BastaBugie n�563 del 13 giugno 2018

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1 LA VERITA' SUI MIGRANTI DELLA NAVE AQUARIUS
Inaccettabile la presenza di giornalisti sulla nave della ong con lo scopo premeditato di accusare gli italiani di essere un popolo egoista come uno che prende il sole sulla spiaggia e non aiuta un gruppo di poveri naufraghi
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 CI VOGLIONO PIU' ASILI NIDO: TUTTI I PARTITI ITALIANI SI ADEGUANO AL DOGMA DEI REGIMI COMUNISTI
Furono i regimi comunisti (ad es. la DDR, la Germania dell'est) a sottrarre l'educazione dei bambini ai genitori per affidarla a strutture pubbliche (80% agli asili nido, 95% alla materna); oggi in Italia ci hanno convinti che è per il ''bene del bambino''
Autore: Samuele Cecotti - Fonte: Vita Nuova
3 NEL MONASTERO SI REALIZZA LA PERFETTA SOCIETA' CRISTIANA
La clausura è la prova vivente che accettare senza riserve di vivere pienamente il Vangelo in questo mondo è possibile (e gioioso)
Autore: Madre Ildegarde Cabitza - Fonte: Beata Pacis Visio
4 NEANCHE UNA RIGA SU TIENANMEN SUI GIORNALI ITALIANI: IL REGIME CINESE HA VINTO
Corriere, Repubblica e gli altri si sono dimenticati del 29esimo anniversario del massacro in Cina, ma ci hanno parlato dello sciopero contro i robot a Las Vegas, la difesa delle sbronze universitarie da parte del premio Nobel Malala, una nuova bevanda del Giappone, ecc.
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
5 IL FERRERO ROCHER E LE APPARIZIONI A LOURDES
Il fondatore della Ferrero era un uomo di fede, molto devoto delle apparizioni a Santa Bernadette alla grotta ''Rocher de Massabielle'' (da cui il nome del cioccolatino)
Autore: Zelda Caldwell - Fonte: Aleteia
6 L'EUGENETICA E' FIGLIA DELL'EVOLUZIONISMO
L'eugenetica di Francis Galton, cugino di Darwin, si presenta come la tecnica adatta a correggere gli errori dell'evoluzione della specie, eliminando fisicamente chi è fisicamente indegno (VIDEO: Nazismo ed eutanasia)
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 UNA LEGGE AUSTRALIANA OBBLIGA I SACERDOTI A RIVELARE LE CONFESSIONI DEGLI ABUSI SESSUALI
Ma l'arcivescovo Prowse ha ricordato il dovere di non obbedire alla legge degli uomini, ma a quella di Dio (che prevede il segreto confessionale)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
8 MELISSA OHDEN, SOPRAVVISSUTA A UN ABORTO COME GIANNA JESSEN, MA MENO FAMOSA DI LEI PERCHE' CATTOLICA
Anche lei sottoposta ad aborto salino, è viva grazie a un'infermiera che l'ha sentita vagire e l'ha raccolta
Fonte: Notizie Provita
9 OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 4,26-34)
Il seme germoglia e cresce
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - LA VERITA' SUI MIGRANTI DELLA NAVE AQUARIUS
Inaccettabile la presenza di giornalisti sulla nave della ong con lo scopo premeditato di accusare gli italiani di essere un popolo egoista come uno che prende il sole sulla spiaggia e non aiuta un gruppo di poveri naufraghi
Autore: Stefano Fontana - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/06/2018

Vicende come quella della nave Aquarius e dei porti italiani bloccati dal ministro Salvini ci vengono presentate, con un ricatto morale, come questioni personali di coscienza di ognuno di noi. Come se fossimo su una spiaggia calabra o siciliana e vedessimo all'improvviso un profugo che, sbracciandosi, ci chiede aiuto. É evidente che continuare a passeggiare sulla spiaggia o prendere il sole mentre l'altro grida aiuto è un atteggiamento immorale e disumano. Un discorso simile viene fatto per la nave Aquarius, come se gli italiani fossero un popolo spensierato ed egoista steso a prendere il sole sulla spiaggia e non volesse rispondere alla richiesta di aiuto di un gruppo di poveri naufraghi.
Posta così, la questione si configura come un ricatto morale. Ed anche come un ricatto religioso, quando gli ecclesiastici, come ha fatto per esempio il cardinale Ravasi, se la cavano con un tweet di citazione evangelica su "ero straniero e mi avete accolto" per condannare come anticristiana qualsiasi politica seria di governo dell'immigrazione.
Questo tipo di impostazione morale è una forzatura. Nel caso della Aquarius (e non solo, come sperimentiamo ormai da tempo), i richiedenti aiuto non sono naufraghi come nell'esempio fatto sopra, ossia non sono persone che hanno subito una disgrazia improvvisa in mare dopo la quale ci si sono presentati davanti per chiedere aiuto. Essi sono stati portati lì, davanti alla nostre coste, come sono stati portati lì tanti altri prima di loro.

LE DOMANDE A CUI NESSUNO RISPONDE
Sono stati portati lì da Organizzazioni non governative sulla cui connivenza con la criminalità organizzata lo stesso Governo ha espresso sospetti. In molti casi convogli di questo genere che puntavano su altre spiagge diverse da quelle italiane, per esempio le coste spagnole, sono stati dirottati da quelle autorità verso le nostre coste. Ora il neopresidente del consiglio spagnolo Sánchez si dichiara pronto ad accogliere la Aquarius a Valencia, ma in passato i suoi predecessori hanno fatto il contrario.
Si può essere certi che solo una minima parte del carico umano della Aquarius è fatta di profughi (nonostante i giornali li chiamino tutti così per realizzare meglio il ricatto morale) ossia di persone che scappano da una guerra o da una persecuzione politica e che nel loro Paese erano a rischio della vita. Gli altri perché si sono imbarcati? Chi e perché ha organizzato il loro viaggio? Perché le autorità delle sponda meridionale del Mediterraneo li hanno fatti partire? Una volta accolti faranno tutti domanda d'asilo, noi impiegheremo tre anni per vagliare le domande e nel frattempo loro se ne saranno andati qui o là a discrezione. Si dice che sulla nave ci siano 124 minori non accompagnati. Chi ce li ha messi? Chi ha pagato il trasporto? Cosa è stato loro promesso e da chi? Che fine faranno? Una seria politica dell'immigrazione non può trascurare questi aspetti. Se lo facesse sarebbe immorale, mentre viene accusata di essere immorale se lo fa.
Ogni azione morale ha il fine in se stessa. Ciò vuol dire che non si deve fare il bene per qualche scopo particolare, per raggiungere qualche obiettivo o conseguire qualche risultato. Ciò però non vuol dire che l'azione morale debba essere cieca, impulsiva o sentimentale e che non tenga conto della situazione precedente e di quella successiva all'azione morale stessa. Ciò vale soprattutto a livello di etica pubblica, di cui si occupa appunto l'attività politica.

MOTIVI INCONFESSABILI
La politica delle immigrazioni non è come l'azione di chi sta sulla spiaggia e vede il naufrago agitare le braccia e gridare. L'azione politica, per essere buona, deve tenere presente il bene comune in tutti i suoi aspetti. Se gruppi di malviventi debitamente pagati per farlo portano ogni giorno davanti a casa mia delle persone che si fingono profughi e non lo sono, se i miei vicini di casa anziché accoglierne qualcuno, mandano davanti alla mia porta anche quelli che hanno bussato alla loro e ormai davanti alla mia c'è sistematicamente la fila mentre davanti alla sua non c'è nessuno, se in questa fila vengono infiltrate ad arte persone poco raccomandabili, minori non accompagnati destinati poi ad esiti poco felici, donne per il traffico umano dei mercati della prostituzione o giovani destinati al lavoro nero per due euro al giorno... continuare ad aprire la porta e ad ospitare in casa mia tutta la fila non sarebbe moralmente e politicamente responsabile. E' vero che il nostro prossimo non ce lo possiamo scegliere noi, ma non possiamo nemmeno permettere che ce lo scelga qualcun altro per motivi inconfessabili.
Considerare cosa c'è dietro questi imbarchi avventurosi e non assecondare le manovre politiche e gli interessi che li animano è un dovere morale che non può essere sottaciuto nel momento di decidere le politiche di assistenza in mare o di accoglienza a terra. L'applicazione del diritto umanitario in mare deve essere esercitata da tutti i Paesi rivieraschi del Mediterraneo e senza che ciò copra e giustifichi i traffici illeciti di persone spacciate poi per profughi.

Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo sottostante dal titolo "Contro il governo xenofobo, il piano dei cronisti embedded" spiega che nonostante le accuse che piovono su Salvini, nessuno dei 629 a bordo di Aquarius è in pericolo di vita. Lo dimostrano i reportages dei giornalisti imbarcati sulla nave della Ong. Saliti a bordo certi di incontrare molte vite da salvare. Con un unico scopo che dimostra la premeditazione del "piano": raccontare la prima missione da quando "si è insediato il governo xenofobo".
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 giugno 2018:
Nessuno è in pericolo di vita. Se qualcuno dei migranti a bordo della nave Aquarius lo fosse la notizia farebbe il giro del mondo. Per il semplice motivo che il natante di proprietà della Ong Sos Mediterrèe ha a bordo anche persone capaci di farsi intendere nelle redazioni. Giornalisti. Giornalisti a bordo, emebedded, si direbbe mutuando una terminologia bellica. Ingaggiati per raccontare che cosa succede dentro la nave, ma forse anche qualcosa di più.
Sono la prova che il piano di Aquarius è stato preparato nei minimi dettagli per provocare, diciamo così, una sorta di stress test nel ministro Salvini che, reagendo, ha squarciato il velo su un sistema di taxi del mare mascherato da soccorso umanitario.
Niente accade per caso. Va da sé che se il braccio di ferro ha costituito il primo banco di prova per la tenuta del nascente governo Conte, è stato anche perché l'operazione Aquarius non è partita la mattina di domenica quando il ministro degli interni Matteo Salvini ha bloccato la nave in procinto di dirigersi verso un porto italiano.
E' iniziata due giorni prima.
E' venerdì 8 giugno quando la giornalista di Radio National España, Sara Alonso Esparza posta sul suo profilo Twitter una foto-cartolina dell'Etna visto dal porto di Catania. "Inizia la missione a bordo di Aquarius. Salpiamo dalla Sicilia verso la zona Sar dove presumibilmente arriveremo domenica". Non è lì per fare un servizio turistico. E' lì per raccontare. Con lei ci sono altre due giornaliste, una spagnola e una corrispondente americana da Parigi e un fotoreporter anch'egli spagnolo.
Perché proprio la nave che è balzata agli onori della cronaca, perché proprio la nave che sta creando i maggiori grattacapi al governo, è quella che a bordo aveva ben prima dello stop di Salvini un numero di cronisti così elevato? Perché un gruppo di giornalisti di testate importanti decide di salpare proprio a bordo dell'Aquarius sapendo che l'indomani si troverà di fronte un'emergenza da gestire?
Per mettere alla prova il governo razzista Lega-Cinque Stelle. Quello che sarebbe normale diritto-dovere di cronaca si copre di una nuvola di ambiguità se si pensa che i giornalisti hanno, sì, tutte le ragioni del mondo per raccontare i fatti, ma perché la Ong che comanda Aquarius ha colto proprio quell'occasione per far salire a bordo i cronisti certa che di lì a poche ore si sarebbe imbattuta in una "pesca" molto ricca?
Non è un mistero, lo dice candidamente la collega di Sara, Naiara Gallaraga, giornalista del quotidiano spagnolo El Pais. Nel video postato su Twitter, la donna si fa riprendere in banchina alle spalle della nave: "Siamo a Catania, in Sicilia - dice facendo le presentazioni ai suoi lettori dell'Aquarius -. Salperemo con l'equipaggio nella prima missione di questo tipo da quando in Italia si è insediato un governo xenofobo, antimigranti e populista. Nei prossimi giorni ve lo racconteremo". Insomma, sembra un programma di tutto rispetto quello annunciato dalla giornalista che poche ore dopo, nella notte tra venerdì e sabato immortala romanticamente anche il tratto di costa siciliana che si allontana a poppa mentre la scia bianca della nave macina miglia.
La donna prosegue nelle ore successive con il racconto della vita a bordo e le operazioni di recupero di tre imbarcazioni alla deriva specificando che tutto viene coordinato dal Centro di Coordinamento Marittimo di Roma. Alla mattina del 10 giugno la cronista può fare il bilancio: "Dopo una intensissima e drammatica notte l'Aquarius naviga con 629 migranti a bordo: 229 da due imbarcazioni una delle quali rotta, 40 salvati dall'acqua e 400 salvati da altri mercantili o dalla Marina italiana e trasferiti a bordo".
Il reportage mostra dunque che anche la Marina, una volta caricati i naufraghi, li consegna alle navi della Ong che può così fare rotta per l'Italia per "scaricare" l'equipaggio.
Qualche ora prima la sua collega aveva annunciato: "Aquarius sta arrivando nella zona SAR. Sembra che avremo da lavorare stanotte. Ci sono naufraghi nell'immensità del Mediterraneo".
A bordo c'è anche Anelise Borges, corrispondente dalla Francia per Euronews e Nbc. Anche lei documenta le operazioni di salvataggio e tiene monitorata la posizione della nave nel Mediterraneo.
Le tre donne seguono la vita all'interno della nave documentando anche alcuni momenti lieti: alcuni migranti si abbracciano per lo scampato pericolo, ci sono donne che cantano e ballano e altre vengono riprese durante la preghiera del mattino. Nessuna di loro documenta però lo stato di profondo rischio per la salute fisica dei 629. I rifornimenti sanitari sono adeguati, il vitto pure. Non ci sono casi di pericolo imminente per la vita dei migranti. Eppure i giornali e molti politici hanno calcato la mano sul fatto che con questa decisione Salvini avrebbe avuto sulla coscienza numerosi morti. Dai reportages degli unici giornalisti presenti a bordo non traspare nulla di tutto questo. Al massimo un po' di sconforto per le lungaggini di un'operazione che con un altro governo sarebbe terminata prima. Ma, prontamente, l'equipaggio provvede alzando la musica a tutto volume.
Sembra che il suolo italico sia il preferito e per farlo comprendere si fa leva sulla paura. La giornalista infatti se ne esce ad un certo punto con un tweet strano: "Ricordiamo d'altra parte che Valencia dista 700 miglia marine. Ritarderemmo alcuni giorni nell'arrivo e non abbiamo da mangiare". Eppure alcune ore dopo la donna immortala la preparazione della cena per i migranti, che viene fornita attraverso imbarcazioni di altre ong che nel frattempo sono arrivate a supporto.
Dov'è dunque il pericolo? Il rischio incolumità? Tutto sembra estremamente abitudinario, salvo il no di Salvini, solo che questa volta Aquarius non approderà in Italia. Ma in Spagna, Paese dal quale provengono proprio due delle giornaliste che hanno raccontato in presa diretta tutta l'operazione. Coincidenza o destino?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12/06/2018

2 - CI VOGLIONO PIU' ASILI NIDO: TUTTI I PARTITI ITALIANI SI ADEGUANO AL DOGMA DEI REGIMI COMUNISTI
Furono i regimi comunisti (ad es. la DDR, la Germania dell'est) a sottrarre l'educazione dei bambini ai genitori per affidarla a strutture pubbliche (80% agli asili nido, 95% alla materna); oggi in Italia ci hanno convinti che è per il ''bene del bambino''
Autore: Samuele Cecotti - Fonte: Vita Nuova, 03.06.18

Nel dibattito pubblico si possono constatare degli assunti da tutti asseriti senza bisogno alcuno di fornirne ragione, delle "verità" che nessuno osa contestare e che mettono magicamente d'accordo tutti. Una di queste è: "Servono più asili nido!". Ogni qualvolta si affrontino tematiche attinenti la maternità, il welfare per le famiglie, la questione demografica, etc. non c'è politico, giornalista, opinionista che non si trovi d'accordo nel sentenziare "Servono più asili nido!". Il più laicista dei radicali e il navigato democristiano, la femminista marxisteggiante e l'ex missino passando per ogni altra declinazione del vasto spettro ideologico sono tutti perfettamente concordi sul punto: "Servono più asili nido!" Chi li vorrà pubblici e gratuiti, chi espressione della libera iniziativa privata, chi per "liberare" le donne e chi per favorire la natalità ma tutti sicuri e convinti che "Servono più asili nido!".
Così quando mi è capitato tra le mani il volumetto "Contro gli asili nido. Politiche di conciliazione e libertà di educazione", essendo per natura un bastiancontrario, non ho saputo resistere e me lo sono letto d'un fiato. Il libro è agile, 82 pagine in tutto, edito da Rubettino nel 2009. Autore non è un pericoloso reazionario magari appartenente a qualche gruppetto tradizionalista, non è neppure un Amish dell'Ohio (curiosamente tradotto in italiano) ma una giornalista de Il Sole 24 ore, sposata con due figli, Paola Liberace. E, come non bastasse, il volume è prefato dall'onorevole Valentina Aprea di Forza Italia, insegnante, dirigente scolastico e allora Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

I REGIMI COMUNISTI E L'EDUCAZIONE DEI BAMBINI SOTTRATTA AI GENITORI
Si legge con piacere per chiarezza e serenità nell'esporre argomenti sempre suffragati da dati e riferimenti precisi. Interessante come l'Autrice riconduca il modello che vuole "asili nido per tutti" alla DDR (la Germania Est socialista) sottolineando come siano stati proprio i regimi comunisti a pensare l'accudimento e l'educazione dei bambini sottratta ai genitori e affidata a strutture pubbliche. Nel 1989 nella DDR gli asili nido accoglievano l'80% dei bambini, le scuole materne il 95%. Da anni, senza dirlo apertamente, si sta proponendo il modello DDR all'Italia! Scrive a commento la Liberace: "L'opzione unica e incondizionata per gli asili nido [...] avrebbe l'effetto di istituzionalizzare - come nel precedente della DDR - la lontananza dei bimbi dai genitori, sin dai primi mesi. Ci troveremmo di fronte alla manifestazione su larga scala di conseguenze psicologiche e sociali ancora non perfettamente note; e laddove siano già state indagate, come abbiamo visto, i risultati sono tutt'altro che confortanti. Prepariamo la strada a una generazione senza famiglia" (p. 34).
Conseguenze psicologiche e sociali... perché non dimentichiamo che è profondamente innaturale sottrarre un bimbo alle cure materne per affidarlo a strutture artificiali come asili e simili. Un tempo nessuna persona di buon senso avrebbe accettato per i propri figli ciò che oggi è considerato grande progresso sociale; gli asili (nido e non) non nascono infatti come opportunità perfettiva per i bimbi delle famiglie "normali" ma come estrema ratio filantropica per sottrarre all'abbandono e al degrado i figli delle operaie più povere e disagiate nei quartieri industriali delle periferie sub-urbane, l'ideologia socialista ne ha poi fatto un mezzo per collettivizzare la cura e l'educazione dell'infanzia, noi europei d'oggi riusciamo persino a vedervi un optimum educativo. Ciò che nacque come estrema alternativa alla strada e all'abbandono oggi è presentato come meta da agognare rivendicandone il diritto: "diritto ad asili nido per tutti!".
Si è completamente perso di vista l'ordine naturale delle cose per il quale i figli debbono essere curati, accuditi ed educati dai genitori e non da strutture pubbliche. E per curare, accudire ed educare è necessario che i genitori stiano con i figli, che i figli crescano in famiglia! Ecco allora la parte propositiva del libro: un modello di società che rimetta al centro la famiglia, il ruolo educativo dei genitori, la maternità che non si esaurisce nel parto, ma è missione di cura e di formazione dei figli.

UN'ALTRA IDEA DI SOCIETÀ
La Liberace parla, ad esempio, di un welfare che sussidi le mamme che scelgono di non lavorare fuori casa per dedicarsi alla cura dei figli e, scrive, sondaggi alla mano: "messi [i genitori] di fronte a un'alternativa realmente aperta, questi preferirebbero allevare personalmente i loro bambini" (p. 39). È proprio un altro modello, un'altra idea di società! E và ben oltre la questione degli asili nido, porta con sé il principio non negoziabile della competenza genitoriale dell'educazione riconoscendo che "l'educazione dei figli spetti in ultima istanza ai genitori [...] che hanno indiscutibilmente l'ultima parola sull'allevamento dei figli" (p. 42).  È il principio a base della scuola parentale e dell'homeschooling.
"Disfarsi dei figli, magari per affidarli allo Stato, non può e non deve restare l'unica alternativa" (p. 55), così Paola Liberace presenta "la donna a casa con i bambini" (p. 43) non come un tuffo nel passato ma, piuttosto, come un ritorno al futuro in un nuovo modello capace di conciliare famiglia e lavoro rispettando la maternità, il diritto/dovere dei genitori ad educare i figli, il diritto dei figli a crescere in famiglia con le cure di mamma e papà. La Liberace parla così di un welfare che sostenga la scelta "casalinga" delle mamme (la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre insegnato la doverosità del "salario familiare"), di una organizzazione del lavoro che favorisca il tele-lavoro da casa o la micro imprenditorialità domestica (una mamma che resta a casa coi figli ma non rinuncia alla sua professionalità e dedica qualche ora al giorno al lavoro non-familiare dovrebbe essere agevolata), di un fisco pensato a favore delle famiglie.
Purtroppo anche noi cattolici, in questi ultimi decenni, siamo caduti nell'inganno socialdemocratico facendo nostra una idea di welfare che, se analizzata, si rivela in verità incompatibile con la Dottrina sociale della Chiesa perché incompatibile con l'antropologia cristiana. Anche sul tema "asili nido" e più in generale della cura e dell'educazione dell'infanzia non sono pochi gli abbagli in casa cattolica, anche per paura d'andar contro corrente. Dovremmo invece rimettere al centro i diritti/doveri della famiglia, il principio non negoziabile della competenza genitoriale alla educazione dei figli, il valore sociale della maternità, la diversità complementare di uomo e donna, di marito e moglie, di padre e madre, la nobiltà della vita domestica che per una moglie e madre può costituire una vera e propria vocazione.

RESTITUIRE ALLA FAMIGLIA LA RESPONSABILITÀ CHE LE COMPETE
Ciò detto non trovo miglior conclusione che ringraziare Paola Liberace per il coraggioso volumetto, invitare tutti a leggerlo e lasciare a lei l'ultima parola: "Le radici della cosiddetta emergenza educativa sono qui. [...] Per arrestare la deriva è indispensabile tornare alle sue radici; restituire alla famiglia la responsabilità di educatrice che le compete [...] Il miglior antidoto all'emergenza educativa è la presenza costante e avvertita della famiglia: soprattutto nel momento cruciale della prima infanzia, in cui tutti gli altri successivi saranno fondati. È qui che bisogna agire, se si vuole innescare un cambiamento. Essere genitori è una questione di libertà e di responsabilità [...] Mettere padri e madri in condizioni di operare una scelta effettiva, considerando la possibilità di seguire personalmente i figli, vuol dire riconoscere loro la responsabilità della decisione, mettendoli di fronte all'onere della genitorialità. Perché fare un figlio significa molto più che mettere al mondo un nuovo individuo, trasmettergli il cognome, allattarlo a oltranza, magari per poi affidarlo alle puericultrici di Stato. Così come fare un padre e una madre significa molto più che spingerli a procreare, tra una timbratura di cartellino e l'altra, magari assicurando loro che potranno contare su una rete capillare di asili nido pubblici. La vita dei figli è legata alle scelte dei genitori che li hanno messi al mondo: dipende da loro, ben oltre la rescissione del cordone ombelicale. Genitori si diventa realizzando che i figli sono affare proprio: un affare impossibile da delegare, da accantonare, da far passare in secondo piano. Nessun'altra esigenza - quella collettivista, quella produttiva, quella emancipazionista - può essere anteposta al diritto dei bambini di crescere nell'equilibrio, nella serenità e nell'amore: un diritto che nessuna legge sancisce, ma che solo la libertà e la responsabilità della mamma e del papà possono difendere" (pp. 80-82).

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Fonte: Vita Nuova, 03.06.18

3 - NEL MONASTERO SI REALIZZA LA PERFETTA SOCIETA' CRISTIANA
La clausura è la prova vivente che accettare senza riserve di vivere pienamente il Vangelo in questo mondo è possibile (e gioioso)
Autore: Madre Ildegarde Cabitza - Fonte: Beata Pacis Visio, maggio 2018 (n.5)

C'è una funzione della vita monastica, in seno alla società, che in genere sfugge agli osservatori superficiali.
A chi ci domanda: "Cosa fate, voi, chiuse nei vostri monasteri, per cooperare all'affermazione e all'estensione del regno di Cristo?" siamo solite rispondere che al mondo diamo la nostra preghiera e il nostro sacrificio, per creare un segreto e pur reale compenso alle paurose deficienze spirituali che scavano un abisso sempre più profondo tra l'uomo e Dio.
La risposta è vera, ma non è completa. Preghiera e penitenza sono gli elementi più facilmente percepiti e più facili a comprendere dagli estranei, ma dovremmo dire con umile e ardente fierezza: "Noi siamo qui per pregare in nome dei fratelli e per offrirci ogni giorno in unione al sacrificio del Cristo, certo, ma anche per dare testimonianza vivente al Cristo, alla sua dottrina di verità".
Ogni monastero deve essere "in signum": il tipo ideale della perfetta società cristiana, dove i valori dello spirito hanno la precedenza assoluta su qualunque interesse umano, dove legge suprema è la carità, dove i singoli membri hanno, una volta e per sempre, creduto all'Amore, e hanno insieme, con una fede senza riserve, accettato il rischio di vivere in pieno la parola evangelica, rinunziando ai canoni della "sapienza della carne".
A chi, anche fra i credenti, anche fra i più sinceri praticanti, il Vangelo appare nella sua pratica integrale, utopia, e le sue esigenze inconciliabili con le nostre possibilità umane, noi testimoniamo, vivendo, che nessuna dottrina potrà, mai, più perfettamente aderire al bisogno più profondo dello spirito, della stessa convivenza umana.
Il mondo si dilania nello sforzo convulso di trovare un sano equilibrio economico, in un'equa distribuzione dei beni terreni. La sapienza di Benedetto ha per noi reso la via semplice e piana; "Si dia a ciascuno secondo il bisogno" (RB 34,1) e il comune impegno di laboriosità, ordinata e serena, viene a congiungersi con l'opera della Provvidenza che veglia affinché come agli uccelli dell'aria e ai gigli del campo, non manchi nemmeno a noi quanto sia necessario per il vitto e il vestito. Già godiamo, in atto, la beatitudine dei poveri di spirito.
Così per la purezza, così per la mortificazione, così per tutti gli aspetti della vita, vissuti nella piena luce del Vangelo.
C'è una parola grande e consolatrice, nella Sacra Scrittura: "Fidelis Dominus", il Signore è fedele e non delude chi, credendo in Lui, si affida al suo insegnamento.
Fra le mura di ogni monastero è racchiuso il massimo di felicità che la terra può dare all'uomo, in proporzione dell'intensità dell'amore che opera nelle singole anime e della generosità con la quale si vive la parola di Dio: l'irraggiamento di gioia, di beatitudine che traspare anche al difuori, è la nostra testimonianza più vera.
La tradizione ascetica più antica ha con predilezione insistito nel paragonare la vita monastica al martirio, distinguendo il martirio rosso dal martirio bianco; e questo non sotto l'aspetto della sofferenza e del tormento, ma essenzialmente sotto l'aspetto della testimonianza, perché il martire è un "testimone" e testimone è tanto colui che con un atto solo accetta la morte per affermare la sua fede in Cristo, quanto colui che questa affermazione vive ora per ora, traducendo in sé, nella sua interezza e nel suo splendore, l'insegnamento del Maestro.
Popolato di creature fragili come tutte, frementi delle stesse passioni che turbano il mondo, il monastero sta, cittadella di Dio, a testimoniare la vittoria dello spirito sulla carne, e germoglia, fiore magnifico che si apre nella solitudine a lode della divina gloria.

Nota di BastaBugie: l'autrice di questo articolo è Madre Maria Ildegarde Cabitza, Badessa dell'abbazia benedettina di Rosano dal 1942 al 1959 e morta in concetto di santità.
Ecco una breve biografia di Madre Maria Ildegarde Cabitza tratta dal sito SantieBeati.it:
Maria Ildegarde Cabitza (al secolo Leonilda o Nilda), nacque a Gonnosfanadiga (Sardegna) il 26 Aprile 1905. Di famiglia benestante, il padre medico condotto, ha potuto compiere gli studi superiori, allora non facilmente accessibili alle ragazze. Ebbe una significativa formazione culturale che, insieme ad una profonda formazione spirituale, la rese in grado di svolgere la sua futura missione di madre e maestra in seno alla comunità monastica. Si formò all'apostolato e alla vita spirituale nelle file dell'Azione Cattolica Italiana. Con Benedetto XV nel 1918 era nata la GF, il ramo della gioventù femminile dell'ACI. Leonilda, di vivacissima intelligenza, si iscrisse all'Università di Roma nella Facoltà di lettere. Fece parte della GF e della FUCI partecipando efficacemente alle diverse iniziative di apostolato. Il 21 Dicembre del 1926 sostenne brillantemente l'esame di laurea in lettere con una tesi su Le memorie monumentali dei principali personaggi della Chiesa nel secolo III, che fu pubblicata nel Bollettino Liturgico. Frequentò poi la Scuola Diocesana Superiore di Cultura Religiosa. In seguito si iscrisse alla Facoltà di Filosofia, intimamente convinta che, oltre all'utilità per la propria formazione, fosse di aiuto ad una più profonda conoscenza di Dio.
Nello stesso tempo si andava delineando in lei l'ideale di una vita di consacrazione a Dio, sotto la guida spirituale di mons. Belvederi di Bologna, professore e guida spirituale di studenti ed universitari cattolici. Grande influsso ebbe l'incontro con l'abate Emanuele Caronti, pioniere del movimento liturgico italiano. Infatti dopo un corso di esercizi spirituali, tenuto dallo stesso abate E. Caronti a Castel Gandolfo nel luglio 1928, divenne chiaro il suo orientamento verso la vita monastica. Il 27 Marzo 1930 Nilda annuncia, con una lettera ai genitori il suo prossimo ingresso in monastero e interrompe la sua collaborazione con la rivista diretta dall'abate E. Caronti, il Bollettino Liturgico. Il 26 Giugno 1930 entrò nel monastero Benedettino di S. Antonio di Eboli. Alcuni mesi dopo, l'11 gennaio 1931 fu inviata, con altre due novizie tra cui Emmanuella Moretti (che divenne la nuova Abbadessa), a S. Paolo di Sorrento, seguita poi da Marzia Pietromarchi, amica e socia nell'apostolato laicale, che diventerà inseparabile compagna di Nilda nella vita monastica. Si trattava di ridar vita a un monastero abitato unicamente da una monaca ottantenne e da tre converse. Il 17 novembre 1931, consegue la seconda laurea con una tesi su Il valore pedagogico della Regola di San Benedetto, poi pubblicata nel 1933. Il 13 gennaio 1932 emise la professione religiosa monastica, prendendo il nome di Maria Ildegarde. Nel 1931 il fascismo sopprimerà le organizzazioni giovanili dell'ACI presso la quale Leonilda aveva svolto un attivo apostolato. Ben presto la comunità monastica di Sorrento rinacque e divenne fiorente di nuove vocazioni. Su richiesta dei visitatori dell'Ordine, si trattava di attuare dei trasferimenti da comunità più fiorenti ad altre in grave crisi vocazionale.
Fu così che in piena guerra mondiale, madre Ildegarde Cabitza assieme alla consorella Pietromarchi lasciarono Sorrento, inviate dalla madre Moretti a riformare e rinnovare l'antico monastero di Rosano (fondato nel 780), presso Firenze e vi assunse il ruolo di Abbadessa. Furono accolte con gioia ed affetto dalla gente del posto. Grande era il lavoro da fare. Madre Ildegarde scriveva in una lettera da Rosano del 21 novembre 1942: "Te lo puoi immaginare un vecchio, immenso Monastero che aspetta di riprender vita e dove tutto è da rifare, non materialmente, ma spiritualmente e intellettualmente? Il posto è molto bello e il Monastero pure... c'è un lavoro immenso da fare..., ma sono serena e intimamente piena di pace." La guerra le costrinse ad abbandonare il monastero e quando vi rientrarono lo trovarono desolato dai bombardamenti e saccheggiato. Con grande slancio intraprese le opere di restauro del monastero gravemente danneggiato. Ma tutte le sue energie erano tese al rinnovamento della vita monastica portandola all'autenticità della vita cristiana sotto il segno di San Benedetto. Si realizzò così il suo sogno: quello della clausura regolarmente stabilita. Quel sogno espresso ai genitori quando era ancora studentessa: "Abbiamo pensato ad un ordine nuovo, ripeto nuovissimo per l'Italia. Una casa di preghiera, di studio, di pace, di dove attraverso lo studio intenso e profondo, soprattutto con pubblicazioni, con corsi, con lavoro continuo si potesse diffondere nel campo femminile il pensiero cristiano. Insomma abbiamo avuto un sogno grande: quello di ricondurre la vita religiosa femminile a tutta la sua altezza, di fare che i monasteri, oggi così spesso immiseriti e ridotti da far pietà, tornassero ad essere fari di santità e di civiltà così come erano nei tempi antichi, quando hanno saputo dare alla Chiesa e al mondo le donne più grandi [...] L'Ordine dei Benedettini era l'unico capace di capire e di apprezzare il progetto [...]." Tutto questo si andava realizzando fino a portare la comunità di Rosano ad essere un modello, tra le più fiorenti dell'Ordine. Dotata della capacità di formare ed educare spiritualmente, fu "madre" e "maestra" in seno alla comunità monastica e verso quanti a lei si rivolgevano.
Ebbe la grazia e la consolazione di un grande segno prodigioso nel suo Monastero: la lacrimazione della statua del Sacro Cuore. Durante il canto dei Vespri il 4 aprile del 1948, si osservò per la prima volta che dagli occhi della statua del Sacro Cuore scendevano delle lacrime. Nel giugno dello stesso anno si verificò un altro prodigio impressionante e insperato: la effusione di sangue. Questi fatti si verificarono ripetutamente tra il 1948 e il 1950. I fatti sono confermati dalle religiose e in particolare da Madre Ildegarde Cabitza Abbadessa del Monastero. Madre Ildegarde tenne sempre in grande considerazione, unitamente al lavoro manuale, l'attività intellettuale. Pubblicò diverse opere: Cercate il Signore, Dono che non finisce, L'ascolto del monaco, Parole più su della terra, Pietre congiunte, San Benedetto, Studium orationis. Nel 1955 diede vita al bollettino Beata pacis visio. Il 12 aprile 1956 fu eletta prima presidente della Federazione dei Monasteri Benedettini della Toscana. Morì in concetto di santità nel Monastero di Rosano il 28 agosto 1959 all'età di 54 anni.

Fonte: Beata Pacis Visio, maggio 2018 (n.5)

4 - NEANCHE UNA RIGA SU TIENANMEN SUI GIORNALI ITALIANI: IL REGIME CINESE HA VINTO
Corriere, Repubblica e gli altri si sono dimenticati del 29esimo anniversario del massacro in Cina, ma ci hanno parlato dello sciopero contro i robot a Las Vegas, la difesa delle sbronze universitarie da parte del premio Nobel Malala, una nuova bevanda del Giappone, ecc.
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 05/06/2018

Più di 115 mila persone in piazza per ricordare uno dei più grandi massacri della storia contemporanea ordinati da un regime totalitario contro il suo stesso popolo. È successo a Hong Kong, dove una miriade di giovani e anziani per il 29mo anno consecutivo hanno acceso una candela a Victoria Park per «resistere all'autoritarismo» e condannare il partito comunista cinese, che il 4 giugno 1989 ordinò all'Esercito di liberazione del popolo di massacrare gli studenti riuniti pacificamente in Piazza Tienanmen a Pechino.

NEANCHE UNA RIGA SUI GIORNALI ITALIANI
È un evento. In un mondo dove si accusano i giovani di essere menefreghisti, preoccupati solo dell'istante e privi di memoria storica, a decine di migliaia scendono coraggiosamente in piazza (Hong Kong non è certo libera dall'influenza della Cina continentale) per denunciare uno dei più grandi orrori della storia, frutto di uno dei regimi più sanguinari della storia, e... nessuno ne parla. Sfogliando le pagine dei principali quotidiani italiani si scopre infatti che nessuno oggi ha dedicato neanche una riga all'evento.
Peggio. Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Foglio, Giornale, Libero, Sole 24 Ore, Fatto Quotidiano: nessuno ha trovato spazio - neanche una breve, neanche un box, neanche una foto, neanche una riga - per ricordare il 29esimo anniversario del massacro. Nelle edizioni del 3-4-5 giugno i principali quotidiani italiani hanno dedicato articoli agli argomenti più disparati: lo sciopero contro i robot a Las Vegas, la difesa delle sbronze universitarie da parte del premio Nobel Malala, le critiche all'ex portavoce di Blair perché non faceva i mestieri di casa, il successo delle tribù Ogiek del Kenya e quello della nuova bevanda alcolica del Giappone. Ma sui tragici fatti di Piazza Tienanmen neanche una parola.

LA TECNICA DELL'OBLIO
Com'è possibile? Tutti i giornali italiani sono prezzolati e si sono improvvisamente venduti al partito comunista cinese? No. L'ipotesi più credibile è invece che si siano semplicemente dimenticati. E questo dimostra che la strategia che il regime comunista adotta in Cina da quasi 30 anni è vincente: l'arma migliore contro le critiche è l'oblio. I cinesi, infatti, non solo non possono criticare il governo, non solo non possono cercare informazioni sul massacro, non solo non possono studiarlo, non solo non possono parlarne, ma non possono neanche ricordare, non possono neanche piangere i morti. Il partito ha imposto un lungo oblio al suo popolo e l'Italia, i suoi politici e i suoi media perlomeno, si sono adattati così bene al clima repressivo e negazionista del regime che hanno finito per dimenticare anche loro.
Per fortuna c'è il popolo di Hong Kong. Oltre centomila persone che ieri a Victoria Park hanno applaudito la testimonianza di Di Mengqi, una delle Madri di Tienanmen, a cui il figlio Wang Hongqi il 3 giugno 1989 disse: «Vado al lavoro, ci vediamo stasera». Ma Wang non tornò mai a casa perché finì stritolato sotto i cingoli dei carri armati inviati dal partito comunista. «Come madre spero che lo Stato possa fare qualche passo in avanti per chiarire la sua posizione sul massacro. Altrimenti non potrò chiudere gli occhi nemmeno nella tomba». Dalle nostre parti, purtroppo, c'è chi gli occhi li ha già chiusi da tempo.

Fonte: Tempi, 05/06/2018

5 - IL FERRERO ROCHER E LE APPARIZIONI A LOURDES
Il fondatore della Ferrero era un uomo di fede, molto devoto delle apparizioni a Santa Bernadette alla grotta ''Rocher de Massabielle'' (da cui il nome del cioccolatino)
Autore: Zelda Caldwell - Fonte: Aleteia, 08/05/2018

Nell'incarto dorato di un cioccolatino Ferrero Rocher c'è un dolce multistrato che sembra un po' una magia uscita dalla fabbrica di Willy Wonka: una nocciola tostata inserita in un guscio di wafer pieno di crema alla nocciola, con una copertura al cioccolato con pezzetti di nocciole.
Questi cioccolatini non sono stati tuttavia ispirati dal libro per bambini di Roald Dahl, ma addirittura dalla Vergine Maria.
Si pensa che quando il cioccolatiere Michele Ferrero li ha messi sul mercato nel 1982 li abbia chiamati così dalla grotta, chiamata Rocher de Massabielle, che segna il luogo in cui la Beata Vergine apparve a Santa Bernadette a Lourdes (Francia).
La copertura del cioccolatino assomiglia infatti alla formazione rocciosa di Lourdes, un luogo che aveva un significato particolare per Ferrero, morto il 14 febbraio 2015 a 89 anni.
Devoto cattolico, Ferrero era noto per la sua grande devozione alla Madonna. Quando celebrò il 50° anniversario di fondazione della sua compagnia disse: "Dobbiamo il successo della Ferrero a Nostra Signora di Lourdes; senza di lei possiamo fare ben poco".
Come terzo produttore di cioccolato al mondo, Ferrero aveva molto per cui essere grato. I cioccolatini Ferrero, insieme alla Nutella, alla serie Kinder e alle Tic Tac, solo nel 2016 hanno prodotto un fatturato di oltre 10 miliardi di euro.
Si dice che Ferrero andasse ogni anno in pellegrinaggio a Lourdes, portando con sé il suo top manager. Organizzò anche una visita al santuario per i suoi dipendenti, e aveva fatto collocare una statua della Vergine Maria in ciascuna delle 14 strutture di produzione della compagnia sparse in tutto il mondo.

Nota di BastaBugie: a pochi giorni dalla morte di Michele Ferrero nell'articolo sottostante dal titolo "Il segreto del successo della Ferrero? La Madonna di Lourdes!" si spiega come il fondatore della Ferrero fosse un uomo rigoroso e di fede.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Aleteia il 15 febbraio 2015:
È morto sabato pomeriggio a Montecarlo, dopo mesi di malattia, Michele Ferrero, 89 anni, papà della Nutella, ma anche del Mon Cheri, del Kinder, del Rocher, della Fiesta, del Pocket Coffee e di tutti i prodotti che hanno scandito l'affermazione dell'azienda nata ad Alba nel 1946.
Come disse Michele Ferrero alle celebrazioni per il cinquantenario della fondazione dell'azienda: "Il successo della Ferrero lo dobbiamo alla Madonna di Lourdes, senza di Lei noi possiamo poco". E infatti una statuina della Madonna era presente in ognuno degli stabilimenti del gruppo sparsi per il mondo.
Michele Ferrero, infatti, era la persona più ricca del Paese con un patrimonio di 26,8 miliardi di dollari e uomo dotato di una fede granitica. Una vita la sua lontana dai riflettori con pochi appigli per una storia romanzata. Ogni anno andava in pellegrinaggio a Lourdes portando con sé i top manager e organizzava la visita al santuario francese anche per i dipendenti.
Aveva costruito il suo impero valorizzando il meglio dell'Italia con prodotti di qualità e capacità di innovazione. Ma il suo talento più raro stava nel saper coinvolgere i collaboratori e nel mostrare una particolare attenzione verso i dipendenti nell'addestrarli, valorizzarli (Il Giornale, 15 febbraio). "La mia unica preoccupazione - disse una volta - è che l'azienda sia sempre più solida e forte per garantire a tutti coloro che ci lavorano un posto sicuro" (La Stampa, 25 giugno 2006)
E sotto la sua direzione l'azienda della Nutella è diventata uno dei principali gruppi dolciari a livello mondiale, presente in 53 Paesi con oltre 34.000 collaboratori e 20 stabilimenti produttivi e 9 aziende agricole. E sempre per suo volere nacque, nel 1983, la Fondazione Ferrero, che oltre ad occuparsi degli ex dipendenti promuove iniziative culturali e artistiche con il motto "Lavorare, creare, donare" (Avvenire, 15 febbraio).

Fonte: Aleteia, 08/05/2018

6 - L'EUGENETICA E' FIGLIA DELL'EVOLUZIONISMO
L'eugenetica di Francis Galton, cugino di Darwin, si presenta come la tecnica adatta a correggere gli errori dell'evoluzione della specie, eliminando fisicamente chi è fisicamente indegno (VIDEO: Nazismo ed eutanasia)
Autore: Marco Respinti - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05/05/2018

Nei giorni scorsi, il lettore Massimo Campostrini ha indirizzato una lettera intelligente al direttore de La nuova Bussola Quotidiana per sottrarre la terra sotto ai piedi a quei fautori della logica eugenetica che si trincerano dietro la "scienza" dell'evoluzionismo darwiniano, usando il darwinismo contro il darwinismo. Campostrini ha ragione a dire, sul filo del paradosso, che se per il darwinismo le specie migliori e gli elementi migliori di ciascuna specie sono quelli che hanno maggiore successo riproduttivo (motivo per cui sono migliori e progrediscono a discapito dei peggiori), essi si produrranno da soli nella selezione migliorativa senza bisogno di alcun intervento esterno, il quale, anzi, adultererebbe indebitamente tale meccanismo naturale favorendo le specie e gl'individui che, se non godono di miglior successo riproduttivo, significa che non sono affatto i migliori. L'eugenetica, insomma, intesa come aiuto artificiale alla natura nell'opera di selezione, per via sessuale, delle specie migliori e degl'individui migliori di ciascuna specie sarebbe cioè il contrario del sostanziale laissez-faire in cui si risolverebbe il darwinismo. Vero. Purtroppo però non è andata così.

GALTON, CUGINO DI DARWIN
Apparentemente il naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882) non scrisse di eugenetica. Non esisteva nemmeno il termine, inventato, un anno dopo la morte di Darwin, dall'esploratore e antropologo pure inglese Sir Francis Galton (1822-1911). Il termine Galton lo inventò, a coronamento di più di un ventennio di riflessioni e di "studi", traendo un neologismo da due termini greci, eu, "buono" e genos, "stirpe", a p. 24 d'Inquiries into Human Faculty and Its Development, uscito a Londra nel 1883 per i tipi di Macmillan. Qui immediatamente egli precisa - alla nota 1 contenuta nelle pp. 24-25 - che l'eugenetica è «[...] la scienza del miglioramento della stirpe», un concetto «[...] egualmente applicabile agli uomini, ai bruti [cioè agli animali] e alle piante», scienza che «[...] non è per nulla confinata a questioni d'incroci accorti, ma che, specialmente nel caso dell'uomo, tiene conto di tutte le influenze che tendono, per quanto remotamente, a dare alle razze o ai ceppi sanguigni più adatti una possibilità migliore di prevalere rapidamente sui meno adatti di quanto essi avrebbero altrimenti avuto». Spiega poi Galton che "eugenetica" è parola felice per la concisione con cui veicola alla perfezione il concetto, battendo in breccia il desueto "viricultura". Ecco, questo "culturismo" è quello che oggi chiamiamo tranquillamente - si fa per dire - ingegneria genetica, sposa incestuosa di sula sorella, l'eutanasia.

UN DARWINISTA ENTUSIASTA
Galton era il cugino di secondo grado di Darwin, e questo di per sé sarebbe il meno (i figli non sono responsabili delle colpe dei padri, figuriamoci i biscugini). Il punto è però che fu un darwinista entusiasta. La pubblicazione, nel 1859, di L'origine delle specie di Darwin gli cambiò la vita. Lo colpirono specialmente la pagine su incroci e selezione. Darwin parlava per lo più di bestiame, ma in fin dei conti, soprattutto per la cultura materialista dell'epoca, l'uomo non è forse soltanto un altro animale? Del resto Galton condurrà anche "ricerche" statistiche sul potere della preghiera - i cui risultati affidò al saggio Statistical Inquiries into the Efficacy of Prayer pubblicato nel fascicolo del 1° agosto 1872 di The Fortnightly Review - per concludere che le preghiere non hanno alcun effetto sulla longevità di coloro per le quali sono offerte. Convinto che le qualità migliori fossero ereditabili da un individuo all'altro - concezione esposta in Hereditary Genius del 1869 (Macmillan), strampalata ma dal futuro assicurato - Galton cominciò a teorizzare l'applicazione degl'incroci selettivi d'allevamento all'essere umano; in breve, l'uomo venne concepito come l'ennesimo prodotto della zootecnia. Chi doveva incaricarsi di allevarne la stirpe migliore, favorendo la trasmissione delle sue grandi qualità e scartando le altre? Lo Stato. A partire dagli anni 1920, gli hanno dato retta in molti: alcuni degli Stati Uniti d'America, il Canada, il Brasile, il Giappone, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna - con l'appoggio di parte del clero anglicano - il Belgio e la Svezia con un fiorire di leggi per il "miglioramento della razza" e la sterilizzazione obbligatoria degli "indegni" in un crescendo culminato nel regime nazionalsocialista di Adolf Hitler (1889-1945).

L'EUGENETICA SI BASA SUL DARWINISMO
Colpa di Galton, certo, ma Galton non avrebbe potuto nulla senza il principio primo del darwinismo: le specie viventi migliorerebbero progressivamente modificandosi fino a dare vita a specie nuove mediante quella che, dopo Darwin, si sarebbe chiamata genetica, così che la vita attuale sarebbe sempre il distillato più avanzato di tutta la vita che ci ha preceduto nel tempo finalmente epurata da scarti, vicoli ciechi e false partenze, e costantemente pronta a nuove trasformazioni migliorative, cioè a declassare domani la vita migliore di oggi a ennesimo rifiuto obsoleto di ieri.
Fu questo che affascinò Galton nel mezzo di quella temperie culturale in cui l'illuminismo si trasformava in positivismo e dove nel nuovo concetto di "gaia scienza" confluì tutto quanto portava acqua al mulino dell'uomo-Prometeo: dalla nuova teologia di Friedrich Schleiermacher (1768-1834) alla "critica biblica" di Ernest Renan (1823-1892), dallo Zaratustra di Friedrich Nietzsche (1844-1900) all'Inno a Satana di Giosue Carducci (1835-1907), dai sogni sinarchici di Joseph Alexandre Saint-Yves marchese d'Alveydre (1842-1909) da cui nacque l'idea di tecnocrazia al "materialismo spiritista", il tutto con un crescente chiodo fisso. L'uomo, finalmente scopertosi dio a se stesso, doveva pur essere un superuomo, immune da ogni pecca, scevro da tacche, resistente, esente e libero, in una parola vaccinato contro ogni degenerazione. Non fu così soltanto per Nietzsche e per la sorella pre-nazista di Nietzsche, ma per l'Occidente intero. L'idea darwiniana del progressismo medicina che cura la vita senza bisogno di Dio grazie al moto perpetuo di un meccanismo che esiste inesorabilmente da sempre e che funzionerà inflessibilmente per sempre ne è stato l'ermeneutica somma. Bisognerebbe datare il "temerario mondo nuovo" di Aldous Huxley (1894-1963) dall'anno di pubblicazione de L'origine delle specie di Darwin.
Ora, Darwin non dedica un rigo all'eugenetica non solo perché non ne aveva a disposizione il termine, ma perché non ne aveva affatto bisogno. La logica con cui spiega lo sviluppo di una vita nata per caso dalla materia inanimata è intrisa di sostanza eugenetica: la "stirpe buona" è il prodotto di una natura sostituitasi a Dio. Galton ha avuto il merito di essere stato il primo ad averlo compreso alla perfezione. Solo che sia Darwin sia Galton avevano fatto i conti senza l'oste, che se per loro Dio non esiste più (o è ininfluente) possiamo senza problemi chiamare anche solo natura.

UNA IPOTESI NON DIMOSTRATA
L'ipotesi del progresso migliorativo darwiniano è infatti totalmente indimostrata e infondata. Anzi, sono più i fatti che la confutano di quelli che la sosterrebbero. Basti solo pensare che le modificazioni genetiche sono solo patologiche; che nessuno ha mai documentato la nascita di una specie nuova per mutazione genetica da una precedente; che tutti gli esempi forniti dai darwinisti di "mutazione genetica" e di "speciazione" sono in realtà lo sviluppo attuale di potenzialità già insite negli esseri viventi (le varianti melaniche delle falene, per esempio, o il polimorfismo del proteo); e che lo stesso Darwin dovette arrendersi davanti a quelle forme di vita "inspiegabili" (ma solo per il darwinismo) che chiamò «fossili viventi», ovvero animali e piante che, stando a L'origine delle specie, avrebbero dovuto estinguersi "milioni" di anni fa poiché "arretrate" per cedere il passo a forme più "evolute", ma che, non avendo invece letto L'origine delle specie, continuano indisturbatamente a esistere, e anzi sono oggi note in numero assolutamente enorme, molto più grande che al tempo di Darwin.
Essendo non solo indimostrata e infondata, ma anzitutto e soprattutto falsa, questa meccanica però semplicemente non funziona. Come farebbe, infatti, ciò che ieri si è solamente creduto essere il meglio dell'oggi, ma che tale non era, produrre il meglio di domani per modificazioni che sono attestate solo in senso degenerativo? Non funzionando, della due l'una: o l'ipotesi va gettata oppure occorre forzarla. È qui che Galton ha evitato al cugino Darwin il disastro, scegliendo la seconda opzione.
Il "galtonismo" (come è stato a volte chiamato il pensiero eugenetico) non è insomma il tradimento del darwinismo: è la sua sola possibilità di salvezza. Peggio ancora: è un fossile vivente. Secondo il progressismo imperante avrebbe dovuto estinguersi nel maggio 1945 assieme al nazismo, ma non lo ha fatto perché è una delle anime nere del progressismo stesso. Galton gli ha semplicemente dato un nome, ma esiste da tempo, almeno da quando c'è il peccato dell'uomo, ed è "scienza" da che lo Stato ha avuto i mezzo per farsi totalitario: si è manifestato in Francia con l'Illuminismo e la Rivoluzione che inventò il razzismo, volle rifare gli ebrei e sterminò i cattolici "sbagliati" dell'Ovest; si è palesato in Unione Sovietica quando Stalin perseguitò gli ebrei (come hanno illustrato almeno il giornalista statunitense Louis Rapoport, lo storico tedesco Arno Lustiger [1924-2012] e il giornalista russo Arkady Vaksberg [1927-2011]); ovviamente è stato l'asse portante dal nazismo, ma quello lo sappiamo bene perché i progressisti solo di quello ci parlano; ed è alacremente al lavoro oggi nell'aborto (la terza sorella incestuosa), nell'eutanasia, negli ospedali-prigione in cui sono stati uccisi Terry Schiavo (1963-2005), Eluana Englaro (1970-2009), Charlie Gard (2016-2017) e Alfie Evans (2016-2018).

LA MORTE COME MIGLIORE INTERESSE DEL MALATO?
L'uomo dio a se stesso decide che l'«interesse migliore» per chi è ammalato e bisognoso di cure è quello di scomparire senza lasciare né traccia né eredi. Vaneggiamenti invasati? No, parole del consigliere del principe, dove il principe è il premier gauchiste francese Emmanuel Macron e il consigliere è l'economista e banchiere pure francese Jacques Attali: «L'eutanasia sarà uno degli strumenti essenziali delle nostre società future [...]. Per cominciare, in una logica socialista, il problema si pone così: la logica socialista è la libertà e la libertà fondamentale è il suicidio; di conseguenza, il diritto al suicidio diretto o indiretto è dunque un valore assoluto in questo tipo di società. In una società capitalista, verranno inventate e saranno di uso comune macchine per uccidere, strumenti che permetteranno di eliminare la vita quando sarà troppo insopportabile o economicamente troppo costosa. Ritengo quindi che l'eutanasia, sia essa un valore di libertà o una merce, sarà una delle regole della società futura» (citazione tratta da La médecine en accusation, intervista ad Attali nel volume L'avenir de la vie curato dal giornalista Michel Salomon edito da Seghers a Parigi nel 1981 con prefazione del filosofo Edgar Morin, alle pp. 274-275).
Qualcuno, scrivendo sul sito della Fondazione Luigi Einaudi, ci crede al punto di chiamare «[...] sciacalli ideologici» coloro che hanno cercato di strappare Alfie al boia, argomentando così: «Alfie non era più e forse non era mai stato un bambino, nell'accezione della completezza umana, forse non era solo in stato vegetativo, in quanto ciucciava e muoveva le braccine. Lascio a laicisti, eticisti, scientisti e religiosi vari marcare il confine terminologico, ma su un fatto erano tutti quanti d'accordo: il bimbo era condannato. Il problema si spostava dunque sul "come" arrivare al termine». È il "caro", vecchio galtonismo, illustrato a puntino da Richard Weikart - professore di Storia alla California State University Stanislaus di Turlock - in From Darwin to Hitler: Evolutionary Ethics, Eugenics, and Racism in Germany, pubblicato da Palgrave Macmillan (lo stesso editore di Galton) a Londra nel 2004 e contro cui si sono scatenate le polemiche. Ma guarda un po'.

Nota di BastaBugie: anche il nazismo si nutrì delle idee evoluzioniste di Darwin e di quelle eugenetiche di suo cugino Galton. Emblematico è l'Aktion T4, "nome convenzionale con cui viene designato il Programma nazista di eutanasia che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da portatori di handicap mentali, [...] cioè delle cosiddette vite indegne di essere vissute. Si stima che l'attuazione del programma T4 abbia portato all'uccisione di un totale di persone compreso tra le 60.000 e le 100.000. A ogni modo l'uccisione di tali individui proseguì anche oltre la fine ufficiale dell'operazione, portando quindi il totale delle vittime a una cifra che si stima intorno ai 200.000 individui" (fonte: Wikipedia)
Ecco un video che racconta cosa avvenne sotto Hitler con il programma Aktion T4.


https://www.youtube.com/watch?v=5E0qCFor2UA

DOSSIER "ADOLF HITLER"
Era vegetariano e voleva distruggere la Chiesa

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05/05/2018

7 - UNA LEGGE AUSTRALIANA OBBLIGA I SACERDOTI A RIVELARE LE CONFESSIONI DEGLI ABUSI SESSUALI
Ma l'arcivescovo Prowse ha ricordato il dovere di non obbedire alla legge degli uomini, ma a quella di Dio (che prevede il segreto confessionale)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 11/06/2018

L'assemblea legislativa di Canberra ha approvato venerdì una legge senza precedenti che obbliga i preti cattolici a denunciare eventuali molestatori sessuali che abbiano ammesso le loro colpe durante la confessione, violando così il sigillo sacramentale. L'arcivescovo di Canberra e Goulburn, Christopher Prowse, ha attaccato i parlamentari e la «minaccia alla libertà religiosa» ricordando che per la Chiesa cattolica la confessione è un sacramento e che per i sacerdoti che violano il segreto confessionale è prevista la scomunica "latae sententiae", revocabile solo da un intervento del Papa.

MINACCIA ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA: CHI VERRÀ A CONFESSARSI?
«I sacerdoti sono legati dalla sacra promessa di non violare il segreto della confessione», ha scritto l'arcivescovo in un editoriale su Canberra Times. «Senza questa promessa chi verrebbe a svelare i suoi peccati in confessionale? Il governo minaccia la libertà religiosa cercando di cambiare il sacramento della confessione, senza con questo raggiungere alcun miglioramento per la sicurezza dei bambini. Obbligare i sacerdoti a violare il segreto non impedirà gli abusi e non aiuterà gli sforzi messi in atto dalla Chiesa per proteggere i bambini nelle istituzioni cattoliche».
L'obbligo per i sacerdoti di denunciare chi si reca in confessionale entrerà in vigore il 31 marzo 2019 e la speranza è che il governo della capitale introduca dei correttivi per allora. Anche perché, continua monsignor Prowse, «quale molestatore sessuale verrebbe a confessarsi da un prete se sapesse che questi potrebbe denunciarlo? Se il segreto viene rimosso, la remota possibilità che queste persone si confessino e così possano essere spinte e consigliate a denunciarsi presso le autorità civili svanisce».

NON OBBEDITE ALLA LEGGE
Inoltre, continua l'arcivescovo, «molti confessionali hanno uno schermo che impedisce al sacerdote di vedere in faccia il penitente. Ma anche se lo vedesse, non è detto che lo conosca. Per confessarsi non è richiesto dichiarare la propria identità. Senza contare, poi, che i pedofili in base all'esperienza non si confessano né al sacerdote né alla giustizia».
Approvata in seguito allo scandalo pedofilia scoppiato in seno alla Chiesa cattolica in Australia, la nuova legge richiede che qualunque accusa nei confronti di un presunto molestatore venga riportata alla giustizia, anche quando avviene in una parrocchia o in locali gestiti dalla Chiesa. Monsignor Prowse ha affermato di «essere il primo a sostenere questa iniziativa, mentre violare la libertà religiosa non aumenterà la sicurezza de bambini». Anche per questo ha richiamato i sacerdoti della capitale, come altri prelati prima di lui, a non obbedire alla legge. [...]

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo sottostante dal titolo "Inizia l'opera di demolizione del segreto confessionale" spiega perché la legge australiana, oltre ad essere ingiusta, sia anche dannosa. Produrrebbe infatti l'effetto contrario perché nessuno si confesserebbe più e verrebbe meno il riparare il male fatto. Così, applicandola a aborto e omicidio, si aggiungerebbero altri casi e a rischio sarebbe la salus animarum.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 giugno 2018:
In Australia è stata varata una legge regionale che impone ai sacerdoti cattolici di Canberra di violare il segreto confessionale qualora il penitente sia un pedofilo (tempo fa una proposta simile venne fatta anche in Irlanda). Se il prete entro 30 giorni non denuncia quanto ascoltato in confessionale finirà nei guai con la giustizia. La legge entrerà in vigore il 31 marzo del 2019.
Vediamo cosa dice il Codice di diritto Canonico sul segreto confessionale: "Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa" (can. 983 § 1). Il Catechismo della Chiesa cattolica ripete nella sostanza questa indicazione e aggiunge: "Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il 'sigillo sacramentale', poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane 'sigillato' dal sacramento" (n. 1467). Il sigillo sacramentale copre tutto ciò che si è ascoltato in confessione: i peccati (mortali e veniali); le eventuali spiegazioni complementari (circostanze di luogo e di tempo, il fine, i complici etc.); la penitenza imposta; la negata o differita assoluzione; le condizioni di vita del penitente, ovviamente se apprese solamente nel confessionale. L'obbligo di osservare il segreto grava anche su coloro i quali hanno avuto modo, seppur non intenzionalmente, di ascoltare la confessione. Il sigillo sacramentale è da rispettare anche in caso di negata assoluzione.
Il confessore se rivela direttamente il contenuto della confessione incorre nella scomunica latae sententiae, ipso facto ossia per il fatto stesso di aver rotto il sigillo sacramentale (can. 1388). Se invece lo rivela indirettamente, ossia fa intendere senza però essere esplicito, le pene sono diverse. Anche chi, non essendo il confessore, ha appreso il contenuto della confessione e lo rivela incorre in alcune gravi pene canoniche.
Dunque non si può mai rivelare quanto appreso in confessionale, nemmeno per fini nobilissimi, quali la sicurezza nazionale o l'evitare altri crimini. Il sacerdote chiamato in un giudizio canonico non può rivelare nulla, nemmeno se autorizzato dal penitente stesso (can. 1550, § 2, n. 2). Terminata la confessione il sacerdote non può far riferimento alle cose apprese nemmeno con il penitente stesso, a meno che non sia lui a volerlo. C'è un solo caso in cui lecitamente si può venir meno seppur parzialmente a questo obbligo: alcuni peccati possono essere perdonati solo con l'autorizzazione del vescovo o del Papa. In queste ipotesi è prevista una particolare procedura perché il confessore informi ad esempio il suo vescovo della necessità della sua autorizzazione, ma solo con il consenso del penitente, senza rivelare troppi dettagli e soprattutto non rivelando l'identità del penitente.
E se il confessore rischiasse la vita? Anche in questo caso la Chiesa impone il silenzio. Così Giovanni Paolo II in un discorso del marzo del 1994 tenuto ai membri della Penitenzieria apostolica e ai padri penitenzieri delle basiliche romane: "la divina istituzione e la legge della Chiesa lo [il confessore] obbligano [...] al totale silenzio usque ad sanguinis effusionem". Fino all'effusione del sangue. Ne ha dato prova san Giovanni Nepomuceno che incarcerato e torturato per ordine di Venceslao IV, re di Boemia, non volle rivelare quanto appreso in confessione dalla sposa del re, Giovanna di Baviera. Il suo segreto finì in fondo al fiume Moldava nel 1393. Il divieto di rompere il sigillo sacramentale è di diritto divino come rammenta lo stesso pontefice sempre nella medesima occasione prima accennata: "Avendo Nostro Signore Gesù Cristo stabilito che il fedele accusi i suoi peccati al ministro della Chiesa, con ciò stesso ha sancito, l'incomunicabilità assoluta dei contenuti della confessione rispetto a qualunque altro uomo, a qualunque altra autorità terrena, in qualunque situazione". Da ricordare infine che il nostro codice di procedura penale tutela il segreto confessionale, nonché tutto quanto appreso in virtù del ministero sacerdotale. Così anche l'art. 4 del Nuovo accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, siglato il 18 febbraio 1984.
Ma veniamo ora ai motivi per cui esiste il sigillo sacramentale, indicando prima quelli meno importanti e poi quelli più significativi. In primo luogo si lederebbe la buona fama del penitente (ovviamente questa motivazione non reggerebbe di fronte a crimini odiosi come la pedofilia). In secondo luogo si verrebbe meno alla giustizia, ossia si defrauderebbe il penitente della fiducia che ha riposto nel confessore. Dato che il confessore opera in persona Christi e Cristo non tradisce mai, il tradimento del segreto violerebbe un precetto di morale e di fede. In terzo luogo il segreto ha un significato altamente simbolico: le colpe nella confessione vengono distrutte dall'amore di Dio e non rimane più nulla di esse, nemmeno il ricordo. Infine indichiamo il motivo principale e lo facciamo usando le parole di mons. Christopher Prowse arcivescovo di Canberra e Goulburn il quale, sul Canberra Times, ha criticato aspramente la neo legge australiana: "Senza quel sigillo, chi sarebbe disposto a liberarsi dai propri peccati, a cercare il saggio consiglio di un sacerdote e a ricevere il misericordioso perdono di Dio?".
In altri termini, il motivo fondante del segreto confessionale sta nella salus animarum. Ordinariamente come si fa scampare all'Inferno per aver compiuto dei peccati mortali? Con la confessione. Se la lingua del confessore andasse a briglia sciolta molti, forse moltissimi non si confesserebbero più, mettendo in serio pericolo la loro salvezza eterna. Di fronte al pericolo dell'Inferno non c'è esigenza della magistratura che tenga. La Chiesa ha dunque blindato questo sacramento per rassicurare i fedeli: vieni, Dio ti accoglie e nessun ostacolo si deve frapporre tra te e la sua misericordia salvifica.
Poi, in relazione al caso della legge australiana, vi sono alcuni motivi che suggeriscono che tale legge sia non solo ingiusta ma anche, per paradosso, dannosa. Sempre mons. Prowse afferma che "se il sigillo viene rotto anche la possibilità remota di consigliare al violentatore di costituirsi viene meno". Insomma ci bruceremmo almeno una possibilità di consegnarlo alla giustizia, tenuto conto che il pedofilo impenitente di certo non si confesserà. Inoltre esiste un'altra motivazione per cui è inutile eliminare il segreto confessionale: a chi si confessa ed è sinceramente pentito di questo crimine orribile il confessore necessariamente indicherà come penitenza anche l'obbligo di costituirsi alle autorità civili. La soddisfazione di questa pena temporale è inevitabile se c'è pentimento. Infine accenniamo ad un'altra ragione per cui questa legge non è accettabile. Se la Chiesa chinasse il capo a questa decisione non si vedrebbe il motivo per cui mantenere il segreto confessionale anche per omicidi, stupri, violenze domestiche, rapine, delitti di mafia, etc. L'effetto trascinamento farebbe ben presto sparire il segreto confessionale relativamente a tutti i reati.

Fonte: Tempi, 11/06/2018

8 - MELISSA OHDEN, SOPRAVVISSUTA A UN ABORTO COME GIANNA JESSEN, MA MENO FAMOSA DI LEI PERCHE' CATTOLICA
Anche lei sottoposta ad aborto salino, è viva grazie a un'infermiera che l'ha sentita vagire e l'ha raccolta
Fonte Notizie Provita, 06/06/2018

Giovanna Tedde, su Pour Femme, racconta la storia di Melissa Ohden: 41 anni fa sopravvissuta a un aborto e gettata tra i rifiuti ospedalieri. È viva grazie a un'infermiera che l'ha sentita vagire e l'ha raccolta.
Anche noi abbiamo scritto di Melissa, più volte. E più volte abbiamo trattato del dramma dei piccoli sopravvissuti che - pur essendo nati - non hanno, in questo mondo tanto "civile" il diritto di vivere...
Nel 1977, nello Iowa, una giovane di 19 anni si è sottoposta ad aborto salino (lo stesso di Gianna Jessen), incinta di otto mesi.
La bambina espulsa a seguito di detto aborto pesava 1300 grammi ed è stata gettata tra i rifiuti. Un'infermiera ha sentito i vagiti e l'ha portata in terapia intensiva.
La Tedde dice che «Tutti la credevano morta»: ce l'auguriamo per loro. Sappiamo, però, che spesso non si sta lì ad approfondire. Del resto se la piccola piangeva tra i rifiuti, ci sono buoni motivi di ritenere che respirasse anche prima...
Scrive la Tedde che quando Melissa aveva 14 anni, «la sorella adottiva, durante una discussione, si era fatta sfuggire quel segreto gelosamente custodito per anni dal padre e dalla madre che l'avevano accolta in casa.
Una sconvolgente verità che, confermata dai genitori adottivi, l'ha spinta nel baratro della depressione, con un crescendo di disagi psichici sfociati in disturbi alimentari, abuso di alcol e progressivo isolamento dal mondo».
A 19, Melissa, decide di mettersi alla ricerca della sua madre naturale. Dopo 13 anni, «il faccia a faccia con sua madre è avvenuto a distanza di tre anni dal primo contatto via e-mail. Nel loro primo incontro, Melissa ha scoperto una donna fragile, preda del rimorso».
Ha raccontato di essere stata costretta all'aborto da sua madre e da un amico. «La nonna, infermiera presso l'ospedale in cui Melissa doveva morire, avrebbe addirittura pressato i colleghi affinché si sincerassero della morte della bambina».

Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo sottostante dal titolo "Tre ragazze scampate all'aborto che ora salvano altre vite" racconta le storie di Melissa, Susie e Christina, tre donne che danno tutto per salvare altri bambini. Dalla sofferenza per la scoperta di essere scampate all'aborto all'amore per la vita.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 24 aprile 2013:
Spesso è chi è stato ferito a medicare. Chi ha rischiato la vita a capirne il valore. A dirlo sono Susie Araujo, Melissa Ohden e Christina Martin. Tre ragazze scampate all'aborto che oggi ridanno la vita salvandone altre.
1) MELISSA
Melissa, 35 anni, di Kansas City, scampata a un aborto salino, da quando ha incontrato Janna Jessen, una donna con la sua stessa storia, e averne conosciuto la vicenda descritta nel film "October Baby", nel 2011 ha deciso di aprire un sito dove altre persone come lei la contattano ogni giorno. Ma prima di arrivare qui Melissa ha dovuto passare attraverso una grande prova e molta sofferenza. A dirle cosa le era successo i suoi genitori adottivi. La ragazza, appena 14enne, scoprendo che sua madre e suo padre naturali non la volevano, cominciò a sentirsi «in colpa per essere sopravvissuta e per essere in salute», spiega al portale internazionale Lifenews.com. Poi la vergogna di vivere «in un mondo che pensa che l'aborto sia un diritto». Melissa crede per anni di essere di troppo, finché 29enne conosce Jessen. Convertita al cattolicesimo si sposa e oggi ha una bimba di 5 anni, «nata nell'ospedale dove io dovevo morire». Oggi la giovane, oltre che curare il sito, gira il mondo per testimoniare la sua storia: dal dolore fino al perdono e alla scoperta che «i miei genitori adottivi non sono scontati (...). Sono cresciuta in una casa piena di amore. E ora mi rendo conto di che dono sia la mia vita».
2) SUSIE
Susie, 36 anni, di Corona (California), è venuta al mondo grazie all'errore di un medico abortista. Sua madre è una giovane immigrata messicana che, quando rimane incinta, si ritrova sola davanti a suo padre e al suo ragazzo che non vogliono la bimba. Poi il riavvicinamento dei parenti che si offrono di accompagnarla a una visita d'accertamento. La ragazzina accetta e, una volta in ospedale, firma delle carte in inglese che non comprende. Sono per il consenso all'aborto, fortunatamente però quel giorno mancano gli strumenti per l'operazione. La minorenne sarebbe dovuta ritornare più tardi, ma prima di uscire un medico si lascia scappare la parola "aborto" e lei comprende l'inganno. La giovane va su tutte le furie, convince il ragazzo che poi la sposa, e partorisce Susie, che oggi è la maggiore di cinque fratelli e, oltre a raccontare la sua storia, offre aiuti alle donne che «spesso sono sole, isolate e si sentono costrette ad abortire».
3) CHRISTINA
Christina, 31 anni, di Washington, vive ricordando le parole di sua madre: «Era un angelo». La mamma è in una clinica abortiva quando una signora afroamericana la avvicina chiedendole se vuole tenere il bambino. Alla risposta affermativa la signora le sussurra: «Dio ti darà la forza di tenere questo bambino». Sentendo quella voce la madre di Christina cambia idea, ma girandosi per cercare la donna non la trova più. Così va dal medico abortista, gli spiega che se ne vuole andare e così fa, anche se quello è infuriato «perché temeva che anche altre donne presenti se ne sarebbero andate». Circa dieci anni fa, quando era incerta se l'aborto fosse ammissibile o meno, Christina scopre che avrebbe potuto non esserci se non fosse stato per quell'afroamericana. Non solo, appena la madre svela alla figlia la verità accadde qualcosa per cui oggi Christina dedica la sua vita ad aiutare donne disperate che vogliono abortire: «Il mio cuore cambiò improvvisamente. Ero stata salvata da Dio. Mi aveva soccorsa; mi sono sentita amata da Lui. E ho cominciato a capire quanto mi volesse viva desiderando che aiutassi altri bambini a vivere».

Fonte: Notizie Provita, 06/06/2018

9 - OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 4,26-34)
Il seme germoglia e cresce
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Il brano del Vangelo ci presenta due parabole. Le parabole, come sappiamo, sono dei racconti semplici, di facile comprensione, che hanno però un profondo significato. Gesù parlava spesso in parabole e, in questo modo, si adattava ai suoi uditori i quali non potevano intendere un discorso difficile.
Le due parabole descrivono il Regno dei Cieli. La prima parla di un uomo che getta il seme nella terra. "Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa" (Mc 4,26). Cosa voleva insegnare Gesù con questo paragone? Un insegnamento che possiamo trarre dalla meditazione di queste parole riguarda la pazienza. L'agricoltore semina il buon seme e attende pazientemente il raccolto. Così dobbiamo fare anche noi: dobbiamo seminare il bene attorno a noi e, a suo tempo, raccoglieremo questo bene, moltiplicato.
Ciascuno raccoglierà ciò che ha seminato. Se uno semina vento raccoglie tempesta, si dice comunemente. Se uno semina spine non dovrà poi lamentarsi o prendersela magari con il Signore. Il buon seme lo abbiamo a disposizione: è il bene che possiamo e dobbiamo compiere. Tutti hanno la grazia di compiere il bene, dalle cose più semplici come un'opera buona, una parola di incoraggiamento, un sorriso, alle cose più grandi come ad esempio la preghiera.
Anche l'educazione si può paragonare ad una semina. Il buon genitore cerca sempre di seminare il bene nel cuore dei propri figli. Verranno poi dei tempi difficili quando i figli, influenzati dall'ambiente circostante e dalle amicizie, forse prenderanno delle strade sbagliate. Ma, se nel cuore di quel giovane è stato deposto il seme di una buona educazione, prima o poi crescerà qualcosa di buono. Si tratta solo di pregare e attendere, come ha fatto santa Monica nei riguardi del figlio Agostino. Questa parabola ci insegna quindi ad essere ottimisti e a saper aspettare i tempi di Dio.
La seconda parabola parla di un granellino di senapa che è tra i più piccoli semi, ma una volta germinato, diventa un albero, tanto che gli uccelli nidificano tra i suoi rami. Nella Terra Santa, ai tempi di Gesù, con il nome di senapa chiamavano, oltre al piccolo arbusto che noi conosciamo, anche un albero che raggiunge diversi metri di altezza. Questa parabola ci insegna come Dio, per diffondere il bene nel mondo, si serve di strumenti umili e semplici. Sono queste le sue preferenze. Così Egli ha fatto chiamando gli Apostoli, umili e semplici pescatori, divenuti gli evangelizzatori del mondo. Così continua a fare nella Chiesa: tante volte sono proprio le persone più semplici quelle che ricevono missioni particolari da svolgere per il bene di tutti. Pensiamo a santa Bernadette, la veggente di Lourdes, che era la più povera tra le coetanee di quel piccolo paese dei Pirenei. La Madonna apparve proprio a lei. Pensiamo ai tre pastorelli di Fatima: tre bambini ai quali la Madonna, apparendo, diede un messaggio per il mondo intero. Così sarà anche per noi. Se vogliamo fare del bene dobbiamo essere umili e semplici. Diversamente la vita scorrerà via inutile e infruttuosa. Dobbiamo essere come un piccolo seme di senapa gettato nel campo di questo mondo, un piccolo seme che diventa grande agli occhi di Dio. L'esempio ce lo dà la Madonna. Ella, che è la Piena di Grazia, la Madre di Dio, la Mediatrice, la Corredentrice e Dispensatrice di ogni bene, piacque a Dio soprattutto per la sua umiltà. E proprio per questa umiltà, Ella fu arricchita da Dio più di ogni altra creatura. A Dio piace solo l'umiltà e ciò che è unito all'umiltà, insegnava san Bonaventura. Dunque, in tutto il bene che compiamo, uniamo l'umiltà del nostro cuore.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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