BastaBugie n�573 del 22 agosto 2018

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1 TRAGEDIA DI GENOVA: SAREBBE UN ERRORE STATALIZZARE ORA (COME FU UN ERRORE IL MODO IN CUI SI GIUNSE ALLA PRIVATIZZAZIONE)
Davvero le strade pubbliche hanno una manutenzione migliore del ponte Morandi? Semmai riflettiamo sui politici che hanno svenduto l'Italia con le privatizzazioni
Autore: Francesco Ramella - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 PALIO DI SIENA: IL VESCOVO NON BENEDICE IL DRAPPELLONE CON UN CAVALLO AL POSTO DI GESU'
La Madonna così rappresentata non rispetta la cultura mariana: le contrade sono con lui, mentre il sindaco...
Autore: Andrea Acampa - Fonte: Avvenire
3 TUTTI GLI ERRORI DEL DEFUNTO KOFI ANNAN
Primo africano a capo dell'Onu e Premio Nobel per la pace... nonostante i clamorosi insuccessi nel prevenire i genocidi in Rwanda e Bosnia (inoltre ha dato carta bianca a Ong, terzomondismo, ecologismo e gender come mai prima)
Autore: Anna Bono - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 LA SANTA CASA FU DAVVERO PORTATA A LORETO IN ARIA DAGLI ANGELI (NON IN NAVE DAGLI UOMINI)
Un libro ben documentato raccoglie le prove storiche e archeologiche che, insieme ai pronunciamenti della Chiesa, chiarisce definitivamente il trasporto angelico
Autore: Federico Catani - Fonte: Luci sull'Est - Spunti
5 LE ASSURDE CONSEGUENZE DELL'ABOLIZIONE TOTALE DELLA PENA DI MORTE
Cambiando il Catechismo su un solo punto (pena di morte come assoluto morale) si innesca una reazione a catena che farà cadere la legittima difesa, la guerra giusta, l'autorità politica, i princìpi non negoziabili, ecc.
Autore: Andrea Cionci - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 IL PADRE SPIRITUALE E L'AUTORITA' DELLA CHIESA
E' necessario affidare la nostra anima a un sacerdote in tutte e tre le tappe della nostra vita spirituale
Fonte: Radio Roma Libera
7 L'ECONOMIA DEVE CORRISPONDERE ALLA MORALE
Ecco perché è utile leggere il libro ''La culla vuota della civiltà - All'origine della crisi'' scritto dal ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l'economista Ettore Gotti Tedeschi (con prefazione di Matteo Salvini)
Autore: Giovanni Tortelli - Fonte: Corrispondenza Romana
8 PRATICAVO ABORTI, OGGI DIFENDO LA VITA
Nel 40° anniversario della legge 194 leggiamo la testimonianza del dott. Oriente
Autore: Federico Cenci - Fonte: In Terris
9 OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Gv 6,60-69)
Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - TRAGEDIA DI GENOVA: SAREBBE UN ERRORE STATALIZZARE ORA (COME FU UN ERRORE IL MODO IN CUI SI GIUNSE ALLA PRIVATIZZAZIONE)
Davvero le strade pubbliche hanno una manutenzione migliore del ponte Morandi? Semmai riflettiamo sui politici che hanno svenduto l'Italia con le privatizzazioni
Autore: Francesco Ramella - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/08/2018

La linea è stata dettata dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: "Avvieremo la procedura per la revoca della concessione ad Autostrade" con conseguente crollo del titolo in Borsa a danno soprattutto dei piccoli azionisti. A seguire le dichiarazioni del Vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio: "Autostrade ha poi la sede finanziaria in Lussemburgo, quindi manco pagano le tasse". e quelle dell'on. Meloni che, in un video su facebook, richiede senza tentennamenti il superamento complessivo dell'attuale regime di concessioni e la nazionalizzazione della gestione delle autostrade. Insomma, pare di capire che il problema sia quello della privatizzazione e la soluzione il ritorno dello Stato. Peccato che molte delle affermazioni a supporto di tale opzione siano infondate. Vediamone alcune, prendendo spunto in particolare dall'intervento della Presidente di Fratelli d'Italia.

1) LE AUTOSTRADE SONO DEGLI ITALIANI PERCHÉ SONO STATE COSTRUITE CON SOLDI PUBBLICI
Non è vero. Nella maggior parte dei casi gli investimenti delle società che hanno realizzato tratte autostradali sono stati ripagati interamente tramite i pedaggi. A questi vanno sommate le accise sui carburanti pagate dagli automobilisti che le percorrono. L'uso di soldi pubblici costituisce, al contrario di quanto accade con le ferrovie, l'eccezione e non la regola.

2) I CONCESSIONARI TRATTENGONO PER SÉ IL 97,6% DEI RICAVI E TRASFERISCONO ALLO STATO SOLO IL 2,4%
Non è vero. Nel 2017 le concessionarie autostradali hanno introitato da pedaggi poco più di 8 miliardi. Di questi ne sono stati trasferiti allo Stato 1,4 miliardi sotto forma di IVA e altri 653 milioni di "canone aggiuntivo" per un totale di oltre 2 miliardi. A questa somma va aggiunto il prelievo sui profitti.

3) ATLANTIA NON PAGA LE TASSE SUGLI UTILI PERCHÉ HA LA SEDE IN LUSSEMBURGO
Non è vero. Nel 2017 Atlantia ha pagato imposte in Italia per 632 milioni equivalenti a un tax rate del 30,6%.

4) LE ATTIVITÀ DI MANUTENZIONE SONO DIMINUITE NEGLI ULTIMI ANNI DEL 40%
Non è vero. La spesa per la manutenzione ordinaria delle concessionarie autostradali è rimasta grosso modo stabile negli ultimi sette anni oscillando tra i 650 e i 700 milioni. In media, le concessionarie hanno speso poco di più di quanto previsto dai rispettivi Piani Economico-Finanziari.

LA SICUREZZA INNANZITUTTO
Una rappresentazione della realtà, come si può vedere, del tutto non veritiera a supporto di un'ipotesi che appare essere l'opposto di quanto auspicabile. Vediamo il perché. Le autostrade in concessione ai privati costituiscono una (rilevante in termini di traffico) eccezione alla regola della gestione delle infrastrutture stradali e di quella ferroviarie che sono per oltre il 90% saldamente in mano pubblica. Vi è qualcuno che può ragionevolmente sostenere che la gestione di strade statali e locali sia migliore di quella delle autostrade? Che le condizioni di manutenzione e di sicurezza siano migliori (al netto delle fisiologiche differenze tra i due tipi di infrastruttura)? Esaminiamo, ad esempio, l'aspetto della sicurezza stradale. In questi giorni ci stiamo giustamente occupando di quella correlata allo stato delle opere d'arte. Ma questo fattore costituisce solo uno degli elementi che determinano il livello complessivo di rischio per chi percorre un'autostrada. Quello di gran lunga predominante è correlato all'incidentalità. Se consideriamo il periodo che va dal 2000 al 2017, ossia quello successivo alla privatizzazione di buona parte della rete, il numero di morti in incidenti stradali è diminuito da 589 a 228 (-61%) e il tasso di mortalità - rapporto tra numero di decessi e traffico - del 68%.
Sarebbe errato attribuire il merito di questo radicale aumento del livello di sicurezza agli attuali gestori; un contributo rilevante è da ascrivere al miglioramento tecnologico dei veicoli e, in parte, anche alle migliori capacità di soccorso delle persone coinvolte nei sinistri. È indubbio però che alcune azioni attuate dai concessionari abbiano avuto un ruolo importante: prima tra tutte l'adozione del sistema Tutor da parte della società Autostrade per l'Italia che, nell'arco di pochi mesi, determinò un crollo del numero di incidenti mortali. Se come termine di paragone analizziamo la tendenza riscontrata sulla rete non gestita da concessionari privati, scopriamo come nello stesso periodo vi sia stato un miglioramento molto significativo ma più contenuto: il numero di decessi è diminuito da 6.562 a 3.200 (-48%).

RITORNO AL MONOPOLIO STATALE? NO, GRAZIE
D'altra parte, perché nel settore delle infrastrutture dovremmo aspettarci risultati diversi da quelli sperimentati in altri campi? Perché lo Stato dovrebbe dare in questo specifico caso dare buona prova di sé come imprenditore? Gli incentivi sono importanti dicono gli economisti. Un concessionario che non tiene fede agli impegni presi può essere sanzionato. E un privato che trae profitto dalla sua attività ha un fortissimo incentivo a tenere in buon ordine i propri impianti. Questi elementi, come tragicamente evidenzia il crollo del viadotto di Genova, non sono garanzia che non si commettano errori e che non vi possano essere negligenze o colpe gravi.
Ma nel caso di una gestione pubblica questi incentivi vengono a mancare. Come ha scritto Margaret Thatcher: le imprese private sono controllate dal settore pubblico e quelle pubbliche da nessuno. Se qualcosa si deve chiedere al settore pubblico è di svolgere meglio di quanto fatto finora il compito di vigilanza sullo stato delle infrastrutture e quello di regolatore. Quanto al resto, il ritorno al monopolio statale è il contrario di quanto auspicabile ossia di più concorrenza tra potenziali gestori conseguibile con procedure trasparenti di assegnazione delle concessioni. Quella che è mancata fino ad oggi e che ha consentito agli attuali gestori di godere di profitti straordinari. Il modello dell'affidamento in gestione a privati, lungi dall'essere abbandonato, dovrebbe essere esteso anche alla rete delle strade extraurbane. Meglio poter scegliere tra più fornitori invece che essere costretti a rivolgersi sempre allo stesso anche quando la qualità del prodotto è scadente.

Nota di BastaBugie: Francesco Agnoli, nell'articolo seguente dal titolo "Così hanno svenduto i beni nazionali e hanno fatto Bingo!" parla a tutto campo nei disastri della politica italiana degli ultimi decenni, dalla privatizzazione di Autostrade agli affari con il gioco d'azzardo. Come una classe politica ha svenduto il paese e riempito le sue tasche e quelle degli amici.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Libertà e Persona il 17 agosto 2018:
Lo scontro tra il governo Conte da una parte, Austrotrade (Benetton ecc.), dall'altra, riporta alla memoria gli anni in cui lo Stato italiano mise in vendita molti dei suoi beni nazionali.
Negli anni Novanta, specie dopo il crollo della DC e del PSI, si alternano al potere coalizioni di centro-sinistra; dal 1996 al 2001 c'è l'Ulivo di Romano Prodi, costituito in buona parte dall'ex PCI, divenuto poi PDS e infine DS, con una operazione di maquillage di tutto rispetto, avviata con grandissimo tempismo, cioè allorché cadevano i muri, finivano i dittatori alla Ceausescu, e tutti venivano a sapere di quali orrori grondasse il mondo comunista.
Ci si potrebbe aspettare, se il concetto di sinistra ha ancora un senso, una politica sociale, che privilegi il pubblico sul privato, che, senza giungere allo statalismo bolscevico, conservi allo Stato poteri e prerogative sue proprie.
Invece non è assolutamente così: il colosso dell'IRI (l'Istituto per la Ricostruzione Industriale fondato dal duce, che controlla una bella fetta dell'economia del paese) viene svenduto, pezzo per pezzo, passando gradualmente da circa 500.000 dipendenti ai 108.970 del 1999, alla definitiva messa in liquidazione del 30/6/2000.
I gioielli dello Stato, quelli attivi e quelli in passivo, vengono venduti, o svenduti secondo i punti di vista, con una facilità ed una leggerezza incredibili; chi li vende ha una grandissima possibilità: ridisegnare, ai danni dello Stato, il capitalismo italiano. Parole come capitalismo, mercato, privati, non sono più, per la sinistra, che non disdegna neppure gli incontri con Cuccia, parole sataniche: occorre farci i conti, occorre, se possibile, creare nuove alleanze.
Il '92 è l'anno della svolta, ma è nel 1993-94, con Romano Prodi nuovamente presidente dell'IRI, che vengono vendute ben due Bin, il Credito Italiano (Credit), una vera e propria tigre, e la Banca Commerciale Italiana (Comit), oltre all'IMI (tutto tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994, con una velocità straordinaria). Nello stesso periodo di fuoco vengono vendute le finanziarie Italgel e Cirio-Bertolli-De Rica; per quanto riguarda il settore agroalimentare, un settore tradizionalmente importante per la nostra economia, Mauro Bottareli ricorda che dopo il '92 lo Stato vendette agli stranieri, specie inglesi e americani: Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza e tante altre. Tra il '93 e il '94 viene venduta la SME, le vetrerie Siv dell'Efim, il Nuovo Pignone dell'Eni... Nel 1994 vengono venduti Acciai Speciali Terni; nel 1995 Ilva Laminati Piani e Italimpianti; nel 1996 Dalmine...
Nei processi di Mani Pulite di tutto ciò non vi è traccia, a parte un interrogatorio di Di Pietro a Prodi, nel luglio 1993, durante il quale al professore bolognese viene chiesto con veemenza a quali partiti il suo Istituto abbia dato soldi. Ma poi non succede più nulla. Viene invece processato e condannato Franco Nobili, entrato all'Iri nel dicembre 1989, dopo sette anni di gestione Prodi: finisce in carcere, poi agli gli arresti domiciliari, perché un suo dirigente s'era sentito silenziosamente autorizzato a pagare una tangente postuma. Eppure, durante la sua breve gestione, all'Iri non succede pressoché nulla di rilevante!
Successivamente il nuovo boom di vendite è proprio quando Prodi passa dalla Presidenza dell'IRI all'improvvisa notorietà al grande pubblico e alla Presidenza del Consiglio: la tattica è già stata studiata: bisogna vendere.
"Smonterò il paese pezzo per pezzo", dichiara il 17 gennaio 1998, in un celebre discorso in provincia di Lecce. Detto, fatto: "gli anni più ricchi delle privatizzazioni italiane sono state il '97 e il '98 quando gli incassi superarono i 20 miliardi di euro" (Corriere della sera, 5/12/2003). Da grande manager, dietro le quinte, a capo del governo, la politica di Romano è sempre quella: prima gli fruttava "solo" relazioni e contatti importanti, in seguito gli permetterà di continuare su questa strada e di abbassare il rapporto tra debito pubblico e Pil, presentandosi come il grande economista, in realtà a spese dello Stato.
La copertura mediatica è data dai grandi giornali, di Agnelli e De Benedetti, che urlano alla necessità di modernizzare il paese, privatizzando. Si assiste al paradosso che la destra, sempre accusata dalla sinistra, demagogicamente, di essere seguace di un "liberismo selvaggio", è ora rimproverata di essere statalista e di ignorare non solo la Thatcher ma anche Adam Smith.
E' Massimo Giannini, sulla prima de la Repubblica di De Benedetti, a sostenerlo, in un articolo dove, tra l'altro, scrive: "In fondo la sinistra di governo è obbligata dalla globalizzazione a fare dell'efficienza, del mercato, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni il nucleo duro del suo riformismo...La vera anomalia è la destra...La cultura di mercato, per la destra, è un puro gadget, un 'usa e getta' elettorale. Quando il Polo ha governato nel '94, non una sola azienda pubblica è stata alienata. Il cavalere-premier arrivò al punto di raccontare una balla in diretta TV: 'Non cederemo la Stet, nemmeno la Thatcher ha privatizzato le telecomunicazioni' Peccato che proprio la vendita di British Telecom sia stato il fiore all'occhiello della Signora Maggie" (la Repubblica 17/11/'98).
Nel 1999, con il governo D'Alema, il Tesoro decide di privatizzare il monopolista elettrico Enel; lo stesso anno si chiude con la cessione da parte dell'IRI di Autostrade: il 30% va alla Edizione Holding dei Benetton (Corriere della Sera, 5/12/2003). "Dando un'occhiata ai bilanci si può avere un'idea di quanto ci guadagni Autostrade: nel 2017 su 3,9 miliardi di ricavi il margine lordo è stato di 2,4 miliardi, oltre il 50% di redditività. Eppure dagli ultimi conti di Autostrade emerge un calo degli investimenti operativi sulle infrastrutture in concessione: dai 232 milioni del primo semestre del 2017 ai 197 del primo semestre 2018" (Corriere della Sera, 16 agosto 2018).
Coi governi dell'Ulivo la liberalizzazione è talmente selvaggia, che le USL, Unità sanitarie locali, divengono ASL, e cioè aziende; che i presidi delle scuole divengono manager; che si diffonde come non mai il lavoro interinale e vengono creati i cosiddetti co.co.co; soprattutto, per dire la più divertente, quando il patrimonio statale non è più disponibile per essere venduto, viene liberalizzato il gioco d'azzardo.
Pur di fare soldi, infatti, ci si getta in un affare poco nobile: la creazione delle sale Bingo. Sono oltre 400, create nel 2001, e garantiscono introiti immensi. Sentiamo cosa scrive il quotidiano cattolico "Avvenire"( 1/7/2001): "mai visti tanti uomini vicini ai DS davanti alle cartelle del Bingo. La metà delle sale pronte ad aprire saranno gestite da chi è in qualche modo legato alla Quercia. Duecentododici sale su quattrocentoquindici. Più della metà. Un business che va dai settanta ai centocinquanta miliardi l'anno per sala. Difficile resistere. I 'D'Alema boys' hanno fatto tombola prima ancora che si cominciasse a giocare. Hanno fondato una società, la Formula Bingo, e fatto il lavoro migliore. I frutti si sono visti. Già, ma perché D'Alema boys? A loro il nome non piace. Ma come sanno tutti nessuno può sceglierselo. Sta di fatto che lo staff di Formula Bingo vede alla vicepresidenza Luciano Consoli (militante PCI sezione Trastevere) e nessuno può negare che sia un amico dell'ex presidente del Consiglio diessino. Così come non passa inosservata la sede della società: Via San Nicola de Cesarini al 3, Roma. Nello stesso palazzo dove si trovano gli uffici di 'Italianieuropei', la fondazione creata da D'Alema...".
Mesi prima, il 20/1/2001, sempre Avvenire specificava che Formula Bingo "è posseduta per metà da una banca, la London Court, a sua volta guidata da un vecchio amico di D'Alema, Roberto De Santis. Così amico che è stato lui a cedere al leader diessino la fin troppo nota barca Ikarus. Ma la London Court ha un altro azionista al 50%, la Chance Mode Italia, il cui patrono è un altro amico di d'Alema, Luciano Consoli...".
L'accusa arriva anche da sinistra. Marco Travaglio, allora autore di libri anti Berlusconi e giornalista de l'Unità, durante un raduno ad una convention girotondina, parlando del governo D'Alema si lascia scappare una frase piuttosto imbarazzante: "Quelli sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al culo, e ne sono riusciti ricchi". Perché queste accuse? Per la missione Arcobaleno, i rapporti con Colaninno, l'inchiesta sulla Banca del Salento, e i "D'Alema boys", "imputati di improvvisa fama e ricchezza"(Corriere della Sera, 16/1/2004). Pronta la replica degli interessati: D'Alema annuncia una querela... forse... Pasquale Cascella, ex portavoce di D'Alema, lamenta "la cultura politica e giornalistica che esprime Travaglio", dimenticando che è quella che ne ha fatto un eroe della sinistra anti-berlusconiana, e un suo collega all'Unità.
Ma prima o poi i nodi vengono al pettine, e qualcuno oggi ricomincia a parlare di nazionalizzazione di alcuni beni fondamentali del paese, come Autostrade, o di lotta al gioco d'azzardo, che arricchisce pochi e distrugge molti. Vedremo cosa accadrà.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17/08/2018

2 - PALIO DI SIENA: IL VESCOVO NON BENEDICE IL DRAPPELLONE CON UN CAVALLO AL POSTO DI GESU'
La Madonna così rappresentata non rispetta la cultura mariana: le contrade sono con lui, mentre il sindaco...
Autore: Andrea Acampa - Fonte: Avvenire, 15/08/2018

«E' un'opera d'arte moderna ma non rispetta i caratteri della cultura mariana e per questo benedico la città, ma non il drappellone». Così l'arcivescovo di Siena Antonio Buoncristiani, durante la cerimonia dell'offerta dei ceri e dei "censi" in Duomo, che si è svolta il 14 agosto a Siena.
Il drappellone o 'cencio', va alla contrada vincitrice del Palio dedicato alla Madonna dell'Assunta del 16 agosto, e quest'anno è stato realizzato dall'artista Charles Szymkowicz. Il telo raffigura una Maria decisamente strana, che in braccio al posto del Bambino porta un cavallo.
«La mia decisione non deve suonare strana perché la benedizione è riservata all'immagine religiosa - aveva precisato il vescovo - Ciò non significa che deve mancare o può mancare la benedizione alla nostra città, la benedizione alle sue contrade perché il Signore ci aiuti ad essere fedeli a quanto ci è stato trasmesso di generazione in generazione».
Una nota a sostegno dell'arcivescovo è arrivata da parte del «Collegio dei correttori» delle 17 contrade di Siena: «Il primo e più importante titolo che è stato attribuito alla Madonna - spiegano - è quello di Madre di Dio, perciò da secoli gli artisti la raffigurano con Gesù Cristo in braccio. Questa è la fede che da quasi due millenni il popolo senese si tramanda di generazione in generazione in ossequio alla tradizione e alle scritture. I Senesi hanno un amore straordinario per il cavallo, una meravigliosa creatura di Dio. Sostituire Gesù Cristo con un cavallo significa però irridere sia la devozione dei Senesi per la Madre di Dio che il loro rispetto per i cavalli».
Il sindaco Luigi De Mossi ha protestato, invece, contro il vescovo: «La benedizione alla città, ai cittadini (ma il vescovo li ha benedetti ndr) e al Palio era dovuta - ha aggiunto De Mossi - La benedizione, infatti, non è a un 'cencio' di seta ma abbraccia tutta la città e quindi, in modo molto pacato, ribadisco che dal mio punto di vista il vescovo ha sbagliato».
Il sindaco ha spiegato di non voler «difendere l'artista a tutti i costi ma se si entra nella dinamica della qualità dell'opera si va su un terreno scivoloso che non ci compete»

Nota di BastaBugie: anche nel 2010 il drappellone eveva causato polemiche per la mezzaluna posta sopra la Madonna di Provenzano. Ci fu una polemica a cui seguirono le precisazioni del Vescovo, il quale consigliava alla committenza di chiedere una consulenza prima di dare il via libera al bozzetto delle future opere in modo da evitare inutili polemiche. Putroppo il suo consiglio è stato fatto cadere nel vuoto, come i fatti di questi giorni hanno dimostrato. Ecco gli articoli che abbiamo rilanciato nel 2010.

LA MEZZALUNA ISLAMICA SOPRA IL CAPO DELLA MADONNA A CUI E' DEDICATO IL PALIO DI SIENA
Eppure per secoli i senesi avevano ringraziato la Madonna per aver salvato l’Europa dall'islamizzazione...
di Antonio Socci
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=77

IL VESCOVO DI SIENA PRECISA LA SUA POSIZIONE RISPETTO ALLA POLEMICA SUL DRAPPELLONE
In un comunicato-stampa, critica il Palio (dedicato alla Madonna) che presentava Maria secondo il Corano
di Mons. Antonio Buoncristiani
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=69

Fonte: Avvenire, 15/08/2018

3 - TUTTI GLI ERRORI DEL DEFUNTO KOFI ANNAN
Primo africano a capo dell'Onu e Premio Nobel per la pace... nonostante i clamorosi insuccessi nel prevenire i genocidi in Rwanda e Bosnia (inoltre ha dato carta bianca a Ong, terzomondismo, ecologismo e gender come mai prima)
Autore: Anna Bono - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19/08/2018

Kofi Annan, il primo e unico segretario generale delle Nazioni Unite africano nero, è morto il 18 agosto a Berna. Aveva 80 anni e da molto tempo viveva in Svizzera, vicino a Ginevra.
Era nato in Ghana del 1938 quando ancora il paese era un colonia britannica. Diplomatosi nel 1957, l'anno dell'indipendenza, grazie a una borsa di studio della Fondazione Ford aveva potuto completare gli studi negli Stati Uniti nel 1961. Subito dopo era iniziata la sua carriera all'interno dell'Onu: prima nell'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, poi come assistente del segretario generale, con diversi incarichi, l'ultimo dei quali in qualità di capo del dipartimento per le operazioni di peacekepping, tra il 1993 e il 1994. Nel 1995 era stato nominato sottosegretario generale e nel 1997 segretario generale, carica che ha svolto fino al 2006. Nel 2012 è stato inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba in Siria. Nel 2013 è diventato presidente degli Elders, un gruppo di personalità di fama internazionale nato nel 2007 per difendere i diritti umani e di cui hanno fatto parte tra gli altri Nelson Mandela, Jimmy Carter, Mary Robinson, Graça Machel, Ban Ki-moon e Desmond Tutu.

LA PROPAGANDA E LA REALTÀ
"Il primo segretario generale salito dall'interno ai vertici dell'organizzazione, costante difensore dei diritti umani, dello sviluppo e dello stato di diritto - cosi lo ricordano gli Elders - impegnato per tutta la vita per la causa della pace e per un mondo più giusto. Ovunque c'era sofferenza e bisogno ha aperto un dialogo...". Capi di stato e personaggi del mondo politico internazionale via via hanno ricalcato queste parole, elogiando l'uomo, il diplomatico, il politico. Tra i primi hanno invitato messaggi di cordoglio il presidente russo Vladimir Putin, il primo ministro indiano Narendra Modi, il presidente del Ghana Nana Akufo-Addo, tutti elogiando l'uomo di pace che tanto ha fatto per la sicurezza del mondo. Nel 2001 Kofi Annan era stato insignito del premio del Nobel per la pace, insieme all'Onu, per il suo lavoro in campo umanitario.
Parlandone da vivo... si è trovato ai vertici dell'Onu, con incarichi di responsabilità, in alcuni dei momenti meno gloriosi della storia dell'organizzazione.
Dirigeva il dipartimento per le operazioni di peacekeeping alla vigilia del genocidio ruandese: quasi un milione di morti in tre mesi nel 1994, vittime i Tutsi e gli Hutu contrari ai massacri. La missione Onu Unamir, presente in Rwanda dall'ottobre 1993, è considerata uno dei più grandi fallimenti delle Nazioni Unite, incapace di un ruolo effettivo al momento della crisi a causa delle regole di ingaggio che ne limitavano l'azione e del ritardo con cui l'Onu rispose alla richiesta del comandante delle operazioni, Roméo Dallairedi inviare con urgenza un contingente di almeno 5.000 unità.
L'anno successivo Annan era diventato sottosegretario generale quando un altro genocidio ha sconvolto il mondo: il massacro di Srebrenica, avvenuto in una zona dichiarata protetta dall'Onu, sotto tutela del contingente olandese dell'Unprofor, la Forza di protezione istituita dal Consiglio di sicurezza nel 1992. Oltre 8.000 musulmani bosnacchi, per lo più uomini giovani e adulti, furono uccisi dall'esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladic.
Poi nel 2004 suo figlio Kojo fu coinvolto nello scandalo delle tangenti pagate da Saddam Hussein stornando fondi nell'ambito del programma miliardario "Oil for food", varato per consentire all'Iraq di vendere petrolio sui mercati internazionali in cambio di cibo, medicinali e altri aiuti alla popolazione irachena. L'accusa a Kofi Annan era di non aver indagato adeguatamente sulla vicenda. Venne poi assolto per mancanza di prove che fosse a conoscenza dell'attività del figlio, ma il sospetto che non avesse agito correttamente rimase.

OBIETTIVI FALLITI, ONG POTENZIATE, GENDER SDOGANATO
Kofi Annan considerava uno dei suoi più grandi successi il Millenium Development Goals, un progetto Onu multimiliardario di lotta a povertà, discriminazione e ingiustizia (praticamente tutto a carico dei paesi occidentali) articolato in otto punti, otto obiettivi da raggiungere in 15 anni a partire dal 2000. Anche se in alcuni settori si erano registrati dei miglioramenti, nel 2015 risultò che nessuno degli obiettivi era stato raggiunto e difatti quell'anno l'Onu ha inaugurato un nuovo progetto, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile post-2015: 17 obiettivi questa volta, al costo di oltre tre trilioni di dollari all'anno, sempre forniti dai paesi sviluppati.
Parlandone da vivo, se oggi le organizzazioni non governative pretendono di essere depositarie del bene e del giusto, esigono che il loro modo di operare non venga discusso né tanto meno ostacolato e perciò sfidano le leggi internazionali e i governi, molto si deve a Kofi Annan che durante i suoi mandati ha portato da centinaia a migliaia il numero delle Ong e delle associazioni con status consultivo all'Onu attribuendo loro funzioni e ruoli sempre più importanti. Per l'Onu, da allora, le Ong sono diventate, per usare le parole di Kofi Annan, "i veri guardiani della democrazia e del buon governo ovunque", interpreti dei bisogni umani negati, unica, autentica espressione di democrazia e voce delle minoranze, degli emarginati, dei deboli, dei soggetti discriminati".
Era arrivato a coinvolgerle nella preparazione di grandi eventi come ad esempio la Conferenza mondiale contro il razzismo svoltasi nel 2001 a Durban, nella preparazione e nella gestione della quale il Palazzo di Vetro ha dato il peggio di sé, confermando di essere ormai terreno e arma di attacco all'Occidente cristiano. Negli anni di Kofi Annan, infatti, l'Onu ha dato autorevolezza, mezzi e voce all'ideologia ambientalista catastrofista, che prevede la prossima morte della Terra ridotta a una roccia sterile e rovente per mano dell'Occidente, all'ideologia terzomondista, che accusa l'Occidente di razziare tutte le ricchezze del mondo rendendolo sempre più povero e disperato, e all'ideologia femminista, nella sua forma estrema. È all'Onu di Kofi Annan, va ricordato, che ha preso forma e si è affermata la teoria del gender.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 19/08/2018

4 - LA SANTA CASA FU DAVVERO PORTATA A LORETO IN ARIA DAGLI ANGELI (NON IN NAVE DAGLI UOMINI)
Un libro ben documentato raccoglie le prove storiche e archeologiche che, insieme ai pronunciamenti della Chiesa, chiarisce definitivamente il trasporto angelico
Autore: Federico Catani - Fonte: Luci sull'Est - Spunti, giugno 2018

Nella notte tra il 9 e il 10 maggio 1291 avvenne un fatto straordinario in Palestina. Erano i giorni in cui si stava approssimando la fine della presenza crociata in Terra Santa. Di lì a poco, con la sconfitta di San Giovanni d'Acri, le forze maomettane avrebbero ripreso pienamente il controllo dei luoghi dove Nostro Signore era nato, vissuto, morto, risorto e asceso al Cielo.
In quella notte di maggio a Nazareth, del tutto inspiegabilmente, nella Basilica dell'Annunciazione sparì la preziosissima reliquia ivi custodita da secoli, una delle più importanti della Cristianità: la Santa Casa in cui la Madonna aveva ricevuto l'annuncio dell'angelo e dove il Verbo si era fatto carne, dando cosi inizio alla Redenzione dell'umanità. Occorre specificare che l'abitazione di Gesù, Maria e Giuseppe era quella tipica della gente comune dell'epoca in Palestina: tre pareti addossate ad una grotta. Questo spiega il perché dell'assenza di un quarto muro. Ebbene, chiunque fosse andato a Nazareth il 10 maggio 1291 non avrebbe più trovato le tre pareti della dimora della Sacra Famiglia, presenti invece fino al giorno prima. Cosa era accaduto? Come era stato possibile far sparire la Santa Casa?
E soprattutto, che fine aveva fatto?

TRASLAZIONI MIRACOLOSE DELLA SANTA CASA
La mattina di quello stesso giorno, in un bosco dalle parti di Tersatto (oggi un quartiere della città di Fiume, in Croazia), alcune persone videro proprio tre pareti. Incuriosite e non sapendo di cosa si trattasse, andarono dal parroco del luogo, in quel momento gravemente malato, al quale proprio quella notte era apparsa in sogno la Madonna. Nella visione, la Madre di Dio gli aveva annunciato l'arrivo della sua Santa Casa e per dargliene conferma lo aveva miracolosamente guarito. Da quel momento, l'insigne reliquia divenne meta di pellegrinaggi e di devozione. Il tutto durò tre anni. Poi, la notte tra il 9 e il 10 dicembre 1294, la Santa Casa sparì miracolosamente cosi come era arrivata. Ma in ricordo della sua presenza in terra croata, nel luogo dove si era posata venne costruito un santuario, ancora oggi uno dei principali del Paese.
Le tre pareti consacrate dalla presenza della Santa Famiglia, quelle tre pareti che avevano visto Gesù crescere e lavorare, giunsero in Italia, nelle Marche, all'epoca territorio appartenente allo Stato Pontificio. Storicamente la sua presenza è accertata in tre luoghi prima di giungere dove ancora possiamo venerarla. Ad Ancona (attuale località di Posatora) e nel territorio di Loreto, dapprima in pianura (attuale località di Banderuola), poi nel campo di proprietà di due fratelli (grosso modo di fronte all'attuale santuario). Infine, nel dicembre 1296, la Santa Casa si posò nel luogo in cui ancora si trova.
Non a caso diciamo "si posò". Infatti le traslazioni di cui abbiamo parlato avvennero tutte miracolosamente, secondo la tradizione (immortalata in innumerevoli dipinti e sculture) ad opera degli angeli.
L'Italia ha il grande privilegio di ospitare questa preziosissima reliquia della Cristianità. Purtroppo però, molti oggi tendono a dimenticare Loreto o a considerarlo un santuario tra i tanti. Eppure Giovanni Paolo II lo ha riconosciuto come il "primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e, per diversi secoli, vero cuore mariano della Cristianità".

UN MIRACOLO PERMANENTE
Dato ancor più grave, in troppi oggi ignorano la storia del Santuario Lauretano o prestano fede a manipolazioni della verità. In effetti, da alcuni decenni, se almeno ufficialmente nessuno nel mondo cattolico mette in dubbio che a Loreto vi sia la vera Santa Casa di Nazareth, la Traslazione angelica della stessa è stata derubricata a una mera leggenda. Ma è credibile pensare che il trasporto delle sante pareti sia avvenuto per mezzo degli uomini? Come spiegare ad esempio così tanti spostamenti? Sarebbe stato tecnicamente possibile trasportare per nave così tante volte delle pietre che poi sono state perfettamente risistemate? E ancora: perché collocare definitivamente la Santa Casa nel mezzo di quella che all'epoca era una strada pubblica dove, secondo la legge locale, nulla si doveva costruire, pena l'abbattimento coatto?
L'architetto Federico Mannucci, in una relazione del 1923, ebbe a scrivere che «è assurdo solo pensare che il sacello possa essere stato trasportato con mezzi meccanici» e rivelò pure che «è sorprendente e straordinario il fatto che l'edificio della Santa Casa, pur non avendo alcun fondamento, situato sopra un terreno di nessuna consistenza e disciolto e sovraccaricato, seppure parzialmente, del peso della volta costruitavi in luogo del tetto, si conservi inalterato, senza il minimo cedimento e senza una benché minima lesione sui muri». Anche l'architetto Giuseppe Sacconi constatò che «la Santa Casa sta parte appoggiata sopra l'estremità di un'antica strada e parte sospesa sopra il fosso attiguo», ragion per cui non può essere stata fabbricata o rifabbricata, come è, nel posto in cui si trova.
C'è pure un altro elemento da rilevare. La malta con cui le sante pietre sono murate proviene dalla Palestina. Come può questo dato essere compatibile con una ricostruzione successiva al trasporto su nave? E come è possibile che, a seguito di tanti spostamenti e di molteplici riedificazioni, non si sia minimamente alterata la perfetta geometria della Santa Casa, che combacia esattamente con le dimensioni delle fondamenta rimaste a Nazareth? La Santa Casa di Loreto infatti non ha fondamenta. Per trovare queste bisogna spostarsi proprio a Nazareth.
Recentemente inoltre è stata acclarata la falsità storica del Chartularium culisanense, documento spesso citato perché proverebbe il trasporto umano delle pietre della dimora nazaretana per mezzo della famiglia Angeli o De Angelis (da cui poi sarebbe sorta la "leggenda" degli angeli...). Il testo in questione però risalirebbe al 1294, tre anni dopo il primo miracoloso trasporto della Santa Casa a Tersatto. E poiché è attestato che nel 1294 questa non era più a Nazareth ma in Dalmazia, la famiglia Angeli non avrebbe potuto portar via nulla direttamente dalla Palestina, come invece si è detto. Inoltre, vi si parla dell'asporto di alcune pietre e non delle tre pareti integre, come sempre si è detto e si è inteso. Quindi quella del trasporto umano della Santa Casa è una mera ipotesi, senza alcuna prova, che produce solo l'effetto di minare la fede dei semplici e contraddice secoli di studi e dimostrazioni.

L'APPROVAZIONE DELLA CHIESA
Peraltro, in tutti i luoghi in cui la Santa Casa si è posata furono costruite delle chiese a testimonianza dell'evento prodigioso. È mai possibile che le autorità ecclesiastiche, sempre così prudenti, abbiano edificato luoghi di culto in ricordo del "miracolo" senza mai essere smentite da nessuno? Se davvero il trasporto fosse avvenuto per mano umana, perché la gente avrebbe dovuto accettare la versione miracolosa dei fatti?
Non possiamo poi ignorare che lungo i secoli i Papi hanno sempre ribadito sia l'autenticità della Santa Casa sia il suo arrivo prodigioso in Italia. Basti pensare, solo per citarne alcuni, a Paolo II, Giulio II, Leone X, Pio IX e Leone XIII. Inoltre, per essere precisi, il 10 dicembre ricorre liturgicamente la festa della miracolosa Traslazione della Santa Casa, non quella della Madonna di Loreto. Benedetto XV, poi, nel dichiarare la Beata Vergine Lauretana Patrona degli aviatori nel 1920 riconobbe come autentico il "volo miracoloso" della Santa Casa. Senza contare infine le rivelazioni private avute al riguardo da numerosi santi. E l'enorme quantità di miracoli (guarigioni e conversioni) avvenuti all'interno della dimora della Sacra Famiglia. Vi è poi la tradizione folcloristica popolare a contrastare le ipotesi razionaliste degli ultimi decenni. Non a caso da secoli nelle Marche, la sera del 9 dicembre, si celebra la "Venuta" della Santa Casa con l'accensione di falò, come per illuminare la strada alla Vergine che arriva nei cieli con la sua dimora. Attorno ad essi si recita il S. Rosario e alle tre di notte un tempo si suonavano le campane per segnalare l'avvenuto arrivo della Santa Casa.
Proprio per far conoscere meglio questa perla che abbiamo l'onore e la grazia di ospitare nel nostro Paese, Luci sull'Est ha deciso di pubblicare e diffondere un libro che, in maniera sintetica ma esaustiva, parla della storia della Santa Casa di Loreto e della sua importanza per la fede cattolica.

LORETO BALUARDO CONTRO ISLAM
Tra gli aspetti forse più ignorati c'è anche il ruolo decisivo svolto dal Santuario Lauretano nella preservazione dell'Europa cristiana. Infatti è alla Madonna di Loreto che i Papi e i condottieri si sono rivolti prima di affrontare - tra le altre - le due battaglie più decisive e celebri contro l'islam: quella di Lepanto (1571) e quella di Vienna (1683). In entrambe, la vittoria dell'esercito cristiano si è dovuta all'intervento della Beata Vergine Maria.
Prima dello scontro navale di Lepanto, Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia, si recò a Loreto con la sposa per mettere nelle mani di Maria Santissima la sorte della guerra. E dopo la sconfitta della flotta maomettana, tornò nella città mariana per ringraziare la Madre di Dio, insieme a tutta l'armata papale. Peraltro i prigionieri cristiani liberati dalla schiavitù cui erano stati sottoposti dagli ottomani, in segno di riconoscenza verso la Virgo Lauretana donarono al santuario le loro catene, che vennero fuse per costruire porte e cancelli della Santa Casa e delle varie cappelle laterali della chiesa.
Anche dopo la battaglia di Vienna, il re polacco Giovanni Sobieski volle celebrare la Madonna di Loreto. Uno stendardo con la sua immagine venne portato trionfalmente in processione per le vie della capitale asburgica da padre Marco d'Aviano. Sobieski lo fece poi collocare nella sua cappella e ogni giorno faceva celebrare dinanzi alla Santissima Vergine la Santa Messa e cantare le Litanie Lauretane.

LA SCHIAVITÙ MARIANA
L'auspicio è che il libro offerto da Luci sull'Est aiuti ad accrescere la nostra devozione mariana e la consapevolezza della grandiosità della Santa Casa di Loreto. Non va peraltro dimenticato che il Santuario Lauretano è il luogo per eccellenza della schiavitù mariana, così come insegnata e predicata da San Luigi Maria Grignion de Montfort, che proprio fra quelle pareti ebbe l'ispirazione di scrivere il Trattato della Vera Devozione a Maria. Del resto, è nella Santa Casa che lo stesso Gesù, come insegna il santo francese, si fece schiavo di sua Madre, chiudendosi nel suo grembo santissimo.

Nota di BastaBugie: per avere il libro sulla Santa Casa contattare il numero 06 85 352 164 (dalle 9.30 alle 18.00).
Qui sotto una conferenza sulla Santa Casa tenuta da Federico Catani, autore dell'articolo precedente.


https://www.youtube.com/watch?v=pb-_uPDejWw

DOSSIER "LA MADONNA E LE BATTAGLIE"
Quando la Madre di Dio scende in campo

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Fonte: Luci sull'Est - Spunti, giugno 2018

5 - LE ASSURDE CONSEGUENZE DELL'ABOLIZIONE TOTALE DELLA PENA DI MORTE
Cambiando il Catechismo su un solo punto (pena di morte come assoluto morale) si innesca una reazione a catena che farà cadere la legittima difesa, la guerra giusta, l'autorità politica, i princìpi non negoziabili, ecc.
Autore: Andrea Cionci - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/08/2018

Il cambiamento del testo sulla pena di morte nel Catechismo, voluto da Papa Francesco, esclude in modo definitivo anche quei casi-limite che, nella versione precedente, erano più o meno implicitamente contemplati. Se è pur vero che le moderne società occidentali possono tutelare il bene comune imprigionando i delinquenti in carceri ben munite, non è detto, infatti, che questo possa essere garantito in migliaia di zone disastrate e poco civilizzate sparse in tutto il mondo dove le strutture di detenzione sono spesso in condizioni precarie.
Ancora, chi ci dice che un domani il mondo non possa precipitare in un nuovo terribile conflitto armato, con la legge marziale che, da sempre, vi si associa?
Rammentiamo innanzitutto un principio di morale naturale: esiste un dovere etico di difendere la propria Patria. Per alcuni questo significa imbracciare un fucile e quindi esporsi al rischio di morire. Il venir meno a questo dovere può comportare da parte dello Stato una risposta sanzionatoria, la quale per essere giusta, tra le altre condizioni, deve tenere in conto della qualità del bene violato o messo in pericolo a causa dell'omissione del dovere (funzione retributiva). Nei conflitti armati ciò può significare la perdita ingentissima di vite umane innocenti e dunque la pena di morte potrebbe avere una sua giustificazione.
Altra condizione perché la pena sia giusta è quella che fa riferimento alla funzione dissuasiva. Se la storia è maestra di vita, a cento anni dalla fine della Grande Guerra, vale la pena approfondire lo spirito che animò una delle scelte più dolorose e drastiche riguardanti la disciplina militare. Pochi ricordano che in Italia, se la pena di morte è stata abolita nel lontano 1948, essa è stata abrogata nel Codice penale militare di guerra solo nel 1994.

IL SOLDATO CHE COMBATTE AL FRONTE E IL RISCHIO DELLA VITA
È passato quasi mezzo secolo fra i due provvedimenti per via di una circostanza piuttosto ovvia: il soldato che combatte al fronte è a rischio della vita. Se la sua eventuale diserzione o ammutinamento vengono puniti con il carcere, questo equivale a garantirgli la certezza della sopravvivenza. Qualsiasi pena detentiva diviene, quindi, in tal caso, un beneficio vero e proprio. Viene così meno il principio di deterrenza per atti che, in guerra, mettono in enorme pericolo la salvezza non solo dell'esercito, ma anche dell'intera comunità. Basti pensare a come finirono la Russia zarista o l'Impero austroungarico, crollati proprio a causa degli ammutinamenti. Si ricordi che a Caporetto la II Armata fu spazzata via anche a causa del disfattismo e delle idee pacifiste-socialiste che vi erano penetrate sobillando i militari alla diserzione e alla ribellione.
"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" scriveva Ungaretti. Come noto, nel '15-'18 la vita al fronte era così precaria che i soldati meno coraggiosi, oltre a darsi alla macchia, erano soliti compiere atti di autolesionismo, sparandosi sugli arti, o provocandosi infezioni. Il carcere, il manicomio, l'ospedale, i lavori forzati, tutto sarebbe stato preferibile pur di portare la pelle a casa.
Per imporre la massima deterrenza verso tali fenomeni, da millenni, negli eserciti di tutto il mondo al soldato vile o insubordinato si è sempre garantita la certezza della morte. Terribile, certo, ma essenziale per la sopravvivenza della collettività.

ITALIANI DALLA DISCIPLINA INFLESSIBILE
E' molto difficile ammetterlo, ma la Grande Guerra fu vinta dal nostro Paese anche grazie a una disciplina inflessibile. Non è affatto vero che questa fu una caratteristica solo italiana dovuta al "dispotico sadismo del cattolicissimo generale Luigi Cadorna", come diffuso da certa propaganda, in primis perché tale prassi era in uso in tutti gli eserciti belligeranti, in secundis perché sotto il comando del suo successore, il generale Armando Diaz, le condanne a morte non solo non diminuirono, ma furono proporzionalmente superiori a quelle comminate sotto Cadorna.
In Italia sono documentate 750 condanne alla fucilazione, eseguite dopo regolare processo, relativamente poche se raffrontate con i numeri del Regio esercito, composto da ben 5 milioni di uomini in armi. Per quanto possa essere politicamente scorretto ammetterlo, non si può negare che la pena capitale sia stata un male necessario che ha salvato un intero esercito e un intero Paese. Una triste sorte per pochi, un bene per molti.
Dopo il crollo del Muro di Berlino, lo Stato italiano, laico, ha deciso di stralciare la pena di morte dal Codice penale militare con un provvedimento che potrebbe anche essere reversibile in caso di una nuova guerra mondiale, così come la politica si adegua sempre alle necessità che via via si presentano.
Tuttavia, ci si aspetta che il Catechismo dia indicazioni al di là del tempo e della situazione geopolitica contingente, offrendo un faro morale assoluto ispirato alla Parola di Dio. Cassando in modo definitivo ogni ammissibilità della pena di morte, senza neppure accennare a particolarissime condizioni emergenziali, il Catechismo non solo si espone a obiezioni razionali difficilmente contestabili, ma precipita nel qui ed ora, dimostrandosi modificabile in base alla sensibilità del tempo.

Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Cambio sulla pena di morte, reazione a catena" parla di guerra giusta, legittima difesa, concetto di autorità politica, princìpi non negoziabili. Sono tutti elementi della dottrina della Chiesa messi in discussione dal cambiamento del Catechismo sulla pena di morte.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 7 agosto 2018:
Sulla questione della pena di morte, dopo il mutamento del Catechismo della Chiesa cattolica voluto da Papa Francesco, va notato che, cambiando questo principio, entrano in pericolo molti altri elementi e principi della Dottrina sociale della Chiesa nel suo complesso. Qualche commentatore ha parlato del Vaso di Pandora che il Papa avrebbe scoperchiato. La teologia morale cattolica, cui appartiene, almeno per la sua formalità disciplinare, anche la Dottrina sociale della Chiesa, è un tutt'uno che si tiene, eliminando un elemento, anche altri diventano instabili.
Per esempio il principio della guerra giusta o lo stesso principio della legittima difesa potrebbero essere rivisti. La dottrina della guerra giusta, come quella della pena di morte, fa parte della sapienza morale e sociale coltivata e tramandata dalla Chiesa cattolica ed anche i pronunciamenti conciliari e postconciliari sul tema (dalla Gaudium et spes alla Pacem in terris fino ai pronunciamenti di Giovanni Paolo II in occasione della guerra del Golfo) non hanno mai negato il principio, pur introducendo nuove considerazioni a seguito degli inediti contesti delle guerre moderne.
Non può sfuggire l'analogia tra pena di morte e guerra giusta: ambedue sono una difesa della comunità, ambedue tendono a ripristinare la giustizia, ambedue si possono applicare di principio ma in pratica sono soggette a numerose restrizioni morali. La morale cattolica ha sempre vietato in assoluto di uccidere l'innocente. Non ha mai vietato in assoluto e di principio di uccidere. Ora, invece, si vieta di uccidere in assoluto: la cosa viene detta per la pena di morte ma diventa possibile l'estensione ad altri ambiti, come appunto la guerra giusta e la legittima difesa. Perché anche la legittima difesa individuale? Perché se il principio del diritto di difendersi uccidendo il colpevole viene negato per la comunità politica non si capisce perché non dovrebbe essere applicato anche all'ambito personale. Per San Tommaso non bisogna uccidere difendendosi ma si può difendersi uccidendo, e questo vale anche per la guerra giusta.
Il cambiamento ha anche conseguenze sul concetto di autorità politica e sul suo ruolo in difesa del bene comune. A questo ultimo principio verrebbe tolto l'elemento essenziale della giustizia che porta in sé un aspetto retributivo che ora viene negato a proposito della pena di morte. La giustizia non è solo retribuzione ma nessuno può negare che sia anche ciò. Di conseguenza, toccando il tema giustizia, il cambiamento comporta delle conseguenze anche riguardo al diritto e i suoi riferimenti al diritto naturale, dato che la pena di morte è sempre stata considerata un'azione contemplata appunto dal diritto naturale.
Il cambiamento mette in crisi anche lo ius gentium così come lo abbiamo ereditato lungo i secoli, il quale ha sempre compreso la liceità (limitata) della pena di morte così come anche della guerra giusta - per tornare al parallelo di cui sopra -, intesa come guerra di difesa o di protezione dall'aggressore ingiusto, definendo alcuni fondamentali punti morali nelle relazioni internazionali che riguardano le regole dello ius in bello, ossia di una guerra in corso.
C'è poi una conseguenza molto importante per quanto riguarda gli assoluti morali e, di conseguenza per i cosiddetti principi non negoziabili. Come è stato giustamente scritto, il magistero attuale sembra avere introdotto nell'elenco degli assoluti morali negativi, ossia dalle azioni che non si devono mai compiere in nessuna circostanza e per nessun motivo, la pena di morte. Ma negli elenchi degli assoluti morali negativi che la Scrittura e il Magistero ci hanno fornito, la pena di morte non c'è mai. Per esempio la Gaudium et spes del Vaticano II (n. 27) parla di omicidio, genocidio, aborto, eutanasia, suicidio, mutilazioni, torture, condizioni disumane di vita, incarcerazioni arbitrarie, deportazioni, schiavitù, prostituzione, mercato delle donne e dei giovani, ignominiose condizioni di lavoro... ma non di pena di morte, a meno che essa non venga equiparata al primo dell'elenco, ossia all'omicidio, cosa che però sembra forzata. Il cambiamento degli assoluti morali negativi su punti così importanti ne indebolisce la concezione, facendoli dipendere dai corsi della storia e mette in crisi la dottrina dei principi non negoziabili enunciata da Benedetto XVI ed espressione della legge morale naturale.


DOSSIER "PENA DI MORTE"
Non è contraria al Vangelo

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/08/2018

6 - IL PADRE SPIRITUALE E L'AUTORITA' DELLA CHIESA
E' necessario affidare la nostra anima a un sacerdote in tutte e tre le tappe della nostra vita spirituale
Fonte Radio Roma Libera, 16 Gennaio 2018

ARTICOLO TRASFERITO

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Fonte: Radio Roma Libera, 16 Gennaio 2018

7 - L'ECONOMIA DEVE CORRISPONDERE ALLA MORALE
Ecco perché è utile leggere il libro ''La culla vuota della civiltà - All'origine della crisi'' scritto dal ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l'economista Ettore Gotti Tedeschi (con prefazione di Matteo Salvini)
Autore: Giovanni Tortelli - Fonte: Corrispondenza Romana, 08/08/2018

Lo scopo del recente saggio La culla vuota della civiltà - All'origine della crisi (Gondolin, Verona 2018, con prefazione di Matteo Salvini) di cui sono autori, l'attuale ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l'economista Ettore Gotti Tedeschi, è la dimostrazione del collegamento diretto fra incremento della natalità, tutela e incoraggiamento alla formazione della famiglia e sviluppo economico, in modo che l'economia possa ritrovare nella crescita demografica e nella famiglia «l'investimento degli investimenti», come lo definisce Fontana nell'introduzione.
Obiettivo non facile da raggiungere, visto che i "cattivi maestri" dell'economia globalizzata che si sono succeduti sulla cattedra di Malthus hanno sempre creduto vera l'equazione per cui il prodotto interno lordo di un Paese cresce col decrescere della popolazione: quando la popolazione cresce troppo, gli individui della stessa specie entrano in competizione l'uno con l'altro per lo sfruttamento delle risorse disponibili: da qui la presunta necessità del controllo (o inibizione) delle nascite.
Niente di più sbagliato sostengono gli Autori; basta vedere infatti i risultati dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che incrementando la popolazione sono diventati ricchi, mentre l'Occidente, diminuendola, si è impoverito.
Ma perché - si può domandare il lettore inesperto - è proprio necessario ripristinare questo rapporto di proporzione diretta fra incremento della popolazione e crescita economica? Perché - risponde Gotti Tedeschi - è l'incremento della natalità che provoca la formazione della famiglia e la famiglia produce ricchezza, anzi è il primo aggregato di società che produce ricchezza.

LE QUATTRO ANIME ECONOMICHE DELLA FAMIGLIA
La famiglia è tanto importante da detenere solo per sé ben «quattro anime economiche»: produce reddito, produce risparmio, produce investimenti e ridistribuisce il reddito al suo interno. Il valore economico della famiglia nasce dall'interesse - che è stimolo ed impegno - a perseguire azioni responsabili finalizzate al suo proprio sostentamento. Insomma, è la famiglia che è il primo motore di crescita della ricchezza e anche solo per questo «meriterebbe il Nobel per l'economia».
Del resto, la validità di questo asserto è ricavabile anche a contrario. Infatti il crollo della popolazione produce costi fissi crescenti per trattamenti pensionistici ed assistenza sanitaria, fa diminuire la produttività di un intero Paese a causa dell'invecchiamento della popolazione, inibisce la crescita del risparmio perché si formano meno famiglie che sono obbligate a risparmiare per i figli e, infine, induce al «consumismo», che è una risorsa surrogata di ricchezza che gonfia il p.i.l. di un Paese in decrescita demografica. In altre parole è l'illusione di un Paese che invecchia di mantenere inalterata la sua capacità produttiva.
E se qualcuno obiettasse, a ragione, che oggi come oggi è quasi impossibile formarsi una famiglia viste le difficoltà soprattutto di carattere economico e fiscale, Gotti Tedeschi risponde che oggi è, sì, difficile formarsi una famiglia, ma proprio perché dagli anni Settanta in poi si è scelta la strada di non avere figli: cioè da quando lo hanno deciso studi economici specialistici da una parte e volontà politiche ad altissimo livello dall'altra (vedi «Rapporto Kissinger» del 1974 a cui sono seguite pedisseque determinazioni di organizzazioni ed agenzie internazionali ad ogni livello).

OBIETTIVO ANTI-NATALITÀ
Il saggio è ricchissimo di riferimenti e di spunti quanto mai attuali e pertinenti e qui non è certo possibile elencarli tutti: dalla precisa ricostruzione di Fontana dei percorsi della più recente politica italiana, semplicemente aberranti quanto ai temi della natalità e della famiglia, al Jobs Act che ha precarizzato il lavoro delle famiglie, alle varie teorie para- o pseudo- scientifiche che non nascondono pregiudizi anti-famiglia e disegni anti-natalità in un panorama ancor più vasto che - come illustra Gotti Tedeschi - lascia intravvedere la creazione di un vero e proprio «nuovo ordine mondiale» che si richiama a precisi principi deontologici di stampo gnostico, relativista, quand'anche non nichilista: teoria gender (che sostituisce il «maschio e femmina li creò» di Gen. 1, 27); teoria malthusiana (che sostituisce il «crescete e moltiplicatevi» di Gen. 1, 28); teorie ambientaliste che vedono l'uomo come distruttore della natura (che sostituisce «assoggettate e dominate ogni essere vivente» di Gen. 1, 28).
Gli Autori non tacciono che la strada di un ribaltamento di valori è estremamente in salita perché qui si tratta di ribaltare, con l'economia, anche le coscienze, in un panorama che ritorna ad essere - dunque - quello dell'eterna lotta fra immanentismo e metafisica.
«Un Paese che non fa figli non ha futuro» dice Salvini nella sua prefazione, e intanto coglie esattamente un primo nocciolo pratico della questione quando indica la volontà di una riforma fiscale che favorisca le famiglie, soprattutto quelle numerose (magari con l'introduzione del tanto auspicato quoziente familiare), e non le penalizzi come la politica miope, sterile, atea e materialista ha fatto finora con un fiscalismo ad personam.
Sarebbe già un buon primo e significativo passo verso un sempre maggior riconoscimento della famiglia che si apre alla vita e mette al mondo figli. E da qui ripartire in ogni direzione.
Concludo. Per le sue qualità - e soprattutto per il fatto notevole che Fontana e Gotti Tedeschi sono riusciti a dimostrare la "razionalità" delle leggi morali, e quindi la "necessità" di un'economia legata alla morale, quindi di un'economia alla ricerca di una verità che non sia solo una verità scientifica avulsa dall'uomo - ritengo che questo saggio possa essere adatto tanto ai lettori esperti, affinché aprano gli occhi oltre l'abitudinarietà, quanto ai meno esperti e agli adolescenti che si affacciano agli studi universitari (di qualunque genere), spesso confusi da un pensiero unico, massificante e omologante, per aiutarli ad indirizzare la loro giovane coscienza verso un salutare cammino di ricerca della verità.

Fonte: Corrispondenza Romana, 08/08/2018

8 - PRATICAVO ABORTI, OGGI DIFENDO LA VITA
Nel 40° anniversario della legge 194 leggiamo la testimonianza del dott. Oriente
Autore: Federico Cenci - Fonte: In Terris, 22/05/2018

A quarant'anni dall'approvazione della legge 194, che ha introdotto l'aborto in Italia, molti suoi fautori si chiedono come sia possibile che persista un alto numero di medici obiettori di coscienza. La risposta risiede nel profondo dello sguardo o nella voce spezzata dall'emozione di alcuni di loro, come il dott. Antonio Oriente, ginecologo siciliano 64enne.
Oggi è un medico che si spende per convincere le donne indecise a far nascere i bambini che portano in grembo, ma per tanti anni le sue mani hanno praticato aborti, "hanno ucciso i figli degli altri", come ammette lui stesso senza giri di parole in un'intervista ad In Terris.
La sua storia professionale si intreccia con quella personale. Ed inizia a farlo negli anni '80, tra i tormenti di un uomo che non riusciva a trovare la serenità. "Mia moglie, pediatra, adorava e curava i bambini, ma non riuscivamo ad avere figli nostri, nemmeno con la strada della fecondazione artificiale, e lei ne soffriva in modo terribile", racconta. Lui passava ore interminabili nella sala d'ospedale, cercando di esorcizzare la sofferenza con l'impegno lavorativo. "Mancavo da casa anche due giorni di seguito - dice -, tutto assorbito dal mio lavoro, che consisteva anche nel praticare aborti, nell'uccidere i figli degli altri, mentre non riuscivo ad averne di miei".

LA SVOLTA
Il dott. Oriente non si capacitava del fatto che la scienza medica, che aveva studiato con passione e quasi adorazione, non riuscisse a dare risposte al bisogno di genitorialità suo e di sua moglie. L'inizio della svolta arrivò in una sera che sembrava foriera della solita amarezza.
"Erano i primi mesi del 1986 - racconta -, avevo finito il turno in consultorio ma avevo deciso di non tornare a casa, mi chiusi nel mio studio con la testa tra le mani, ripensando al dolore che vivevo con mia moglie e piangendo". Proprio in quegli istanti, passò davanti allo studio una coppia di persone che il dott. Oriente seguiva da tempo per infertilità. "Videro le luci - spiega - e sapendo che il consultorio a quell'ora era chiuso, entrarono temendo che avessi lasciato l'interruttore acceso o che io potessi avere dei problemi". E in effetti trovarono il medico che li curava in preda ad un malessere. "Con loro - afferma - trovai il coraggio di confidarmi".
Le due persone ascoltarono, con quella compassione che sa avere chi vive sofferenze simili, e poi dissero: "Dottore, noi non abbiamo una soluzione al problema, del resto continuiamo a venire da lei, però possiamo presentarle una persona che a noi ha dato serenità e un senso a quanto stiamo vivendo: Gesù Cristo".
Si trattava di persone che si erano avvicinate da poco a un movimento ecclesiale, il Rinnovamento nello Spirito. "Incredulo ma incuriosito, mi avvicinai anch'io", racconta il dott. Oriente. "Una sera - prosegue - entrai in chiesa e mi trovai a meditare davanti al crocifisso, chiedendomi 'come posso io chiedere un figlio al Signore, quando uccido quelli degli altri?'.
E dopo mi passarono davanti agli occhi le immagini dei tanti bambini che avevo fatto abortire". Una domanda che servì a scavare nella propria interiorità. "Mi sentii compreso da un Padre misericordioso - racconta - e capii che dovevo cambiare la mia prospettiva da medico, perché il medico la vita la difende ad ogni costo, non la sopprime".
Cambio di prospettiva che si condensò in un gesto. "Presi un foglietto di carta e scrissi 'Mai più morte, fratello Antonio', con la ferma intenzione di non dedicarmi più all'aborto ma alla vita". La svolta fu immediata. "In consultorio iniziai a consigliare le ragazze a tenere il proprio bambino", spiega. Ma una svolta stava aspettando il dott. Oriente anche a casa.
"Un giorno trovai mia moglie che era in bagno a vomitare, pensai a un malessere passeggero - spiega - poi lei fece dei test di gravidanza che, tuttavia, furono negativi". Ma i mal di stomaco continuavano e le mestruazioni non arrivavano ancora nei giorni a venire, così la donna fece un esame del sangue che diede l'atteso responso: attendeva un bambino. "Dopo otto mesi nacque Domenico - racconta - e subito dopo, arrivò anche Luigi, due figli che sono una benedizione di Dio.

LA CONSEGNA DEI FERRI AL PAPA
Il dott. Oriente, tuttavia, ancora non aveva colmato del tutto il suo desiderio di rinascere spiritualmente, il carico degli aborti praticati ancora pesava sulla sua coscienza. "Girai come una trottola per cercare un prete che mi confessasse - ricorda - ma invano, fin quando trovai assistenza nel mio vescovo". Per tagliare però del tutto i ponti col passato, il ginecologo voleva separarsi dei ferri con i quali aveva compiuto tanti aborti.
"Decisi di consegnarli al Papa - spiega -, avevo tentato con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma senza riuscirci. L'opportunità mi fu data nel settembre 2013, durante l'udienza di Francesco con dei medici cattolici". Fu un episodio che il dott. Oriente non esita a chiamare "miracoloso", perché "sembrava che non potessi incontrarlo, ero in quarta fila e solo le prime due potevano avvicinarsi al Papa, quando fu lui stesso a chiamarmi a sé tramite il suo segretario. Mi accolse, pose le mani sul mio capo, mi benedì e mi confermò nel mandato di evangelizzazione pro-vita".

L'IMPEGNO IN CONSULTORIO
Un "mandato" che il dott. Oriente svolge ogni giorno, riusciamo a parlarci al telefono per l'intervista proprio in una pausa tra un colloquio e l'altro con le donne in consultorio. Un luogo, quest'ultimo, che è un vero e proprio "ospedale da campo", dove più che di parole, c'è bisogno di affetto e di condivisione.
"Quando vedo che le motivazioni non bastano per convincerle a non abortire - afferma -, mi alzo dalla sedia, faccio il giro della scrivania e le abbraccio. Così molte di loro si convincono a tenere il bambino". E l'assistenza prosegue anche dopo la nascita del piccolo, "aiutiamo le giovani in difficoltà economica - spiega - offrendo loro un appartamento di cui noi paghiamo l'affitto".
"Certo - ammette il ginecologo - lavoriamo con tante difficoltà, perché l'Azienda sanitaria non ci aiuta e perché il consultorio viene considerato un 'abortificio'", nonostante sia la stessa legge 194 a prevedere che in questi luoghi la donna sia aiutata "a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza", "offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto".
Quarant'anni dopo, in tanti ignorano questo passaggio della legge 194. E forse ignorano anche la storia del dott. Antonio Oriente, altrimenti forse sull'aborto cambierebbero idea.

Nota di BastaBugie: per ulteriori approfondimenti sulla vicenda umana del dottor Oriente, si può cliccare sul seguente link

MI CHIAMO ANTONIO ORIENTE, SONO UN GINECOLOGO E, FINO A QUALCHE ANNO FA, IO CON QUESTE MANI UCCIDEVO I FIGLI DEGLI ALTRI
di Sabrina Pietrangeli Paluzzi
La straordinaria testimonianza di un abortista pentito (senza giri di parole)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1518

Fonte: In Terris, 22/05/2018

9 - OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Gv 6,60-69)
Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Prima di entrare nella Terra Promessa, Giosuè mette gli israeliti di fronte a una scelta: i falsi dèi o il Signore. Giosuè disse a tutto il popolo: «Sceglietevi oggi chi servire [...] quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore» (Gs 24,15). Il popolo rispose che sceglieva la fedeltà a Dio, e disse: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi» (Gs 24,16). Il popolo riconobbe tutti i benefici che Dio gli aveva elargito, che lo aveva liberato dalla condizione servile in cui era assoggettato in Egitto, che aveva compiuto grandi segni e prodigi dinanzi ai suoi occhi e lo aveva custodito lungo il non facile cammino dell'esodo. Così venne rinnovata l'Alleanza con Dio e gli israeliti si prepararono ad entrare nella terra che Dio aveva loro promesso.
La stessa situazione la ritroviamo nel brano del Vangelo. Gesù mette i suoi discepoli di fronte a una scelta molto precisa: o stare con Lui ed accogliere il suo insegnamento, oppure andare via. Non è possibile una via di mezzo. Il testo dice che molti dei discepoli rimasero scandalizzati dal discorso che Gesù fece loro, il discorso del "Pane di vita": come era possibile che Gesù desse loro la sua Carne da mangiare e il suo Sangue da bere? Gesù non fa nessuno sconto. Al suo posto, molto probabilmente, noi avremo fatto di tutto per trovare una soluzione ambigua che accontentasse tutti. Gesù non fece così e ripropose letteralmente il solito insegnamento senza mitigarlo. Il Vangelo ricorda che «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66).
Da questo episodio impariamo la necessità di essere pienamente fedeli all'insegnamento di Gesù e alla voce della Chiesa, la quale, grazie all'assistenza dello Spirito Santo, insegna infallibilmente le verità di fede e di morale. Non si possono fare riserve e la Chiesa non può sacrificare una parte di verità per un mal inteso "quieto vivere". Gesù, prendendo la parola, disse poi agli Apostoli: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Egli non fa nulla per trattenerli, non cerca una mediazione. Allora Pietro, a nome di tutti, disse con decisione: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Solo l'insegnamento di Gesù sazia la nostra fame e sete di verità, tutto il resto ci lascerà sempre inappagati. In proposito, è molto bello leggere quanto accadde a san Giustino che fu un martire dei primi secoli del Cristianesimo. Egli era un grande filosofo che si era messo sinceramente alla ricerca della verità. Aveva studiato tutte le filosofie, ma di tutte era rimasto deluso. Intuiva che vi era la verità, ma che ancora si nascondeva agli occhi della sua mente.
Mentre era nei pressi del mare e pensava alla verità, incontrò un anziano che in seguito mai più rivide. Egli gli parlò di Gesù Cristo, e gli fece capire che la verità da lui tanto cercata si trova nella Sacra Scrittura. Folgorato dalla grazia, san Giustino comprese che il Cristianesimo è l'unica Verità e comprese, come san Pietro, che solo Gesù ha parole di vita eterna. Si fece cristiano e, in seguito, affrontò valorosamente il martirio a Roma, dove nel frattempo si era trasferito. In una sua opera, egli così scrisse: «Il cristianesimo è la sola vera e utile filosofia».
Alcuni secoli dopo, sant'Agostino così scriveva: «Ci hai fatti per Te, o Signore, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in Te». Anch'egli si convertì dopo lunghi anni di ricerca. Anch'egli aveva aderito un po' a tutte le correnti filosofiche in cerca della verità, e anch'egli, come san Giustino, era rimasto profondamente deluso di tutto. Finché non incontrò Gesù, e fu allora che pronunciò la frase poco prima ricordata. Come ben sappiamo, la sua conversione fu dovuta molto alle preghiere e alle lacrime della sua santa madre, santa Monica. Era impossibile – come ebbe a dire a lei lo stesso Vescovo – che il figlio di tante lacrime non si convertisse.
Proprio in questi giorni celebreremo la memoria di questi due santi, di santa Monica, il 27 agosto, e di sant'Agostino il 28 agosto. Sant'Agostino divenne poi sacerdote e vescovo, e fu uno dei più grandi teologi della Chiesa. Di questo ringraziò la sua mamma, la quale, per così dire, lo diede alla luce due volte: la prima volta quando nacque; la seconda volta quando scoprì che la verità è Gesù Cristo.
Come per sant'Agostino, anche per noi il cuore non avrà pace finché non riposerà nel Signore, perché solo il Signore ha parole di vita eterna. Solo quando noi ci arrenderemo alla verità, rivelata da Gesù Cristo e insegnata infallibilmente dalla Chiesa, vivremo nella pace.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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