BastaBugie n�119 del 18 dicembre 2009

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1 COPENHAGEN 1: LA CHIESA SOSTIENE CHE IL PRIMO NEMICO DELL’AMBIENTE E' L'ATEISMO

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Svipop
2 COPENHAGEN 2: IL PAPA E' D'ACCORDO CON GLI ECOLOGISTI? CERTO CHE NO (CHE CHE SE NE DICA...)

Autore: Mimmo Muolo - Fonte: Svipop
3 INNALZAMENTO DEGLI OCEANI CAUSATO DALLO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI POLARI? FORSE NEI FILM, LA SCIENZA DICE DI NO

Autore: Lamberto Paggi - Fonte: Svipop
4 TRE ARGUTE RIFLESSIONI SUL REFERENDUM SVIZZERO CONTRO I MINARETI

Fonte: I Tre Sentieri
5 EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UN'IPOTESI: VIETATO CRITICARE DARWIN ORMAI DIVENTATO UN DOGMA (ANTISCIENTIFICO)

Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio del 2/12/2009
6 IN CHE ANNO E' NATO GESU' DI NAZARETH?
Gesù nacque proprio il 25 dicembre, ma per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso (tra il 7 e il 4 a.C)
Autore: Vitaliano Mattioli - Fonte: CulturaCattolica.it
7 IL FILM DEL 2009 CHE DIFFICILMENTE VEDRETE IN ITALIA: POPIELUSZKO, IL CAPPELLANO DI SOLIDARNOSC

Autore: Gianluca Arnone - Fonte: Libero News
8 MAGDI ALLAM: ECCO IL SIMBOLO DEL MOVIMENTO POLITICO IO AMO L'ITALIA

Fonte: Avvenire
9 OMELIA PER LA IV DOMENICA TEMPO DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 1,39-45)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - COPENHAGEN 1: LA CHIESA SOSTIENE CHE IL PRIMO NEMICO DELL’AMBIENTE E' L'ATEISMO

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Svipop, 9-12-2009

Davanti alle sfide poste dai problemi ambientali la strada da seguire è quella dello sviluppo solidale. È l’affermazione cruciale ribadita domenica da Benedetto XVI al termine dell’Angelus, con riferimento al vertice di Copenhagen sul clima che si è aperto ieri. Essa sottolinea con forza la centralità dell’uomo – come soggetto e come fine – in ogni questione sociale, compresa quella dell’ambiente. La Chiesa preferisce parlare di sviluppo solidale, anziché sostenibile, perché quest’ultimo è un concetto che si presta ad alcune ambiguità, mentre l’interesse prioritario e non negoziabile dei cattolici è promuovere la dignità di ogni persona umana, incluse quelle che devono ancora nascere.
La solidarietà, legata al tema dello sviluppo, implica il riconoscimento dell’appartenenza di tutti all’unica famiglia umana e la pari dignità di ogni essere umano. Non si può dunque sacrificare lo sviluppo di alcuni per salvarne altri, né a maggior ragione si può sacrificare alcuni nel nome di priorità «ambientali». Anche perché, oltre che essere immorale, questa visione ha già dimostrato nella storia la sua logica perversa, in quanto generatrice di conflitti.
Il tema della solidarietà fra gli uomini e fra questi e la natura conduce a una seconda parola non casualmente usata dal Papa: il creato. Rispetto al termine ambiente – che può essere interpretato in contrapposizione all’uomo o almeno come "altro" dall’uomo –, creato implica una visione positiva della realtà e dell’uomo, che affonda le radici nell’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende.
La terra non è un organismo autonomo che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la febbre (non si parla forse spesso di «febbre del pianeta» per descrivere il riscaldamento globale?), ma è dono di Dio all’uomo. L’uomo non solo è parte del Creato, ma è la prima tra le creature. Esiste cioè una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi. D’altro canto, proprio perché è creatura l’uomo deve rendere conto al Creatore: la superiorità sulle altre creature non è disponibilità assoluta, ma è una responsabilità davanti ai propri simili e a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa usa una formula semplice per esprimere questo concetto: la natura è per l’uomo, ma l’uomo è per Dio. L’insistenza del Papa su questi punti non è casuale perché spesso, quando si parla di ambiente, da alcune frange del movimento ecologista viene un rimprovero al cristianesimo che, col suo antropocentrismo, sarebbe addirittura una concausa dei disastri ambientali. Il problema del corretto rapporto con la natura è invece di natura morale, ovvero di come l’uomo gioca la sua libertà nel collaborare alla Creazione (cfr. Laborem Exercens, n.25): se segue il progetto di Dio rende la Creazione più bella e più umana; se invece persegue il proprio progetto, «sfigura» la Creazione.
È proprio per questo che, parlando al clero di Bressanone il 6 agosto 2008, Benedetto XVI sosteneva che il primo nemico dell’ambiente è l’ateismo: «Il consumo brutale della Creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi (…). E lo spreco della Creazione inizia dove (…) non esiste più alcuna dimensione della vita al di là della morte». E ancora, nella Caritas in Veritate spiega che «l’uomo può responsabilmente utilizzare [la natura] per soddisfare i suoi legittimi bisogni –- materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne».
In questa prospettiva si inserisce anche il richiamo a stili di vita sobri. La sobrietà non consiste nell’usare poco, ma nell’usare secondo le giuste finalità. O, come esortava il Papa domenica, «a rispettare le leggi poste da Dio nella natura».

Fonte: Svipop, 9-12-2009

2 - COPENHAGEN 2: IL PAPA E' D'ACCORDO CON GLI ECOLOGISTI? CERTO CHE NO (CHE CHE SE NE DICA...)

Autore: Mimmo Muolo - Fonte: Svipop, 9-12-2009

È una sorta di compendio del magistero del Papa sui temi ambientali, quello che Benedetto XVI ha detto domenica dopo l’Angelus. Un compendio, sottolinea monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, che «in poche righe spiega la specificità della posizione del Santo Padre e della Chiesa sulle questioni che verranno trattate a Copenhagen». Monsignor Migliore sarà nella capitale danese a partire da lunedì prossimo, per guidare la delegazione vaticana alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Ma intanto, al telefono da New York, commenta per Avvenire le parole del Pontefice.
IN CHE COSA CONSISTE LA SPECIFICITÀ ALLA QUALE LEI SI RIFERISCE?
Soprattutto il vocabolario usato dal Papa. Benedetto XVI non parla di ambiente, ma di creato, non usa il verbo difendere, ma salvaguardare. E mette l’accento sulla «dimensione morale della vita umana». Le differenze sono sostanziali rispetto a certi movimenti ecologisti.
IN CHE SENSO?
Parlare di creazione pone la questione nella giusta prospettiva, poiché ricorda a tutti che l’ambiente è un dono di Dio. Dunque non si tratta di difenderlo da un nemico, in molti casi identificato con l’uomo, ma di salvaguardarlo così come Dio stesso ha voluto quando ha affidato proprio all’uomo questo compito. E qui, infatti, il Santo Padre richiama la dimensione morale dell’agire umano nei confronti del creato.
BENEDETTO XVI PARLA ANCHE DI UN POSSIBILE COLLEGAMENTO TRA SVILUPPO E RISPETTO DELLA CREAZIONE. DUNQUE QUESTE DUE ESIGENZE NON SONO DI PER SÉ ANTITETICHE.
Direi proprio di no. Anzi è lo sviluppo che ci aiuta a contenere i fenomeni climatici. Pianificare investimenti ecologici sottraendo fondi allo sviluppo significa probabilmente non favorire né la salvaguardia del creato, né lo sviluppo stesso. A tutto svantaggio dei poveri e delle generazioni future che sono invece centrali nel discorso del Papa.
E QUESTO, CONCRETAMENTE, IN RELAZIONE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, COME SI CONIUGA?
Il clima sulla terra cambia da millenni. E da sempre gli uomini, gli animali e le piante hanno dovuto adattarsi. Lo sviluppo serve proprio a questo. Ad esempio a far sì che nelle zone di siccità possano essere realizzate opere di canalizzazione dell’acqua. O che in quelle che subiscono frequenti inondazioni, la forza degli elementi non provochi danni eccessivi. Anche la tecnica di costruzione delle case può aiutare a creare ambienti isolati dal freddo o dal caldo, in modo da non dover consumare grandi quantità di energia per questi fini. Sviluppo e salvaguardia del creato non sono nemici, ma anzi grandi alleati.
DA COPENAGHEN CHE COSA È LECITO ATTENDERSI?
Probabilmente si arriverà a un accordo politico di base per il futuro. Personalmente sarei contento se dai lavori emergesse la convinzione che queste non sono solo questioni tecniche. Riduciamo di un tot per cento l’emissione di gas serra, stabiliamo gli investimenti e chi li paga e va bene così. Occorre invece puntare di più sulla dimensione morale, coinvolgendo non solo i tecnici, ma gli stili di vita di tutti. Prendersi cura delle foreste, della qualità dell’aria e dell’acqua, costruire abitazioni compatibili e non solo speculare sull’edilizia. Insomma creare una cultura dell’ambiente.
IL MAGISTERO «VERDE» DI BENEDETTO XVI AIUTERÀ IN QUESTO SENSO?
Me lo auguro. In effetti molti sostengono che egli sia un «Papa verde». Una definizione che trovo un po’ riduttiva. Ciò che sta a cuore al Santo Padre e alla Chiesa è fornire motivazioni alla politica, perché le decisioni tecniche siano ispirate proprio ad una accresciuta cultura del rispetto e della promozione del creato.

Fonte: Svipop, 9-12-2009

3 - INNALZAMENTO DEGLI OCEANI CAUSATO DALLO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI POLARI? FORSE NEI FILM, LA SCIENZA DICE DI NO

Autore: Lamberto Paggi - Fonte: Svipop, 11-12-2009

La valutazione di un possibile prossimo e catastrofico innalzamento del livello degli oceani conseguente al graduale scioglimento dei ghiacci dovuto ad una supposta futura fase di riscaldamento della Terra, richiede l’analisi dei principali elementi  che potrebbero giocare un ruolo nel fenomeno.
GLI ICEBERG
Come noto, essi consistono in grandi piattaforme di ghiaccio e neve, vaganti come isole galleggianti per i mari polari, talvolta ancorate fra loro o anche a terre vicine più fredde. Mentre la porzione sommersa di esse è, in genere, formata da ghiaccio compatto, quella sporgente dall’acqua  può essere costituita da ghiaccio più leggero, ancora in formazione, di neve in assestamento sino a quella appena caduta.
Queste masse galleggianti, nel loro peregrinare, obbediscono come noto al Principio generale di equilibrio dei corpi immersi in un liquido (di Archimede) che assicura loro una forza di sostentamento pari al peso del liquido spostato.
Assumendo per il ghiaccio, che pesa meno dell’acqua, un peso specifico medio di circa 0,9 chilogrammi per decimetro cubo, un iceberg di 100 metri di altezza, galleggerà nel mare posizionandosi con una porzione di 90 metri sommersa e con il resto di 10 sporgente dall’acqua. La sua posizione verticale sarà infatti stabilita dall’equilibrio tra la spinta in su dei 90 m. dell’acqua spostata e il peso dell’iceberg, i 100 m. x  0,9  = 90 m. equivalente.
All’aumentare dello spessore degli iceberg che è maggiore in prossimità dei poli, arrivando sino a due chilometri e oltre, il rapporto tra l’altezza sommersa e quella emergente non muta, 90 % sotto e 10% fuori dal livello del mare, per cui si comprende la grande difficoltà incontrata, prima dell’avvento del radar e specialmente di notte, dalle navi maggiori nell’individuare ed evitare questi enormi ostacoli, ovviamente non indicati sulle carte nautiche.
La loro visibilità è maggiore, se la loro parte emergente è formata anche da neve che pesando meno (sino ad un decimo dell’acqua) arriva a quote più elevate, per l’iceberg precedente, di 30/50 m.
Quando un iceberg, nel suo peregrinare, perviene in acque meno fredde, la prima parte a soffrirne, ovviamente, è quella sottostante a diretto contatto con l’acqua. Cominciano così a liquefarsi gli strati più esterni del ghiaccio sommerso che, non sostenendo oltre gli strati superiori, li lascia  crollare fragorosamente, per murate successive. Le immagini di questi crolli, evocando  nell’animo umano il timore di distruzioni apocalittiche, sono utilizzate con successo dagli allarmisti. Per fortuna, le cose nella realtà vanno meglio: lo scioglimento della parte sommersa dell’iceberg, in base alle considerazioni fatte in precedenza, restituisce al mare soltanto la propria quantità di acqua (pari al 90 % del suo volume) e a quel punto, se il livello marino potesse essere misurato senza consentire apporti di liquido dall’esterno e se la porzione emergente del ghiaccio potesse esser  momentaneamente sostenuta al di sopra del livello del mare, esso risulterebbe inferiore a quello preesistente e, per l’iceberg alto 100 m.,indicato prima, il livello sarebbe più basso di ben 9 metri,  recuperabili solo sciogliendo il ghiaccio del cappello (10m  x 0,9 =  9 m.).
Più in generale, quando nell’ambito dell’equilibrio tra corpi sommersi e liquidi circostanti (principio di Archimede), sia il corpo sommerso che il liquido sono composti solo d’acqua, né il formarsi del ghiaccio né il suo scioglimento influenzano il livello circostante. La verifica ( v. raccolta esperimenti curiosi di Fisica) si ottiene inserendo un cubetto di ghiaccio in un bicchiere che si riempie quindi d’acqua  sino all’orlo: dopo qualche minuto, il bicchiere sarà pieno d’acqua senza che una sola goccia sia riuscita a tracimarne le pareti!              
L’ANTARTIDE
Il polo sud del nostro pianeta è occupato da un grande continente disabitato. A causa della inclinazione dell’asse terrestre rispetto al sole, esso non vede mai il sole e, per questo, è molto più freddo del polo nord che almeno usufruisce quasi sempre di una fioca illuminazione solare. In entrambi i casi, si tratta comunque di raggi solari radenti di inclinazione prossima all’orizzontale, di scarsissimo impatto termico e che, per quanto riguarda l’Antartide, arrivano a lambirla al massimo per 10 – 20 giorni ogni anno. La sua superficie, quasi quattro volte più grande dell’Artide e prevalentemente rocciosa, nei secoli ha accumulato una coltre di ghiaccio, alta spesso due km e più, caratterizzata da temperature ben al di sotto al punto di congelamento, variabili tra i 40 e i  90 °C sotto zero! Tutto attorno all’Antartide, una superficie di pari grandezza è occupata da una fitta rete di iceberg a temperature gradatamente meno rigide allontanandosi dal polo.
Il timore di una possibile sopraelevazione del livello degli oceani conseguente, nel volger del secolo, al liquefarsi di una consistente quantità di ghiacci del deposito antartico, dovuto al riscaldamento globale originato da eccessiva quantità di CO2 prodotta dall’uomo, non appare fondato.
Prima di tutto, per portare il ghiaccio al punto in cui il suo processo di fusione può iniziare, esso va riscaldato per liberarlo dal freddo che lo imprigiona; per far ciò, ogni chilogrammo di esso  richiederebbe 40/90 calorie a seconda del suo stato. Un calore di dimensioni inimmaginabili che non si vede né dove prendere né come trasmettere.
Come visto sopra infatti, i fattori di possibile effetto termico sui poli ed in particolare sul polo sud sono tutti di natura rigidamente astronomica e pertanto del tutto indipendenti da ogni influenza umana o terrestre.
Anche gli iceberg sembrano disposti a difesa dei ghiacci del sud e solo quando si staccano, andando alla deriva attraverso gli oceani, offrono alle correnti calde in olocausto i loro corpi sommersi mentre, i ghiacci dell’Antartide, ben ancorati alla terra ferma, attendono l’attacco del caldo a domicilio.
Sulla base delle considerazioni su esposte, non appare fondato il timore diffuso fra tante popolazioni rivierasche di pericolosi innalzamenti dei mari e perfino della scomparsa di intere isole e città; quanto qui esposto dunque può servire a rasserenare un po’ tante persone ingiustamente preoccupate.

Fonte: Svipop, 11-12-2009

4 - TRE ARGUTE RIFLESSIONI SUL REFERENDUM SVIZZERO CONTRO I MINARETI

Fonte I Tre Sentieri, 5 dicembre 2009

Il recente referendum riguardante la costruzione dei minareti sul territorio svizzero ci spinge a fare qualche riflessione. Lo facciamo perché siamo convinti che l’esito di questo voto non solo non sia preoccupante (come è stato invece affermato da più parti), ma addirittura interessante e pieno di speranza. Le riflessioni che faremo sono tre.
PRIMA RIFLESSIONE
Si è detto – ed è vero - che ciò che ha spinto la maggioranza degli svizzeri a votare contro la costruzione di nuovi minareti sia stata la preoccupazione che venisse intaccato il “volto” del tipico paesaggio svizzero: paesini di montagna con campanili e non certo con le torrette delle moschee. Ora, andando ad analizzare una motivazione di questo tipo, ci sembra che essa ci fornisca degli elementi molto interessanti che smentiscono tante impostazioni sociologiche dominanti. La Svizzera è uno Stato con una ricchezza procapite più che buona, così come il tasso di alfabetizzazione è al 99%. Solitamente si crede che la ricchezza porti alla secolarizzazione e un alto tasso culturale ad una prospettiva laicista e relativista. Ebbene, un simile risultato smentisce totalmente queste convinzioni. Il popolo svizzero – ricco e istruito - ha votato affinché l’identità culturale del territorio non andasse perduta. Un’identità indiscutibilmente legata alle radici cristiane. Insomma, tale voto ha fatto capire che l’affezione identitaria è tutt’altro che rimuovibile dalla natura umana e che questa non si riduce solo alla promozione e salvaguardia di qualche uso e costume (o addirittura di qualche semplice ricetta gastronomica locale), ma a qualcosa di più: ad un sistema valoriale e di giudizio che va ben oltre il vivere nel momento presente ma che invece riconduce al destino eterno. Dire no ai minareti ha significato implicitamente dire di sì ai campanili, nella convinzione cioè che non è possibile conservare un’affezione alla propria terra che non sia anche affezione alla storia della propria terra e alle scelte culturali e religiose dei propri padri. Riguardo a questa motivazione c’è stato chi da parte cattolica ha storto il naso, obiettando: si è trattato di una difesa di tipo formale a cui non corrispondono scelte concrete nella propria vita, infatti il popolo svizzero è anch’esso molto secolarizzato. E’vero: si tratta di una scelta formale, che non certo risolve il problema dell’evangelizzazione. Ma – attenzione - si tratta di una scelta che fornisce una speranza. Sapere che chi non è più praticante (o lo è a fasi alterne) decida comunque di difendere le radici cristiane del proprio territorio non risolve certo il problema più importante (che è quello della Vita di Grazia), ma fa capire ancora meglio quanto la missione evangelizzatrice (in questo caso dovremmo  dire ri-evangelizzatrice) sia non solo urgente ma anche capace di avere successo. Nell’uomo di buon senso – anche se pieno di cose e tutto concentrato in una sorta di ateismo pratico- rimane sempre il desiderio di rispondere seriamente alla propria vita e di trovare questa risposta non in una dimensione astratta ma dentro la sua vita, in mezzo ai suoi luoghi cari, nelle sue abitudini, in quello che incontra ogni giorno, nella sua storia quotidiana. 
 SECONDA RIFLESSIONE
La motivazione della salvaguardia del paesaggio è stata importante ma non determinante. Dagli studi effettuati sul voto si è visto che sono state soprattutto le donne a dire no alla costruzione di nuovi minareti (cfr.Libero del 2 dicembre scorso). Seguiteci in questo ragionamento. Nel 1948 a salvare l’Italia dalla sovietizzazione fu soprattutto il voto femminile, ciò perché le donne furono più sensibili alle indicazione dei parroci.  Infatti, il Partito Comunista Italiano era prima favorevole alla concessione del voto alle donne poi fece marcia indietro, ben sapendo che questo voto sarebbe stato più “cattolico”. Ciò, tutto sommato, è ancora adesso. Basta prendere in considerazione il fatto che le messe festive (e ancor più quelle feriali) sono soprattutto seguite dalle donne. Ebbene, in questo caso in Svizzera si è verificato un fatto in contro-tendenza. Sappiamo che la Chiesa svizzera aveva auspicato un altro tipo di risultato. Qualche vescovo aveva anche insistito sul voto a favore della costruzione dei minareti, per cui ci sarebbe aspettato che il voto femminile fosse stato più su questo versante. E invece no: le donne hanno votato in modo contrario. Ciò ci fa capire che alla base del recente referendum abbia giocato non poco il fattore anti-islamico. Le donne sono le più preoccupate dell’islamizzazione dell’Occidente, proprio perché sanno bene quanto il genere femminile paghi prezzi inauditi a quella cultura religiosa. Ora, non solo ciò non deve preoccupare, piuttosto dovrebbe muovere ad un senso di umiltà. Si sa che tra l’uomo e la donna esiste una profonda differenza psicologica, ed è proprio questa differenza a far sì che uomo e donna si completino a vicenda. Ora, se l’uomo è certamente più portato ai grandi ragionamenti analogici e concettuali, la donna è certamente più portata ad una conoscenza simbolica ed intuitiva. La prima conoscenza è, sì, più incontrovertibile ma più lenta; la seconda è più vulnerabile ma più rapida. Ecco perché, quando si tratta di pericoli incombenti, la donna, a differenza dell’uomo, riesce con più facilità a mettere in guardia. E’ un dono della Provvidenza per il fatto che ella è chiamata ad essere madre e quindi a immediatamente proteggere il frutto del suo grembo.
 TERZA E ULTIMA RIFLESSIONE
Molti hanno detto che il recente voto del referendum svizzero può mettere a serio rischio la speranza che i Paesi islamici si aprano alla prospettiva di costruzione di nuove chiese cristiane. Ci sembra che tale obiezione sia un po’ debole e diciamo subito il perché. Prima di tutto non ci risulta che l’enorme disponibilità alla costruzione di nuove moschee nei Paesi occidentali abbia dato frutti positivi per quanto riguarda la cosiddetta “reciprocità”. Secondo, un tale risultato potrebbe alla distanza comportare effetti positivi e non negativi. Chi studia le religioni sa che esse hanno specifiche “psicologie”. La “psicologia” islamica ha caratteristiche particolari fra cui il fascino nei confronti della difesa della propria identità. Ora, se al fedele musulmano ci si mostra disposti a svendere la propria identità cristiana, questi, invece di avvicinarsi amichevolmente, può iniziare a nutrire profonda disistima nei confronti dell’interlocutore (anche se non lo dà a vedere per ovvie ragioni strategiche), convincendosi ancora di più nelle sue scelte. Egli pensa: se i cristiani sono disposti a questo, vuol dire che non ci credono proprio! Altra cosa, invece, se il dialogo lo si fa con decisione, fermezza e affezione per le proprie ragioni... allora sì che il musulmano potrebbe iniziare a mettersi in discussione.

Fonte: I Tre Sentieri, 5 dicembre 2009

5 - EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UN'IPOTESI: VIETATO CRITICARE DARWIN ORMAI DIVENTATO UN DOGMA (ANTISCIENTIFICO)

Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Il Foglio del 2/12/2009

Non mi sembra che l’anno darwiniano si stia concludendo nel clima di trionfalismo che certi superevoluzionisti avevano auspicato. In questi giorni i principali quotidiani italiani danno atto, infatti, dell’esistenza, all’interno della comunità scientifica, di un forte dibattito che va ben al di là delle mura del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Tutto ha preso inizio da un Workshop internazionale sull’evoluzionismo da me promosso lo scorso 23 febbraio presso l’ente di cui sono attualmente vicepresidente. Mi sia permesso di ricordare i nomi dei partecipanti a quell’incontro, tutti studiosi di diverse nazioni e discipline: Guy Berthault, membro dell’associazione Internazionale dei sedimentologi; Jean de Pontcharra, ricercatore in nano-elettronica all’Università di Grenoble; Maciej Giertych, membro dell’Accademia polacca delle scienze; Josef Holzschuh, ricercatore di Geofisica alla University of Western Australia; Hugh Miller, chimico, dottore alla Ohio State University; Hugh Owen, presidente del Kolbe Center negli Stati Uniti; Pierre Rabischong, professore emerito dell’Università di Montpellier; Josef Seifert, rettore dell’International Academy for Philosophy del Liechtenstein; Thomas Seiler, dottore in fisico-chimica all’Università di Monaco; Dominique Tassot, Direttore del Centre d’Etudes et de Prospectives sur la Science; Alma von Stockhausen, presidente della Gustav-Siewerth-Akademie.
Gli atti di quel convegno sono stati pubblicati a novembre dall’Editore Cantagalli, con il titolo “Evoluzionismo. Il tramonto di un’ipotesi” (pp. 192, euro 17,00). Quanto è bastato per suscitare le ire di Marco Cattaneo, direttore della rivista “Le Scienze”, di Marco Ferraguti, presidente della Società dei biologi evoluzionisti, e del filosofo della scienza Telmo Pievani.
Quest’ultimo, ha dedicato ben nove pagine sulla rivista “MicroMega”, per irridere e insolentire un libro che, per sua ammissione, non aveva letto. Nel suo articolo Pievani si è spinto a chiedere la mia rimozione dal CNR affermando che “chi nega una realtà comprovata non dovrebbe ricoprire cariche che implicano un’influenza sull’opinione pubblica o sulla gestione di enti pubblici” (p. 115). Ma qual è la “realtà comprovata”? Forse è quella che dà il titolo al più recente pamphlet dello stesso Pievani: “Creazione senza Dio”? Un libro in cui egli auspica che al reato di “vilipendio della religione” si sostituisca quello di “diffamazione della scienza” (p. 102)? Pievani accusa il “creazionismo” di spacciare per scienza un contenuto di fede. Ma cosa fa lui, se non spacciare per scienza, la sua negazione non della fede, ma dei principi evidenti della ragione. E’ più “evidente” per l’intelletto umano affermare che Dio esiste, piuttosto che ritenere che l’uomo discenda dalla scimmia, come si ripete acriticamente da Darwin in poi. Però la prima affermazione è declassata a opinione “fideistica”, la seconda elevata a verità assoluta. L’attacco di Pievani si inserisce non a caso in un virulento numero monografico contro Benedetto XVI, “Il Papa inquisitore”, come lo definisce il direttore della rivista Paolo Flores d’Arcais nel titolo del suo articolo di apertura (pp. 5-22). In quest’articolo si critica la “volontà di anatema” (p. 6) e l’“intransigenza dogmatica di questo inquisitore postmoderno” (p. 18) che “vuole imporre al mondo la verità della sua Chiesa, cattolica apostolica romana, nell’intero orizzonte etico-politico” (p. 13).
Dal fascicolo di “MicroMega” emerge però l’esistenza di un’altra chiesa, quella evoluzionista, ben più censoria e inquisitoria di quella di cui oggi è capo Papa Ratzinger. Benedetto XVI dialoga infatti con gli evoluzionisti, tollerando perfino che ricoprano alte cariche nei dicasteri pontifici, mentre i fanatici dell’evoluzionismo, non riservano che sprezzo e irrisione a chi non condivide il loro “Verbo”. Non è questo l’atteggiamento tipico di chi ha paura di misurarsi sul terreno delle idee, perché è consapevole della inconsistenza delle proprie ragioni? Gli anni passano, le prove non arrivano e l’evoluzionismo appare sempre di più, non una teoria scientifica, ma una mera opzione filosofica anticreazionista.
La teoria dell’evoluzione rappresenta infatti la radicale negazione di ogni verità metafisica, a cominciare dall’esistenza di un Dio creatore dell’universo, in nome di una scienza che rinuncia ad esercitare il metodo scientifico per farsi filosofia. C’è la cristofobia di chi vuole svellere le radici cristiane d’Europa e cancellare ogni traccia di identità cristiana dei luoghi pubblici, ma c’è anche la teofobia di chi vuole sradicare, se mai fosse possibile, ogni traccia del divino dalla natura e dalla vita dell’uomo. Era una caratteristica dell’evoluzionismo marxista, lo è oggi dell’evoluzionismo “post moderno”.
Gli evoluzionisti credono di essere “anticreazionisti”, ma di fatto, essi trasferiscono l’azione creatrice da Dio alle creature, senza uscire dal vituperato “creazionismo”. Cos’è infatti la cosiddetta trasformazione delle specie se non un’“auto trasformazione” che implica la capacità della materia di “auto-crearsi”? Il materialismo evoluzionista attribuisce di fatto un potere creatore alle creature, espropriate del loro primo principio e del loro ultimo fine.
Chi ha la capacità di auto-trasformarsi ha una capacità creatrice: le proprietà che vengono negate a Dio vengono attribuite alla materia, eterna, infinita, “pensante” e assolutamente “libera”, perché non determinata da altri che da se stessa: in una parola divina. In realtà nessun esperimento né argomento razionale è in grado di provare che una creatura possa autodeterminare la propria natura. Né una molecola di materia inerte, né una cellula vivente è in grado di “pensarsi”, di “crearsi” e di “superarsi”. La creazione, che è produzione di una realtà secondo tutta la sua sostanza, senza alcun presupposto, creato da altri, o increato che sia, si impone a chi voglia esercitare la ragione, come una “realtà scientifica”, o, se si preferisce, come una verità razionale radicalmente incompatibile con la fantasia evoluzionista.
Un’ultima considerazione. L’articolista del Corriere della Sera tenta di isolarmi all’interno del CNR. Ma il presidente dell’Ente, prof. Luciano Maiani, che è uno scienziato serio, che crede nella libertà della ricerca, lo ha ripreso in questi termini: “Il carattere aperto della ricerca intellettuale” e la “personale contrarietà a ogni forma di censura delle idee” per me e per il Consiglio nazionale delle ricerche non sono un “contentino”, come afferma l’articolo (del Corriere della Sera), ma valori fondanti, coerenti con la civiltà del nostro Paese. Con l’occasione intendo ribadire con forza – al di là delle diverse posizioni culturali – i rapporti di stima, amicizia e proficua collaborazione che mi legano al Vice Presidente, Prof. Roberto de Mattei” (Dichiarazione del 1 dicembre 2009).

Fonte: Il Foglio del 2/12/2009

6 - IN CHE ANNO E' NATO GESU' DI NAZARETH?
Gesù nacque proprio il 25 dicembre, ma per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso (tra il 7 e il 4 a.C)
Autore: Vitaliano Mattioli - Fonte: CulturaCattolica.it

Il 25 dicembre è ormai il giorno consacrato alla nascita di Cristo.
Secondo Ippolito Romano Gesù nacque proprio il 25 dicembre. (...)
Per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso.
Come si fa a determinarlo con esattezza?
Abbiamo due avvenimenti come punti di riferimento: la morte di Erode il Grande ed il censimento di Quirinio.
All'inizio la datazione storica si faceva partire dalla presunta data della fondazione di Roma. Si chiamava 'anno zero'. Per questo si usava sempre aggiungere: Ab Urbe Condida (a. U. c., dalla fondazione di Roma).
Il monaco scita Dionigi il Piccolo (chiamato così per la sua umiltà, morto nel 526 d.C.) pensò invece di rapportare il computo della datazione sulla nascita di Cristo, distinguendo così la cronologia in due grandi periodi: Ante Christum Natum (a. C. n., prima della nascita di Cristo - a.C.) e Post Christum Natum (p. C. n., dopo la nascita di Cristo - d.C.).
Con questa nuova numerazione la fondazione di Roma sarebbe avvenuta nel 754 a C., mentre Cristo sarebbe nato nell'anno zero, cioè 754 anni dopo la fondazione di Roma. Però questo dotto monaco sbagliò i suoi calcoli di alcuni anni.
Punto di partenza è la certezza della data della morte di Erode l'anno 750 dalla fondazione di Roma, corrispondente al 4 a.C., ed esattamente tra il 13 marzo e l'11 aprile.
La nascita di Gesù avvenne certamente prima di questa morte, dato che Erode voleva uccidere il Bambino. Per cui è impossibile che Gesù sia nato nell'anno zero ma qualche anno prima. Quando precisamente? Nel 6, 5, 4 a. C. n.?
L'altro elemento che ci viene in aiuto è il censimento di Quirinio.
Prima leggiamo il testo evangelico che ne parla: "Avvenne poi in quei giorni che uscì un editto da parte di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dunque, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì verso la Giudea, alla città di Davide che si chiamava Bethlemme, perché egli apparteneva alla casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, la quale era incinta. Ora accade che. Mentr'essi erano là, si compì il tempo in cui Maria doveva partorire; e diede alla luce il suo figlio primogenito" (Luca, 2, 1-7).
Nel 63 a.C. con la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo, la Palestina divenne provincia romana. Per questo vi si riscontra la presenza di autorità romane. Il senatore Publio Sulpicio Quirinio (morto nel 21 d.C.) fu governatore della Siria una prima volta dal 12-8 a.C. ed una seconda nel 6-7 d.C. In questo secondo mandato fece un nuovo censimento che certamente non è quello a cui Luca accenna in quanto Gesù a quel tempo aveva circa 11 anni. Del resto a questo censimento lo stesso Luca si riferisce in una diversa situazione storica nell'altra sua opera: Atti degli Apostoli (5, 37).
Scartato questo secondo, si deve vedere la datazione del primo, quello che ha motivato il viaggio di Maria e Giuseppe a Bethlemme dove è nato Gesù.
Il primo mandato di Quirinio terminò nell' 8 a.C. Gli successe Senzio Saturnino.
L'evangelista Luca era un medico, scrupoloso e preciso nelle notizie che riferisce. Lo si riscontra dalle sue stesse parole all'inizio del Vangelo che invia a Teofilo: "Poiché molti han posto mano a comporre un racconto degli avvenimenti che si sono compiuti tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che furono fin dall'inizio testimoni oculari e ministri della Parola; è parso anche a me, che fin dall'inizio ho accuratamente investigato ogni cosa, di scriverne con ordine, illustre Teofilo" (Luca, 1, 1-3).  Luca attribuisce il primo censimento a Quirinio. La sua scrupolosità invoglia alla attendibilità.
Tuttavia uno scrittore cristiano romano, Tertulliano, giurista e molto preciso, questo stesso censimento in Giudea lo attribuisce a Saturnino. Tertulliano non dipende da Luca ma attinge la notizia da documenti dell'Impero.
Due menti storiche degne di fede, che ci portano sullo stesso argomento notizie diverse.
Se a prima vista emergono contrasti, probabilmente la differenza è solo apparente. Così il Ricciotti tenta di armonizzare tra loro le due opinioni: Quirinio sul finire del suo mandato, 8 a.C., "indisse il censimento, il quale appunto perché primo incontrò difficoltà in Giudea, e si protrasse così a lungo da essere condotto a termine dal successore Senzio Saturnino. Presso i Giudei, ch'erano rimasti fortemente impressionati da questo primo censimento, esso passò alla storia sotto il nome di Quirinio che l'aveva iniziato, e Luca segue questa denominazione giudaica; presso i Romani lo stesso censimento passò sotto il nome di Saturnino che l'aveva terminato, e Tertulliano segue questa denominazione romana. Può darsi anche che Saturnino da principio fosse il subordinato cooperatore di Quirinio nell'esecuzione del censimento".
In tal modo verrebbe a coincidere la nascita di Gesù nel periodo del primo censimento di cui Luca parla nel suo Vangelo, quindi anticipata sull' anno Zero, nel 747 di Roma (= 7 a. C. n.) o nel 748 di Roma (= 6 a. C. n.).
Per cui abbiamo due date per stabilire la nascita di Gesù: il censimento di Quirinio e la morte di Erode. La nascita non poté avvenire dopo il 750 di Roma, ma almeno un anno e mezzo prima, quindi verso il 748, intervallo tra la nascita di Gesù e la morte di Erode; l'altra data è la missione di Quirinio in Siria: la nascita non dové avvenire prima del 746 di Roma (= 8 a.C.). Quindi le due date sono: tra il 746 ed il 750 a.C. (cioè tra l'8 ed il 4 a.C.; presumibilmente come abbiamo detto tra il 7 od il 6 a.C.).
Questo però non significa che tra gli studiosi ci sia accordo completo.
Per concludere sulla datazione dell'anno: "Oggi tuttavia, considerando tutte le fonti a disposizione, si è propensi a fissare la nascita di Gesù fra il 7 e il 4 a.C.".
Mi sono un po' dilungato sulla datazione perché è importante considerare Cristo anche nella sua dimensione umana, e collocare nel tempo la sua esistenza terrena.
Tuttavia non è fondamentale sapere se Gesù è nato un anno prima o dopo, o in quel determinato giorno piuttosto che un altro. L'importante è che Lui sia nato.
E' anche affascinante il tentativo di Dionigi il Piccolo, seppur non del tutto esatto, di porre il Cristo al centro della storia cosmica, da classificare lo stesso tempo in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo. Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l'Alfa e l'Omega.

Fonte: CulturaCattolica.it

7 - IL FILM DEL 2009 CHE DIFFICILMENTE VEDRETE IN ITALIA: POPIELUSZKO, IL CAPPELLANO DI SOLIDARNOSC

Autore: Gianluca Arnone - Fonte: Libero News, 12 ottobre 2009

Il corpo di Padre Jerzy Popieluszko venne ritrovato il 30 ottobre 1984 nelle acque della Vistola. Aveva 37 anni ed era considerato da tutti il cappellano di Solidarnosc. Dimenticata per anni, la sua storia - che testimonia ad un tempo il sacrificio individuale per la verità, la dignitosa fermezza di un popolo vessato da anni di totalitarismo e il volto criminale del regime comunista polacco - riemerge precisa e tragica in Popieluszko, il film che sarà presentato come Evento Speciale al festival di Roma il prossimo 19 ottobre, esattamente 25 anni dopo il suo rapimento a Torun e la barbara uccisione per mano di tre funzionari dei servizi segreti (più un complice). E' allora che la vita di Padre Jerzy entra di diritto nella rosa delle biografie straordinarie del novecento, piccole onde che si allungano nelle paludi della storia come maremoti, travolgendo argini e regimi. La sua vicenda ricorda da vicino quella del nostro Padre Puglisi, l'uno e l'altro martiri della libertà contro la sopraffazione organizzata. Il film di Rafal Wieczynski - che sul "Servo di Dio" (titolo che la Chiesa cattolica assegna dopo la morte a persone che si sono distinte per «santità di vita» o «eroicità delle virtù») aveva già realizzato il documentario I vincitori non muoiono. Documento su padre Popieluszko, inedito in Italia - ripercorre passo dopo passo la vita del cappellano, dall'infanzia nelle campagne di Okopy (dove Popieluszko, figlio di contadini, era nato nel 1947) al servizio militare obbligatorio presso l'unità di Bartoszyce, riservata ai seminaristi, dal trasferimento a Varsavia sotto le cure spirituali di Padre Teofil Bocucki all'attività pastorale in seno al neonato sindacato libero degli operai polacchi (Solidarnosc), con cui condivise speranze e scoramento, aneliti e lotte, divenendone alla fine simbolo di libertà e rettitudine. Troppo scomodo per il regime, che già nel 1981 aveva introdotto nel Paese la legge marziale e finito per praticare l'eliminazione sistematica di tutti gli avversari: padre Jerzy non fu né il primo né l'ultimo, ma era considerato tra i più pericolosi. "Senza per questo aver mai oltrepassato le sue competenze di sacerdote - sottolinea Padre Kazimierz Nycz, Arcivescovo di Varsavia - o aver ridotto la Chiesa e il suo messaggio a strumento di lotta politica. Il suo era davvero il vangelo dell'amore, incentrato sulla salvaguardia della dignità umana. Infondeva coraggio ai fedeli, non sobillava rivoluzioni". Quasi mezzo milione di persone parteciparono al funerale di padre Jerzy il 3 novembre 1984, presso la chiesa di San Stanislao Kostka di Varsavia, dove il cappellano aveva operato dal 1980. Tra questi c'era anche il regista del film, allora sedicenne: "A dispetto dei divieti - ricorda Rafal Wieczynski - mi assentai da scuola per partecipare alle esequie. Fu un'esperienza nuova, di libertà e comunione. Tornando a casa, attraversando le strade di Varsavia, ricordo che pensai molto a Padre Jerzy. Mi chiedevo se sarei stato capace come lui di sacrificare la mia vita per la Verità. Mi appariva come un grande eroe, un extraterrestre. Oggi invece, che ho quasi la stessa età che aveva lui quando venne ucciso, vedo in Padre Jerzy un uomo come noi che, messo alla prova, fece le sue scelte con grande fatica". Il corpo di Popieluszko venne seppellito nel giardino della chiesa di San Stanislao. La sua tomba da allora è stata luogo di pellegrinaggio per 18 milioni di persone, ma qui a Varsavia ricordano soprattutto la visita di Giovanni Paolo II del 14 giugno 1987, e la commossa preghiera sulla sua lapide. Accanto alla Chiesa è nato una decina d'anni fa anche un museo dedicato a Padre Jerzy, messo su da una delle più strette collaboratrici, Caterina Sobora. Il percorso del Museo è una sorta di Via Crucis nella vita del sacerdote e della Nazione, uno scrigno aperto di foto, filmati e oggetti personali a restituirci la tragica normalità degli eroi dinnanzi alle sciagure della storia. "Eppure le generazioni più giovani - sottolinea Wieczynski - non conoscono quelle lotte, non immaginano nemmeno cosa hanno significato per noi polacchi quei mutamenti radicali. Perciò desideravo che l'avventura di questo testimone di Cristo, che combatteva senza violenza contro la falsità, diventasse anche per loro memoria condivisa: volevo che Popieluszko fosse la storia vera, e insieme romantica, delle radici di libertà di cui oggi gode tutta l'Europa Centrale". Diversamente dal cinema politico di Wajda - che ha raccontato il regime e le lotte di Solidarnosc con L'uomo di marmo (1977) e L'uomo di ferro (Palma d'oro a Cannes nel 1981) - e di Agnieszka Holland (che aveva già affrontato la vicenda del cappellano di Solidarnosc nel malriuscito Un prete da uccidere, con Christopher Lambert), Popieluszko di Wieczynski privilegia un approccio intimista nel tentativo di svelare "come un cammino spirituale diventi anche un percorso di liberazione politico e civile". La controparte comunista nel film non ha tentennamenti né dubbi, umanamente non esiste: "Nel mio Paese troppi film hanno speculato sui comunisti buoni e pentiti, elevandoli al rango di eroi. Io volevo fornire invece una rappresentazione astratta del regime, svelarne il meccanismo implacabile e oppressivo. Gli eroi erano altri. Erano i preti che sostenevano, sfamavano e curavano le sofferenze dei perseguitati, fino a morire per loro". "La figura di Popieluszko - racconta Adam Woronowicz, l'attore che interpreta il cappellano nel film e che vanta con lui una somiglianza fisica impressionante - continua a interrogarmi e a mettere in discussione le mie qualità di padre, marito, amico. Spero che le domande che ancora oggi mi tormentano, nonostante abbia interpretato nel frattempo diversi altri ruoli, scuotano anche il pubblico in sala". Un auspicio che ha trovato finora riscontri positivi in Polonia, dove più di un milione di persone ha già visto il film. Il battesimo internazionale, come detto, sarà invece in Italia, al Festiva di Roma, dove la pellicola sarà accompagnata da Lech Walesa, leader di Solidarnosc, e Jozef Glemp, Primate di Varsavia, amico di Padre Jerzy e interprete del film nel ruolo di se stesso. Sempre in Italia Popieluszko sarà distribuito a fine ottobre da Rainieri Made srl, mentre la RAI ha già acquistato i diritti dei futuri passaggi televisivi. L'attenzione del cinema e della cultura verso la figura di Padre Jerzy va di pari passo con il processo di beatificazione (per martirio) del presbitero, iniziato l'8 febbraio 1997 e non ancora concluso. Nonostante la comunità internazionale abbia riconosciuto a Popieluszko un ruolo decisivo nei cambiamenti politici che interessarono la Polonia nella seconda metà degli anni '80, il suo sacrificio non ha ancora ottenuto la giustizia dei tribunali: Grzegor Piotrowski, Adam Pietruszka, Leszek Pekala e Waldemar Chmielewski, esecutori materiali del delitto, non si sono mai pentiti e hanno già lasciato il carcere. Hanno cambiato nome, residenza e aspetto fisico. I mandanti invece - tra i quali figurerebbero gli alti apparati dello Stato (Jaruzelski nega però ogni coinvolgimento) e alcune spie russe di stanza in Polonia - restano ancora nell'ombra.

Fonte: Libero News, 12 ottobre 2009

8 - MAGDI ALLAM: ECCO IL SIMBOLO DEL MOVIMENTO POLITICO IO AMO L'ITALIA

Fonte Avvenire, 5 dicembre 2009

Magdi Cristiano Allam, presidente del movimento politico “Io amo l’Italia” e europarlamentare eletto nelle liste dell’Udc, ha presentato ieri il logo, realizzato da Giorgio Forattini del suo nuovo partito: una bandiera italiana con all’interno una croce di colore giallo. «Il Movimento Io amo l’Italia – ha spiegato l’europarlamentare – si augura che il proprio logo possa diventare la nuova bandiera nazionale italiana in cui il tricolore e la croce corrispondano al recupero dell’amore per la patria e dell’identità cristiana che rappresenta il fondamento della nostra civiltà». Magdi Cristiano Allam ha ricordato di aver deciso il logo dopo la sentenza della corte europea sul crocifisso. «Non voglio ricordare – ha detto ancora Allam – ciò che Umberto Bossi ha detto della bandiera italiana. Io condivido la proposta di Castelli affinché nella nostra bandiera ci sia la croce. Giudico miracolosa questa posizione della Lega».
  Allam ha anche commentato il recente referendum svizzero sui minareti: «Il referendum in Svizzera ha indicato in modo chiaro che la maggioranza si riconosce nella croce cristiana. Il 70% degli italiani è contrario alla presenza di una moschea con minareto nella propria città».

Fonte: Avvenire, 5 dicembre 2009

9 - OMELIA PER LA IV DOMENICA TEMPO DI AVVENTO - ANNO C - (Lc 1,39-45)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 20 dicembre 2009)

La quarta domenica d’Avvento ci fa pregustare già il clima natalizio. Iniziamo dal Salmo che riporta una accorata preghiera rivolta a Dio, affinché Egli salvi il suo popolo. Il pio Israelita avvertiva che solo il Signore poteva liberare il suo popolo, liberarlo non solo dal nemico, ma soprattutto dal peccato che è la vera rovina della nostra anima e della nostra società. Il Salmista così implora: «Tu, pastore d’Israele, ascolta [...]. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci. [...] guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato. [...] ci farai rivivere e noi invocheremo il tuo nome (Sal 79).
Solo Dio poteva salvare l’umanità. Per questo motivo Dio mandò il suo unico Figlio a riscattarci dal dominio del peccato. Gesù nella sua umanità, che ha preso venendo in questo mondo, ha pienamente obbedito alla Volontà dal Padre. Di questa pronta obbedienza parla la seconda lettura di oggi: «Entrando nel mondo, Cristo dice: ecco io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,9).
Per venire in questo mondo, il Figlio di Dio poteva scegliere tanti modi diversi. Fra tutti, Egli scelse di venire nel silenzio e nel nascondimento di una piccola borgata quasi dimenticata dalla maggior parte degli Israeliti. Egli nacque a Betlemme. Di questa scelta parla la prima lettura di oggi. Questo fatto ci ricorda ancora una volta quelle che sono le preferenze di Dio: Egli sceglie ciò che è umile per confondere i potenti. Michea così dice: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (5,1). La profezia poi continua con una frase misteriosa: «Le sue origini – ossia le origini del Messia – sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (ivi). Cosa si deve intendere con queste parole? Con ciò si vede un riferimento alle origini eterne del Figlio di Dio, ovvero alla sua Divinità: Egli, eterno con il Padre e lo Spirito Santo, nella pienezza dei tempi, ha voluto assumere la nostra natura umana, è diventato uomo, pur continuando – ovviamente – a rimanere vero Dio.
La profezia di Michea parla anche della Madre da cui sarebbe nato il Messia. Egli, infatti, dice: «Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire» (Mic 5,2). In tutte le profezie riguardanti il Messia, e quindi anche in questa, non si parla mai del padre del Messia, ma solo della Madre. Questo particolare ci fa comprendere la nascita straordinaria, verginale, del Redentore. Egli è stato concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria.
Infine, la profezia parla della salvezza operata dal Messia. Già la frase di prima ci fa capire che la nascita di Gesù segna come l’inizio della nuova Era, quella della salvezza. Grazie a Gesù, noi non siamo più sotto il potere del maligno, ma abbiamo ricevuto la libertà dei figli di Dio. Egli, il Messia, salverà il suo popolo, lo «pascerà con la forza del Signore» (Mic 5,3) ed «Egli stesso sarà la pace» (Mic 5,4).
Al “Sì” di Gesù che ha obbedito prontamente alla Volontà del Padre, fa eco il “Sì” di Maria che si è definita la serva del Signore, sempre disponibile a compiere la Volontà di Dio.
Il brano del Vangelo di oggi riporta la commovente scena della Visitazione. La Vergine Maria aveva da poco ricevuto l’annuncio dell’angelo Gabriele e aveva concepito per opera dello Spirito Santo il Figlio di Dio nel suo grembo verginale. Subito dopo «si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39) da Elisabetta. Per quale motivo? Certamente per aiutare l’anziana parente che stava attendendo un bambino, ma soprattutto per portare il Signore in quella casa. È molto bello sottolineare che la Madonna si recò in fretta da Elisabetta: la carità non ammette lentezza e pigrizia. Appena Maria varcò la porta di quella casa, il Signore compì delle meraviglie di grazia: nel grembo di Elisabetta, il bambino, ovvero Giovanni Battista, sussultò di gioia (cf Lc 1,41) e fu santificato, come interpretano i Santi Padri; ed Elisabetta «fu colmata di Spirito Santo» (ivi) e iniziò a profetizzare.
Questa è la grande missione della Madonna: portare Gesù alle anime. E, con Gesù, Ella vi porta la grazia di Dio. Se nel nostro cuore ci sarà sempre la devozione alla Madonna, se sulle nostre labbra fiorirà sempre la preghiera dell’“Ave Maria”, allora il Signore compirà delle meraviglie di grazia anche nella nostra vita.
Volendo ora terminare con un proposito pratico di miglioramento, nell’immediata preparazione al Natale, propongo due cose: la prima di essere solleciti anche noi, come la Madonna, nel compiere il bene, senza pigrizia; la seconda di recitare assiduamente il Rosario, per far entrare la Vergine anche nella nostra casa.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 20 dicembre 2009)

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