sono solo contenti che io me ne sia andato.


DOSSIER "PADRE PIO"
Il primo sacerdote stigmatizzato

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23/03/2017

8 - LA NOTTE DEI TESTIMONI
Aiuto alla Chiesa che soffre racconta due testimonianze di martiri di oggi di cui non sappiamo quale sia più insopportabile: la decapitazione immediata o il logoramento senza fine?
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19/05/2017

Il 15 maggio scorso l'Aiuto alla Chiesa che Soffre, benemerita fondazione pontificia fondata da Padrelardo (il premostratense Wierenfried Van Straaten: che aspettano a beatificarlo?), ha organizzato in Spagna una «Notte dei Testimoni» presieduta dal cardinale Carlos Osoro nella cattedrale di Madrid.
Durante l'incontro sono state presentate diverse testimonianze di persecuzione anticristiana, due delle quali (riportate dal sito Aleteia.org) sono particolarmente rappresentative perché narrano le due forme di persecuzione, quella hard e quella soft, non si sa - si passi l'espressione un po' estrema - quale più insopportabile. Cioè: meglio una decapitazione subitanea o uno stillicidio senza fine? Meglio non scegliere. Veniamo dunque alla prima.

REBECCA
La responsabile della comunicazione della sezione spagnola dell'Acs, Raquel Martín, ha narrato la storia di Rebecca quale l'ha sentita dalla sua viva voce. Rebecca è una nigeriana cristiana che viveva a Baga, un villaggio del Nordest. Aveva ventiquattro anni, un marito, Vitrus, e due figli, Zacharias di due anni e Jonathan di uno, quando arrivò Boko Haram. Sparando a tutti gli uomini; le donne i fanatici jhadisti usano risparmiarle per l'uso che vedremo. Rebecca, che era pure incinta, cercò di scappare insieme al marito e ai figli. Ma, non riuscendo a tenere il passo, lei e Vitrus decisero di fuggire in direzioni diverse. Lei, se raggiunta, sarebbe stata sequestrata. Ma lui sarebbe stato sicuramente ucciso. Naturalmente, lei fu subito presa. Dalle raffiche di mitra sparate in tutto il villaggio lei trasse la convinzione che suo marito fosse stato ammazzato. Sappiamo che lui, in realtà, riuscì a mettersi in salvo, ma anche lui, sentendo i colpi alle sue spalle, pensò che la sua famiglia fosse stata trucidata. Rebecca fu portata via con i figlioletti. Al campo di Boko Haram, sulle sponde del lago Ciad, doveva fare la schiava, sia di fatica che sessuale. La seconda opzione era quella che le suscitava maggior schifo e ribrezzo. Si oppose con tutte le sue forze, ma rimediò solo botte e denti spezzati.
Non solo. Per piegarla, i miliziani presero suo figlio Zacharias, quello di due anni, e lo gettarono nel lago sotto ai suoi occhi. Il piccolo annegò. Rebecca, a furia di violenze, perse anche il figlio che aveva in pancia. In compenso rimase incinta di chissà quale dei suoi stupratori. Ma Boko Haram non dimenticava di essere una setta religiosa, perciò la donna veniva costretta a recitare cinque volte al giorno le preghiere islamiche rivolta alla Mecca. Lei ubbidiva, ma mentalmente si rivolgeva a Cristo. La costringevano anche a sgranare quella specie di rosario con cui i musulmani invocano i nomi di Allah. Lei, a ogni grano, un'avemaria mentale. Trascorsero così due anni, dopo i quali Rebecca riuscì in modo avventuroso a scappare portandosi dietro il figlio di suo marito e quello avuto dal miliziano. Dopo settimane di vagabondaggio finalmente riuscì a tornare a casa. Giusto in tempo: il marito, credendola morta, stava per risposarsi. Grazie alla chiesa locale questa storia è finita bene. Infatti, Vitrus ha ripreso in casa Rebecca ed accettato anche il figlio della violenza. Solo un cristiano poteva fare, da quelle parti, una cosa del genere.

FRANÇOIS XAVIER
L'altra testimonianza che colpisce è quella del carmelitano vietnamita François Xavier Tien, il quale ha parlato della condizione dei cristiani nel suo Paese. Da quando il cristianesimo vi arrivò, nel XVI secolo, la storia è quella di una persecuzione senza fine, intervallata da brevi periodi di calma. Fu la Francia, detentrice del protettorato sul Tonchino, a far cessare la carneficina nel XIX secolo. Ancora nel 1885 la mattanza era in corso. In quell'anno tutti gli abitanti del villaggio dove poi nacque il cardinale Van Thuan (da poco dichiarato Venerabile) morirono bruciati nella chiesa in cui avevano cercato rifugio. Poi, l'avvento dei comunisti e la lunga guerra persa dagli americani hanno portato al Vietnam comunista di oggi. Il cardinale di cui sopra si è fatto tredici anni di carcere, di cui nove in isolamento. Oggi le acque si sono calmate, ma i cristiani devono sottostare a una vigilanza molto simile a quella vigente in Cina. Eppure, come in Cina, continuano a crescere...

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19/05/2017

9 - OMELIA PENTECOSTE - ANNO A (Gv 20,19-23)
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 giugno 2017)

Prima di salire al Cielo, Gesù promise ai suoi Apostoli di non lasciarli orfani e di mandare loro il Consolatore. Questa promessa si realizzò il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo discese sulla Chiesa nascente, ovvero sugli Apostoli e Maria riuniti nel Cenacolo. Per questo motivo, la Pentecoste è la festa della fondazione della Chiesa.
Lo Spirito Santo era sceso sulla Vergine Maria, a Nazareth, per l'Incarnazione del Figlio di Dio; il giorno della Pentecoste discese invece per la formazione del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa. La prima discesa era avvenuta nel silenzio e nel nascondimento; la seconda effusione dello Spirito Santo avvenne invece «come vento che si abbatte impetuoso» (At 2,2) e «come lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (v. 3). In ambedue le manifestazioni dello Spirito Santo è presente Maria, la quale è la Madre di Cristo ed è la Madre della Chiesa.
La scena della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste è descritta dal capitolo secondo degli Atti degli Apostoli. Colpisce profondamente un particolare: prima di allora, gli Apostoli erano timorosi e non osavano predicare apertamente alle folle; ma, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, essi parlarono liberamente e con coraggio a tutti quelli che incontravano. Gerusalemme era piena di pellegrini ebrei, provenienti dalle più diverse parti del mondo allora conosciuto, in occasione della festività di Pentecoste. Ciascuno di loro udì gli Apostoli parlare nella propria lingua. Dio volle così contraddistinguere la discesa dello Spirito Santo con il dono delle lingue, per far comprendere che il messaggio del Vangelo doveva raggiungere gli estremi confini della terra.
Nella seconda lettura, l'apostolo Paolo mette in luce l'azione dello Spirito Santo nelle singole anime. In ogni anima la Terza Persona della Santissima Trinità produce un effetto diverso, unico e irripetibile. San Paolo afferma: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7). Come l'acqua feconda tutte le piante, ma ciascuna di esse produce un frutto diverso, così è per i cristiani: tutti ricevono il medesimo Spirito, ma ognuno, in particolare, possiede un carisma diverso per il bene di tutta la Chiesa.
Questo brano di san Paolo ci deve far riflettere sull'azione che lo Spirito Santo esercita su di noi. Prima di tutto, il Paraclito ci arricchisce con i suoi sette Doni. Il primo Dono è la Sapienza, che ci permette di ragionare non secondo il mondo, ma secondo la profondità di Dio, e ci dona il gusto inesprimibile di Dio e delle realtà divine; poi abbiamo il Dono dell'Intelletto, che ci consente di approfondire le Verità della nostra fede e di aderire ad esse quasi per un istinto soprannaturale; segue poi il Dono della Scienza, che ci dà la capacità di risalire al Creatore partendo dalle creature e di vedere in ciascuna delle creature un riflesso di Dio; poi abbiamo il Dono del Consiglio, che, nei momenti più importanti, ci suggerisce la decisione giusta, secondo la Volontà di Dio, e, innanzitutto, ci suggerisce di ascoltare con docilità il consiglio di una saggia guida spirituale; vi è inoltre il Dono della Fortezza che ci dà l'energia per resistere al male che c'è intorno a noi e, tante volte, anche dentro di noi; in seguito, c'è il Dono della Pietà che perfeziona il nostro amore e lo dilata oltre l'umana ristrettezza, per poter così amare Dio e il prossimo nostro fino all'eroismo; infine, abbiamo il Dono del Timor di Dio, che ci consente di evitare il peccato, non tanto per paura dei castighi, ma per puro amor di Dio.
I Doni dello Spirito Santo li abbiamo ricevuti con la Cresima, ma sono come dei piccoli semi che devono essere irrigati dalla nostra preghiera per giungere a maturazione. Nella vita dei Santi possiamo vedere il loro pieno sviluppo. Questi sette Doni rimangono in noi se noi rimaniamo in Grazia di Dio. Con il peccato mortale li perdiamo, per riceverli nuovamente dopo una buona Confessione.
Oltre ai sette Doni, lo Spirito Santo elargisce i carismi, che sono propriamente la sua particolare manifestazione, unica e irripetibile, di cui parlava san Paolo nella seconda lettura. Questi carismi sono diversi in ciascun cristiano e sono dati per l'utilità comune. Sono come delle capacità che devono essere messe al servizio di tutti. Da questo si comprende quanto ogni fratello e ogni sorella sono preziosi agli occhi di Dio, perché da Lui hanno ricevuto una missione particolare da svolgere all'interno della Chiesa. Alla luce della preghiera, e dietro il consiglio di una buona guida spirituale, si riuscirà a discernere qual è questo particolare carisma da far fruttificare, per il bene comune.
Il Vangelo, infine, presenta l'apparizione di Gesù Risorto agli Apostoli durante la quale Egli effuse su di loro lo Spirito Santo, per la remissione dei peccati. Con questo dono, Gesù ha istituito il sacramento della Confessione e ha dato quindi alla Chiesa la facoltà di perdonare i peccati. Il peccato è il solo vero ostacolo che si frappone tra noi e Dio e ci impedisce di ricevere i benefici di Dio. Il peccato mortale ci toglie la vita di Grazia; il peccato veniale raffredda la nostra unione con Dio e ci rende come sordi e ciechi all'azione dello Spirito Santo che, continuamente, ci vuole richiamare e illuminare con le sue ispirazioni, e ci vuole arricchire con grazie particolari.
Da questo si capisce come, per il cristiano, è fondamentale opporsi al peccato, anche al più piccolo, per vivere nella pienezza dello Spirito Santo. Per questo motivo, accostiamoci con frequenza al sacramento della Confessione, memori delle parole che il Signore rivolse agli Apostoli: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,23).

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 4 giugno 2017)

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