BastaBugie n�515 del 19 luglio 2017

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1 STANNO DISTRUGGENDO L'ITALIA
Sempre più italiani giudicano non abitabile il nostro Paese per l'invasione in corso e per lo Stato che è un nostro nemico
Autore: Ernesto Galli della Loggia - Fonte: Corriere della Sera
2 SE CHARLIE MUORE IL DANNO SARA' INCALCOLABILE
''La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno, gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale'' (G.K. Chesterton)
Autore: Silvana De Mari - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 CHI VUOLE LO IUS SOLI E' IL VERO RAZZISTA
Si parla tanto di carità... e la carità verso noi italiani? La carità verso i nostri figli e nipoti? E la responsabilità di conservare quanto ci è stato trasmesso dalle precedenti generazioni?
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Il Ponte Levatoio
4 QUANDO LA SINISTRA ERA POCO ACCOGLIENTE CON I PROFUGHI (NONOSTANTE FOSSERO ITALIANI)
Tanto più che scappavano da una feroce persecuzione... ma avevano il difetto di essere sì italiani, ma non comunisti
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
5 E' SCONVENIENTE CREDERE CHE GIUDA SIA IN PARADISO
Nella basilica di Vézelay c'è un capitello che fa discutere, ma tutto nasce da un'interpretazione erronea
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: Il Timone
6 ECCO IL PROSSIMO ORDINE CHE SARA' DISTRUTTO (DOPO I FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA E IL VERBO INCARNATO)
Come gli altri due ordini, gli Araldi del Vangelo sono legati alla tradizione, ricchi di vocazioni e con molti beni
Autore: Marco Tosatti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 IL SINDACO DI VERONA PROMETTE IL RITIRO DEI LIBRI GENDER, VIENE ELETTO E ATTUA IL PROGRAMMA, MA LA DITTATURA GAY VUOLE IMPEDIRGLIELO
Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): l'uomo ragno dichiara di essere gay, Università di Brescia più di un milione dall'UE per ricerche pro gay, avanti cattogay a colpi di menzogne
Autore: Rodolfo de Mattei - Fonte: Osservatorio Gender
8 LA COMMISSIONE ''SEGRETA'' CHE VORREBBE DISTRUGGERE LA MORALE SESSUALE DELLA CHIESA
Una volta cancellata la dottrina dell'Humanae Vitae di Paolo VI, sarà la prassi a indicare le linee di azione?
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
9 OMELIA XVI DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 13,24-43)
Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - STANNO DISTRUGGENDO L'ITALIA
Sempre più italiani giudicano non abitabile il nostro Paese per l'invasione in corso e per lo Stato che è un nostro nemico
Autore: Ernesto Galli della Loggia - Fonte: Corriere della Sera, 13/07/2017

L'Italia è di chi se la vuol prendere, da noi chiunque può fare quello che vuole. E quasi sempre lo fa. Oggi, nei giorni di una torrida estate che sembra conferire a ogni cosa i colori e i calori di un non troppo metaforico inferno, questa è l'immagine che il nostro Paese da di sé. Quella di un Paese in cui il governo e con lui tutti i pubblici poteri appaiono sul punto di perdere il controllo del territorio. Sono parole pesanti, lo so, e non prive anche di precisi echi ideologici, ma a un certo punto bisogna convincersi che la realtà non è né di destra né di sinistra. È la realtà e basta.

UNA BRUTTA REALTÀ
Dalla Sicilia alla Calabria, alla Basilicata, a Napoli, decine di incendiari spinti da interessi criminali mettono tranquillamente a fuoco vastissime zone della Penisola. Da giorni, sotto la minaccia delle fiamme, città, paesi, centri turistici devono essere sgombrati precipitosamente senza che per ora si sappia di uno solo di questi delinquenti scoperto, arrestato e incriminato. Nelle periferie delle grandi città, in questa stagione ancora più soffocanti e orribili, dove i servizi sono perlopiù al collasso, può capitare benissimo - come capita a Roma - che dopo il tramonto sia virtualmente in vigore il coprifuoco, che viaggiare su un autobus la sera rappresenti un pericolo, che il cielo si copra per giorni e giorni dei fumi tossici dei materiali più inquinanti bruciati illegalmente; o - come capita a Milano - che interi caseggiati, interi gruppi di palazzi, e piazze e vie, siano di fatto nelle mani di bande di malavitosi abituati a farla da padroni.
Dappertutto nelle periferie dei grandi centri urbani della Penisola regnano praticamente indisturbati lo spaccio, la prepotenza, le risse continue specialmente fra immigrati. In questa stagione più che mai le classi meno favorite della popolazione sentono la loro esistenza quotidiana abbandonata dai poteri pubblici in una vera e propria terra di nessuno.
Le zone centrali e/o cosiddette residenziali non se la passano meglio. Sindaci pusillanimi e preoccupati solo dei loro interessi elettorali (percepiti peraltro con la miopia tipica di una classe di nani politici quali sono in larghissima maggioranza quelli di questi anni infausti) hanno lasciato dovunque dilagare le movide notturne: in pratica la licenza di fare ciò che vogliono rilasciata a coorti di giovani perlopiù desiderosi di ubriacarsi e di schiamazzare all'aperto, ma essendo sempre pronti alla rissa, al vandalismo, al gesto teppistico. Di fatto molte zone centrali (ma non solo) di un gran numero di città italiane stanno diventando di notte letteralmente invivibili.

NOTTE E GIORNO
Ma sempre più spesso lo sono anche di giorno. Numerose strade del centro di Roma sono ridotte ad esempio a una sorta di suk con decine e decine di luride lenzuola stese per terra a mostrare impunemente le più varie merci contraffatte, mentre schiere di altri abusivi non si stancano di circondare dappresso i turisti con la loro mercanzia. Sempre a Roma può capitare che per tutta l'estate un club privato organizzi per i festini dei suoi soci illustri spettacoli di fuochi artificiali e di botti assordanti che si prolungano anche dopo la mezzanotte: il tutto a poche centinaia di metri dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri. A Torino, sui lungo Po e dintorni nulla e nessuno sembra in grado di fermare il commercio clandestino di alcool ad opera specialmente di rivenditori bengalesi, all'occasione protetti contro le forze dell'ordine dalla complicità omertosa della collettività dei loro clienti. A Milano, dopo una certa ora il centralissimo corso Como si tramuta da luogo di abituale rifornimento della droga in una specie di zona di caccia libera dove, come riportano le cronache, è altissima la probabilità di essere aggrediti da bande di maghrebini a caccia di orologi e portafogli. Sia a Roma che a Torino che a Milano e in altre decine di città d'Italia, poi, la prostituzione - spessissimo minorile, spessissimo collegata alla tratta e a reti criminali africane o est europee - occupa impunemente di notte le zone urbane che più le aggradano: un fenomeno che per vastità non trova paragone in nessun'altra città dell'Europa occidentale.

ITALIANI SOTTO ASSEDIO
Dappertutto infine, per dirne ancora una, specie dopo una certa ora le stazioni ferroviarie sono luoghi frequentabili solo a proprio rischio e pericolo, così come dappertutto o quasi le corse serali o notturne sui treni vicinali o regionali sono altamente sconsigliabili per le donne. La realtà, dicevo all'inizio, non è né di destra né di sinistra, è la realtà e basta. E la realtà odierna dell'Italia è questa: una realtà che sta scappando di mano. Di fronte alla quale viene da chiedersi se il ministro degli Interni - cui spetta principalmente l'onere di provvedere in prima persona nonché istruendo e sollecitando prefetti, questori ma anche i sindaci e i corpi di polizia urbana - viene da chiedersi, dicevo, se il ministro Minniti sia informato adeguatamente di questa grigia realtà capillarmente diffusa. Se egli si rende conto che agli occhi di un numero crescente di italiani il loro Paese sta diventando un luogo sempre più difficilmente abitabile, un luogo tale da apparire addirittura ostile. Se egli si rende conto che anche l'allarme che in tanti nostri concittadini suscitano le ondate di immigrati è enormemente accresciuto dalla loro percezione di questa precarietà ambientale che monta, dalla sensazione di un degrado dei contesti urbani prodotta da incontrollati fenomeni di illegalità. Se non gli venga il sospetto, infine, al nostro Ministro, che pure la difficoltà dell'Italia di farsi ascoltare quando si tratta d'immigrazione, di farsi prendere sul serio dai suoi partner europei, forse dipenda per l'appunto dalla sua immagine di un Paese che, si sa, è abituato al disordine, al tirare a campare, alla prassi di un comando della legge sempre elastico e contrattabile.

MA NON BASTA
Di fronte all'Italia così malmessa di oggi è pure inevitabile chiedersi quale sia stata l'azione della magistratura. Se essa sia stata effettivamente all'altezza del suo compito di tutela giuridica della comunità tutte le volte, ad esempio - le non poche volte, direi - che è parsa indulgere a interpretazioni dei delitti e delle pene ottimisticamente irreali. Una magistratura che prontissima e ferratissima nel criticare l'azione legislativa dell'esecutivo quando si tratta di quella che essa ritiene la propria sfera d'interessi e di prerogative, è viceversa timidissima quando si tratta di proporre, lei, leggi o procedure efficaci per difendere gli interessi elementari dei cittadini.

Nota di BastaBugie: Antonio Socci nell'articolo sottostante dal titolo "Stanno affondando l'Italia" commenta e amplia l'articolo di Ernesto Galli della Loggia.
Ecco dunque le parti salienti dell'articolo pubblicato su Libero il 15 luglio 2017:
Finalmente si alzano altre voci a denunciare il naufragio in corso della nave chiamata "Italia". Almeno per una volta non solo noi, famigerati "populisti", ma perfino il "Corriere della sera" si accorge che questo Paese - che era già alla deriva - sta andando a picco. Va in malora.
Lo dimostrano anzitutto la Caporetto quotidiana delle nostre frontiere violate (ieri 5.000 nuovi arrivati) e i dati dell'economia come il debito pubblico che aumenta (a maggio nuovo record, 2.279 miliardi di euro), come i 4,7 milioni di italiani che vivono in povertà assoluta (8,4 milioni in povertà relativa), la pressione fiscale che soffoca la ripresa, la disoccupazione giovanile a livelli tragici e il pil che boccheggia.
Ma il "Corriere" di ieri - grazie alla penna di Ernesto Galli della Loggia - rappresenta il disastro da un altro punto di vista: la vita quotidiana degli italiani. [...]
Ma molte altre pennellate si potrebbero aggiungere (pensiamo al senso di debolezza dello Stato e di insicurezza che danno certe evasioni dal carcere o certi latitanti che si eclissano).
Soprattutto bisognerebbe notare che di fronte a questa desolante assenza dello Stato che costringe gli italiani a sentirsi sempre più stranieri in patria, c'è poi da registrare una presenza dello Stato che diventa occhiuta, assillante, inflessibile e anche vessatoria nei confronti dei semplici cittadini.
Gli esempi sono innumerevoli e sono cronaca quotidiana. Dalla multa (anche salata) per le mamme che, durante una festa, spalmano la marmellata sul pane ai bambini in violazione di non so quali norme per la sicurezza alimentare, alla multa per divieto di sosta inflitta all'operatrice ecologica che si era fermata per salvare la vita a un signore investito da uno scooter.
Dalla multa al commerciante che ha riparato a sue spese un pezzo di acciottolato davanti al suo negozio (dopo averlo chiesto più volte, invano, al Comune), fino al verbale fatto a quel salumiere che offrì in regalo (quindi senza scontrino) un panino a un invalido indigente.
Ormai - parafrasando il titolo di un noto film - potremmo dire che l'Italia non è più un paese per italiani.
L'Italia è asfissiata da leggi assurde (con una burocrazia spesso priva di buon senso). E soprattutto è da tempo in mano a classi dirigenti che non amano la loro patria (anzi, hanno orrore della parola "patria"), né servono il popolo che governano, visto che perlopiù considerano i cittadini dei "sudditi".
L'Italia è vittima un po' dell'incapacità, un po' dell'ideologia. Così hanno umiliato e stravolto questo Paese, o hanno permesso che venisse stravolto, facendone una terra di nessuno.

Fonte: Corriere della Sera, 13/07/2017

2 - SE CHARLIE MUORE IL DANNO SARA' INCALCOLABILE
''La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno, gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale'' (G.K. Chesterton)
Autore: Silvana De Mari - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/07/2017

Charlie è la nostra anima.
Se non riusciamo a fermare la sua morte, il danno sarà incalcolabile. Il concetto che la morte possa essere preferibile alla vita al punto tale da essere imposta, sarà passato. Che la morte sia preferibile alla vita è un concetto già presente in ognuno delle migliaia di abortii volontari e nelle (al momento) poche centinaia di casi di eutanasia di bambini fatti ogni anno in Europa. Il concetto della sacralità della vita è stato massacrato: d'altra parte dove non c'è fede in Dio, il concetto della sacralità della vita salta. Almeno però fino ad ora, si era salvata la necessità del consenso del genitore.
Non abbiamo ancora nessun caso di aborto imposto alla madre contro la sua volontà e Charlie è il primo caso di aborto postnatale imposto. Il termine aborto post natale lo dobbiamo a Singer, tizio che viene bizzarramente definito filosofo e filantropo, invitato (a nostre spese) dall'Australia per partecipare a Torino Spiritualità.
Tanto buono e ovviamente vegetariano, Singer è un antispecista, vale a dire che è contrario al fatto che una specie si ritenga superiore a un'altra.
E quindi? E quindi sostiene che un cagnolino non vale meno di un bimbo che è una maniera cortese di dire che un bimbo non vale più di un cane. Il dottor Singer spiega il concetto che ora si sta applicando a Chiarlie: se in una famiglia nasce un bambino emofiliaco è giusto che i genitori (o in caso di incapacità di questi un pietoso e misericordioso stato, nel silenzio di una ancora più misericordiosa Chiesa, che nel frattempo si occupa di cose serie, referendum sull'acqua e migranti) lo sopprimano perché così possono avere un figlio sano. Il prodotto fallato si butta e si sostituisce con quello buono perché se Dio non esiste, non esiste nemmeno l'anima. Come diceva Edith Stein, Santa Teresa della Croce, la tragedia dei grandi totalitarismi non è la perdita della libertà, ma la perdita dell'anima. Le persone diventano intercambiabili come tra le formiche e le api, quello che conta è lo stato, le persone diventano sostituibili e una sana vele di più di una fallata. E se viene emofiliaco anche il secondo? Aborto selettivo dei feti maschi e siamo al sicuro. Tra altro se una coppia ha in figlio emofiliaco l'ideale è affiancargli tre fratelli sani che lo proteggano.

SCELTO PER APRIRE UNA FINESTRA DI OVERTON
Torniamo a Charlie: è il prodotto fallato. Molto fallato. Charlie è un disastro.
Quindi è stato scelto per aprire una finestra di Overton.
Overton è un sociologo che ha studiato come rendere accettabile e poi obbligatoria quello che l'etica riteneva inaccettabile. Bisogna partire da una caso limite. Charlie era perfetto: una malattia drammatica, devastante. Purtroppo però i genitori di Charlie si sono messi di traverso e hanno radunato una 'valangata' di quattrini un milione e trecentomila sterline; e sono quei soldi che rendono tutto tremendo.
Il potere ha dovuto gettare la maschera. Vuole uccidere per uccidere. Senza quei soldi il discorso avrebbe un senso perché esiste anche lo stato di necessità. Non posso tenere un respiratore e delle risorse bloccati su un bambino senza speranza perché il respiratore e le risorse posso usarle per altri bambini, e sia i respiratori che le risorse sono contate. Questo è un discorso che ha un senso, ma i genitori di Charlie possono comprare il respiratore e pagare un'infermiera professionale anzi quattro che si diano i turni. Non spreco soldi per farti andare negli USA per un cura che non serve e so già che non serve: ma i genitori del piccolo i soldi li hanno loro.
Ci sarebbe da dire molto sull'anima, e sulla capacità di una creatura di provare gioia e sentire l'amore anche quando il cervello è danneggiato ma poi ci accusano di essere stronzi e bigotti.
Noi che stronzi e bigotti onestamente lo siamo e anche fieri di esserlo, però questa volta vorremmo fare un discorso laico e razionale uno di quei discorsi carini e puliti.
Charlie è una specie di vegetale. Saltiamo in tronco che la madre dice che lei capisce che il bambino è contento quando lei lo carezza e restiamo sul vegetale.
Charlie il fallato è una specie di piantina di basilico, un vegetale. Lui sarà così, ma suo padre e sua madre sono cittadini ben in grado di intendere e di volere e ben in grado di provare dolore. E amore.

LOVE IS LOVE
C'è gente che si vuole sposare con il proprio cane (il dottor Singer approva) altri con la loro tartaruga. La civilissima Svezia ha legalizzato la necrofilia: il vostro amore è defunto ma voi lo amate tanto? Purché sia imbalsamato ve lo potete tenere in salotto, o anche in camera da letto, e buon divertimento. Il papà e la mamma di Charlie amano il loro bimbo fallato. Se qualcuno può amare il suo cane, in maniera coniugale, o un cadavere, perché i genitori di Charlie non possono amare il loro figlio basilico, e portarlo in giro per il mondo per l'ostinata speranza che qualcuno lo tocchi con la bacchetta magica e lo trasformi in un bimbo che apre gli occhi e dice mamma. Hanno raccolto una valangata di soldi.
Perché non possono portarlo negli Usa, dove la cura non servirà a un fico, lui morirà e voi, medici inglesi ci farete la figura degli eroi: ecco lo avevamo detto noi. A voi che vi frega: mica sono soldi vostri. Avete paura che il bambino si stressi nel viaggio? Non avete appena detto che è un vegetale, che nel suo cervello i mitocondri hanno fatto uno sfascio, e allora? Non distingue il Gran Canyon dai mobili della cucina, che gli frega di essere su un aereo?
Il bene supremo del minore è farlo morire per soffocamento?
Charlie è la nostra anima, perché il suo assassinio sarà la fine della civiltà europea, quella basata sul cristianesimo.
Si torna a Sparta.
Qualcuno ha pensato di interpellare la Regina o la principessa Kate, ma nemmeno loro possono nulla.
I medici e i giudici hanno sentenziato.
Il medico, l'esperto, lo scienziato è il mito del XX e XXI secolo e il giudice, il semidio che ha in pugno l'etica del mondo.
Charlie è la nostra anima. Charlie è tutti i noi.
La tragedia dei totalitarismi non è solo la perdita della libertà, inclusa la libertà elementare di vivere, ma la perdita dell'anima.
Edith Stein, Santa Teresa delle Croce.
E noi che possiamo fare?
Nulla.
Non abbiamo alcun potere, salvo uno.
Noi siamo i bigotti. Tutti insieme, alle sette del mattino, il Rosario per Charlie.

Nota di BastaBugie
: Marco Respinti nell'articolo sottostante dal titolo "Charlie Gard è solo l'inizio" racconta che in Inghilterra è venuto alla luce un nuovo caso in cui i giudici hanno intimato di non rianimare un bambino gravemente cerebroleso. Nome e luogo sconosciuto, per evitare pressioni mediatiche. Ma intanto si moltiplicano i casi di contenziosi tra medici e genitori di bambini gravemente disabili.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 luglio 2017:
Charlie Gard è solo l'inizio. Alle prime luci del 1° luglio, si è svolta sempre in Inghilterra un'udienza last-minute convocata nella notte fonda tra venerdì e sabato. È stata un'udienza di emergenza condotta per tre ore al telefono ascoltando gli avvocati di parte e controparte più un esperto medico indipendente, e testimone un giornalista chiamato ad hoc per riportare al mondo una sentenza di alto interesse pubblico. L'argomento riguardava la richiesta di un ospedale che qualche giorno prima si era chiesto se proseguire o no le cure a un bimbo cerebroleso di tre mesi ricoverato da maggio e quella di un padre che si appellava accorato.
Al termine il giudice Jonathan Leslie Baker della Divisione Famiglia dell'Alta Corte di Giustizia d'Inghilterra e Galles, che ha sede a Londra, ha stabilito che i medici non sono tenuti né a operare ancora il piccolo né a rianimarlo qualora andasse in arresto cardiaco (clicca qui). Un'altra condanna a morte di un innocente, proprio come quella comminata a Charlie. Un altro infanticidio, perché è evidente a tutti che, chi non cerca di risvegliare un infartuato potendolo fare con speranza di successo, è esattamente come se lo strangolasse con le sue mani. Né altre operazioni né la rianimazione sarebbero, dice il giudice Baker, nell'interesse del bimbo.
Il giudice Baker ha promesso di riconsiderare il caso con un'udienza normale il lunedì successivo, 3 luglio. In realtà aveva già presieduto un'udienza preliminare in vista di un'analisi più approfondita di tutti i dettagli del caso prevista per fine luglio, ma venerdì 30 giugno le condizioni del piccolo sono peggiorate improvvisamente. Per i medici il bimbo avrebbe anche potuto subire un arresto cardiaco nel corso del fine-settimana. Da qui l'idea di consultare le parti nottetempo e la decisione di cogliere al volo l'occasione per zittire per sempre il piccolo.
A proposito, come si chiama il bambino? Per ordine del giudice Baker non è dato saperlo. Si sa che la famiglia viene dall'Africa. Ma sia il nome del bimbo sia quello della struttura ospedaliera dov'è ricoverato sono top-secret. Perché altrimenti finirebbe come per Charlie, la gente si mobiliterebbe, si darebbe da fare, pregherebbe, veglierebbe, Papi e capi di Stato si mobiliterebbero. L'indistinto, invece, aiuta a sedare, a rimuovere, a dimenticare.
Anche il web, sempre prodigo di tutto e il contrario di tutto, resta abbottonato. Il quotidiano britannico che ha dato la notizia, Daily Mail, pure. E così di quella seconda udienza, normale, promessa per il 3 luglio, nessuna traccia. Fino a venerdì 7, quando, stringatissimo, un altro quotidiano britannico, il Jersey Evening Post, un giornale più che locale che si pubblica in una delle isole normanne del Canale della Manica, dice che giovedì 6 il giudice Baker ha deciso in modo "regolare", ha pure visitato il piccolo innominato nell'ospedale innominato dov'è ricoverato e poi ha confermato la condanna a morte il giorno successivo. Silenzio di tomba, c'è da dirlo.
Siamo nelle mani di giudici che decidono cosa è bene e cosa male, cosa è sofferenza e cosa no, quando vivere e quando morire. Stiamo attenti; quel che a noi potrebbe sembrare un banale raffreddore di stagione potrebbe invece essere interpretato assai diversamente da un pugno di legulei confusi sul diritto e sui diritti, gente che non ha ancora capito che, guarda un po', prima o poi, tutti si muore e inevitabilmente nella vita tutti si soffre, e che dunque condannare a morte degli innocenti perché comunque debbono morire e altrimenti soffrono è una baggianata colossale. Peggio: un'ipocrisia assassina.
Sì, Charlie Gard è solo l'inizio. Altri 18 bambini versano nelle sue condizioni. Poi ce ne sono molti altri affetti da patologie diverse, come il piccolo innominato africano, e ugualmente pronti per essere soppressi.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/07/2017

3 - CHI VUOLE LO IUS SOLI E' IL VERO RAZZISTA
Si parla tanto di carità... e la carità verso noi italiani? La carità verso i nostri figli e nipoti? E la responsabilità di conservare quanto ci è stato trasmesso dalle precedenti generazioni?
Autore: Massimo Viglione - Fonte: Il Ponte Levatoio, 16/06/2017

Lo Ius soli non ha un senso pratico: infatti, siamo già invasi, da anni, e lo siamo ogni giorno di più. Non c'è bisogno dello Ius soli per far entrare milioni di immigrati, né, specificamente, per far arricchire ONG varie di varia natura, e in particolare quelle pacifiste sinistrorse e quelle pseudo cattoliche (insieme alla criminalità organizzata, ovviamente). E i clandestini, e anche i non clandestini, hanno più "benefit" (come si dice oggi) degli italiani. Pertanto, lo Ius soli serve solo a dare loro il diritto di voto. Per farli votare a sinistra ovviamente.

UN NUOVO DEMOS
Ma chi crede che venga introdotto per queste ragioni non ha capito. La portata dello Ius soli è immensa, ed è precipuamente ideologica. Occorre, ormai, a invasione in atto - nella tranquillità derivante dal fatto che nessuno si oppone veramente, nel senso concreto, pratico, ma anzi si ha l'appoggio pieno di interi settori della società, clero in primis - far passare nella mentalità generale il principio che se esiste l'Italia, non devono esistere più gli italiani. O meglio, continueranno a esistere anche gli italiani, ma non quelli che abbiamo avuto finora e che si sono formati in maniera naturale e libera nel corso della storia, bensì quelli che avremo da ora in poi. Si tratta insomma di costituire un nuovo "demos".
Se il "moderato" di turno crede che stiamo esagerando, la risposta è facile: si potrebbero portare decine e decine di testimonianze e ragionamenti inoppugnabili in tal senso, ma mi limiterò a rendere noto quanto scritto da un politico "serio" (dal punto di vista dei moderati, s'intende) e generalmente apprezzato (candidato di peso perfino alla Presidenza della Repubblica alle ultime elezioni presidenziali) come Stefano Rodotà dopo i famosi "Trattati di Nizza" del 2001. Proprio alla luce di quanto stabilito in quei trattati - il cui senso era quello di fornire una nuova "carta costituzionale" all'Unione Europea alla vigilia dell'introduzione dell'euro - Rodotà sostiene che in una "Nuova Europa costituzionale", antidiscriminatoria e ugualitaria, non può che essere inammissibile il principio di discriminazione razziale, o anche solo di differenziazione etnica, verso coloro che nascono in Europa ma sono di razze ed etnie non europee dal punto di vista storico: costoro hanno diritto allo Jus Soli, e, col tempo, non solo coloro che vi nascono nel continente, ma anche coloro che vi arrivano, sia che abbiano lavoro e famiglia o meno. Altrimenti si ricade nella discriminazione razziale e, in ogni caso, in una concezione ormai obsoleta della stessa Europa. Scrive testualmente Rodotà: «Perché non valorizzare il fatto che, salvo limitate eccezioni, i diritti della Carta prescindono dalla cittadinanza nazionale, e parificano così europei e stranieri, immigrati legali e clandestini?». E aveva scritto in precedenza: «Un demos, un popolo europeo non esiste ancora, ma non si può aspettare che esso nasca per fare passi decisivi verso una vera costituzione europea (...) Attraverso i diritti si pongono le premesse per la Costituzione di uno spazio pubblico europeo e si creano, quindi, le condizioni per la nascita di quel demos».
Rodotà non afferma che il demos debba essere quello della somma degli europei "storici", delle razze ed etnie da secoli e millenni stanziate nel continente, magari nel frattempo mischiatesi tutte e solutesi in un "melting pot" continentale. Rodotà afferma chiaramente che il demos della Nuova Europa va creato. Pertanto, nulla osta a far entrare milioni di immigrati, specialmente africani e medio-orientali nella vecchia Europa: anzi, è necessario.
Nella Nuova Europa costituzionale, ogni uomo può essere europeo, anche se non appartiene alle usuali stirpi che da millenni hanno abitato il continente, anche se vi arriva da adulto, purché appunto aderisca pienamente non all'identità, cultura, civiltà dell'Europa millenaria, ma al patriottismo costituzionale europeo, il nuovo DNA dell'essere europei scaturito dai Trattati di Nizza. Anzi, un extraeuropeo che aderisca a questo spirito democratico, ugualitarista e antidiscriminatorio, sarebbe certamente molto più "nuovo europeo" di un italiano, di un tedesco, di uno spagnolo, ecc., che invece rimanesse ancorato a una ormai superata visione di un'Europa (classica, cristiana, nazionalista, ecc.) che deve al contrario essere progressivamente perfino cancellata dalla memoria collettiva.
Insomma, come Rodotà (ma potremmo riportare decine di testimonianze di politici, intellettuali, burocrati) ci spiega, il fine ultimo dello Ius soli è la creazione del meticciato come nuovo demos del continente europeo. Che vuol dire ovviamente la distruzione razziale ed etnica degli italiani (in primis) e gli altri popoli europei. La cancellazione progressiva ma inesorabile dell'intera civiltà europea da ogni punto di vista, non ultimo quello specificamente razziale. Ecco perché ultimamente si fa un gran parlare del "Piano Kalergi": perché è vero. E chi non è informato a riguardo, farebbe bene a informarsi.

IL VERO RAZZISMO
L'Unione Europea, tramite anche i Trattati di Nizza, si è data lo scopo della distruzione non solo dell'ordine naturale del creato con la omosessualizzazione forzata della gioventù, con il gendersimo, con l'eutanasismo (che solo gli ingenui e i bugiardi possono credere che si limiti ai casi estremi di sofferenza: si veda il caso di Charlie in questi giorni) e tutti gli altri ismi della perversione morale e intellettiva oggi imperante; non solo della distruzione economica di interi popoli (come i greci, di cui nessuno parla più) e di intere società (come quella italiana); non solo della statualità nazionale (il concetto di patria, con cui tutti noi siamo cresciuti, non esisterà più); ma anche della distruzione razziale degli europei.
Ho usato appositamente il termine "razziale", il più grande di tutti i "tabù" (utilizziamo il loro linguaggio...) dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi. Per troppo tempo, sotto la costruzione di una maledizione collettiva di cui peraltro nessuno di noi ha colpa alcuna, abbiamo taciuto a riguardo, abbiamo acconsentito alla progressiva distruzione dell'ordine del creato anche da questo punto di vista. Infatti, le razze le ha create Dio, come ogni altra cosa, e - come ogni altra cosa voluta da Dio - sono quindi buone in sé.
La divisione in razze, popoli, etnie, dell'umanità, è una cosa meravigliosa. Come un campo di fiori che riempie la terra intera e la infarcisce di colori e profumi diversi, ovvero di civiltà e ricchezza per ogni gusto. Come lo stesso campo, se fosse rivestito di un solo unico fiore, sarebbe immensamente meno bello, così il nostro mondo sarà meno bello se abitato da una sola unica razza meticcia, ciò che è l'obiettivo finale di chi sta dirigendo oggi la storia verso gli scopi ultimi di un piano diabolico di distruzione di ogni differenza e bellezza (unica razza, unica lingua, unico Stato, unico governo, unica moneta, unica umanità totalmente sotto controllo e, ovviamente, religione unica per tutti). È il Creatore che ha creato i cinesi, gli indiani, gli egizi, i greci. È il Creatore che ha voluto che l'umanità avesse conformazione fisica differente: che vi fossero bianchi, neri, asiatici, e ha fatto in mondo che ogni megarazza o popolo o anche etnia avesse una sua sede naturale in questo pianeta e sue peculiarità fisiche, linguistiche, civili e culturali. È meraviglioso che vi siano i cinesi e i mongoli, gli africani e i giapponesi, indios e arabi, latini, germanici e slavi, ecc. E che ogni razza, popolo ed etnia abbia una sua sede storica naturale.
Se la parola "razza" incute una sorta di sotterraneo timore psicologico, ciò avviene a causa di un riuscitissimo immenso lavorio pluridecennale di responsabilizzazione collettiva di un male storico - relativo a una sola specifica ideologia, peraltro totalmente anticristiana, e limitata a un brevissimo momento cronologico dinanzi al corso dell'intera storia – di cui noi tutti - tedeschi attuali compresi - non abbiamo responsabilità alcuna: eppure, lo viviamo come se avessimo una vergogna da nascondere. La stessa parola "razza" dà fastidio: ma ci dimentichiamo che, come detto, è dono di Dio. Quest'opera genialmente satanica è servita, e serve, a farci odiare noi stessi, a farci accettare ciò che per i nostri antenati sarebbe stato inaccettabile, anzi, impensabile: il suicido - dopo quello morale, religioso, economico, politico, culturale - razziale ed etnico della nostra comunità.
Noi saremo la generazione che avrà distrutto l'italianità.
Non solo le razze e le etnie sono costitutive dell'ordine del creato, e quindi volute da Dio; non solo è cosa meravigliosa che ve ne siano tante, tantissime, dalle macrorazze fino alle più svariate "sfumature" etniche (basti pensare anche solo agli italiani, coacervo di etnie), dono immenso dell'umanità di ricchezza civile, culturale, linguistica, artistica, perfino culinaria, ecc.; ma va detto chiaramente che se esiste il "razzismo" (ogni cosa buona, di qualsiasi genere e natura, presenta in questa vita inevitabilmente la propria degenerazione), questo consiste proprio nell'odio verso le razze.
Mi spiego. Esistono due livelli di "razzismo": quello più noto, il suddetto "incubo collettivo", è in realtà, per quanto gravissimo e inescusabile in sé, il meno grave: un popolo, una razza, odia un'altra razza (o popolo), o alcune altre razze, e li vuole sottomettere (in casi estremi, eliminare): è accaduto, è una mostruosità storica, ma non è il livello peggiore. Vi è infatti un secondo livello di razzismo, che è immensamente più grave. È il razzismo di coloro che odiano tutte le razze, tutti i popoli, tutte le etnie, e vogliono eliminarli. Siccome non è possibile uccidere l'intera umanità (almeno per ora), si attua questo infernale progetto mischiando tutti i popoli - tramite invasioni di decine di milioni di persone, più o meno in difficoltà (e quando le difficoltà non sono sufficienti si creano: vedi Libia, Siria e altri casi simili) - in un'unica razza meticcia, il nuovo demos di Rodotà e soci. E, per far accettare il progetto alle popolazioni più benestanti e civili, che dovranno subire questa invasione, si prepara una colpa collettiva come una sorta di maledizione umana perenne e si scatena tutta la scuola, l'università, l'editoria, giornali e televisioni, la politica, e ovviamente il clero, per decenni, ogni giorno, ovunque, al fine di predisporre la quasi totalità delle persone all'immenso, folle, suicida cambiamento.
Voglio dire che il vero razzismo, il livello più "maturo" e devastante di razzismo, è quello degli antirazzisti di professione, che odiano tutte le razze. L'antirazzismo altro non è che l'altra faccia del razzismo: è un'ideologia totalitaria e intollerante, che prevede il carcere (e peggio) per legge a chi non vi aderisce, che si riconosce dal fanatismo di coloro che vi cascano (specie i giovani e i più semplici) ed è finalizzato alla realizzazione del piano (che noi chiamiamo di Kalergi, ma che è ben più antico, in quanto presente da sempre nei progetti massonici) di distruzione di ogni differenza razziale, culturale, civile, economica, religiosa, dell'intera umanità.
L'antirazzismo è essenzialmente distruttivo, e in quanto tale è costitutivo del razzismo. Il vero "non razzista" non è razzista appunto ma non è nemmeno antirazzista. In quanto ama ogni razza, popolo, etnia e vi vede, in ogni razza, popolo ed etnia, il piano e il dito di Dio. Come chi scrive.
E non si dica che le razze e i popoli si sono sempre mischiati. Questo è vero, almeno per l'Occidente (perché in realtà in Africa e Asia ciò non è mai avvenuto, tanto è vero che razze e popoli di quei luoghi mantengono pienamente le caratteristiche fisiche e culturali dei loro antenati): ma erano movimenti di popoli che avvenivano per ragioni storiche precise, non "organizzati" a tavolino a scopo distruttivo. Chi afferma che oggi non esistono più le "razze pure" e quindi è inutile fare questi discorsi, oltre a essere un ignorante (i giapponesi, i cinesi, gli indiani, gli arabi, i neri dell'Africa, insomma, miliardi di persone, non sono forse ancora oggi "razza pura"?) o bugiardo, è un vero razzista. Il problema non è la "purezza della razza": il problema è la volontà prestabilità da ideologie totalitarie e dissolutorie di distruggere ciò che esiste da millenni per scopi inconfessabili.
Lascio al lettore l'intuizione su chi oggi, tra tutti i potenti e leader mondiali, sta attuando alla lettera questo piano, essendosi chiaramente venduto a quei poteri totalitari, sinarchici e finanziari che hanno avuto il compito di realizzarlo agli inizi di questo XXI secolo.

VERA CARITÀ
Un conto è la carità verso il prossimo in difficoltà: si vogliono aiutare i popoli africani e asiatici in difficoltà? Ottimo e semplice: si investe nei loro paesi, così li si fa progredire, non li si obbliga a dolorose separazioni e rischiosi viaggi, a sicura miseria qui, e si guadagna pure investendo in aree di sviluppo. Quindi, l'immigrazionismo non ha nulla a che vedere con la carità e l'ospitalità: ne è anzi l'antitesi. Lo Ius soli è invece fondato sull'odio distruttivo. Anzi, come detto, sul razzismo.
La vera carità consiste nel portare aiuto - sia chiaro: a chi veramente soffre, non al 90% degli immigrati che giungono in Italia e che sono tutti nel pieno delle forze fisiche, ricolmi di richieste di diritti e di tracotanza e disprezzo verso chi li ospita e spesso di violenza, mentre delle decine di milioni di persone che muoiono realmente di fame non v'è traccia alcuna - a chi è in difficoltà direttamente nelle loro terre, investendo lì in fabbriche, scuole, ospedali, bonifiche, lavoro, cultura, ecc. In questo modo, quelle persone rimangono nelle loro terre e patrie e crescono migliorando le proprie condizioni, mentre noi manteniamo il mondo lasciatoci dai nostri antenati. E ognuno mantiene la ricchezza meravigliosa della propria integrità, fiore dell'immenso campo dell'umanità, come Dio lo ha seminato.
Questa è la carità: il rispetto degli altri, l'aiuto agli altri nel rispetto verso noi stessi, la difesa dell'ordine del creato come il Creatore lo ha pensato e voluto. Il resto, è infernale trappola di distruzione. Per tutti, immigrati compresi.
E la carità verso noi italiani? La carità verso i nostri figli e nipoti? E la responsabilità di conservare e trasmettere quanto ci è stato conservato e trasmesso da tutte le precedenti generazioni italiane? Questa responsabilità è talmente onerosa, cogente e grave che venirne meno vuol dire essere traditori: verso i posteri, verso gli antenati, verso l'Italia, verso la storia della più grande civiltà umana, verso la Carità. Verso l'ordine del creato e quindi verso il Creatore.
Forse, proprio in nome della Carità e della responsabilità, dovremmo tutti muoverci contro il razzismo degli antirazzisti, per non essere noi stessi i primi razzisti. Questa è l'ora della Carità: anche di quella del nostro essere italiani.

Fonte: Il Ponte Levatoio, 16/06/2017

4 - QUANDO LA SINISTRA ERA POCO ACCOGLIENTE CON I PROFUGHI (NONOSTANTE FOSSERO ITALIANI)
Tanto più che scappavano da una feroce persecuzione... ma avevano il difetto di essere sì italiani, ma non comunisti
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 10/07/2017

Ogni giorno, a proposito della marea migratoria, da Sinistra arrivano sermoni moraleggianti sul dovere dell'accoglienza generalizzata e incondizionata degli stranieri.
Peraltro danno spesso, tacitamente, ad intendere che tutti siano "profughi" (quando - in realtà - solo una piccola percentuale è costituita da profughi).
Eppure se, nella nostra storia nazionale, qualcuno ha da fare un "mea culpa" sull'accoglienza dei profughi, è proprio la Sinistra, almeno quella comunista.
La vicenda - perlopiù cancellata dalla storiografia ufficiale - riguarda addirittura dei profughi italiani, verso i quali avevamo dunque un doppio dovere di accoglienza e di solidarietà.
Accadde nel secondo dopoguerra. Sto parlando degli italiani del Quarnaro e della Dalmazia, di Zara, Pola e Fiume.

ELIMINARE OGNI TRACCIA DI ITALIANITÀ
In quelle disgraziate terre del confine orientale, già martoriate dalla guerra, il comunismo titino arrivò brutalmente e "la volontà delle autorità comuniste jugoslave" fu subito quella di "eliminare ogni traccia di italianità" (Gianni Oliva).
Da qui viene l'orrore delle foibe, conosciute dal grande pubblico solo da pochi anni, essendo state per decenni "censurate" dalla cultura dominante.
E con le foibe dilagò il terrore. Il 21 marzo 1946, il professor Craglietto, presidente del Comitato di liberazione nazionale di Pola, dichiarava alla Commissione internazionale per la delimitazione dei confini: "Gli arresti, le deportazioni e anche le uccisioni avvengono senza che nessuno intervenga a proteggere gli infelici. Il pericolo maggiore è quello di finire nelle orribili foibe nelle quali hanno trovato la morte atroce troppi infelici colpevoli solo di essere italiani".
Il terrore generalizzato di quella "pulizia etnica" costrinse migliaia di persone alla fuga. Per sfuggire al comunismo delle fucilazioni e delle foibe, per sottrarsi alle persecuzioni del regime titino che aveva appena occupato militarmente quelle terre, circa trecentomila italiani fuggirono via dalle città e dai paesi dove erano nati, dove erano vissuti e dove erano sepolti i loro avi.
Dovettero abbandonare le loro case e perdere i loro beni. Fu, dal 1945, un esodo biblico di migliaia di povere famiglie che arrancavano, con poche valigie, per trovare rifugio in Italia.
L'Italia aveva un assoluto dovere di accoglienza non solo perché si trattava di nostri compatrioti che pagavano, loro soli, per tutti gli italiani, il conto di una guerra perduta (avevano avuto la sfortuna di abitare le terre di confine con la Jugoslavia).
Non solo per questo, ma anche perché l'Italia aveva dovuto sottoscrivere - come sconfitta - il Trattato di pace che consegnava alla Jugoslavia proprio quei territori italiani affacciati sull'Adriatico.
Quindi il nostro Paese aveva un ulteriore obbligo di accoglienza, anzi, addirittura un obbligo di risarcimento.

AVVERSARI DA COMBATTERE
Ma quello che invece accadde ha dell'incredibile ed è tuttora "rimosso". Lo ha raccontato in diversi sedi (e anche su queste colonne) Giampaolo Pansa: "Sfuggiti al comunismo jugoslavo, gli esuli ne incontrarono un altro, non meno ostile. I militanti del Pci accolsero i profughi non come fratelli da aiutare, bensì come avversari da combattere. A Venezia, i portuali si rifiutarono di scaricare i bagagli dei 'fascisti' fuggiti dal paradiso proletario del compagno Tito. Sputi e insulti per tutti, persino per chi aveva combattuto nella Resistenza jugoslava con il Battaglione 'Budicin'. Il grido di benvenuto era uno solo: 'Fascisti, via di qui!'. Pure ad Ancona i profughi ebbero una pessima accoglienza. L'ingresso in porto del piroscafo 'Toscana', carico di settecento polesani, avvenne in un inferno di bandiere rosse. Gli esuli sbarcarono protetti dalla polizia, tra fischi, urla e insulti. La loro tradotta, diretta verso l'Italia del nord, doveva fare una sosta a Bologna per ricevere un pasto caldo preparato dalla Pontificia opera d'assistenza. Era il martedì 18 febbraio 1947, un altro giorno di freddo e di neve. Ma il sindacato dei ferrovieri annunciò che se il treno dei fascisti si fosse fermato in stazione, sarebbe stato proclamato lo sciopero generale. Il convoglio fu costretto a proseguire. E il latte caldo destinato ai bambini venne versato sui binari".
Pansa ha "inventariato" altri episodi dello stesso tenore: "A La Spezia, gli esuli furono concentrati nella caserma 'Ugo Botti', ormai in disuso. Ancora un anno dopo, l'ostilità delle sinistre era rimasta fortissima. In un comizio per le elezioni del 18 aprile 1948, un dirigente della Cgil urlò dal palco: 'In Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani' ".
I trecentomila esuli - che erano profughi veri e italiani, non migranti economici - furono stipati in circa centoventi campi sparsi nella penisola e, a poco a poco, con gli anni, lavorando sodo com'erano abituati, si rifecero una vita.
Portando silenziosamente nel cuore la ferita della propria terra perduta senza colpa e anche il dolore di questa "accoglienza" ricevuta dalla loro Patria.
Prima di impartire lezioni agli altri sui profughi la Sinistra italiana dovrebbe fare i conti con questa dolorosa storia.

Nota di BastaBugie: Marco Invernizzi nell'articolo sottostante dal titolo "L'odio e la sinistra" spiega come la storia della sinistra è la storia dell'odio contro una società che doveva essere distrutta completamente, con la violenza o con la politica. Essa comincia nel 1789 in Francia. E oggi si trova non solo a sinistra.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato da Alleanza Cattolica il 7 luglio 2017:
L'editoriale sul Corriere della Sera del 6 luglio di Paolo Mieli cerca di mettere a fuoco che cosa sta accadendo nella sinistra italiana dilaniata non da oggi da lotte fratricide. Usa la parola "odio" per descrivere il clima che vi si respira.
A studiare serenamente la storia della sinistra (che poi coincide in gran parte con la storia della Rivoluzione) questa constatazione non dovrebbe stupire. La storia della sinistra è la storia dell'odio contro una società che doveva essere distrutta completamente, con la violenza o con la politica. Essa comincia nel 1789 in Francia e conquista la Russia cento anni fa, nel 1917, per poi tentare la conquista del mondo, che però fallisce, nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino. Su questa storia ha scritto pagine molto profonde Francois Furet nel suo Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo.
Da allora la sinistra, convertitasi al relativismo, non ha più società da abbattere, ma uomini da corrompere. È la Rivoluzione in interiore homine che odia la famiglia e la vita, che uccide i concepiti e gli anziani perché inutili, che davanti alla malattia del piccolo Charlie non si impegna alla cura, ma sceglie la via della morte con cui crede di eliminare il problema.
Ma questo odio dilania la sinistra anche al suo interno. Niente di più logico, perché se l'odio è il suo motore non si può mai fermare e se non ha più società da abbattere deve trovare altri ambiti su cui riversarsi. E allora il compagno odia il compagno, soprattutto quando non ne ha più bisogno o diventa un concorrente nel raggiungimento dell'unica cosa che rimane: il potere.
È una brutta malattia l'odio perché rovina la vita, ma non attecchisce soltanto a sinistra.
Bisogna chiedere la grazia di esserne preservati ed esercitare l'agere contra, come insegna s. Ignazio. Essa può penetrare anche in chi non è di sinistra e addirittura in chi la combatte, come è spesso accaduto nella storia, in chi si lascia trascinare dall'odio contro il male, che c'è ed è tanto, fino a mettere in secondo piano l'amore per il bene e la verità.
Soprattutto oggi, nell'epoca post-ideologica, è più che mai necessario questo atteggiamento di rifiuto dell'odio. Esso permette di rivolgersi a tutti gli uomini, anche a quelli che a diverso titolo sono le vittime della cultura del relativismo, senza preclusioni ideologiche, senza indurli ad alzare muri di incomprensione. Presuppone un atteggiamento "missionario", capace di chinarsi su chi soffre, anche se spesso ne ha una certa colpa, e contemporaneamente presuppone una grande attenzione per mettere in guardia dalle seduzioni del male, che continuano a circolare.

Fonte: Libero, 10/07/2017

5 - E' SCONVENIENTE CREDERE CHE GIUDA SIA IN PARADISO
Nella basilica di Vézelay c'è un capitello che fa discutere, ma tutto nasce da un'interpretazione erronea
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: Il Timone, aprile 2017 (n° 162)

Non è la prima volta che papa Francesco, nei suoi interventi, richiama l'immagine del capitello della basilica di Vézelay, che rappresenta l'impiccagione di Giuda. Lo ha fatto nella recente intervista concessa al settimanale tedesco Die Zeit (9 marzo 2017), reiterando quanto espresso il 16 giugno 2016 di fronte ai sacerdoti di Roma, in occasione dell'apertura del convegno ecclesiale della diocesi, poi il 2 agosto davanti ai vescovi polacchi e il 2 ottobre sul volo di ritorno dall'Azerbaijan. Quattro volte in meno di un anno, segno di quanto al Santo Padre sia cara questa immagine. Ma qual è, secondo il Papa argentino, il significato di questo capitello? Lo spiega in modo esteso ai preti di Roma: "Mi è venuta tra le mani [...] l'immagine di quel capitello della Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, nel Sud della Francia [è in Borgogna, nella Francia centrale, n.d.r.], dove incomincia il Cammino di Santiago: da una parte c'è Giuda, impiccato, con la lingua di fuori, e dall'altra parte del capitello c'è Gesù Buon Pastore che lo porta sulle spalle, lo porta con sé. È un mistero, questo. Ma questi medievali, che insegnavano la catechesi con le figure, avevano capito il mistero di Giuda. [...] Gesù si è sporcato di più. Non era un "pulito", ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere". Ritornando dal viaggio apostolico in Georgia e Azerbaijan ha aggiunto: "E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra di Gesù sono tristi da una parte ma con un piccolo sorriso di complicità dall'altra. Questi avevano capito cos'è la misericordia! Con Giuda!".

RIABILITARE GIUDA?
È evidente dal testo che la prospettiva con cui Francesco considera benignamente Giuda gli proviene da don Primo Mazzolari (omelia del Giovedì Santo 1958), molto probabilmente tramite padre Raniero Cantalamessa, che in una predica del Venerdì Santo di tre anni fa, tenuta nella basilica di San Pietro proprio alla presenza del Papa, "riabilitò" Giuda in un modo piuttosto curioso: "È vero che [...] Gesù aveva detto a Giuda: "Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione", ma qui, come in tanti altri casi, egli parla nella prospettiva del tempo non dell'eternità. Anche l'altra parola tremenda detta di Giuda: "Meglio sarebbe per quell'uomo se non fosse mai nato" si spiega con l'enormità del fatto, senza bisogno di pensare a un fallimento eterno". Non così immediata è invece la fonte che può aver fornito questa spiegazione del capitello. Ma, anzitutto, di cosa si tratta? Stiamo parlando di un capitello presente nella splendida basilica cluniacense dedicata a Santa Maria Maddalena, nel piccolo villaggio di Vézelay, che si trova sulla Via Francigena, meta di numerosi pellegrini che vi andavano a venerare le reliquie di S. Maria Maddalena, mentre erano in cammino per Santiago. Il capitello che stiamo considerando è posto sopra il primo pilastro destro della navata centrale, al livello superiore.

PASTORE O BECCHINO?
È piuttosto singolare e anacronistico indicare il personaggio che porta sulle sue spalle il cadavere di Giuda con Gesù Buon Pastore. Anzitutto perché tra l'immagine qui scolpita e quella "tradizionale" del Buon Pastore, rinvenuto nelle catacombe di San Callisto o rappresentato nel mosaico pavimentale di Aquileia, non c'è affinità. Là troviamo un vero e proprio pastore, con i calzari ai piedi ed un agnello sulle spalle, mentre qui troviamo un uomo dall'apparenza di servo, senza calzari, con un cadavere a penzoloni, che lascia pensare ad un semplice necroforo. Non indifferente è anche il fatto che il "becchino" sta conducendo il cadavere del traditore verso occidente, che è tradizionalmente il luogo delle tenebre, dove il sole tramonta, in direzione diametralmente opposta all'Oriens ex alto, fuori dall'aula basilicale, immagine del corpo mistico di Cristo. Inoltre sembrerebbe l'unico caso di rappresentazione di Cristo Buon Pastore nella Francia del XII secolo, oltretutto sbarbato, in un contesto in cui l'iconografia, come si può vedere dal bassorilievo sovrastante il portale che dal nartece conduce alla navata, rappresentava Cristo con la barba, sul modello sindonico. Un po' forzata è anche la spiegazione della bocca del presunto buon pastore, che sembra raffigurare abbastanza chiaramente una smorfia di fatica o di disprezzo. Ma allora da dove può essere venuta un'interpretazione del genere di questo capitello?

COSA C' È DIETRO?
L'ipotesi - e più che un'ipotesi - è che la fonte di ispirazione debba essere ricercata in un famoso testo di Eugen Drewermann, Il Vangelo di Marco. Immagini di Redenzione, che alle pagine 369-370 (Queriniana, Brescia 2015) afferma testualmente: "Nella chiesa di Vezelay [...] si trovano due raffigurazioni di Giuda: una lo mostra con la bocca aperta come in un grido senza fine, come nel dolore di una disperazione che cerca veramente la propria morte; un'altra fa vedere che Gesù lo porta sulle spalle, e la sua bocca è chiusa, il dolore tace - una vittoria della misericordia, al di là della morte, per sempre". Il testo di Drewermann è una rilettura del Vangelo di Marco dalla prospettiva della psicologia del profondo, che non sfugge all'accusa di riduzionismo interpretativo, ma anzi la dichiara apertamente: "Gli spiriti diabolici non sono che spiriti umani - forze dell'anima che l'angoscia ha sospinto nell'Orco dell'inconscio? A questa domanda bisogna rispondere di sì, senza esitazione". Per questa ed altre posizioni decisamente eterodosse, Drewermann venne sospeso a divinis nel 1992 e ridotto allo stato laicale. Secondo il teologo tedesco, il nostro buon Giuda era solo il più angosciato e interiormente scisso tra i discepoli, perché in fondo era quello più acuto e sensibile; aveva capito più degli altri la radicalità dell'annuncio di Cristo: "Forse fu lui il più grande dei discepoli; forse egli soffrì per degli interrogativi che Pietro neppure si figurava. Pietro lo incontriamo più di dieci anni dopo ad Antiochia, e non aveva ancora capito che la fede in Cristo e la fede nella legge si escludevano una volta per tutte". Anzi Giuda è perfino il più coerente di tutti perché "preferisce la contraddizione nei confronti di un Dio che appare in sé disperatamente contraddittorio ad una vita nella contraddizione, e restituisce a Dio il biglietto d'ingresso nella vita". Insomma "Iudas mercator pessimus" è in realtà un uomo che ha sofferto interiormente per la sua acutezza, "l'unico in grado di misurare l'enorme distanza tra il nuovo insegnamento e la vecchia fede, poiché soltanto lui dipendeva abbastanza fortemente dal vecchio per essere scosso e preso fin dentro al cuore dalla nuova predicazione di Gesù". Per questo la misericordia deve aver per forza trionfato anche su di lui, indipendentemente da lui. Giuda diventa così il perfetto emblema della pecorella smarrita e salvata, nel nuovo tempo della misericordia che salva sempre e comunque.

Fonte: Il Timone, aprile 2017 (n° 162)

6 - ECCO IL PROSSIMO ORDINE CHE SARA' DISTRUTTO (DOPO I FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA E IL VERBO INCARNATO)
Come gli altri due ordini, gli Araldi del Vangelo sono legati alla tradizione, ricchi di vocazioni e con molti beni
Autore: Marco Tosatti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/06/2017

La Congregazione per i religiosi e per gli Istituti di Vita consacrata sta per dar vita a una visita apostolica nei confronti di un'associazione internazionale di fedeli, gli Araldi del Vangelo, la prima nata nel Terzo Millennio, e che ha avuto uno sviluppo grandissimo negli ultimi anni. Secondo fonti confidenziali interne alla Congregazione, che è diretta dal cardinale brasiliano João Braz Card. De Aviz, e dal segretario, il francescano spagnolo José Rodrigeuz Carballo, dovrebbe essere imminente la formazione di una squadra composta da un vescovo, una suora e un canonista per indagare sugli Araldi del Vangelo. Si ignora quali siano le motivazioni di questa iniziativa. Il fondatore è monsignor João Scognamiglio Clá Dias; e il fatto che sia un estimatore di Plinio Corr?a de Oliveira, il grande esponente del tradizionalismo cattolico brasiliano, scomparso nel 1995, è già motivo sufficiente di sospetto presso l'attuale gestione vaticana.

GLI ARALDI DEL VANGELO
Le origini degli Araldi risalgono agli anni Sessanta, quando un gruppo di giovani cattolici di São Paulo, in Brasile, con a capo João Scognamiglio Clá Días, Pedro Paulo de Figueiredo e Carlos Alberto Soares Corrêa, cominciano a ritrovarsi per discutere, riflettere e pregare insieme. L'associazione nasce (su ispirazione di Giovanni Paolo II) nel 1999 con l'approvazione canonica del Vescovo di Campo Limpo. Il 22 febbraio 2001 il Pontificio Consiglio per i Laici decreta il riconoscimento degli Araldi del Vangelo come associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio.
Composta principalmente da giovani, questa Associazione, forte di diverse migliaia di membri, è presente in 78 paesi nei cinque continenti. I suoi membri, di vita consacrata, praticano il celibato e si dedicano integralmente all'apostolato, vivendo in case destinate specificamente a ragazzi o ragazze, che alternano la vita di raccoglimento, lo studio e la preghiera con attività di evangelizzazione in diocesi e parrocchie, dando grande importanza alla formazione della gioventù. Gli Araldi non professano voti e vivono allo stato laicale, salvo alcuni che scelgono il sacerdozio. Lo sviluppo degli Araldi del Vangelo ha portato alla formazione di un ramo sacerdotale e alla formazione della Società Clericale di Vita Apostolica di Diritto Pontificio "Virgo Flos Carmeli", e a una società femminile, "Regina Virginum". Il loro campo di attività principale riguarda arte, cultura e formazione dei giovani; ma oltre a università e scuole hanno attività di assistenza agli anziani soli, e sono presenti in zone desolate, come la Terra del Fuoco.

FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA E VERBO INCARNATO
Non è chiaro per quale motivo si avrà questa visita apostolica. Ma il Prefetto della Congregazione per i Religiosi, Braz de Aviz, ha confidato di recente che è opportuno tenere un occhio vigile sulle nuove realtà ecclesiali, i cui fondatori talvolta si rivelano poco idonei a gestire realtà ricche di vocazioni e di mezzi finanziari. E d'altronde vediamo che da quattro anni è in corso il commissariamento dei Francescani dell'Immacolata, operato senza che sia mai stata dichiarata pubblicamente la causa del provvedimento. Vediamo - è notizia di questi giorni - che la Congregazione, dopo aver perso la causa civile per ottenere la gestione delle proprietà dei FFI, riaffidate dalla Cassazione alle associazioni di laici, sta facendo pressione su padre Stefano Manelli, in domicilio recluso e obbligato, con la minaccia di sanzioni canoniche, affinché convinca i laici a privarsi delle proprietà.
Un intervento di quasi commissariamento si è avuto anche verso la Famiglia religiosa del Verbo Incarnato, una realtà nata in Argentina nel 1984, ed estremamente prospera. Hanno al momento circa 800 padri, 2000 suore e più di 700 seminaristi. E scusate se è poco… La lista dei Paesi in cui operano è impressionante: Argentina, Perù, Russia, Israele, Taiwan, Tajikistan, Albania, Brasile, Canada, Cile, Ecuador, Egitto, Spagna (Tenerife), Stati Uniti, Olanda, Islanda, Italia, Giordania, Federazione Russa, Palestina, Papua Nuova Guinea, Perù, Taiwan, Tunisia, Ucraina, A proposito di periferie!
Ma, problemi più o meno reali e accuse più o meno fondate contro i fondatori a parte, le caratteristiche che uniscono questi movimenti sono in genere tre: sono legati alla tradizione della Chiesa (tomisti, più che rahneriani, devotissimi alla Madonna di Fatima, impegnati - come il Verbo Incarnato a Roma qualche giorno fa nelle manifestazioni a favore della vita); hanno molte vocazioni, il che sembra essere ormai un motivo di sospetto da parte della gerarchia e dei vescovi; e dispongono di mezzi consistenti.

Nota di BastaBugie: per ripercorrere la triste vicenda dei Francescani dell'Immacolata con gli articoli che abbiamo pubblicato per ora, clicca qui!

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/06/2017

7 - IL SINDACO DI VERONA PROMETTE IL RITIRO DEI LIBRI GENDER, VIENE ELETTO E ATTUA IL PROGRAMMA, MA LA DITTATURA GAY VUOLE IMPEDIRGLIELO
Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): l'uomo ragno dichiara di essere gay, Università di Brescia più di un milione dall'UE per ricerche pro gay, avanti cattogay a colpi di menzogne
Autore: Rodolfo de Mattei - Fonte: Osservatorio Gender, 08/07/2017

E' oramai diventata un vero e proprio caso nazionale la vicenda del "ritiro dei libri gender" che coinvolge il neosindaco di Verona, Federico Sboarina. A mettere in moto la macchina da guerra LGBT contro la nuova amministrazione veronese è il punto del suo programma elettorale in cui si prevede il «contrasto alla diffusione delle teorie del gender nelle scuole» e il «ritiro dalle biblioteche e dalle scuole comunali o convenzionate (nidi compresi) dei libri e delle pubblicazioni, che promuovono l'equiparazione della famiglia naturale alle unioni di persone dello stesso sesso».
Che la famiglia fosse una delle priorità d'azione di Sboarina si evince chiaramente anche in un altro passaggio dello stesso programma dove si legge che la nuova giunta si sarebbe impegnata «a respingere ogni iniziativa (delibere, mozioni, ordini del giorno, raccolta firme, gay pride, ecc.) in contrasto con i valori della vita, della famiglia naturale o del primario diritto dei genitori di educare i figli secondo i propri principi morali e religiosi».

LE REAZIONI
All'indomani dell'elezione del nuovo sindaco di centrodestra tutti sembrano dunque essersi improvvisamente accorti che le sue linee programmatiche ponevano al centro la famiglia naturale oggi pesantemente minacciata da ogni fronte.
Tra i primi ad insorgere vi è stata l'Associazione italiana biblioteche, che ha parlato di «minacce di censura», subito spalleggiata dal presidente dell'Associazione Italiana Editori (Aie), Ricardo Franco Levi, che ha inviato una lettera alla neo presidente dell'Aib, Rosa Maiello, nella quale sottolinea come una società pluralista debba lasciare spazio a qualsiasi tipo di pubblicazione al di là del contenuto: «le parole ritiro dei libri dalle biblioteche, dalle scuole e persino dai nidi d'infanzia non sono mai accettabili per nessuna ragione. Mi auguro che il sindaco di Verona riveda il suo programma. Invece del ritiro dei libri, potrà impegnarsi a fornire le risorse per arricchire le collezioni delle biblioteche, comprese quelle scolastiche. E per la scelta dei libri si fiderà della professionalità, sensibilità pluralista, competenza e passione dei bibliotecari e degli insegnanti veronesi».
Secondo Alex Cremonesi di Arcigay Verona il diktat relativista è un "fatto" del quale dobbiamo farci una ragione: "Invitiamo il neosindaco a riflettere e a rispettare i principi laici e plurali della nostra Costituzione alla quale il suo ruolo lo chiama a rispondere. Che al primo cittadino piaccia o meno, le molteplici forme dell'essere famiglia e della genitorialità, le differenze razziali e religiose, le diversità di orientamento sessuale e di genere sono un fatto, anche a scuola, può scegliere solo se rispettarle o meno". [...]
La polemica dei "libri gender" ha raggiunto anche il Parlamento dove il portavoce alla Camera per il Movimento 5 Stelle Mattia Fantinati è intervenuto, rivelando ancora una volta la posizione dei grillini in materia: "Bandire i libri che trattano di famiglie cosiddette gender da scuole, asili e biblioteche è da mentalità retrograda, medioevale e ricordano gli inizi di una delle più becere dittature in cui si vietano da subito i libri e la libertà di espressione. Le idee vetuste, folli ed anacronistiche del sindaco Sboarina non possono essere accettate".
L'unica voce fuori dal coro è stata quella del consigliere comunale Alberto Zelger che ha espresso la sua solidarietà al nuovo sindaco evidenziando quello che è il cuore del problema: "Sboarina è stato votato dalla maggioranza dei veronesi anche per questa sua decisa presa di posizione contro ogni tentativo di indottrinamento dei bambini a favore dell'ideologia del gender, che vorrebbe equiparare la famiglia formata da un uomo e una donna, all'unione di due persone dello stesso sesso. Qui non si tratta di mandare al rogo dei libri ma di investire il denaro pubblico, destinato alle scuole e alle biblioteche, per veicolare modelli familiari in linea con la Costituzione e con il comune sentire dei nostri cittadini".

TOLLERANZA A SENSO UNICO
Le parole di Zelger centrano perfettamente il nocciolo della questione. Sboarina ha incentrato la sua campagna sul tema della famiglia ed è stato votato "dalla maggioranza dei veronesi anche per questa sua decisa presa di posizione contro ogni tentativo di indottrinamento dei bambini a favore dell'ideologia del gender". Le sue intenzioni, una volta eletto, erano scritte nero su bianco nel proprio programma elettorale e quindi non si capisce dove sta il problema.
A ben vedere, il problema consiste nel fatto che i paladini della "tolleranza" e della "diversità" non accettano che venga messo in discussione il loro diktat etico relativista che, in nome del principio di "non discriminazione", mette sullo stesso piano e chiama "famiglia" qualsiasi tipo di unione, arrivando, in maniera abile ed indiretta, a distruggere l'unico modello vero di famiglia composto da un uomo e una donna.
Se i teorici del Sessantotto proclamavano la "morte della famiglia", gli ideologi del gender celebrano dunque la comparsa di diverse forme di famiglia per proclamare che "tutto è famiglia": uno slogan astuto e dall'evidente sapore ideologico per dire che "niente è famiglia". Si tratta di un chiaro stratagemma che, equiparando i diversi modelli di unione, punta a minare l'identità dell'istituto famigliare naturale, svuotandolo della sua peculiarità e specificità.

Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal gaio mondo gay (sempre meno gaio).

ANDREW GARFIELD: SONO GAY SENZA L'ATTO FISICO
Andrew Garfield in passato ha interpretato Spider-Man. Ora veste i panni di Prior Walter, newyorkese omosessuale affetto dall'AIDS, nel nuovo adattamento teatrale di Angels in America di Tony Kushner. Per prepararsi ha guardato molte stagioni del serial America's Next Drag Queen, il cui interprete è appunto una Drag Queen.
Al termine di questa full immersion ha dichiarato: "Sono un uomo gay adesso, ma senza l'atto fisico". Il mondo LGBT è insorto. Sui social sono piovute critiche: «Non si diventa gay guardando una serie tv»; «Bene, allora io sono lesbica senza compiere l'atto fisico perché guardo Ellen DeGeneres», infine è stato accusato di «appropriazione culturale».
Una reazione quanto mai curiosa sia perché dimostra che l'omosessualità non è condizione intesa socialmente come inferiore ad altre bensì uno status sociale di prestigio la cui appartenenza è vincolata da norme severe; sia perché è la prova che l'omosessualità non può prescindere dall'atto sessuale e l'aspetto emotivo è relegato in secondo piano; sia perché contraddice uno dei cardini del pensiero gender: come la percezione di essere donna pur essendo maschio mi fa diventare donna, così parimenti dovrebbe valere per l'omosessualità: se mi sento gay chi potrà contraddirmi?
(Gender Watch News, 7 luglio 2017)

UNIVERSITÀ DI BRESCIA: PIÙ DI UN MILIONE DI EURO DALL'UE PER RICERCHE PRO GAY
L'università statale di Brescia ha vinto il progetto europeo «Call It Hate: Raising Awareness on Anti-LGBT Hate Crime» incentrato su politiche persuasive collettive per convincere che esiste una campagna d'odio contro le persone omosessuali. Più di un milione di euro si è portato a casa il dipartimento di Giurisprudenza. L'anno scorso ottennero un finanziamento di 700mila euro per aver vinto un altro progetto europeo: «Come Forward: Empowering and Supporting Victims of Anti-LGBT Hate Crime», teso ad aiutare le presunte vittime LGBT dei cd "crimini d'odio".
Un paio di considerazioni: se andiamo a vedere altri progetti europei su altre tematiche, ben più importanti, i finanziamenti sono assai inferiori. Tenuto anche conto che le persone omosessuali sono l'1-2% della popolazione, perché investire milioni di euro? Ovviamente solo per scopi ideologici. In secondo luogo sarebbe meglio spendere metà della metà di quella cifra per scoprire che non esiste nessun fenomeno di "omofobia" e così risparmiare in ricerche sui "crimini d'odio" che rappresentano solo campagne pro gay.
(Gender Watch News, 4 luglio 2017)

AVANTI CATTOGAY, A COLPI DI MENZOGNE
Non ci sono soltanto i gay praticanti a far parte di quella lobby che - come dicevamo pochi giorni fa citando l'allora cardinale Ratzinger - ha l'obiettivo di sovvertire l'insegnamento della Chiesa in materia di sessualità. Ci sono anche tanti vescovi e laici che in nome del discernimento e del "non giudicare" favoriscono e favoreggiano i rapporti omosessuali, facendo finta di non approvarli. Di esempi ce ne sono molti anche in Italia, ma in questi giorni - oltre al caso di Sant'Arcangelo di Romagna che presentiamo oggi in un altro articolo - ce ne è stato offerto uno dall'arcivescovo di Gorizia, Carlo Alberto Maria Redaelli, spalleggiato dal quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, Avvenire, nella persona dell'ormai irrefrenabile Luciano Moia.
Tutto nasce da quanto accaduto a Staranzano, paesone di 7mila abitanti nella diocesi di Gorizia, dove un educatore scout (Agesci) convola in unione civile con il suo convivente; il parroco lo invita opportunamente a lasciare il suo ruolo di educatore in parrocchia, ma il vice parroco - che è anche l'assistente scout - non è d'accordo e partecipa anche all'unione civile del suddetto. Dopo averci pensato ben 20 giorni, interviene finalmente il vescovo che, dice compiaciuto Avvenire, «spiazza tutti».
E ci credo che spiazza tutti, il vescovo dice il contrario di quanto la Chiesa ha sempre insegnato; al magistero della Chiesa ci aveva già pensato il parroco che, sul bollettino parrocchiale, aveva scritto che ognuno può scegliere di fare quel che vuole secondo le leggi dello Stato, ma «come cristiano devo tener conto di quale sia la volontà di Dio». E siccome sulla famiglia, seguendo Cristo, «la Chiesa annuncia la grandezza e bellezza del matrimonio tra un uomo e una donna», va da sé che il capo scout che celebra nozze omosessuale non testimonia ciò che è vero. Tutti sono accolti nella Chiesa, dice il parroco, ma le responsabilità educative richiedono almeno condividere e credere ciò che la Chiesa crede. Per la cronaca - questo Avvenire ovviamente non ve lo dirà mai - il parroco già da tempo aveva cercato (invano) di coinvolgere il vescovo, visto che le tendenze omosessuali e la convivenza dell'educatore scout erano ben note a tutti.
Fin qui il parroco, ma il vescovo no: lui fa parte della nuova Chiesa del Discernimento, per cui va «alla ricerca della grazia» anche in questa situazione; il che «vuol dire anche individuare la volontà di Dio per la propria vita nella concretezza della situazione in cui si trova». E guai a pretendere «sempre e comunque princìpi chiari, astratti e immodificabili».
Insomma, ci dice la Genesi che Dio creò l'uomo maschio e femmina, ma non si deve usare questo criterio per giudicare le singole situazioni - secondo il vescovo Redaelli e Avvenire - perché pare di capire che sia possibile che Dio si è pentito di aver ispirato quel principio astratto e magari nella situazione concreta vuole che il capo scout si unisca civilmente a un altro uomo. Perciò il diretto interessato, la direzione dell'Agesci, i parrocchiani tutti si devono mettere «in ascolto dello Spirito senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica» (il cardinal Martini docet). «È il grande principio del massimo bene possibile qui ed ora - ci annuncia trionfante Moia - richiamato più volte in Amoris Laetitia».
Evito di dilungarmi ulteriormente sulle varie amenità che costellano articolo e dichiarazioni del vescovo. Tiriamo invece alcune brevi conclusioni che si possono trarre da questa vicenda, conclusioni esemplari che fanno capire su cosa poggi questa neo-Chiesa:
1. IL TRIONFO DEL RELATIVISMO
Il bene e il male, in quanto tali, non esistono più. Tutto dipende dalla singola situazione e dalla persona. Ciò che è male per uno, diventa il "massimo bene possibile" per un altro. La legge naturale, le azioni intrinsecamente malvagie, la certezza di ciò che è il bene a cui tendere, tutto spazzato via. È il trionfo del relativismo, la negazione di ciò che la Chiesa insegna da Duemila anni;
2. IL DISCERNIMENTO È LA MASCHERA PER COPRIRE LE REALI INTENZIONI
Il discernimento è la maschera per coprire le reali intenzioni delle guide della nuova Chiesa. Mai si dice quali siano i criteri del discernimento, né quale sia la meta di un cammino del genere. Non a caso: perché il discernimento è una forma ipocrita per far passare cambiamenti dottrinali senza avere il coraggio di dirlo apertamente. C'è un Catechismo che a proposito degli atti omosessuali parla di disordine intrinseco? E chi se ne frega, noi ignoriamo il Catechismo, parliamo di discernimento ed ecco che gli atti omosessuali - senza aver mai esplicitamente negato la dottrina - diventano accettabili, in alcuni casi addirittura provvidenziali;
3. MANIPOLAZIONE DELLE SCRITTURE
Ingrediente fondamentale è la manipolazione delle Scritture, a mo' di confessione protestante. Ne prendo un pezzo, lo tiro fuori dal contesto, evito di citare passi che possono contraddire quel che voglio affermare e così via. Il vescovo Redaelli, ad esempio, per giustificare la presenza della grazia in una unione omosessuale cita san Paolo nella Lettera ai Romani, dove dice che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio». Ma non solo nel capitolo 8 della Lettera ai Romani San Paolo fa questa affermazione a proposito delle sofferenze del tempo presente - cosa che non c'entra proprio nulla con la vicenda delle unioni gay -; nella stessa Lettera ai Romani, alla fine del primo capitolo san Paolo si era già scagliato contro gli omosessuali. Vale la pena riportare il brano:
«Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (nota per quelli che vedono omofobi dappertutto: San Paolo non parla di morte corporale ma di morte spirituale).
4. TEMATICHE INEDITE?
E questo risponde anche all'altro artificio retorico: affermare che si tratta di confrontarsi con «tematiche inedite che prima non esistevano o finivano sotto silenzio», ci dice Avvenire. Tematiche inedite? San Paolo sembra conoscerle molto bene, ma anche nell'Antico Testamento sono tematiche ben note (Moia, ricordi Sodoma?).
La realtà è che solo un cumulo di menzogne può sostenere certi atteggiamenti e la complicità con l'agenda omosessualista. Ma questo è oggi un pensiero che domina nella Chiesa. Che si sappia.
 (Riccardo Cascioli, La Nuova Bussola Quotidiana, 14 luglio 2017)

Fonte: Osservatorio Gender, 08/07/2017

8 - LA COMMISSIONE ''SEGRETA'' CHE VORREBBE DISTRUGGERE LA MORALE SESSUALE DELLA CHIESA
Una volta cancellata la dottrina dell'Humanae Vitae di Paolo VI, sarà la prassi a indicare le linee di azione?
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 14/06/2017

Sarà mons. Gilfredo Marengo, docente al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, il coordinatore della commissione nominata da papa Francesco per "reinterpretare", alla luce della Amoris laetitia, l'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, in occasione del cinquantenario della sua promulgazione, che cadrà il prossimo anno.
Le prime indiscrezioni sull'esistenza di questa commissione, ancora "segreta", riportate dal vaticanista Marco Tosatti, erano di buona fonte. Possiamo confermare che esiste una commissione, composta da mons. Pierangelo Sequeri, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, dal prof. Philippe Chenaux, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense e da mons. Angelo Maffeis preside dell'Istituto Paolo VI di Brescia. Il coordinatore è mons. Gilfredo Marengo, docente di Antropologia teologica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e membro del Comitato Direttivo della rivista CVII-Centro Vaticano II Studi e ricerche.
La commissione nominata da papa Francesco ha il compito di reperire negli archivi vaticani la documentazione relativa al lavoro preparatorio della Humanae Vitae, che si svolse nel corso di tre anni, durante e dopo il Concilio Vaticano II. Il primo gruppo di studio sul problema della "regolazione delle nascite" fu costituito da Giovanni XXIII nel marzo 1963 e allargato a 75 membri da Paolo VI. Nel 1966 gli "esperti" consegnarono a papa Montini le loro conclusioni, suggerendo di aprire le porte alla contraccezione artificiale. Nell'aprile del 1967 il documento riservato della commissione - quello da cui oggi dovrebbe partire la "rivisitazione dell'enciclica - apparve contemporaneamente in Francia su Le Monde, in Gran Bretagna su The Tablet, e negli Stati Uniti sul National Catholic Reporter.

PAOLO VI RIAFFERMÒ LA MORALE DELLA CHIESA
Paolo VI però, dopo due anni di ondeggiamenti, il 25 luglio 1968 pubblicò l'enciclica Humanae Vitae, con cui riaffermò la posizione tradizionale della Chiesa, che ha sempre vietato la limitazione artificiale delle nascite. Si trattò, secondo il filosofo Romano Amerio, dell'atto più importante del suo pontificato.
L'Humanae Vitae fu oggetto di una contestazione senza precedenti, proveniente non solo da teologi e sacerdoti, ma anche da alcuni episcopati, a cominciare da quello belga, capeggiato dal cardinale primate Leo Suenens che, in Concilio, aveva esclamato con tono veemente: «Seguiamo il progresso della scienza. Vi scongiuro, Fratelli. Evitiamo un nuovo processo Galilei. Uno ne basta alla Chiesa». Il card. Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, definì l'enciclica «una delle tragedie della storia pontificia».
Nel 1969, nove vescovi olandesi, tra cui il cardinale Alfrink, votarono la cosiddetta Dichiarazione d'indipendenza in cui si invitavano i fedeli a rifiutare l'insegnamento della enciclica Humanae Vitae. Nella stessa occasione il Consiglio Pastorale Olandese con l'astensione dei vescovi si schierò a favore del Nuovo catechismo rifiutando le correzioni suggerite da Roma e chiedendo che la Chiesa rimanesse aperta a «nuovi approcci radicali» sui temi morali, non citati nella mozione finale ma che emergevano dai lavori del Consiglio, come rapporti prematrimoniali, unioni omosessuali, aborto ed eutanasia. «Nel 1968 ricorda il card. Francis J. Stafford accadde qualcosa di terribile nella Chiesa. In seno al sacerdozio ministeriale, fra amici, si verificarono ovunque fratture che non si sarebbero mai più ricomposte, quelle ferite continuano ad affliggere l'intera Chiesa» (1968, l'anno della prova, in L'Osservatore Romano, 25 luglio 2008).
Sul tema della contraccezione Paolo VI si è espresso con la Humanae Vitae in maniera che i teologi giudicano infallibile e dunque immodificabile, non perchè il documento abbia in sé stesso i requisiti della infallibilità, ma perché riafferma una dottrina proposta da sempre dal Magistero perenne della Chiesa. I teologi gesuiti Marcelino Zalba, John Ford e Gerald Kelly, i filosofi Arnaldo Xavier da Silveira e Germain Grisez, e molti altri autori, spiegano come la dottrina della Humanae Vitae deve considerarsi infallibile, non in virtù del suo atto di promulgazione, ma perché essa conferma il Magistero ordinario universale dei Papi e dei vescovi nel mondo.

CONCILIARE L'INCONCILIABILE
Mons. Gilfredo Marengo, il prelato a cui papa Francesco ha affidato il compito di rileggere l'Humanae Vitae, appartiene invece alla categoria dei prelati che sono convinti di poter conciliare l'inconciliabile. Fin dal settembre 2015, commentando su Vaticaninsider i lavori del Sinodo sulla Famiglia, invitava ad «abbandonare una concezione del patrimonio dottrinale della Chiesa come un sistema chiuso, impermeabile alle domande e alle provocazioni del qui e ora in cui la comunità cristiana è chiamata a dare ragione della propria fede, come annuncio e testimonianza».
In un più recente articolo sulla stessa testata, dal significativo titolo: Humanae Vitae e Amoris laetitia: storie parallele (Vaticaninsider, 23 marzo 2017), mons. Marengo si chiede se «il gioco polemico pillola sì - pillola no, così come quello odierno comunione ai divorziati sì - comunione ai divorziati no, sia soltanto l'apparenza di un disagio e di una fatica, molto più decisiva nel tessuto della vita ecclesiale».
Infatti «ogni qual volta la comunità cristiana cade nell'errore di proporre modelli di vita derivati da ideali teologici troppo astratti e artificiosamente costruiti, concepisce la sua azione pastorale come la schematica applicazione di un paradigma dottrinale». «Un certo modo di difendere e recepire l'insegnamento di Paolo VI - aggiunge - è stato, probabilmente, uno dei fattori per cui - cita a questo punto papa Francesco - abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Francesco).

EFFETTO VALANGA
Però, se l'antitesi «pillola sì - pillola no», così come quella odierna «comunione ai divorziati sì - comunione ai divorziati no», è solo «un gioco polemico», lo stesso principio si potrà applicare a tutti i grandi temi della fede e della morale: "aborto sì - aborto no", ma anche "resurrezione sì - resurrezione no", "peccato originale sì - peccato originale no" e così via. La stessa contrapposizione tra verità ed errore e bene e male diventa, a questo punto, «un gioco polemico».
Va notato che mons. Marengo non propone di leggere Amoris laetitia sulla linea dell'ermeneutica della continuità. Egli non nega l'esistenza di una contraddizione tra i due documenti: ammette che Amoris laetitia autorizza ciò che Humanae Vitae proibisce. Ma ritiene che ogni antitesi teologica e dottrinale va relativizzata e superata in una sintesi che riesca a conciliare gli opposti.
La vera dicotomia è quella tra astratto e concreto, tra verità e vita. Quel che conta, per mons. Marengo, è immergersi nella prassi pastorale, senza piegarsi a «ideali teologici troppo astratti e artificiosamente costruiti». Sarà la prassi, non la dottrina, a indicare le linee di azione. Il comportamento insomma nasce dal comportamento. E nessun comportamento può essere sottoposto ad astratte valutazioni teologiche e morali. Non esistono "modelli di vita", esiste solo il fluire della vita, che tutto accoglie, tutto giustifica, tutto santifica.
Il principio di immanenza, fulminato da san Pio X nella enciclica Pascendi (1907), è riproposto in maniera esemplare. Ci sarà qualche pastore o teologo che di fronte a questo programma di "renterpretazione" dell'Humanae Vitae abbia il coraggio di pronunciare la parola "eresia"?

Fonte: Corrispondenza Romana, 14/06/2017

9 - OMELIA XVI DOMENICA TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 13,24-43)
Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23 luglio 2017)

Nel Vangelo di oggi, per descrivere il Regno dei Cieli, Gesù adopera tre parabole ricche di significato. La prima, quella del buon grano e della zizzania, ci fa comprendere il motivo della presenza del male accanto al bene. Il campo di cui parla il Vangelo è il mondo, e il buon grano seminato da Dio è il bene. Dio vuole solo il bene, e allora come spiegare la presenza del male? Gesù allora ricorre al paragone della zizzania seminata dal nemico di notte.
La zizzania è una pianta che somiglia moltissimo a quella del grano, con la quale si confonde facilmente. Solo al momento della mietitura, quando ormai le spighe sono germogliate, si riesce a coglierne la differenza. Se viene raccolta con il grano e macinata, la zizzania contamina il pane che diventa nocivo. Nell'antichità, seminare zizzania in mezzo al grano era un caso frequente di vendetta personale. La legge romana puniva severamente una tale cattiveria.
La parabola adoperata da Gesù è ricca di insegnamenti. Prima di tutto, il racconto dice che la zizzania è seminata di notte, mentre tutti dormivano. Questo particolare ci fa comprendere come, se compare la zizzania, ciò è dovuto al fatto che i buoni si sono addormentati, e il nemico, il diavolo, ha potuto agire indisturbato.
Dove semina Dio, semina anche satana, ed è importante che ogni cristiano sappia che la lotta contro il male è continua, e che ovunque il nemico cercherà di seminare il male. Dobbiamo dunque vigilare, rimanere desti, e non lasciarci sorprendere dal sonno della nostra indolenza.
Questa parabola ci insegna inoltre che, tante volte, è difficile distinguere il bene dal male. La zizzania è infatti molto simile al grano e solo al momento della mietitura si riesce a distinguere. Ciò indica che molte volte le tentazioni del maligno sono molto sottili e appaiono a noi come idee luminose. Ci vuole la grazia del discernimento per accorgersi degli inganni del maligno. Questa grazia del discernimento è data da Dio alla "guida spirituale" che ci conduce: obbedendo a lui certamente cammineremo per la strada giusta. Al contrario, se riterremo di non aver bisogno di questa "direzione spirituale", inevitabilmente cadremo in questi inganni.
La parabola della zizzania e del buon grano ci insegna inoltre che il male continuerà ad operare nel mondo sino alla fine dei tempi, e ciò non deve essere per noi un motivo di scandalo. L'estirpazione totale della zizzania avverrà non su questa terra, ma dopo la morte, con il Giudizio. La mietitura di cui parla Gesù simboleggia proprio il Giudizio, per mezzo del quale ci sarà la netta distinzione: i buoni andranno in Paradiso, i malvagi all'inferno.
Bisogna aspettare questa fine, perché, fino all'ultimo momento, il malvagio si può convertire. Il Signore, nella sua bontà, gli concede tempo e attende il suo ravvedimento; ma, con la morte, non vi sarà più altro tempo, e ciascuno avrà la giusta retribuzione.
Gesù passa poi ad un'altra parabola, quella del granello di senape. Questo granello è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto, diventa un albero. Il granello di senape simboleggia la diffusione della Chiesa: da inizi estremamente modesti si diffonde in tutto il mondo e accoglie tra i suoi rami genti di tutte le condizioni. Questo è lo stile di Dio: Egli si serve sempre di inizi umili e silenziosi. Il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha voluto nascere nel nascondimento di Betlemme per insegnare a noi questa logica dell'umiltà. Le vie di Dio sono sempre contrassegnate dalla semplicità e dalla croce. Così è il bene che si diffonde nel mondo: esso non fa rumore, ma, giorno dopo giorno, cresce e si sviluppa. Come fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce; così fa più notizia il malvagio che opera il male, piuttosto che tante anime buone che, giorno dopo giorno, si santificano nel silenzio.
Infine, Gesù propone un'altra parabola, desunta dall'esperienza della vita domestica, quella del lievito che fa fermentare l'impasto. Pensiamo a quante volte Gesù avrà visto la Madre sua impastare il pane e cuocerlo al forno. Un'azione normalissima, di ogni giorno, che racchiude in sé un insegnamento molto profondo. Il Vangelo è pieno di questi paragoni semplici tratti dalla vita di ogni giorno e alla portata di tutti, affinché tutti possano comprendere la sapienza del Vangelo. Possiamo ben dire che Gesù abbia preparato la predicazione del Vangelo nei trent'anni di vita nascosta condotti da Lui a Nazareth, sottomesso a Maria e a Giuseppe. Se non si comprende il valore di questa vita nascosta, non si riuscirà nemmeno a comprendere la profondità del suo insegnamento.
Ma torniamo alla parabola di Gesù: come il lievito fermenta e pervade a poco a poco tutta la massa, allo stesso modo la Chiesa è chiamata a convertire tutti i popoli. Il lievito simboleggia anche ogni cristiano. Vivendo il mezzo al mondo, senza perdere la sua identità, il cristiano è chiamato a fermentare con il suo esempio la società che lo circonda e a trasformarla. Il motivo della lontananza da Dio del mondo d'oggi è da ricercarsi nel fatto che noi cristiani non siamo stati "lievito", non siamo riusciti a condurre il mondo a Gesù Cristo e, forse, ci siamo mondanizzati. Saremo lievito se saremo autentici cristiani, se saremo fedeli al Vangelo e agli insegnamenti della Chiesa.
Gesù si è servito di questo piccolo paragone del lievito per farci comprendere che basta un piccolo gruppo di cristiani ferventi per estendere il Regno dei Cieli nel mondo intero. Così fu degli Apostoli, di dodici semplici pescatori, senza istruzione, animati solo da un grande amore per Gesù e per i fratelli da salvare. Così sarà anche di noi, se nel nostro cuore arderà il fuoco dell'amor di Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23 luglio 2017)

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