BastaBugie n�521 del 30 agosto 2017

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1 STUPRI E ABUSI SESSUALI A RIMINI? A CAUSA DELL'INVASIONE ISLAMICA DOVREMO ABITUARCI
E intanto a Reggio Emilia un richiedente asilo musulmano ha violentato un connazionale 13enne e disabile, ma il giudice anziché in carcere, lo ha rimesso in libertà perché, poverino, ha mostrato una ''straordinaria autodisciplina''
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 I PREGIUDIZI E LA CENSURA IDEOLOGICA DI GOOGLE
Google licenzia l'ingegnere che invitava l'azienda a non ignorare, nella gestione del personale, il determinate fattore biologico (cioè che maschi e femmine sono diversi)
Autore: Rodolfo de Mattei - Fonte: Osservatorio Gender
3 FAMIGLIE NUMEROSE... CHE FORZA!
La testimonianza di una celebre giornalista australiana, primogenita di 9 figli
Autore: Christine Stoddard - Fonte: Aleteia
4 ISCHIA: I DANNI PEGGIORI LI HANNO CAUSATI LE TELEVISIONI, NON IL TERREMOTO
Intanto a Roma i tg mostrano gli scontri per lo sgombero di immobili occupati abusivamente e ci raccontano che i migranti, poverini, hanno lanciato perfino bombole del gas sui poliziotti (che però erano brutti, cattivi e gli puzzava anche l'alito)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 AVVENIRE DIFENDE IL CAPO SCOUT GAY COME OTTIMO EDUCATORE CATTOLICO
Il quotidiano della CEI vuole aprire un tavolo di confronto per insegnare che un ragazzino può essere disinteressatamente (?!) omosessuale
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Verità
6 LA PERFETTA LETIZIA DI SAN FRANCESCO
In un celebre fioretto, il santo di Assisi spiega a Frate Leone che siamo veramente felici quando verso gli altri non abbiamo nessuna pretesa (nemmeno legittima)
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona
7 CONVIVENZA O MATRIMONIO?
Oggi, anche secondo molti ''cattolici'', sposarsi non aggiunge niente, ma non è così: il sacramento trasfigura la relazione e sostiene i coniugi nelle difficoltà
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Timone
8 LO STATO LAICO? NON ESISTE
Per mostrare i paradossi e le contraddizioni della nozione di Stato laico è sufficiente rispolverare la recente storia d'Italia
Autore: Enrico Maria Romano - Fonte: Libertà e Persona
9 OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 16,21-27)
Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - STUPRI E ABUSI SESSUALI A RIMINI? A CAUSA DELL'INVASIONE ISLAMICA DOVREMO ABITUARCI
E intanto a Reggio Emilia un richiedente asilo musulmano ha violentato un connazionale 13enne e disabile, ma il giudice anziché in carcere, lo ha rimesso in libertà perché, poverino, ha mostrato una ''straordinaria autodisciplina''
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29 Agosto 2017

Gli stupri di Rimini hanno destato molte reazioni sui media e nella popolazione; ma sono ben lungi dall'essere un caso isolato. Ogni giorno leggiamo di violenze sessuali subite da giovani donne aggredite da immigrati clandestini. Accadrà prima o poi ciò che sta accadendo in Germania. Dopo le violenze di gruppo del capodanno 2016 (oltre mille donne coinvolte in diverse città) qualcuno gridò al «complotto»: sicuramente è un'azione terroristica pianificata!
Invece no. Nessuno complotto, nessuna azione terroristica pianificata. È la nuova realtà nella quale le donne tedesche si sono risvegliate dopo il sogno del «Welcome refugees».
La nuova realtà prevede che le donne siano confinate in una specie di apartheid volontario: niente piscina d'estate e, in alcune tratte, carrozze riservate alle donne e interdette agli uomini. Ovviamente nel silenzio delle femministe, ma la cosa ormai non stupisce più nessuno. Ormai è palese che la difesa dei «diritti» è semplicemente un pretesto per l'attacco alle leggi morali e religiose greco-cristiane.
Quali considerazioni possiamo trarre da questa situazione (non episodio)?

L'UOMO NON È SOLO MATERIA
Qualcuno potrebbe far notare che questi immigrati sono, nella stragrande maggioranza, giovani uomini non abituati all'ipersessualizzazione che si respira nel mondo occidentale. Vero. È vero però anche che, all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso, abbiamo avuto una massiccia immigrazione di giovani e giovanissimi uomini albanesi; e non si sono verificati gli stessi problemi.
Tra gli immigrati nel nostro paese le nazioni maggiormente rappresentate sono Romania, Cina, Ucraina e Filippine. Questa immigrazione è stata mai percepita come un pericolo per l'incolumità delle persone?
Il primo punto è questo: l'uomo non è solo materia (in questo caso ormoni e organi sessuali); è anche e soprattutto educazione, cultura. Il progetto di sostituire gli Europei non nati o abortiti con immigrati provenienti da chissà dove è una sciocchezza. Una persona non è una monade interscambiabile, un mattoncino uguale a milioni di altri mattoncini; è frutto di una cultura, di una tradizione (nel nostro caso) bimillenaria. Non è questione di «razza» o colore della pelle; è questione di ethos.
«Ci pagano le pensioni»? Anche se fosse vero, come dicono nei film, i soldi non sono tutto. E non comprano tutto.

QUESTE VIOLENZE SONO COLPA NOSTRA
Secondariamente, forse queste violenze sono colpa nostra. Basta mettere piede in Europa per ricevere soldi (parecchi soldi) e una casa (o perlomeno una sistemazione); in Germania gli immigrati si aspettano anche un'auto.
Quale può essere il messaggio che arriva a questi giovani dalla nostra accoglienza senza integrazione? Che ne è del bilanciamento tra diritti e doveri che ogni europeo respira fin dalla nascita? Bilanciamento, tra l'altro, che per i milioni di immigrati rumeni, ucraini, filippini resta valido. Perché essi devono lavorare duramente, comprarsi una casa con fatica e sacrifici, mentre ad altri immigrati tutto è dovuto? Non è forse, questa, una insopportabile discriminazione? Una solenne ingiustizia? Vitto e alloggio gratis per tutti gli immigrati, dunque, a spese degli europei.
Se questo è il paese del Bengodi, il Paese dei balocchi, dove basta allungare una mano e prendere ciò che si vuole... perché questi giovani non dovrebbero farlo?

CHI CI PROTEGGERÀ DAL DRAGO?
Terzo. Chi può impedire che questi giovani si prendano ciò che vogliono?
Non lo diciamo in pubblico, ma lo sappiamo: l'uomo. Il compito dell'uomo è quello di proteggere e difendere; di farsi male e persino morire per tutelare le sue cose e le persone che gli sono affidate. Per questo (e non per un errore genetico o per una secolare ingiustizia) egli è più alto, più forte, più pesante e più veloce. Per questo è aggressivo e competitivo.
Perché il suo compito è quello di sacrificare fisicamente se stesso per difendere e proteggere. Ogni uomo è un eroe in fieri; il suo compito è salvare la principessa dalle grinfie del drago. Ma oggi, almeno nell'Europa occidentale, non ci sono più eroi, né principesse. Abbiamo imposto ai maschi di non diventare uomini (e alle femmine di non diventare donne).
Ora chi ci proteggerà dal drago?
La Polonia ha scelto di non subire questa massiccia e disordinata immigrazione. È capitato che qualche immigrato in Germania abbia attraversato il confine (le frontiere non ci sono più) e sia finito in Polonia, probabilmente senza accorgersene. Lì si è comportato come ha imparato a fare in Germania: ha rubato, sicuro dell'impunità; ha minacciato e maltrattato qualche anziana esercente; addirittura ha mostrato un coltello.
Beh, ha imparato che gli uomini polacchi sono ancora disposti a sacrificarsi per gli altri; ha imparato che sono ancora un popolo, uniti e pronti ad aiutarsi l'un con l'altro (in Germania, come da noi, se qualcuno assiste ad una aggressione abbassa il capo e accelera il passo...); e che l'arrivo della polizia può essere una gioia indescrivibile, se ti salva da un linciaggio. Ma noi non siamo come i polacchi. Non siamo più un popolo, non abbiamo imparato a diventare eroi.
Ci stupiamo se qualcuno fa di noi ciò che vuole? Chi glielo impedirà?

Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo sottostante dal titolo "Profugo pedofilo, se la piazza lincia le toghe" racconta che a Reggio Emilia un pakistano richiedente asilo ha violentato un connazionale 13enne e disabile. Ma il giudice non lo manda in carcere perché ha mostrato una straordinaria autodisciplina. Insorge la piazza e anche la politica, ma alla fine il Pd non se la sente di scendere a protestare contro una toga. L'impressione è che le cosorterie vengano prima dei diritti di una vittima, mentre al carnefice vengono concesse attenuanti che fanno sospettare uno sdoganamento della pedofilia.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 agosto 2017:
Lo strapotere delle toghe regge anche alle proteste di piazza. E se di mezzo c'è la pedofilia la decisione del giudice per le indagini preliminari sembra gettare un'ombra fosca su quello che fino ad oggi è un orribile reato, ma domani potrebbe non esserlo più, dato che anche nel nostro Paese la pedofilia che indigna sembra essere soltanto quella che vede infangata la Chiesa.
A Reggio Emilia non si vedeva da tempo un sit in davanti al tribunale per protestare contro la decisione di un giudice, il quale avrà avuto anche le sue buone ragioni, ma queste sembrano scontrarsi con l'evidenza razionale. I fatti sono questi.
Un pakistano richiedente asilo in provincia di Reggio ha violentato un minore disabile anche lui straniero. Il fatto gravissimo viene ripreso dai social sul web che ormai costituiscono la vera opposizione cittadina. Ma non è tutto. Il Gip, il dottor Ghini, giudice veterano del Tribunale di Reggio, dovendo decidere sulla misura cautelare in carcere chiesta dal Pm Maria Rita Pantani e gli arresti domiciliari chiesti dalla difesa, libera il richiedente asilo.
Il pakistano infatti aveva sì confessato la violenza sul minore disabile, sordomuto, dicendo che era consenziente, almeno questa è la tesi della difesa. La detenzione ai domiciliari infatti non è sembrata al giudice una strada percorribile. Il richiedente asilo è ospite di una struttura che accoglie migranti in attesa di concessione dello status di rifugiato e dato che una delle condizioni per la concessione dei domiciliari è la disponibilità degli ospitanti, il reo confesso si è trovato così senza casa.
Gli ospiti locali infatti avevano dichiarato di non volerlo più in casa. Così il giudice, con una decisione che ha sconcertato molti, lo ha rimesso in libertà, con obbligo di firma. E il rischio di reiterazione del reato? Per quello non c'è problema: il giudice infatti ha parlato del pakistano come uomo dalla straordinaria autodisciplina. Se lo dice lui...
Dai social arriva una vera e propria sollevazione. Critiche ma anche insulti e minacce. Al ristorante Ghini viene affrontato e insultato. L'associazione la Caramella Buona, che si occupa di lotta alla pedofilia, ha mobilitato la protesta davanti al Tribunale, che è andata in onda l'altra sera. I giornali si spaccano: alcuni gridano alla manifestazione di nostalgici con croci celtiche. Il Sindaco di Reggio Luca Vecchi davanti alla rivolta ondeggia. Prima si schiera con la protesta chiamando in solidarietà altri sindaci, fino ad annunciare di partecipare alla manifestazione. Poi tutto il blocco di potere si ritrae. L'altra sera centinaia di reggiani sono affluiti in una atmosfera inedita e surreale nel cupo piazzale del Tribunale. Alla luce di qualche lampione, assenti i sindaci e forza di giunta, in centinaia hanno manifestato silenziosamente senza simboli di partito come il 12 giugno. Sembrava di essere davanti al Muro di Berlino, ma è Reggio Emilia del 2017.
Presenti gli altri partiti, come Forza Italia, che alla riapertura della stagione parlamentare presenterà un'interpellanza e che per bocca del coordinatore Gianluca Nicolini ha detto: "In questi giorni abbiamo assistito ad un triste spettacolo dove è emerso chiaramente la forza del le logiche consortili che governano il territorio reggiano da sempre guidato dalla sinistra". Il riferimento è il ritrarsi dei sindaci dalla manifestazione di piazza nonostante molte fasce tricolori avessero sostenuto l'indignazione comune. Ma mettersi contro i giudici, si sa, è un rischio per molti, figuriamoci per un politico.
Intanto il provvedimento verrà impugnato dalla procura e il pakistano, probabilmente, finirà in carcere. Resta però l'amarezza di una decisione presa pensando più ai diritti del carnefice che a quelli della vittima, la quale, a 13 anni e senza poter parlare, sta vivendo tutto come uno choc terribile, dentro di sé. Resterà pure un reato odioso quello della pedofilia, ma quando si mettono in campo artifici giuridici come questo, la china è sempre pericolosa perché il passo verso l'accettazione di certe pratiche è dietro l'angolo.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29 Agosto 2017

2 - I PREGIUDIZI E LA CENSURA IDEOLOGICA DI GOOGLE
Google licenzia l'ingegnere che invitava l'azienda a non ignorare, nella gestione del personale, il determinate fattore biologico (cioè che maschi e femmine sono diversi)
Autore: Rodolfo de Mattei - Fonte: Osservatorio Gender, 12 agosto 2017

Ben sapendo di toccare un tasto dolente, onde evitare qualsiasi tipo di fraintendimento, Damore fa precedere il proprio testo da una chiarissima premessa, intitolata Reply to public response and misrepresentation (Risposta alla pubblica reazione e agli errori di interpretazione), in cui si legge: "Io apprezzo la diversità e l'inclusione, non nego che il sessismo esista e non approvo l'uso degli stereotipi".
Tuttavia, aggiunge Damore, per poter risolvere il problema attorno al "gender gap", ovvero il divario di trattamento tra uomini e donne, è necessario aprire una "discussione onesta", scevra da pregiudizi di parte, in quanto: "la sicurezza psicologica si basa sul rispetto e l'accettazione reciproca, ma purtroppo la nostra cultura della berlina e della falsa presentazione dei fatti è scoraggiante e inaccettabile per chiunque si trovi al di fuori della sua camera d'eco. Nonostante quella che sembra essere stata la reazione pubblica, ho ricevuto molti messaggi di supporto da compagni di Google che mi hanno espresso la loro gratitudine per aver posto tali problemi molto importanti con i quali concordano ma che non avrebbero mai avuto il coraggio di dire o di difendere a causa della nostra 'cultura della berlina' e la possibilità di venire licenziati. Questo deve cambiare".

CENSURA IDEOLOGICA
L'ingegnere sottolinea però come un dialogo serio attorno a certi temi sia attualmente impossibile per via del clima di omertà e censura ideologica vigente all'interno di Google, auspicando l'avvio di un dibattito schietto e costruttivo: "Le persone generalmente hanno buone intenzioni, ma tutti abbiamo pregiudizi che ci sono invisibili. Fortunatamente, una discussione aperta e onesta con coloro che sono in disaccordo può evidenziare i nostri 'angoli ciechi' e aiutarci a crescere, ecco perché ho scritto questo documento. Google ha diversi pregiudizi e una discussione onesta riguardo questi pregiudizi è stata silenziata dalla ideologia dominante. Quello che segue non è affatto la storia completa, ma è una prospettiva di cui bisogna disperatamente parlare a Google".

I PREGIUDIZI DI GOOGLE
Damore sottolinea inoltre come presso l'azienda di Mountain View sia predominante un pregiudizio di "sinistra" dal quale discende una monocultura politicamente corretta che mantiene il proprio controllo costringendo i dissidenti al silenzio: "A Google, ci viene detto regolarmente che i pregiudizi impliciti (inconsci) ed espliciti stanno tenendo le donne indietro nella tecnologia e nella leadership. Naturalmente, gli uomini e le donne sperimentano in modo diverso il pregiudizio, la tecnologia e il posto di lavoro e dobbiamo essere consapevoli di questo, ma ciò è solo una parte di tutta la storia".
Secondo l'ingegnere neosilurato esistono infatti innegabili differenze biologiche tra uomini e donne di cui non è possibile non tenere conto; differenze che non sono solo costruite socialmente in quanto, si legge sempre nel documento: sono universali in tutte le culture umane; spesso hanno chiare cause biologiche e sono collegate al testosterone prenatale; i maschi biologici che sono stati castrati alla nascita e cresciuti come femmine spesso si identificano ancora e agiscono come maschi; i tratti sottostanti sono altamente ereditabili; sono esattamente ciò che avremmo previsto da una prospettiva di psicologia evolutiva;
Damore fa poi notare come il suo non sia un giudizio di valore, quanto una semplice constatazione empirica, desunta dai dati scientifici basati sulla biologia: "Nota, non sto dicendo che tutti gli uomini si differenziano dalle donne nei seguenti modi o che queste differenze sono "giuste". Sto semplicemente affermando che la distribuzione delle preferenze e delle abilità degli uomini e delle donne differisce in parte a causa di cause biologiche e che queste differenze possano spiegare perché non vediamo una rappresentanza uguale delle donne nel settore della tecnologia e della leadership. Molte di queste differenze sono piccole e c'è una notevole sovrapposizione tra uomini e donne, per cui non si può dire nulla di un individuo a causa di queste distribuzioni di livello di popolazione".

DIFFERENZE DELLA PERSONALITÀ
Quindi l'ingegnere fa un elenco di quelle che, in media, sono i tratti caratteristici prevalentemente presenti nelle donne:
- Apertura rivolta verso i sentimenti e l'estetica piuttosto che verso le idee. Le donne in genere, rispetto agli uomini, hanno anche un interesse più forte per le persone piuttosto che per le cose (anche interpretate come empathizing vs. systemizing).
- Queste due differenze in parte spiegano perché le donne preferiscono genericamente posti di lavoro in aree sociali o artistiche. Al contrario, più uomini trovano piacere nell'attività di programmazione perché richiede sistemizzazione e anche all'interno degli SWE's, facendo un confronto, sono di più le donne che lavorano a contatto con il pubblico, che si occupano di persone e di estetica.
- Estroversione, espressa come socievolezza piuttosto che assertività. Inoltre, sono più disponibili.
- Ciò porta le donne generalmente ad avere più difficoltà a negoziare lo stipendio, chiedere sollecitazioni, parlare e comandare. Si noti che queste sono solo differenze medie e che ci sono sovrapposizioni tra uomini e donne, ma questo è visto solo come una questione femminile. (...).
- Instabilità emotiva (maggiore ansia, minore tolleranza allo stress). Questo può contribuire a livelli più alti di ansia tra le donne come riferito su Googlegeist e ad un minor numero di donne in lavori ad alto tasso di stress.
Se le donne sono biologicamente predisposte per lavori meno pesanti e stressanti a contatto con le persone, all'opposto, gli uomini, per natura, sono più idonei a lavori impegnativi, ad alto tasso di fatica e stress: "Ci chiediamo sempre perché non vediamo le donne in posizioni di leadership, ma non ci chiediamo mai perché vediamo tanti uomini in questi posti di lavoro. Queste posizioni richiedono spesso lunghi e stressanti orari di lavoro che potrebbero non valere la pena se si desidera una vita equilibrata e soddisfacente. Lo status è la metrica principale su cui gli uomini vengono giudicati e per questo spinge molti uomini verso questi posti di lavoro più pagati, ma meno soddisfacenti, per lo status che essi implicano. Si noti, che le stesse motivazioni che portano gli uomini verso posti di lavoro ad alto salario / alto stress nella tecnologia e nella leadership, portano gli uomini ad occupare posti indesiderati e pericolosi come l'estrazione di carbone, la raccolta di rifiuti e la lotta contro il fuoco e a soffrire il 93% delle morti sul posto di lavoro".

SUGGERIMENTI PER AFFRONTARE IL "GENDER GAP"
Damore fornisce quindi una serie di suggerimenti per affrontare il "gender gap" secondo le rispettive predisposizioni di maschi e femmine, mettendo in evidenza come, mediamente, le donne mostrano un interesse più elevato per le "persone", mentre gli uomini per le "cose".
Una prospettiva per la quale, suggerisce sempre l'ingegnere Google, per attirare le donne verso una branca maschile, come l'ingegneria del software, sarebbe necessario cercare di rendere tale attività più orientata alle persone con la "programmazione in coppia" e con una maggiore collaborazione tra colleghi, sospendendo così alcuni degli attuali programmi educativi rivolti a indirizzare forzatamente le femmine verso il coding.

LE REAZIONI SCOMPOSTE DI GOOGLE
Secondo quanto dichiaratio da Jaana Dogan, Software Engineer di bigG, molti tra coloro che hanno avuto modo di leggere il documento si sono schierati contro i suoi contenuti, ma vi è stato tuttavia un grande numero di colleghi che ha concordato pienamente con quanto scritto.
La risposta ufficiale di Google, per mettere fine al gran polverone alzatosi, è stata affidata a Danielle Brown, ex Intel e da poco più di un mese in azienda, dove ha assunto il ruolo di Vice President of Diversity, Integrity & Governance, che ha scritto una lunga lettera rivolta a tutti i dipendenti del gruppo, dove si legge: "La diversità e l'inclusione sono elementi fondamentali dei nostri valori e della nostra cultura, che continueremo a coltivare. Non ci sono equivoci: crediamo che diversità e inclusione siano di importanza critica per il nostro successo come azienda e continueremo a lavorare in questa direzione, con un impegno sul lungo periodo."
Una volta messo alla porta, Damore, in un intervista pubblicata sul Wall Street Journal, si è detto «dispiaciuto» di lasciare l'azienda ma soprattutto di constatare come questa miri a mettere a tacere un "dibattito aperto e onesto", sottolineando che "se continuerà a ignorare i problemi reali aperti dalle sue politiche sulla diversità, Google si muoverà ciecamente verso il futuro incapace di soddisfare e bisogni dei suoi dipendenti e deludendo miliardi dei suoi utenti".
Nella stessa intervista, l'ingegnere ribadisce inoltre quanto scritto nel documento che gli è valso il licenziamento, evidenziando come chi non si allinea al diktat etico aziendale rischia di essere irreparabilmente "scomunicato", al fine di inviare un segnale chiaro a tutti, secondo il celebre motto del dittatore comunista Mao Zedong "Colpirne uno per educarne cento": "L'umiliazione pubblica serve non solo a mostrare le virtù di chi la pratica ma mette anche in guardia gli altri sulla possibile punizione che li attende se non sono conformi. (...) Come è possibile che Google, la società che assume le persone più brillanti al mondo, sia potuta diventare così motivata dall'ideologia e intollerante alle argomentazioni scientifiche e a discussioni ragionevoli?».

COSA DICONO GLI STUDI SULLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE?
Eppure gli studi scientifici più seri, gli stessi probabilmente consultati dall'ingegnere ex-Google, smentiscono categoricamente le fantasie del "gender" e confermano quanto la ragione e l'esperienza quotidiana dimostrano ad ognuno di noi.
La psicologa Alice Eagly, ad esempio, una delle più autorevoli studiose americane dei processi di differenziazione sessuale, spiega che le teorie sull'indeterminatezza e irrilevanza delle differenze sessuali sono ampiamente superate, legate al particolare periodo storico femminista degli anni '70, nel quale vi era un preciso interesse ideologico ad abbattere ogni sorta di cosiddetto stereotipo culturale.
In realtà, afferma la Eagly, gli stereotipi sessuali della gente comune risultano "abbastanza precisi", gli scienziati, attualmente impegnati a studiare le differenze tra uomini e donne, «hanno iniziato a rendersi conto di aver infranto non gli stereotipi culturali ma l'opinione scientifica generale forgiata nel movimento femminista degli anni '70».
Attorno alla ricerca scientifica sui processi di differenziazione sessuale è infatti calato progressivamente lo stesso silenzio ideologico regnante oggi all'interno di Google, un muro di omertà volto a boicottare qualsiasi tipo di studio o ricerca che abbia l'ardire di mettere in discussione le consolidate tesi femministe.
J. Richard Udry, professore di sociologia all'Università della North Carolina, ha ammesso di essere rimasto colpito e profondamente scoraggiato dalle estenuanti difficoltà sorte attorno alle pubblicazione di alcuni propri risultati scientifici riguardanti l'importanza dell'ambiente ormonale nel ventre materno nel processo di differenziazione sessuale. Difficoltà che lo studioso non aveva mai riscontrato nella sua lunga e autorevole carriera. A tale proposito, il professor Udry si domanda come «mai prima di allora uno degli altri progetti che aveva proposto era stato scartato per tre volte».

LA "SORELLANZA" FEMMINISTA E GLI STUDI ONESTI
Nel corso degli anni, all'interno del settore di studio sulle differenze di sesso, si è venuta a costituire quella che lo studioso inglese Robert Pool ha definito una vera e propria "sorellanza". Secondo Pool, che si è ampiamente documentato sulla materia, confrontandosi con numerosi ricercatori attivi in questo campo, «gli scienziati che si occupano di ricerche provocatorie e innovative sulle preferenze dei due sessi sono in maggioranza donne». Oltretutto, lo studioso inglese ha scoperto come tali studi siano tutto fuorché imparziali dal momento che la maggior parte di queste ricercatrici «si definiscono femministe o almeno simpatizzano con gli obiettivi femministi».
Tuttavia, i dati reali hanno addirittura portato alcuni ricercatori seri ed onesti a rivedere la propria opinione riguardo l'esistenza di presunti modelli stereotipati. Tra queste, la psicologa americana Diane Halpern, intenzionata a dimostrare attraverso i suoi studi che le differenze tra i sessi fossero di natura esclusivamente sociale, si è dovuta ricredere, scrivendo, come riporta lo studioso americano Steven Rhoads nel suo interessante libro Uguali mai, che, «dopo aver passato in rassegna una pila di articoli di giornale alta dei metri, numerosi libri e capitoli di libri [...], ho cambiato idea [...] ci sono differenze reali tra i sessi, e in alcuni casi piuttosto grandi, per quanto concerne certe capacità cognitive. Senza dubbio le abitudini sociali sono importanti [...]ci sono anche valide prove che le diversità biologiche abbiano un ruolo».
Altre studiose, come Virginia Valian, si sono dedicate a studiare i comportamenti dei bambini fin da piccolissimi e ne hanno tratto conclusioni inequivocabili: «i maschietti corrono di più in giro, e quando guardano illustrazioni con passeggeri a bordo di veicoli, la loro attenzione si concentra sul veicolo, mentre le bambine guardano le persone che ci sono dentro». Differenze comportamentali riscontrate anche all'asilo dove, «quando arrivano dei nuovi giocattoli, i maschi mollano quello che stanno facendo e vanno a vedere. Quando arrivano dei bambini nuovi, sono le femmine a mostrare più curiosità».
Tali differenze si manifestano già dai primissimi anni di età, «non appena inizia una qualche forma di comportamento autonomo», troppo presto perché si possa parlare di un'influenza scaturita da una socializzazione: «I bambini si interessano a macchine, armi e fatti; piace loro rincorrersi, arrampicarsi, fare la lotta, giocare ai cowboy, e saltare. Se si dà loro una bambola, a volte la mettono a bordo di veicoli e la portano via dalla casa delle bambole oppure le sbattono la testa contro un mobile. Le bambine hanno interesse per persone, vestiti e parole; a loro piace giocare con le bambole, sussurrarsi all'orecchio, disegnare e farsi belle».

UN IDEOLOGICO CONCETTO DI UGUAGLIANZA
In tale ottica, il concetto, oggi così in voga, di uguaglianza, in inglese equity o equality, nei fatti, è un vocabolo astuto, subdolo ed ideologico, funzionale ad un progetto di sovvertimento delle strutture portanti della nostra società.
Corollario fondamentale del vero principio di uguaglianza è infatti un più generale principio di ragionevolezza alla luce del quale, «la Legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate».
Una malintesa uguaglianza, strumentalizzata ai propri fini ideologici, non è altro che decostruzione della realtà e della natura, e alla fine, ingiustizia, come quella commessa nei confronti del coraggioso ed onesto ex ingegnere Google James Damore.

Fonte: Osservatorio Gender, 12 agosto 2017

3 - FAMIGLIE NUMEROSE... CHE FORZA!
La testimonianza di una celebre giornalista australiana, primogenita di 9 figli
Autore: Christine Stoddard - Fonte: Aleteia, 18 agosto 2017

Sono la primogenita di una figliata di 9: otto femmine e un maschio. Ne sono fiera. Certo, devo ammettere che ho patito una specie di vergogna durante i miei anni adolescenziali, in particolare, quando la gente si avvicinava al nostro furgoncino o quando ci osservavano sbalorditi entrare in uno spazio pubblico.
Ormai, oggi, sinceramente, non cambierei questa condizione per niente al mondo. Se mi domandate che cosa mi spinga a pubblicare questo scritto, vi risponderò che ho letto un articolo molto interessante, domenica scorsa, sul New York Times. In questo articolo, la giornalista Lauren Sandler affermava vigorosamente che era meglio avere un solo ed unico figlio. Essendo lei stessa stata figlia unica e non avendo che un solo figlio… non mi riesce difficile comprendere che difenda un simile asserto.
Come potrete immaginare, non sono affatto d'accordo con lei. Potrei dire che i figli unici che ho incontrato sono egoisti e hanno difficoltà ad adattarsi, ma non direi tutta la verità. Di fatto, una buona parte di quelli tra loro che ho conosciuto sono persone brillanti, intelligenti, generose e meravigliose. In ogni caso, non cerco affatto degli esempi che dimostrino gli svantaggi di essere figli unici. Cerco solamente di esprimere quanto sono riconoscente di avere tanti fratelli e sorelle.
Ci sono, evidentemente, dei benefici collaterali: come il fatto di non essere mai soli di fronte a un problema; se ti ammali, qualcuno ti starà vicino… e quella sensazione che il tuo armadio sia senza fondo! Che sia sempre pieno di cose prestate! Senza dimenticare che l'educazione dei miei fratelli e sorelle resta un argomento di conversazione che si conclude molto spesso con dei silenzi imbarazzati; se ho bisogno di riderne, subito mi tornano alla mente situazioni impreviste.

IMPARARE A COABITARE
Ma c'è molto di più! A cominciare da mio padre e mia madre, che (probabilmente senza averne l'intenzione) si sono facilitati parecchio la vita genitoriale, avendo più di un figlio. Anche se non avevano sempre un'idea ben precisa di ciò che stavano facendo, avere fratelli e e sorelle ci ha insegnato a condividere e a coabitare con altre persone, con naturalezza, a tirarci su ed educarci a vicenda… È quello che possiamo definire un'accumulazione naturale di buone qualità. Quando hai dei fratelli e delle sorelle, sei ben conscio che non tutto è tuo. Una cosa estremamente apprezzabile, in un'epoca in cui l'individualismo è alle stelle. Senza il minimo sforzo, abbiamo scoperto l'interazione sociale e la risoluzione dei conflitti. Abbiamo imparato ad avere compassione, a restare coscienti dei sentimenti e dei bisogni del prossimo, e non solo dei nostri.

VEDERE LA VITA ALTRIMENTI
Abbiamo beneficiato della generosità dei nostri genitori, che ci hanno accettati l'uno dopo l'altro malgrado il fatto che si facessero beffe di loro, o senza considerare che si avvicinavano tempi duri. Papà ci ricorda che ci sono stati dei periodi, di cui non ci ricordiamo, durante i quali mamma e lui si domandavano se potevano permettersi di andare a mangiare al McDonald.
Con tanti fratelli e sorelle, non abbiamo mai avuto in mano l'ultimo grido della tecnologia, ma suppongo che questo ci abbia insegnato un po' più sulla vita, al di là delle cose che si possono avere. Abbiamo potuto sviluppare uno spirito di sana competitività, abbiamo potuto renderci conto che se anche avevamo fallito in qualcosa, non era questa una buona ragione per buttarci giù. Al tempo stesso, tutto questo ci ha stimolati ad apprezzare le qualità uniche degli altri, senza stare a fare paragoni: sia nell'ambito accademico sia in quello creativo o atletico.

LEGAMI SOLIDI
Ammesso e non concesso che abbiamo passato in rassegna tutti i vantaggi della situazione, dovrei ammettere che in più abbiamo ricevuto un regalo bellissimo: delle amicizie solide. Che sia per il semplice momento della colazione, o piuttosto per l'evento eccitante dello scegliere l'abito nuziale, non ho mai mancato di compagnia. È quello che si chiama amore, perché i miei fratelli e sorelle sono stati molto presenti nella mia vita, nei momenti peggiori e in quelli migliori.
Sono persuasa che il fatto di avere fratelli e sorelle sia un aiuto apprezzabile nella ricerca della vera felicità. Perché? Perché una persona va avanti per la strada giusta, quando realizza che la vita consiste più nel dare che nel ricevere. Con dei fratelli e delle sorelle, si arriva molto presto a questa conclusione.
E naturalmente la famiglia perfetta non esiste, ma ho pure la certezza che esistono tante persone che mi amano, incondizionatamente, quando io non ho fatto niente per meritarlo. Ecco qualcosa di decisamente speciale. Perché trascurare una così bella occasione di fondare un opificio di felicità, se ne avete la possibilità?
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

Nota di BastaBugie: sul tema dell'apertura alla vita delle famiglie numerose abbiamo pubblicato i seguenti articoli

OLTRE I DUE FIGLI LA VITA CAMBIA... IN MEGLIO!
Incontro tante donne che avrebbero voluto avere più figli... e nessuna che si lamenti di averne avuti ''troppi''
di Lindsay Boever
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3099

LE 20 FRASI PIU' STUPIDE CHE VENGONO DETTE ALLE FAMIGLIE ''NUMEROSE''
Ecco come rispondere in modo ironico oppure pacato
di Sandra Sanchez
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3715

A SANREMO GLI ANANIA CON I LORO 16 FIGLI
Intervista al padre: ''Siamo una famiglia straordinariamente normale'' (VIDEO: la famiglia Anania a Sanremo)
di Chiara Rizzo
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3627

BONUS BEBE' DI 2.000 EURO IN UNA PARROCCHIA TOSCANA: INTERVISTA AI CONIUGI CHE LO HANNO RICEVUTO
L'assegno per il battesimo dal terzo figlio in poi, alle coppie italiane sposate in chiesa
di Marco Brogi (VIDEO: intervista di Tv2000)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3884

Fonte: Aleteia, 18 agosto 2017

4 - ISCHIA: I DANNI PEGGIORI LI HANNO CAUSATI LE TELEVISIONI, NON IL TERREMOTO
Intanto a Roma i tg mostrano gli scontri per lo sgombero di immobili occupati abusivamente e ci raccontano che i migranti, poverini, hanno lanciato perfino bombole del gas sui poliziotti (che però erano brutti, cattivi e gli puzzava anche l'alito)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 Agosto 2017

Adesso che, per così dire, le bocce ischitane sono quasi ferme dopo il fattaccio del terremoto, vien voglia di stilare un bilancio complessivo. Non di quel che è successo, fin troppo noto, ma di ciò che si è visto in tivù e sui media. La prima cosa che salta all'occhio è l'accorrere di giornalisti da ogni dove. Soprattutto dall'Italia, per ovvi motivi: due povere vittime, gente rimasta senza casa. Ora, poiché negli alberghi dell'isola (e non solo) la televisione quasi mai è sintonizzata sulla Cnn, bensì sui canali nazionali, da qui l'assalto ai traghetti. Tutti i turisti in fuga.
Il terremoto ha colpito solo Casamicciola, e solo in un paio di quartieri. Eppure, Ischia, che ha altri cinque comuni, si è svuotata in una mattina. Cinque altri comuni nei quali del terremoto non si sono neanche accorti, come mi ha confermato una telefonata a un amico in loco. Comprensibile la paura dei turisti, ma l'isola non è piccolissima; tuttavia il panico non dà modo di riflettere sul fatto che un terremoto non si allarga più di tanto. Così, il vero danno il movimento tellurico l'ha fatto all'economia isolana, che letteralmente vive di turismo (ci va anche Angela Merkel a fare i bagni termali intorno a Pasqua). Ora, il turismo, da quelle parti, ha il brutto vizio di manifestarsi solo nei mesi caldi. E meno male che siamo nel Mezzogiorno, e i mesi caldi o almeno tiepidi sono cinque o sei. Così, l'ischitano in cinque-sei mesi deve guadagnare quanto basti per tutto l'anno.
Il fuggi-fuggi dei turisti lo getta in una costernazione anche peggiore di quella causata da quest'ultimo (e limitato come estensione) terremoto. Non solo. Sarà difficile che chi è scappato per così dire in pigiama torni l'anno prossimo. Di più: le immagini in mondovisione quanti altri hanno scoraggiato e scoraggeranno dall'impegnarsi in vacanze a Ischia? Per un paragone, negli stessi giorni una gigantesca frana al confine svizzero ha richiesto l'evacuazione di ben cento famiglie, ma gli svizzeri si sono ben guardati di condire la notizia con la stessa enfasi che ha portato Ischia, e tutti i giorni, in prima serata. Noi, che siamo italiani, abbiamo trovato subito il colpevole del terremoto: l'abusivismo, i materiali da costruzione scadenti, i condoni (strano che, data la regione, non sia uscita fuori la camorra). Ma a Ischia non si costruiscono case popolari dai tempi del Duce, l'ultimo intervento dello Stato è la caserma dei carabinieri a Capizzo; a Forio la caserma dei carabinieri non c'è proprio.
Si è letto di 27mila abusi edilizi, senza però spiegare che si tratta in molti casi di piccoli interventi: pergolati, tettoie, finestre, bagni. Interventi che, forse, con una burocrazia meno «italiana» sarebbero stati realizzati senza abusi. Ora, il problema è: con quali risorse si metterà in sicurezza l'isola «abusiva»? Costruire secondo le norme antisismiche, assicurare la giusta manutenzione agli edifici, evacuare dalla «zona rossa» migliaia di casamicciolesi; e poi estendere l'operazione a tutta l'isola. La quale, grazie al battage mediatico, ha un'economia letteralmente in ginocchio.
Torneranno, finita l'emergenza, i media a Ischia? Per spiegare, in diretta e in prima serata, nei tg per più giorni di fila, ai turisti che Ischia è sicura e che possono tranquillamente tornarci? Figurarsi. Come tutti gli operatori dell'informazione sanno, il disastro fa «notizia», il resto no. Per questo, prima che l'isola torni ad essere quella in cui giravano i film Vacanze a… ne passerà, ahimè, di tempo.

Nota di BastaBugie: Marco Guerra nell'articolo sottostante dal titolo "Sgomberi e scontri, il migrante non ha sempre ragione" commenta la vicenda dello sgombero di piazza Indipendenza a Roma e ripropone l'indignazione di coloro per i quali l'immigrato ha sempre e comunque ragione e il poliziotto è cattivo per definizione. Ma la questione è ben più complessa e chiama in causa l'assenza della politica, una storia di occupazione lunga quattro anni e "gestita" dai centri sociali, l'emergenza abitativa a Roma che ha visto nel solo 2016 eseguite ben 3200 sentenze di sfratto.
Ecco dunque l'articolo completo, con tutti i particolari della vicenda, pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 agosto 2017:
La vicenda dello sgombero di piazza Indipendenza a Roma ripropone l'indignazione di coloro per i quali l'immigrato ha sempre e comunque ragione e il poliziotto è cattivo per definizione. Ma i fatti avvenuti a due passi dalla stazione Termini meritano un'analisi più accurata delle accuse di razzismo lanciate dai perbenisti che, quasi sempre, si riempiono la bocca con il "diritto alla casa" senza aver mai saputo cosa significa spaccarsi la schiena per pagare l'affitto di un monolocale in estrema periferia come fanno molte famiglie, italiane e straniere, per sbarcare il lunario.
Per comprendere quello che veramente è accaduto bisogna in primis ripercorrere la storia dell'occupazione dello Stabile ex sede di Isrpa (Istituto per la protezione e la ricerca sull'ambiente) e Federconsorzi, e in secondo luogo tratteggiare l'emergenza abitativa che da sempre attanaglia la capitale.
Nessuno vuole negare il dramma che può vivere un migrante che scappa dal proprio paese, ma in questo caso è necessario smontare la narrazione dei perbenisti, secondo la quale la questura ha calpestato il diritto all'accoglienza con abuso di potere e violenza.
Anzitutto bisogna sapere che l'immobile occupato per circa quattro anni è un edificio di pregio, vincolato dalla Sovrintendenza. Circa 33mila metri quadrati, 9 piani più due interrati, con tanto di auditorium. Un edificio razionalista costruito negli anni Cinquanta e decorato con un fregio bronzeo di Pericle Fazzini. Dal 2011 proprietario del palazzo è divenuto Fondo Omega che voleva inizialmente trasformarlo in un albergo ma poi nell'ottobre del 2013 è arrivata l'occupazione dei movimenti romani di lotta per la casa, ovvero i centri sociali di estrema sinistra che in questi anni stanno strumentalizzando la disperazione di molti immigrati. Così annunciavano i militanti dei movimenti quattro anni fa: "600 rifugiati si sono riappropriati dell'ex Agenzia per la protezione dell'ambiente dimostrando che la riappropriazione e la lotta è l'unica strada per riconquistare dignità".
L'occupazione va avanti e lo stabile arriva ad ospitare circa 1000 persone, in maggioranza profughi etiopi ed eritrei. Intanto la nuova proprietà continua a pagare tutte le utenze (luce, acqua...) e nel 2015 ottiene dal tribunale la sentenza di sfratto che però non viene mai eseguita malgrado i continui solleciti del fondo immobiliare. Di fronte allo stato di pericolosità e degrado in cui versano gli occupanti si emette infine il procedimento esecutivo per lo sgombero che avviene lo scorso sabato, senza alcuna violenza. Ma diversi migranti restano accampati nel giardino di piazza Indipendenza e circa 100 persone, le più deboli con bambini, sono lasciate temporaneamente nell'edificio.
Fomentati dai centri sociali i profughi dicono chiaramente che da lì non si muoveranno. L'offerta di alloggi a Rieti o nella periferia romana vengono rifiutate perché si sono integrati in quel quartiere e lì vogliono vivere. Va spiegato infatti che piazza Indipendenza è in una posizione centralissima ed è servita anche da una stazione della linea B della metropolitana. Motivazioni surreali se si considera che decine di migliaia di giovani sono finiti negli angoli più remoti della provincia e ogni giorno sono costretti ad ore di pendolarismo per permettersi un buco dove abitare.
Giovedì la Polizia e la Prefettura tornano quindi ad agire su disposizione della magistratura, colmando la latitanza più totale delle istituzioni politiche (Comune, Regione e Governo). Il nuovo sgombero provoca la guerriglia urbana finita su tutti i tg nazionali. Sotto accusa finiscono gli agenti delle forze dell'ordine e l'uso degli idranti, senza il quale sarebbero però potute esplodere molte delle bombole di gas da 60 litri lanciate dallo stabile occupato.
Le aggressioni dei manifestanti, infiltrati dai movimenti di lotta per la casa, sono ignorate dalla grande stampa che si concentra, invece, sulle parole del dirigente di polizia che esorta i colleghi a rompere le braccia di coloro che animano le sassaiole. Minacce che non avranno alcun seguito, come dimostra il bilancio degli incidenti che vede appena due fermi e pochi feriti di lieve entità.
Con le sgombero ancora in corso arriva la condanna delle Ong, dell'Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) e dell'Unicef, mentre intellettuali e giornalisti noti e meno noti parlano di deportazione, di azione fascista e di città che "non riconoscono". In realtà chi ne ha diritto è subito assistito. Il Campidoglio in serata informa che delle 107 fragilità 20 erano state prese in carico presso il circuito di assistenza capitolino nei giorni scorsi. Altri 28, di cui 9 minorenni, sono stati collocati dopo lo sgombero. "Gli altri non hanno accettato le sistemazioni proposte ma continuano a ricevere tutta l'assistenza necessaria". Per loro - si legge sulla stampa locale - le soluzioni rimangono le stesse ovvero quelle decise mercoledì in Prefettura: centri di prima accoglienza (a Torre Maura o Boccea) oppure degli alloggi temporanei in Provincia di Rieti.
Nelle stesse ore si segnalano le lucide parole espresse dal prefetto Paola Basilone: "Cominciamo col dire che gli aggrediti, fino a prova contraria, sono stati i poliziotti". E poi ha aggiunto "Tra gli occupanti c'erano tanti soggetti infiltrati, non certo rifugiati". Emblematico anche il punto fatto sulla situazione delle grandi occupazioni che puntellano tutto il territorio della capitale: "Sono sconvolta perché sono 100, quando ero a Torino ne avevo una".
Non si può infatti sottovalutare il ruolo dei movimenti che gestiscono il circuito delle occupazioni abusive che per anni hanno strumentalizzato gli immigrati, avendo anche protezioni a livello politico che coprivano i loro blitz in tutta la città.
Ad ogni modo, gestire mille migranti in una città di 3 milioni di abitanti dovrebbe essere alla portata di qualsiasi amministrazione, se non fosse che questi vanno a sommarsi ad un'emergenza abitativa cronica.
Di sicuro sarebbe giusto vedere la stessa indignazione per le oltre 3200 sentenze di sfratto che vengono eseguite ogni anno nell'Urbe. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'Interno, nel 2016 i rilasci forzati degli immobili sono stati 3215 (circa 12 al giorno). Il numero più alto di sempre. Un più 6,11% rispetto al 2015 quando comunque si registrò un primato con quota 3030. Le sentenze di sfratto (quelli non ancora eseguiti) sono invece oltre 7000. Numeri in constante aumento e che hanno avuto uno sbalzo dopo la mancata proroga del fermo degli sfratti decisa dal ministro delle infrastrutture Lupi nel 2014. Per lo più i colpiti sono pensionati, famiglie con disabili e disoccupati che cadono nel dramma della morosità incolpevole.
Che si tratti di stranieri o italiani le soluzioni proposte sono i residence, strutture di assistenza alloggiativa temporanea, questo perché la graduatoria per l'accesso alle case popolari è ormai inaccessibile visto che oltre 10mila famiglie aventi diritto sono in attesa da anni.
Quindi chi parla di accoglienza senza se e senza ma dovrebbe tenere ben presente questi numeri, perché il far west che imperversa nella gestione degli immobili pubblici - che molti tollerano - colpisce proprio i cittadini più bisognosi di aiuto.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26 Agosto 2017

5 - AVVENIRE DIFENDE IL CAPO SCOUT GAY COME OTTIMO EDUCATORE CATTOLICO
Il quotidiano della CEI vuole aprire un tavolo di confronto per insegnare che un ragazzino può essere disinteressatamente (?!) omosessuale
Autore: Costanza Miriano - Fonte: La Verità, 22 agosto 2017

Il problema della pagina che l'Avvenire ha dedicato domenica al caso degli scout omosessuali è principalmente la collocazione all'interno del giornale: la pagina denominata catholica. Sarebbe stato più appropriato la pagina varie, o altro, o liquida, se si preferisce il latino. Perché nel modo di affrontare la questione non c'è assolutamente niente di cattolico. Se si fosse affrontata la conversazione in un qualsiasi salotto di gente non credente, ovviamente aperta, multiculturale, di larghe vedute, refrattaria ai dogmi come impone il pensiero medio, non retriva come noi cattolici che pensiamo che la Verità sia una sola possibile, gente che beve uno spritz la sera in riva al mare, sarebbero venute fuori più o meno le stesse conclusioni. Conclusioni di buon senso, forse, ma incuranti delle posizioni del magistero della Chiesa, e persino del Papa a cui forse credono di conformarsi: il caso è sempre da affrontare, bisogna discernere, includere eccetera eccetera.
Ma entriamo nel merito, con un'ultima nota preliminare. Accettare la parola gay senza neanche un cosiddetto davanti significa inchinarsi alla mentalità omosessualista di cui quella parola è figlia. La parola gay non è mai usata nei documenti della Chiesa, e si sa che la lingua è la prima scelta culturale che possiamo fare.

UN EDUCATORE CATTOLICO È UN'ALTRA COSA
Il caso, noto, è quello del capo scout di Staranzano, vicino Gorizia, che ha deciso di celebrare un'unione civile con il compagno in comune, festeggiando e dando il rilievo pubblico che una scelta definitiva e importante come questa merita. La reazione del parroco, don Francesco Maria Fragiacomo è da cattolico e da sacerdote (si vede che non era a bere lo spritz con quegli altri che hanno ispirato la pagina di Luciano Moia), perfetta: "Come cittadino ognuno può fare quello che gli consente la legge dello Stato. Come cristiano, però, devo tener conto di quale sia la volontà di Dio sulle scelte della mia vita. Come educatore cristiano, in più, devo tener conto della missione e delle linee educative della Chiesa e della mia associazione cattolica". Perfetto, da manuale. Normale, ovvio, oserei dire, per un sacerdote. Se vuoi insegnare a un bambino la matematica la devi conoscere, se gli vuoi insegnare il russo lo devi saper parlare, se vuoi educare in modo cattolico devi sapere cosa dice la Chiesa, e non puoi fregartene della tradizione, il magistero, gli insegnamenti della Chiesa costati il sangue a Cristo e a duemila anni di testimoni. Se invece vuoi insegnare ai bambini che è bello aiutare i vecchietti ad attraversare la strada, e saper costruire tende nel bosco, be', non c'era bisogno del sangue di Cristo. Quella è una bella sfida educativa, e lo dico davvero, senza ironia: si può insegnare l'educazione ai bambini, a cavarsela nella natura e ad aspettare gli altri. Belle cose. Ma siamo su un piano umano. Un educatore cattolico è un'altra cosa. La fede in Cristo è una novità, una rottura, è una notizia. Non c'entra niente coi buoni sentimenti, l'afflato fraterno, la gentilezza, l'inclusività, che sono solo conseguenze secondarie di un cuore posseduto da Cristo. Il cristiano non è uno buono, è uno cattivo come tutti che mendica da Cristo un cuore nuovo. La fede, soprattutto, non è nostra proprietà: ci è consegnata da duemila anni di storia, e noi a nostra volta la consegneremo.

SCANDALOSO AVVENIRE
Cosa scrive invece l'Avvenire, nel pezzo del collega, nel quale peraltro Dio non è nominato manco di striscio? "Non si tratta solo di stabilire se il capo scout abbia offerto una testimonianza di vita coerente con la proposta cristiana sul matrimonio e la famiglia"! incredibile. Parole che gridano vendetta. Certo che non si tratta di stabilire questo! Un'unione tra due persone dello stesso sesso NON è coerente con la proposta cristiana sul matrimonio, tanto meno sulla famiglia (perché a due maschi i figli non possono nascere, a meno che il collega non voglia ammettere che li possano comprare o adottare, cosa su cui almeno Avvenire ha le idee chiare, è stato il primo giornale a combattere l'utero in affitto, mentre sulle adozioni non saprei, ho sentito cose che mi fanno pensare a una posizione più morbida, temo). La proposta educativa su affettività e sessualità, continua Moia, "va riformulata e riattualizzata". Peccato che da nessuna parte nel magistero della Chiesa esiste questa proposizione di intenti. È davvero gravissima la confusione che ingenera l'articolo. Il giornale della Cei dovrebbe avere stampato in fronte il magistero, non è Repubblica! Gli appelli del magistero a cui fa riferimento il collega sono sempre affinché si trovi un modo per la cura pastorale delle persone omosessuali: perché, come ha detto il Papa, nessuno giudica un omosessuale che cerca Dio. Ma gli omosessuali sono chiamati alla castità (e la scelta dello scout di civilunirsi pubblicamente immagino non vada in questo senso). Gli atti omosessuali continuano a essere giudicati dalla Chiesa oggettivamente disordinati, anche se Moia si affretta a sottolineare che in Amoris laetitia questo giudizio non è ripetuto. Sottolineatura in mala fede perché il Papa ha sempre detto che sull'omosessualità lui la pensa come il catechismo, e il catechismo non è cambiato. Il Papa ha detto che il gender è uno sbaglio della mente umana, e che insegnarlo nelle scuole è come mettere i bambini in campi di rieducazione nazista o comunista. Parole sinceramente di una durezza inequivocabile. Ma è così difficile capire che la condanna della propaganda omosessualista e il giudizio sugli atti omosessuali NON è in contrasto con l'accoglienza delle persone, ma anzi, significa volere il vero Bene delle persone? Richiamare qualcuno alla castità significa dirgli "tu sei chiamato a un amore più grande", e io, Chiesa, ti accompagno nel tuo cammino per arrivarci. La tua verità non è nella tua tendenza sessuale, sia che sia etero sia che sia omo, cioè che qualcosa nella tua storia abbia incrinato il disegno di Dio su di te. Inoltre il Papa in AL quando parla delle famiglie delle persone omosessuali parla delle famiglie di origine, mai e poi mai si è sognato di definire famiglia un'unione civile. E scrive che coloro che manifestano la tendenza omosessuale devono avere gli "aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio sulla loro vita". Non scrive benediciamo le unioni civili, ma accompagniamo le persone che vivono questa tendenza alla ricerca di Dio. Parla di ricerca, di un cammino da fare, della ricerca di un percorso per chi cerca Dio pur dovendo fare i conti con una condizione, che, l'esperienza lo dice, può anche essere temporanea, perché ancora nessuno ha dimostrato l'esistenza di una omosessualità innata.

NON GIUDICHIAMO LE PERSONE, MA GLI ATTI SÌ
Fermiamoci dunque davanti al mistero che è ogni persona. Sono d'accordo. Non giudichiamo le persone, come non siamo in grado di fare neppure con noi stessi. Non condanniamo, come Gesù non ha condannato. Ma ricordiamo che il giudizio che Gesù ha dato sulla realtà, al quale cerca da due millenni di conformarsi la Chiesa, è invece un giudizio chiarissimo sulle cose, un giudizio che è un aiuto alla nostra fragilità, alla fatica che il cammino per conformarci a quel giudizio ci chiede. Giudicare non è una brutta parola, anzi, da quando Cristo è venuto a dircelo morendo per amore nostro, il giudizio, la Verità, ci rende liberi. Dal nostro peccato, dalle nostre schiavitù. Flessibilità e inclusività e accoglienza sono per gli uomini, non per le loro bugie che li condannano alla sofferenza. Ci sono tante piccole realtà cattoliche che da anni, nel silenzio, cercano di accompagnare le persone omosessuali, come Courage, Luca Di Tolve, Chiara Atzori, e psichiatri come Tonino Cantelmi che cercano di affrontare la cosa nella libertà dal pensiero unico.
La pagina di domenica scorsa mi sembra aderente alla linea molto morbida adottata da Avvenire sul tema delle unioni civili: sabato abbiamo avuto un incontro sulla famiglia col direttore Tarquinio sul tema famiglia, a Sanremo, e la percezione mia e di molti presenti (avvalorata dalla pagina sugli scout), quando si è affrontato il tema, è che il direttore non fosse contrario al riconoscimento di "alcuni diritti" (in realtà come ho cercato di dire i diritti già c'erano prima della legge Cirinnà, il cui vero obiettivo è culturale) alle persone dello stesso sesso che decidano di unirsi, purché si preservi la differenza rispetto alle unioni tra uomo e donna. Sarei molto contenta di essermi sbagliata e di scusarmi per quanto ho scritto, se venissi smentita chiaramente. Ma mi pare che le conclusioni implicite del discorso ampio e articolato del direttore su natura e cultura, sulla necessità di non giudicare i sentimenti di nessuno, e sui diritti dei "figli" di coppie dello stesso sesso fosse questa. Ripeto, aspetto smentita, anzi la anelo, perché è rimasta solo la Chiesa a dire la Verità alle persone omosessuali, a prospettare loro un altro modo di guardare alla loro storia, e sarebbe per me una grande gioia vedere una Chiesa coraggiosa e unita, senza paura di sembrare fuori moda, orgogliosa di essere erede di Cristo e della Verità, con la certezza che tutti, anche i più insospettabili di noi, dentro siamo incoerenti bugiardi gretti e incapaci di qualsiasi bene, qualunque sia la tendenza sessuale, e che solo Cristo viene a dirci le parole che ci liberano e ci rendono felici.

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo sottostante dal titolo "Capo scout gay, la macchia in bella vista di Avvenire" parla del nuovo affondo di Avvenire sulla vicenda di Staranzano. Si inserisce in quel piano omoeretico per sdoganare l'omosessualità che la testata sta portando avanti da tempo. Da qui la trovata: aprire un "tavolo di confronto sul tema dell'educazione alla sessualità e all'affettività" per insegnare che un ragazzino puoi essere "disinteressatamente" omosessuale.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 agosto 2017:
Se vi macchiate un vestito, cosa fate? Cercate di lavar via la macchia oppure la lasciate tentando addirittura di metterla ben in evidenza? Avvenire ha scelto la seconda soluzione. Il caso del capo Scout Agesci di Staranzano convolato nel giugno scorso ad unione civile con un locale consigliere comunale non è per il quotidiano della Cei un brutto affare di famiglia che dovrebbe spingere molti in casa cattolica a chiedersi "Ma dove siamo andati a finire?", ma è un'occasione straordinaria - così si legge in un articolo di Luciano Moia del 20 agosto - per "riflettere in modo responsabile sull'efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev'essere probabilmente riformulata e riattualizzata".
Il lettore ben disposto interpreterà così l'invito di Avvenire: educhiamo i ragazzi affinchè comprendano che l'uomo è attratto verso la donna e viceversa e che per Dio non c'è altro orientamento sessuale se non questo. Il suddetto lettore peccherebbe di ingenuità e di conservatorismo. Infatti per Moia esiste un'alternativa al piano di Dio: una via mediana da tracciarsi tra gli attivisti gay e il Magistero che considera l'omosessualità come una condizione intrinsecamente disordinata. Una via di mezzo tra i sollazzi della carne e le asperità della legge divina, un accomodamento morale ad uso e consumo per gli spiriti indeboliti e sfiancati dal troppo sesso, una versione semplificata della morale per i violatori recidivanti del sesto comandamento.
La penna del giornalista è intinta nell'inchiostro della cautela e quindi la sua proposta si declina furbamente nel periodare interrogativo: "Esiste una via mediana capace di valorizzare per esempio la categorie dell'amicizia disinteressata - di cui parla anche il Catechismo (n.2359) - nella consapevolezza che la sessualità può essere vissuta in modi differenti pur rimanendo espressione d'amore?". La risposta è facile: no, non esiste una via mediana, perché sull'omosessualità non ci può essere compromesso e la sessualità non può essere vissuta "in modalità omosex" perché non sarebbe amore. Così come non esiste una via mediana all'adulterio - che i coniugi tradiscano solo di tanto in tanto - al furto - rubiamo solo ai ricchi e in certi giorni - alla menzogna - chiudiamo un occhio sulle menzogne fatte a fin di bene.
L'amicizia disinteressata indicata dal Catechismo non è quella tra due omosessuali che rimangono solo amici ma non dividono il letto. Perché il peccato morale dell'omosessualità non riguarda solo i rapporti carnali, ma anche gli affetti. Se l'omosessualità è una condizione disordinata tutto ciò che promana da essa - pensieri, atti, emozioni, desideri, etc. - è altrettanto disordinato. Negli effetti si riverberano alcuni aspetti della causa. L'amicizia disinteressata suggerita dal Catechismo è invece quella di un credente che accompagna la persona omosessuale alla conversione, cioè ad abbandonare le condotte omosessuali e a superare, nei tempi e modi opportuni, la propria omosessualità. L'aggettivo "disinteressata" esprime un significato diametralmente opposto a quello attribuito da Avvenire: un'amicizia che non deve essere di natura omosessuale.
Moia cerca giustamente "ipotesi di vita buona" e le può trovare proprio nel n. 2359 da lui citato, perché lì si trova la ricetta per vincere l'omosessualità: "Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana". Castità, padronanza di sé, sostegno degli altri, preghiera e grazia sacramentale. L'omosessualità è vecchia come il mondo - mica vero, come dice l'arcivescovo di Gorizia Mons. Redaelli, che "si è di fronte a questioni nuove" – e non volete che la Chiesa non abbia già trovato la medicina giusta per questo tipo di malattia dell'anima?
In realtà e più banalmente l'articolo di Avvenire si inserisce in quel piano omoeretico per sdoganare l'omosessualità che la testata sta portando avanti da tempo. Da qui la trovata: aprire un "tavolo di confronto sul tema dell'educazione alla sessualità e all'affettività" per insegnare che tu ragazzino puoi essere "disinteressatamente" omosessuale. Il caso del capo scout quindi non viene visto come una iattura, bensì come una benedizione: è il rompighiaccio per allentare la morsa a danno dei rapporti omoerotici. Staranzano sta all'omosessualità, come Seveso stava all'aborto. Un'occasione d'oro per rendere presentabile l'impresentabile.
Per riuscire in questo intento occorre però sbarazzarsi di alcune cosucce che nel cattolicesimo fanno problema. Ad esempio i divieti. Bisogna procedere in modo più sfumato e sostituire i divieti con i discernimenti, termine che sta a significare "questo è vietato dalla Chiesa ma noi troveremo il modo per farlo lo stesso". Ed infatti Moia scrivere che è necessario "verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del 'si può', 'non si può'". Sterile dunque quel San Paolo che ricordava che la legge di Dio la quale vieta alcuni atti è fatta anche per i sodomiti (1 Tim. 1,9) e che vedeva il Paradiso vuoto di persone che volutamente hanno abbracciato l'omosessualità (1 Cor. 6,9-10). Per tacere di Sant'Agostino, San Gregorio Magno, San Pier Damiani, San Tommaso D'Aquino, Santa Caterina e San Bernardino da Siena che, forse peccando di mancanza di discernimento, non imboccavano vie mediane quando parlavano di omosessualità. Male poi ha fatto Dio a distruggere Sodoma e Gomorra, avrebbe invece dovuto discernere caso per caso, abitante per abitante.
Vero è, come scrive Moia, che le sensibilità odierne sono mutate rispetto ad un tempo, cioè - esplicitiamo noi - sono ancora più ottuse nel cogliere il vero e il bene. Giusto quindi tentare di sintonizzarsi sulla frequenza d'onda del nostro interlocutore - solo un troglodita attaccherebbe il discorso con una persona omosessuale minacciandola delle pene dell'inferno (anche se, mutatis mutandis, gli oncologi non si stancano di ripetere che le sigarette uccidono) - ma non per confermarlo nell'errore, ma per trarlo dall'errore.
Tornando infine al caso di Staranzano e alla decisione se mettere alla porta il capo scout omosessuale, la questione non è, come scrive il giornalista, "tanto delicata e complessa", ma molto semplice. Voi mettereste a capo dell'Avis il Conte Dracula?

Fonte: La Verità, 22 agosto 2017

6 - LA PERFETTA LETIZIA DI SAN FRANCESCO
In un celebre fioretto, il santo di Assisi spiega a Frate Leone che siamo veramente felici quando verso gli altri non abbiamo nessuna pretesa (nemmeno legittima)
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Libertà e Persona, 21 agosto 2017

Quando si parla di san Francesco, il pensiero corre al Cantico delle Creature, che tutti abbiamo studiato come primo documento della letteratura volgare. Riassunto in soldoni, il Cantico insegna ad andare a Dio tramite le sue creature. Dice cioè di un amore per la realtà, per il mondo, per il suo essere portatore di tracce divine. Come osservando un quadro di Giotto o la Pietà di Michelangelo riusciamo a comprendere qualcosa dell'intelligenza, della genialità dei due artisti, così il Sole, la Luna, l'acqua, il fuoco sono doni di Dio, che a lui ci devono condurre.
Dalle creature al Creatore; dalle "perfezioni" visibili, a quelle invisibili. Poi il pensiero corre a Madonna Povertà, di cui ci parla Dante nell'XI canto del Paradiso, e tutti immaginiamo un uomo che rinuncia alle ricchezze del padre, alle glorie del mondo, per una vita all'insegna dell'amore di Dio, della semplicità, della povertà. Ma la povertà esteriore, il rude saio francescano, mi sembra, è solo l'aspetto più evidente, esteriore, della povertà francescana. Per questo talora si può ridurre Francesco ad un pauperista. In realtà avrebbe faticato di più, senza dubbio, a comunicarlo, ma Francesco sarebbe stato povero, in senso evangelico, anche se fosse stato costretto a vivere in una reggia, a fare il re, il principe o papa. Del resto, quanti pontefici, quanti sovrani, nella storia, sono stati capaci di un distacco ascetico non solo dalle ricchezze (tentazione, per il vero, degli spiriti più rozzi), quanto dal potere?
Ecco dunque che la povertà cristiana di Francesco è anzitutto povertà, diciamo così, dall'orgoglio. I catari, contemporanei di Francesco, vivevano anch'essi una povertà radicale; ma si consideravano "puri", perfetti, facevano mostra della loro ascesi (in verità disprezzo per la realtà creata), presentandosi come santi. Erano, però, uomini orgogliosi, incapaci di accettare il limite imposto dalla realtà, i limiti della carnalità e della finitudine umana. Dei, pretendevano di essere, incarcerati nel corpo e nel mondo, tesi a protestare la loro grandezza, la loro divinità, la loro santità, contro la caducità del Sole, della luna, delle stelle, del corpo... e contro l'ingiustizia e la malvagità degli altri uomini e, a detta loro, di Dio.
In cosa consiste allora la povertà di Francesco? Oserei dire nella sua letizia. Così espressa in un celebre fioretto.

LA PERFETTA LETIZIA
"Avvenne un tempo che san Francesco d'Assisi e frate Leone andando da Perugia a Santa Maria degli Angeli, il santo frate spiegasse al suo compagno di viaggio cosa fosse la perfetta letizia. Era una giornata d'inverno e faceva molto freddo e c'era pure un forte vento e... mentre frate Leone stava avanti, frate Francesco chiamandolo diceva: frate Leone, se avvenisse, a Dio piacendo, che i frati minori dovunque si rechino dessero grande esempio di santità e di laboriosità, annota e scrivi che questa non è perfetta letizia. Andando più avanti San Francesco chiamandolo per la seconda volta gli diceva: O frate Leone, anche se un frate minore dia la vista ai ciechi, faccia raddrizzare gli storpi, scacci i demoni, dia l'udito ai sordi... scrivi che non è in queste cose che sta la perfetta letizia... E così andando per diversi chilometri quando, con grande ammirazione frate Leone domandò: Padre ti prego per l'amor di Dio, dimmi dov'è la perfetta letizia. E san Francesco rispose: quando saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento. E il frate portinaio chiederà: chi siete voi? E noi risponderemo: siamo due dei vostri frati. E Lui non riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l'elemosina ai poveri, non ci aprirà lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte. Allora se noi a tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro confratello, anzi penseremo che egli ci conosca... allora frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia...".

LA RICCHEZZA CHE NESSUNO POTRÀ MAI TOGLIERCI
Cosa dice Francesco? Che chi è povero di sé, chi è povero di orgoglio, cioè chi non lega la propria "autostima" ai fatti, alle circostanze, al successo, alla fama, al riconoscimento degli altri, è veramente lieto. Nessuno infatti può portagli via nulla, perché ciò che gli sta a cuore non sono gli sguardi degli uomini, ma il sentirsi guardato, giudicato, amato da Dio.
Cosa importa, alla letizia francescana, se i frati, che lui ha fondato, non aprono la porta? Se proprio chi dovrebbe essere riconoscente, non lo è? Se non solo i nemici, ma persino gli amici, criticano e denigrano ingiustamente? Cosa importa se gli altri esaltano, o se al contrario, diffamano? Nulla di tutto questo è veramente importante. I francescani potrebbero dire "omnia mea mecum porto", ma non alla maniera degli stoici: con una umiltà nuova, quella per cui la ricchezza che nessuno potrà mai toglierci è l'essere figli di Dio. E' la fiducia totale nella sua vicinanza. Quanto più ci saremo spogliati di noi stessi, delle nostre presunzioni e pretese, persino, talora, di quelle giuste, tanto più saremo lieti.

DOSSIER "SAN FRANCESCO"
Quello vero!

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Fonte: Libertà e Persona, 21 agosto 2017

7 - CONVIVENZA O MATRIMONIO?
Oggi, anche secondo molti ''cattolici'', sposarsi non aggiunge niente, ma non è così: il sacramento trasfigura la relazione e sostiene i coniugi nelle difficoltà
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Il Timone, giugno 2017 (n.164)

Direi che la differenza fondamentale tra sposarsi e convivere è nel numero di persone coinvolte. Due conviventi se la vedono tutta da soli; due che si sposano chiamando Dio in soccorso, invece, chiedono a lui la grazia di fare questa cosa impensabile e più che umana: amare per sempre. E insieme chiedono anche ad altri di essere testimoni della loro promessa. Chiedono alla società - dagli amici e i parenti fino alla più alta istituzione - di essere garanti della loro unione, che non è solo un affare privato, ma un bene comune.

DIO CI RENDE CAPACI DI AMORE OLTRE I NOSTRI LIMITI
Nel caso di una convivenza sono loro due, gli innamorati, gli unici protagonisti della storia: ci sono solo i loro sentimenti, le loro promesse scambiate in privato, magari con tutta la serietà possibile, con tutti i sentimenti e la convinzione e le migliori intenzioni. Nel caso del matrimonio cristiano, invece, due persone che, come tutti, desiderano un amore illimitato, totale, perfetto, indefettibile, incrollabile, chiedono a Dio di renderlo possibile, perché sanno che il nostro desiderio è illimitato, mentre il nostro cuore, al contrario, è limitatissimo, inaffidabile, volubile, fragile, e solo Dio, che è amore, ci rende capaci di un amore che va oltre i nostri limiti. È solo da una relazione con lui che veniamo piano piano guariti, redenti, e capaci di un amore così grande come dare la vita per il nemico. Perché a volte nel combattimento della vita, nel cammino di conversione, lo sposo è proprio il nemico, cioè la persona che ti fa fare la fatica più grande. E poi ci sono gli altri: i fratelli nella fede nel caso del matrimonio cristiano, amici non di lui o di lei, ma amici della famiglia che nasce nel giorno del matrimonio: il primo figlio generato dalla coppia infatti è proprio il noi due, che tendiamo verso una sola carne, in un cammino che dura tutta la vita.
Gli amici della famiglia saranno quelli capaci di offrire riparo nelle tempeste, aiuto nelle emergenze, quelli capaci, se servirà, di prendere a pugni lui se se ne vuole andare con la segretaria, o a schiaffi lei se si innamora di quello che le fa gli occhi dolci. Perché i veri fratelli nella fede non sono amici di lui o di lei da soli, sono amici della coppia, e hanno ben chiaro che è un bene che la famiglia resista alla tempesta - la tempesta arriverà di certo - e non saranno mai di quelli che dicono "trova te stesso, vai in fondo al tuo desiderio». Per quanto io non capisca come si possa pensare di sposarsi se non cristianamente - solo Dio può, pur nella cultura in cui siamo immersi, consentirci, col suo aiuto, di realizzare un matrimonio per sempre - sicuramente anche nel matrimonio civile c'è qualcosa, anzi, c'è molto di più che nella convivenza. Si prende un impegno davanti alla comunità, e la comunità, almeno in teoria, dovrebbe riconoscere che in questa scelta c'è un bene per la collettività. Uso il condizionale perché, per come la vedo io, da quando si è riconosciuta la possibilità di sposarsi anche alle persone dello stesso sesso, lo Stato ha smesso di riconoscere il bene oggettivo comune (in coppie programmaticamente sterili non c'è un bene per la collettività).

UNA CONDIZIONE ANSIOGENA
La convivenza, rispetto al matrimonio, ha un elemento di debolezza anche semplicemente umano: non c'è, programmaticamente, una decisione definitiva e totale. Che la cosa sia espressa, che sia consapevole o meno, quando si va a convivere lo si fa perché si sta bene insieme, ma la porta di casa rimane, per così dire, aperta. Se uno non si trova più bene, può aprirla e andarsene: e ciò è molto ansiogeno, come documentano vari studi, che smentiscono la tesi della convivenza come condizione più serena rispetto al matrimonio: dati alla mano risulta l'inverso, mediamente. Il metro di valutazione della relazione è il sentire dei due conviventi. Anche se non lo si dice, è come se ci si chiedesse continuamente se le cose vanno bene o no, e quando smettono di andare bene, ci si lascia.
Quando si è sposati il punto di vista è capovolto. Non mi chiedo più se va bene, ma come far andare bene le cose, visto che devono andare.

LE EMOZIONI NON BASTANO
Ma il punto centrale di tutta la questione, mi dispiace ripetermi ma la cosa è troppo importante, è che l'uomo da sé non è capace di amore, di un amore eterno e grande come quello che desidera il nostro cuore, ferito a morte dal desiderio di eterno, e guaribile solo da un amore che profumi, che sappia di eterno.
Il motivo della crisi dei matrimoni dunque ha sicuramente a che fare prima di tutto con una crisi di fede, che non con ragioni sociologiche. Caduto l'esoscheletro sociale che teneva in piedi le famiglie - la famiglia come cardine - un'unione può sperare di essere indissolubile solo con la grazia di Dio, mentre oggi l'idea promossa dal pensiero unico è che basti la buona volontà, che i buoni sentimenti siano sufficienti.
È per questo che il tema del matrimonio mi appassiona tanto.
Il fatto è che in gioco è qualcosa di grande: è la verità sull'uomo. Questo desidero ascoltare da mia madre, la Chiesa, questo desidero capire. Ecco, quello che sperimento io, da moglie e mamma ma prima ancora, molto prima, da donna, è che c'è qualcosa in me che non funziona. È che io non sono capace di bene, da me sola. Credo sia il grande equivoco che è alla base di tanti errori contemporanei. Quella che si tenta di annunciare oggi è l'autosufficienza dell'uomo. Ma i buoni propositi e buoni sentimenti, anche ammessa la buona fede di chi cerca di diffonderli, si scontrano con la realtà che la natura umana, ferita dal peccato originale, ha bisogno di essere guarita dal medico, dal salvatore, dall'unico che può permetterci di dire "ti amerò per sempre", cioè da Dio. Solo a partire dall'incontro con lui potremo promettere qualcosa di eterno. Non perché sarò io a farlo, ma perché sarà qualcuno che lo farà in nome mio. A lui chiedo aiuto, oggi, e per tutti i giorni della mia vita.

Fonte: Il Timone, giugno 2017 (n.164)

8 - LO STATO LAICO? NON ESISTE
Per mostrare i paradossi e le contraddizioni della nozione di Stato laico è sufficiente rispolverare la recente storia d'Italia
Autore: Enrico Maria Romano - Fonte: Libertà e Persona, 26 agosto 2017

Il problema dello Stato laico è onnipresente, e benché di norma in penombra nei dibattiti da salotto tv, resta in un certo senso insuperabile. Dietro alle derive dell'islam politico terroristico, che ormai ha insanguinato metà delle storiche nazioni dell'Europa (ex) cristiana, come Spagna Francia Germania Russia e Scandinavia, c'è evidentemente il problema dell'accoglienza di persone di diversa religione, e dell'armonizzazione tra islamismo e tradizione cristiana.
Armonizzazione che la destra e i conservatori solitamente avversano, mentre i laicisti ammettono a priori, vedendo nelle masse islamiche delle periferie quei nuovi ceti popolari che dovrebbero essere difesi al posto degli operai i quali, aggrediti dalla realtà e danneggiati proprio dai moti migratori, ormai da decenni votano reazionario.
Ma per mostrare i paradossi e le contraddizioni della nozione di Stato laico è sufficiente rispolverare la recente storia d'Italia.

DOMANDE SENZA RISPOSTA
Lo Stato italiano dal 1870 al fascismo fu uno Stato laico? E lo Stato italiano sotto la guida di Benito Mussolini era laico, laicista o clericale (specie dopo il Concordato del '29), o tutte e tre assieme? L'impossibilità di rispondere in modo incontrovertibile a siffatte domande è un forte argomento per sostenere che tutta la mitologia politica della laicità riposa su un abuso di linguaggio. Abuso di linguaggio voluto fortemente dai laicisti per decostruire la politica come essa è in un dato momento storico, a profitto della scristianizzazione più totale, dell'accoglienza indiscriminata, del progresso democratico rappresentato da conquiste come le nozze gay, la fecondazioni assistita, il divorzio express, il diritto alla bestemmia, etc. etc.
Sei contro le nozze gay e l'idea che un neonato cresca con due padri, oppure contro l'utero in affitto e la teoria del gender? Allora ti stai opponendo al moloch dello Stato laico. E se ti opponi ad esso, non hai più voce in capitolo. Chiaro il sofisma?
Ma: la mitizzata Repubblica italiana che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale (1939-1945) e che ha trovato un fondamento assiologico nella Costituzione del 1948 è uno Stato laico?

TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO
E' evidente che si potrebbe dirne di tutto e anche il contrario di tutto. Se si affermasse che essa Repubblica parlamentare, dopo il 1945 e sino ad ora, non sia laica (abbastanza), è evidente che allora si porrebbero una serie di questioni, a prima vista insolubili. Perché mai per esempio festeggiare la Liberazione ogni 25 aprile in mancanza di una parallela laicizzazione della politica e delle istanze di governo? E se la Costituzione non ha dato luogo ad uno Stato davvero laico, neppure dopo mezzo secolo, essa diviene fragile e in qualche modo ridicola e inetta. Tutto ciò, se si voglia sostenere che lo Stato italiano dopo il 1945 non sia (ancora) uno Stato (pienamente) laico. Se invece lo è, si aprono altri interrogativi e altri dubbi non meno angosciosi, specie per il laicista di stretta osservanza.
Lo Stato sarebbe divenuto laico con la Repubblica post-fascista? Ma allora anche uno Stato che ammette la censura e l'autorità del pater familias, o che vieta il divorzio e l'aborto - tutte cose tipiche dell'Italia nei decenni successivi alla proclamazione della Costituzione (più bella del mondo) - sarebbe laico! E questa, per chi non crede affatto alle virtù taumaturgico-sociali della laicità, sarebbe una magnifica sorpresa.
Uno Stato laico - democratico, progressista e moderno - che però (anzi senza però) non approva nessuna delle conquiste della cosiddetta società civile dell'ultimo mezzo secolo (tutte a base di femminismo, giacobinismo, pansessualismo e nichilismo): ecco che questo Stato potrebbe interessare molti che con la storia italiana-occidentale della laicità non hanno molto a che spartire...
Ma in realtà, e al di là delle mille possibili riflessioni sul tema, la nostra convinzione è che l'aggettivo laico, specie se aggiunto al sostantivo Stato (Etat laïc) non significa niente, proprio perché significa troppo e contiene elementi contraddittori al suo interno. Persino ciò che pareva laico ieri, pare a volte clericale o fascista oggi, almeno secondo i portavoce ufficiali del laicismo politico.

MA ALLORA?
Allora, ci pare strumentale discettare sulla presunta mancanza di laicità di questo o quel paese. Esiste infatti un concetto interamente cattolico di laicità, accennato da Pio XII e ripreso dal cardinal Joseph Ratzinger molti anni dopo (si veda in proposito lo studio sempre attuale di Stefano Fontana, Per una politica dei doveri, dopo il fallimento della stagione dei diritti, Cantagalli, 2006).
Il 23 marzo 1958, papa Pacelli in un'allocuzione ai marchigiani dell'Urbe disse così: "Vi è, in Italia, chi si agita, perché teme che il cristianesimo tolga a Cesare quel che è di Cesare. Come se dare a Cesare quello che gli appartiene, non fosse un comando di Gesù; come se la legittima sana laicità dello Stato non fosse uno dei principi della dottrina cattolica; come se non fosse tradizione della Chiesa il continuo sforzo per tenere distinti, ma pure, sempre secondo i retti principi, uniti i due Poteri; come se, invece, la mescolanza tra sacro e profano non si fosse più fortemente verificata nella storia, quando una porzione di fedeli si è staccata dalla Chiesa".
Chi ha orecchie per intendere, intenda. E ciò sia detto sia per gli anticlericali vecchi e nuovi, che per i neo-clericali (assai più patologici dei primi) che vorrebbero il papa come capo di Stato, presidente della Repubblica e primo ministro.

Nota di BastaBugie: di Stefano Fontana, autore citato nell'articolo, abbiamo pubblicato diversi articoli. Eccone alcuni link qui sotto

LIBERTA' DI RELIGIONE E DOVERI POLITICI VERSO LA VERA RELIGIONE
Le religioni possono godere di un vero rispetto solo dentro una civiltà in cui politica e fede cattolica tornino a saldarsi
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4153

LA CENTRALITA' DI DIO NELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA
Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4393

LO STATO COSTRINGE A FARE IL MALE: CI VUOLE UNA NUOVA ARCA DI NOE'
La soglia del totalitarismo è stata superata: bisogna creare iniziative ed opere libere, cioè al di fuori dello Stato
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4602

Fonte: Libertà e Persona, 26 agosto 2017

9 - OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 16,21-27)
Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 3 settembre 2017)

Dopo la confessione solenne che san Pietro fece della divinità di Gesù Cristo sarebbe sembrato logico che quella grande verità fosse stata divulgata in mezzo al popolo; invece il Redentore comandò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che Egli era il Cristo. Il dirlo avrebbe attratto su di essi l'ira degli scribi e dei farisei, la quale, cogliendoli ancora impreparati, li avrebbe travolti. D'altra parte essi in quel momento avrebbero travisato la verità, aspettando, come tutti gli Ebrei, il regno trionfante del Messia ed avrebbero potuto provocare un movimento politico nel popolo per far proclamare re temporale il Redentore. Gesù Cristo volle prepararli a concezioni diametralmente opposte a quelle che essi avevano su di Lui, e cominciò a parlare loro della sua Passione e della sua futura risurrezione. Gli apostoli non badarono tanto all'annunzio della risurrezione, e si sgomentarono della profezia delle lotte e delle pene.
San Pietro, proprio come capo allora allora proclamato, credette di intervenire con autorità e, preso in disparte Gesù, cominciò a rimproverarlo del discorso fatto, e ad annunziargli con una presuntuosa sicurezza che ciò che Egli aveva detto non doveva avverarsi di Lui e non si sarebbe avverato.
Era lo stesso che volere sconvolgere i piani della provvidenza, era lo stesso che voler impedire la redenzione: quelle parole erano una tentazione. Satana indusse Pietro a pronunziarle quasi per vendicarsi della confessione solenne che aveva fatta della divinità del Redentore, e per questo Gesù lo chiamò satana e lo scacciò lontano da sé.
Il suo amore fu immenso nell'annunziare la sua Passione, poiché gli tardava il momento di dare la vita per noi, e le parole inconsiderate di san Pietro gli ferirono il Cuore acceso d'infinita carità.
Non c'era da illudersi con aspirazioni terrene, non c'era d'aspettare un trionfo politico; Egli doveva e voleva immolarsi, e chi avrebbe voluto seguirlo doveva andargli dietro caricato di croce, dopo aver rinnegato se stesso, la propria volontà e le proprie aspirazioni. Non c'era altra via di salvezza e chi avesse voluto salvare la propria vita, cioè conservare le sue false gioie e le sue illusioni, avrebbe perduto la vera, la nuova vita che Egli veniva a dare alle anime. Egli non veniva a restaurare un regno terreno né valori materiali, ma veniva a restaurare il regno dello spirito e i valori soprannaturali. Che cosa, infatti, avrebbe portato di bene all'anima una restaurazione temporale? Anche se avesse portato la prosperità che cosa sarebbe stata questa piccola prosperità di fronte ai supremi ed eterni interessi dell'anima?
La vita passa e viene il giorno nel quale si deve rendere conto di tutto al Giudice eterno; allora nulla varranno onori, ricchezze e piaceri, poiché nulla può darsi in cambio dell'anima.
Nel giorno del giudizio Gesù Cristo verrà nella gloria del Padre suo, cioè nel fulgore della sua divinità, e renderà a ciascuno quello che avrà meritato; il merito non potrà computarsi con la misura che ha il mondo; tutto quello che fa grandi sulla terra sarà nullità in quel giorno, e perciò torna conto di rinnegare se stessi, prendere la croce e camminare in compagnia del Re divino verso l'eterna vita.
Queste parole avrebbero potuto scoraggiare gli apostoli, e forse già si affacciava nel loro cuore una nascosta delusione. Avevano sospirato al regno glorioso del Messia, e sentivano parlare di abnegazione, di croce, avevano sperato una immediata proclamazione del Re, trionfatore dei nemici d'Israele, e sentivano parlare di dover perdere tutto per poter guadagnare un regno invisibile; il loro cuore stava per naufragare nel dubbio e perciò Gesù li confortò annunziando vicino il suo regno, e dicendo che alcuni di quelli che erano presenti avrebbero visto la sua venuta prima di morire.
Venuta di Dio nelle Scritture significa giudizio di Dio e manifestazione della sua potenza (cf Is 3,14; 30,27; 66,15-18; Ab 3,3ss); Gesù, avendo parlato della croce e avendo accennato al giudizio, suprema manifestazione della sua potenza, predice una prima manifestazione di questo giudizio nel castigo che avrebbe avuto Gerusalemme ingrata, castigo che sarebbe stato relativamente a breve scadenza e che alcuni di quelli che lo ascoltavano avrebbero visto. Allora il suo regno si sarebbe dilatato in tutto il mondo e la Chiesa si sarebbe affermata maggiormente. Con questa speranza gli apostoli sentirono che si preparava qualche cosa di grande in un prossimo futuro, e sentirono il coraggio di seguire ancora Gesù Cristo.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 3 settembre 2017)

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