BastaBugie n�589 del 12 dicembre 2018

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1 STRAGE IN DISCOTECA: IL PROBLEMA NON E' LA SICUREZZA
Ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune... ma sono questa società e la violenza evocata in quella musica a generare disagio, rabbia, droga, sesso
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 IL BELLO DI SPOSARSI A 20 ANNI (NONOSTANTE TI CHIEDANO: E LA LAUREA? IL LAVORO? LA CASA?)
L'amore non ti chiede se sei in regola con gli esami, né sei hai certezze economiche... l'amore ha fretta, la stessa di Giovanni e Pietro che corrono insieme al sepolcro
Fonte: Aleteia
3 GIAPPONE, UN PAESE DI GENTE SOLA... PERFINO IL KARAOKE ORMAI SI FA IN CASA DA SOLI
In forte crescita quelli che preferiscono la solitudine (anche in Italia rischiamo di fare la stessa fine)
Autore: Cristian Martini Grimaldi - Fonte: Osservatore Romano
4 IL CROCIFISSO E IL PRESEPE: SINTESI DI STORIA, CULTURA ED OPERE
Una nazione impregnata di cristianesimo deve mettere in risalto il Santo Natale (VIDEO: il ministro dell'Istruzione Bussetti dice che il Natale va valorizzato nelle scuole)
Autore: Marco Luscia - Fonte: Libertà e Persona
5 LA STORIA DI CUI NON CI HANNO PARLATO NELLA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Jamie Schmidt, sposata con tre figli, è stata uccisa per aver rifiutato prestazioni sessuali al suo aguzzino, ma nessuno ne ha parlato perché ricorda a tutti chi è una vera donna svelando l'ipocrisia del #MeToo
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 FRANCIA E GERMANIA PADRONI D'EUROPA
L'enorme razzia di opere d'arte fatta in Italia da Francia napoleonica e Germania nazista imporrebbe una richiesta di scuse e, perché no, la restituzione
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
7 IN CINA IL GOVERNO ORGANIZZA LE DOMENICHE FELICI PER FAR CONCORRENZA ALLA CHIESA
Per sradicare il cristianesimo le autorità organizzano spettacoli di fianco alle chiese negli orari delle messe
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
8 SE IL VESCOVO APPLICA LA LETIZIA DELL'AMORE...
Nella diocesi di Mantova si potrà dare la comunione ai divorziati risposati (nonostante le prescrizioni contrarie di Catechismo e Codice di Diritto Canonico)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
9 OMELIA III DOM. DI AVVENTO - ANNO C (Lc 3,10-18)
Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

1 - STRAGE IN DISCOTECA: IL PROBLEMA NON E' LA SICUREZZA
Ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune... ma sono questa società e la violenza evocata in quella musica a generare disagio, rabbia, droga, sesso
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/12/2018

Minotauri che pontificano sui social cercando di sgravarsi di ogni responsabilità. Troppo facile scaricare adesso sulla banda dello spray al peperoncino. Come se il punto fosse soltanto un problema di delinquenza giovanile. Troppo facile, bisognerebbe per lo meno chiedersi perché questa banda si diverte ad andare in giro come un demone impazzito a gettare nel panico proprio in questo tipo di concerti per under 18. Quella di Corinaldo non è la prima volta: sembra essere una costante di tutti gli altri concerti di musica trap, o dei loro dj set che dir si voglia.

PERCHÈ?
Bisognerebbe chiederselo perché - ad esempio - il loro obiettivo non sono i concerti blasonati dove la security è un lavoro e la musica è professione. Forse perché anche la musica veicolata e il suo messaggio fa parte del gioco. Come se la violenza evocata da quelle canzoni generasse a sua volta violenza. Bisognerebbe chiedersi perché scelgano come vittime proprio un contesto e un pubblico fatto di 14enni che della vita ancora non sanno nulla, ma la respirano dai testi di un cantante che già idolatrano.
Il ragazzo fermato era pieno di droga? Le navette scaricavano in continuazione giovani già ubriachi? Ma di che cosa ci scandalizza? Se i testi delle canzoni di Sfera Ebbasta evocano concetti del tipo "quanto sei porca quando bevi una vodka" e sono infarciti di migliaia di riferimenti al sottobosco della droga libera vogliamo ancora raccontarci la favola che è tutto il problema di sicurezza? E' la musica il generatore e questo aedo coi denti placcati il suo amplificatore.
Ha identificato il senso della vita in una nebulosa fatta di sesso, violenza, droga e soldi. Tanti soldi. Quelli ad esempio che si incassano stipando come sardine 1300 ragazzi contro le ovvie prescrizioni legali.
Ché da 300 a 1300 spettatori, c'è un migliaio che balla e quello è il solco che separa l'operazione commerciale dal Minotauro, appunto. Che mangiava carne umana, la quale doveva essere rigorosamente ateniese, in ragione di 7 fanciulli e 7 fanciulle. Tutti sacrificati nelle sue fauci per placare l'ira del mostro. E qui - tanto per sgravarci la coscienza - diciamo che in fondo è stata una tragedia, che è colpa del gestore del locale e che comunque la musica non c'entra niente.
C'entra invece, perché morire per andare a sentire un cantante è una disgrazia di cronaca nera, ma morire per partecipare a un rito collettivo dove il sesso e i soldi sono l'obiettivo di un'esistenza segnata dalla droga e dal fuggi fuggi dalla polizia è un abbracciare con inconsapevolezza un modello di vita che puzza di morte e non di vita. Un modello che fa dire a questi profeti che "saremo ricchi, ricchi per sempre".

PER I GENITORI CI VUOLE FATICA E UMILTÀ
La stessa inconsapevolezza che i genitori di oggi subiscono nel provare anche solo timidamente a entrare nel recinto sgraziato di un adolescente che ascolta questa musica per moda e piano piano inizia a interiorizzarla. Ci vuole fatica e umiltà, per un padre, a mettersi attorno a un tavolo e analizzare i testi di questi sciagurati trapper e fare riflettere il proprio figlio non solo sull'immoralità di certe parole, perché di fronte a questo approccio gli adolescenti si mettono a ridere e basta, ma lo fanno perché vogliono vedere fino a quanto tu ci credi. E' per fargli capire che quella libertà che pensano di sperimentare non è altro che un usare la loro testa per fare quanti più soldi possibile.
E' questo il loro scopo: lo scrivono, lo cantano, lo rappano con maledettissima convinzione. E ogni padre deve capire che quando un adolescente sta ascoltando su Youtube uno di questi prodotti di periferia disordinata e senza speranza non sta soltanto concedendo al figlio la possibilità di evadere dal proprio grigiore, ma sta facendo si che suo figlio venga usato perché qualcun altro faccia i soldi col suo consenso e sulla sua pelle.
Le visualizzazioni monstre su Youtube si trasformano - e si sono trasformate prestissimo - in contratti discografici, ospitate televisive e radiofoniche. Per Sfera Ebbasta e per tutti gli altri. Quindi soldi, soldi e ancora soldi. Un indotto che va a vantaggio di tutti: discografici, radio, artisti e chiunque giri intorno al business. Soldi che si incassano a palate approfittando della capacità di adattamento dei ragazzini, i quali non stanno tanto a fare gli schizzinosi se il locale non è sufficientemente capiente per tutti o le uscite di sicurezza precarie, soldi che però fanno la fortuna di gestori, ma anche dei cantanti, non dimentichiamolo.

IL PROBLEMA NON È LA SICUREZZA
Comodo, troppo comodo limitarsi a sollevare un problema di "sicurezza per i nostri ragazzi", quando ci illudiamo che la sicurezza possa colmare le nostre lacune: perché ci si ammazza in sicurezza, oggi; si sballa in sicurezza; si perde il senso della vita in sicurezza.
Il trapper intanto gonfia il suo portafogli poetizzando disagio, violenza, droga, sesso. E mentre diventa ricco lascia ai suoi piccoli destinatari del consenso quella violenza, quella droga e quel sesso che lui stesso gli ha trasmesso.
Sono gli adolescenti però, che hanno pagato il prezzo più alto, permettendo con i loro clic da camera a questi "artisti" di diventare ricchi e quindi commerciali. Tanto che ormai nel mondo dei 15enni la tendenza è quella di abbandonare il trapper diventato famoso perché ormai si è venduto al sistema. E con questa logica si va alla ricerca di qualcun altro, che non vedrà l'ora di farsi commercializzare.
E nel frattempo il minotauro azzannerà i più piccoli. Che sono stati portati anche a 12 anni all'una di notte su quel ballatoio tremolante non dalla loro voglia di vivere, né da un qualche cosa che avesse un senso, ma dall'irresponsabilità di adulti che li hanno prima usati per il loro successo e poi fintamente accontentati nella loro sete di sballo.
Siamo noi il minotauro, noi adulti, che piangiamo con ipocrita severità le inadempienze di un gestore di locale, senza accorgerci della nostra inadempienza di aver abbandonato i nostri figli a questo sacrificio scambiato per puro divertimento, permettendo che qualcuno assetato di fama e soldi iniettasse loro il suo remunerativo disprezzo per la vita. Un disprezzo che da soli non avrebbero mai coltivato.

Nota di BastaBugie: Roberto Marchesini nell'articolo seguente dal titolo "Sfera Ebbasta specchio della società senza logos" si chiede, in una società materialista come la nostra, di cosa debbano parlare le canzoni se non di denaro, sesso e piaceri vari? Anzi, se i testi di questa musica richiamassero ai valori tradizionali sarebbe ancora peggio. Perché il veleno dell'hip hop è nella musica, non nei testi. Infatti nasce con il preciso scopo di essere anti logos e anti armonico. Per creare una generazione rivoluzionaria non servono le barricate: è sufficiente la musica di Sfera Ebbasta.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 dicembre 2018:
L'assurda tragedia di Corinaldo ha catalizzato l'attenzione sul «trapper» Sfera Ebbasta. Molti hanno letto i suoi testi e sono rimasti scandalizzati: si inneggia all'alcol, alla droga, al sesso occasionale (per usare un eufemismo), all'ostentazione della ricchezza…
Capisco che siano versi un po' «crudi», ma non è il ritratto della nostra società? Qualcuno si scandalizza perché i genitori portano i ragazzini adolescenti a questi concerti. Ma siamo così sicuri che i genitori non conoscano i testi di queste canzoni? Che non li condividano? Che non dicano le stesse cose ai propri figli (magari con parole meno cruente)? Io, se devo essere sincero, non molto…
In una società materialista come la nostra… di cosa devono parlare le canzoni se non di denaro, sesso e piaceri vari? Anzi… se i testi di questa musica richiamassero ai valori tradizionali sarebbe ancora peggio. Perché il veleno dell'hip hop è nella musica, non nei testi. Come sono nati il rap e la cultura hip hop? Non certo nell'ambiente afro-americano, come molti credono e come spesso si trova scritto.
L'hip hop nasce alla fine degli anni Settanta del secolo scorso in un dormitorio della Long Beach High School. Fu qui che uno studente tutt'altro che afro-americano, Rick Rubin, utilizzando il registratore a quattro tracce della scuola, «compose» le prime musiche rap. Durante l'ultimo anno del liceo Rubin fondò la sua casa discografica dedicata al nuovo genere, la Def Jam Records. Dopo qualche lavoro con il gruppo afro Zulu Nation, Rubin trovò la formula che gli diede fortuna e notorietà e lanciò il rap a livello mondiale: i Beastie Boys. Anche qui: nessuno dei tre Beastie Boys aveva la pelle scura. Le tournèe del gruppo erano sempre accompagnate da scandali, provocazioni, risse e danneggiamenti vari, ma a Rubin andava bene così, anzi: ogni volta che il gruppo chiedeva di riposare qualche settimana, il produttore li spingeva ad incidere o a esibirsi in pubblico. Nel 1986 i ragazzi erano allo stremo, così come il loro rapporto con Rubin (il contratto fu rescisso l'anno dopo); così, all'ex studente del liceo di Long Beach venne un'altra idea. Realizzò una cover degli Aerosmith con la partecipazione di un'altra sua creatura, i Run-DMC (un gruppo hip hop afro-americano). Walk this way (questo il nome del brano) fu un successo di vendite ma, soprattutto, aprì al rap le porte del mercato musicale hard rock.
Attualmente Rick Rubin è forse il più importante produttore discografico statunitense.
Qual è l'idea fondante il rap? La quasi totale assenza di melodia. Puro ritmo (generalmente in 4/4), ripetuto praticamente senza variazioni fino alla fine del brano. Nemmeno il canto è melodico: è semplicemente ritmato. Recentemente (come nel caso di Sfera Ebbasta) viene addirittura usato l'auto-tune, un software che permette di intonare la voce altrimenti stonata.
Siamo, insomma, alla negazione delle regole naturali musicali, riflesso dell'eterna armonia del Logos. Wagner (1813-1883) ne sarebbe orgoglioso. Nel 1949 Wagner partecipò all'insurrezione di Dresda, condividendo la barricata con un rivoluzionario professionista, Mikhail Bakunin (1814-1876). Fallito il tentativo rivoluzionario, il compositore si ritirò in meditazione. Questo ritiro produsse un caposaldo della letteratura rivoluzionaria intitolato L'arte e la rivoluzione. In questo libro (che influenzò moltissimo Nietzsche [1844-1900]) Wagner arriva a questa conclusione: la rivoluzione non si fa con le barricate e i fucili, ma con l'arte. E l'arte non deve comunicare contenuti rivoluzionari: l'arte stessa deve essere rivoluzionaria. Il primo effetto di questa sua presa di posizione fu il celebre «accordo del Tristano», che aprì la porta al cromatismo e alla musica dodecafonica (e poi al «serialismo»). Il cromatismo consiste in un rifiuto della gerarchia e delle regole armoniche naturali; si tratta quindi di una vera e propria musica rivoluzionaria.
Bisogna pur dire che Wagner aveva qualche motivo personale per rifiutare le regole imposte dal Logos: il suo principale interesse dopo la musica erano le numerose relazioni adulterine che visse senza alcuna remora. Del resto, non è forse l'adulterio il tema del Tristano e Isotta? Per quanto possa sembrare strano, dunque, Rubin è discepolo di Wagner. Entrambi hanno creato una musica rivoluzionaria; entrambi hanno rifiutato le regole del Logos riflesse nella musica naturale. Per creare una generazione rivoluzionaria non servono le barricate: è sufficiente la musica di Sfera Ebbasta.
Del resto, Aristotele (384 aC-322 aC) l'aveva scritto: «Talune forme di musica rendono ignobili».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10/12/2018

2 - IL BELLO DI SPOSARSI A 20 ANNI (NONOSTANTE TI CHIEDANO: E LA LAUREA? IL LAVORO? LA CASA?)
L'amore non ti chiede se sei in regola con gli esami, né sei hai certezze economiche... l'amore ha fretta, la stessa di Giovanni e Pietro che corrono insieme al sepolcro
Fonte Aleteia, 21/11/2018

Ricordo ancora mio padre quando si accorse del mio anello di fidanzamento comprato con Francesco sulla tiburtina e scambiato in gran segreto, tipo Renzo e Lucia, in Porziuncola con frate Massimo. Eravamo a tavola quando mio padre, stroncato alla vista di quell'anello, cominciò un vero discorso da padre a figlia. Cercando di capire cosa significasse quell'anello, esordì su quanto è importante la famiglia, quanto i valori che lui e mia madre mi avevano trasmesso erano davvero le fondamenta della vita e com'era lodevole che io e Francesco facessimo sul serio, MA...

LA FAMIGLIA AL PRIMO POSTO
- Alessandra devi capire che la famiglia è la cosa più importante. La famiglia è al primo posto, MA non si può improvvisare: prima ti devi laureare, poi bisogna trovare un buon lavoro, magari fisso, non dimenticando di risparmiare per comprare una bella casa e poi ci si sposa.
- Scusa papà, ma allora la famiglia non è al primo posto?! È all'ultimo, quando hai fatto proprio tutto. E poi per sposarsi non ti chiedono mica la laurea, al massimo ci vuole la cresima!
- ... (qui metterei una foto di mio padre stecchito come da un fulmine)
Dopo qualche minuto, servito per attutire la botta, mio padre guarda commosso mia madre negli occhi e le dice: "L'abbiamo persa" volendo dire con queste parole che gli era parso chiaro che da lì a poco sarei uscita per sempre da casa, ovvero mi sarei sposata.
La verità però è un'altra. La verità è che io e Francesco avevamo già deciso di sposarci. Avevamo già fissato la data e fermato la chiesa. [...]
Non volevamo dirlo a nessuno perché ci sembrava troppo prezioso e soprattutto, prevedevamo le reazioni e lo scandalo che avremmo generato. Parlo di scandalo perché sposarsi a 19 anni (ne avrei fatti 20 un mese dopo il matrimonio!) senza laurea, senza un lavoro fisso (soprattutto poi se l'unico lavoro in questione è il ricercatore all'università!), senza una casa, e soprattutto ... senza essere incinta.

MA CHE FRETTA C'ERA?
Perché a 20 anni? Perché non aspettare che tutto sia perfetto? Perché essere così precipitosi?
La fretta è quella di Giovanni e Pietro che corrono insieme al sepolcro per vedere che Gesù è risuscitato (Gv20,4). La fretta della gioia esplosiva, dell'amore che non può aspettare, l'amore impaziente, l'amore che chiede tutto te stesso. L'amore non ti chiede se sei in regola con gli esami, né sei hai certezze economiche. Non penso che un matrimonio con un lavoro a tempo indeterminato (magari a trovarlo!) sia un matrimonio migliore. Non penso nemmeno che un matrimonio fra due laureati valga di più. Però penso che un matrimonio a tre è sicuramente migliore perché oltre agli sposi c'è un terzo: il Signore. Ecco, penso che un matrimonio da Dio sia sicuramente più bello e più divertente perché non sei solo, hai Qualcuno che vuole sporcarsi le mani con te nelle difficoltà, Qualcuno che ti sostiene quando fai casini e che è Padre.
Io ho sempre pregato perché Dio mi desse la grazia di spendere la mia giovinezza per la mia vocazione. Quello che sentivo come urgente era non perdere tempo con tutto quello che è un orpello, ma fare centro il prima possibile. Per me il centro è Dio e la mia vocazione è il modo in cui servirlo, il luogo dove posso spendermi, dove posso incontrarlo. Perché anteporre qualcosa alla gioia, perché aspettare? L'amore chiama. L'amore è urgente.
Dopo quasi otto anni di matrimonio non abbiamo ancora una casa, né un lavoro fisso, né io mi sono laureata (a luglio gli ultimi esami!). Di certezze però ne abbiamo sempre di più: il disordine sempre accompagnato da una lavatrice da stendere, la presenza accanto a me di mio marito, il nostro sì quotidiano nella gioia e nelle litigate, i nostri bellissimi figli con la loro monellaggine cronica, la provvidenza. Abbiamo [...] traslocato mille volte, ma non dimentichiamo la nostra meta, né ci ha abbandonato quella fretta.

Fonte: Aleteia, 21/11/2018

3 - GIAPPONE, UN PAESE DI GENTE SOLA... PERFINO IL KARAOKE ORMAI SI FA IN CASA DA SOLI
In forte crescita quelli che preferiscono la solitudine (anche in Italia rischiamo di fare la stessa fine)
Autore: Cristian Martini Grimaldi - Fonte: Osservatore Romano, 15/11/2018

Viaggiando attraverso il Giappone rurale, tra piccoli villaggi e partecipando a numerosi matsuri - sagre locali che prendono vita soprattutto durante il periodo estivo - si riscontra la presenza di numerosi viaggiatori solitari. Ci riferiamo a quei ragazzi, mediamente tra i 25 e i 30 anni di età, che zaino in spalla decidono di esplorare il paese nella modalità apparentemente più pratica, in solitudine. Il fatto di per sé non costituisce qualcosa di particolarmente insolito ma se letto alla luce delle nuove tendenze in crescita nel resto del paese può invece essere indicativo della diffusione tra le nuove generazioni di uno stile di vita molto particolare, tutto rivolto alla ricerca di attività da svolgere in solitudine.
Secondo gli analisti giapponesi addirittura un terzo di tutte le abitazioni in Giappone sarebbe occupato da una sola persona. Se il profilo demografico del paese è questo non ci si può sorprendere se da qualche anno è in forte crescita un mercato orientato sui single, anzi sarebbe più esatto dire su "coloro che sono soli": qui ci si riferisce al neologismo giapponese inventato proprio per descrivere questo tipo di fenomeno, ovvero ohitorisama.

PERFINO IL KARAOKE È UN GIOCO CHE SI FA DA SOLI
Il karaoke, per molti aspetti l'attività sociale archetipica nel Sol Levante, è un esempio calzante. Sei anni fa, la catena di karaoke Koshidaka si rese conto che circa il 30 per cento dei suoi clienti preferiva cantare in piena solitudine. Se si pensa che la macchina del karaoke fu inventata negli anni '70 come alternativa al classico gioco da tavolo, ovvero un mezzo per stimolare alla socializzazione durante cene o festeggiamenti, è evidente che parliamo di un vero e proprio mutamento antropologico in corso nella gioventù giapponese, come quando dal computer di casa, uno per tutta la famiglia, si è passati al telefonino personale.
Ecco allora che l'azienda Koshidaka colse al volo la nuova tendenza in atto e prese a istallare degli uno-kara, ovvero minuscole cabine per "cantanti solisti". Molti clienti che si presentano da soli ai karaoke hanno affermato che il piacere di cantare da soli è derivato dal fatto che ci si può sottrarre al "fastidio" di dover cantare dei pezzi che altri hanno scelto. In questo senso la determinazione a cantare da soli sembra la conseguenza di un'incapacità al compromesso, che è invece il requisito fondamentale per qualsiasi tipo di esperienza di condivisione.
Gli indizi della presenza di ohitorisama sono ovunque in Giappone, dai parchi tematici che permettono ai single di saltare la fila in certe giostre ai negozi di alimentari che vendono condimenti e verdure in singole porzioni, mentre le agenzie di viaggio hanno sempre pronti itinerari mirati al viaggiatore solitario. Non mancano le catene di ramen (tagliatelle) dove è possibile gustare un pasto senza quasi venir disturbati da alcuna interazione umana. I clienti ordinano dai distributori automatici e poi si siedono in una cabina accuratamente separata dalle altre con spesse lastre di legno. Gli ordini vengono poi passati attraverso una piccola fessura da squadre di cuochi i cui volti non verranno mai scorti.

QUELLI CHE PREFERISCONO LA SOLITUDINE
Ormai la "società super-solista" è diventata una realtà talmente vasta che i guru del marketing continuano a sperimentare nuove offerte. I sondaggi confermano la tendenza: i consumatori giapponesi, specialmente i più giovani, valutano il tempo trascorso da soli come più prezioso rispetto al tempo trascorso in famiglia o con gli amici. I dati ufficiali mostrano come il rapporto tra genitori e figli, in termini di tempo passato insieme, si stia gradualmente riducendo.
Nel 1980 in Giappone, solo un uomo su 50 all'età di 50 anni non era sposato, mentre le donne solo una su 22. Quel rapporto è ora uno su quattro e uno su sette rispettivamente, proprio mentre il Giappone è alle prese con una popolazione che invecchia rapidamente, con quasi il 28 per cento dei giapponesi con un'età superiore ai 65 anni.
Ma il sondaggio più interessante, e forse quello più eloquente, non si riferisce ai single o a coloro che preferiscono la vita solitaria, si riferisce alle coppie. Secondo il sondaggio, fatto da una grande compagnia di assicurazioni, per il 70 per cento delle coppie intervistate la cosa più importante in una relazione non è la fedeltà, e neppure il rispetto reciproco, è la comunicazione. Il sondaggio evidenzia che i picchi di tensione emotiva e ansia nella coppia si aggravano quando non si ha a disposizione il tempo materiale per parlare.
Sarebbe fin troppo scontato puntare il dito sul ritmo frenetico della vita moderna e l'uso delle nuove tecnologie come cause dirette di uno scompenso comunicativo, ma è certamente innegabile che ormai anche in coppia, tra gli orari di lavoro che non diminuiscono e la presenza individuale sui social media che invece è in aumento, il tempo per comunicare veramente è sempre più ridotto.

Nota di BastaBugie: Giuliano Guzzo nell'articolo seguente dal titolo "Single, la solitudine certifica l'autopsia sulla famiglia" spiega che anche in Italia non possiamo essere allegri. Anche noi rischiamo di fare la fine del Giappone. Lo rivela il Rapporto Censis 2018 che ha il sapore di un referto autoptico. Matrimoni in calo del 17%, single a quota 5 milioni. Ma il problema non è solo economico. E' una fotografia impietosa sulla solitudine che evidenzia la sfiducia nel futuro e l'assenza di qualunque dimensione spirituale.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 8 dicembre 2018:
Lo chiamano Rapporto 2018 sulla situazione sociale del Paese, ma in realtà l'ultimo documento diffuso dal Censis ha più il sapore di un referto autoptico. Quel che si sta spegnendo, in Italia, pare infatti molto di più di quel che ancora è vitale. E da questo punto di vista, nella fotografia scattata dal noto istituto di ricerca socio-economica che dal 1964 radiografa il Belpaese, l'ambito dove il bianco e nero stanno soppiantando i colori è, anzitutto, quello familiare. I dati sono drammaticamente chiari: nell'arco di un decennio, dal 2006 al 2016, i matrimoni sono calati del 17,4%, con un vero e proprio naufragio del rito religioso (-33.6%), un aumento delle secondo nozze (+19,1%,), delle separazioni (+14%) e dei divorzi, lievitati addirittura del 100% in 10 anni.
Ma il vero dato, quello che dovrebbe dare più da pensare, è quello dei single non vedovi, cresciuti del 50,3%. Perché questa percentuale è tanto importante? Ma perché conferma un aspetto troppo a lungo taciuto eppure fondamentale: la famiglia non declina in favore delle «nuove famiglie». Infatti, per quanto le convivenze e le coppie Lgbt risultino statisticamente in espansione, alla crisi della famiglia corrisponde in primo luogo più "singletudine". Per un motivo semplice: alla cellula fondamentale della società, alla vituperata famiglia tradizionale, non v'è alcun equivalente funzionale. Non può cioè essere rimpiazzata in alcun modo; e questo, attenzione, non vale solo per l'Italia, l'Europa o l'Occidente di oggi, essendo una verità che permea la civiltà umana da sempre, dato che nessuna comunità ha mai potuto a fare a meno della famiglia.
Peccato però che di questa verità fondamentale, come si accennava poc'anzi, si preferisca non parlare, col solo risultato che la "singletudine" - che è altro non è che il nickname della solitudine - dilaga, tanto che oggi accomuna più di 5 milioni di persone. Una marea. Di qui l'inevitabile interrogativo: e adesso, che fare? Come ripartire da una situazione del genere? Se si riconosce nella crisi della famiglia un problema (non è affatto scontato), gli atteggiamenti possibili sono essenzialmente di due tipi. Un primo tipo di risposta, che purtroppo da anni affascina ampi settori del mondo cattolico, è di tipo politico e sociale.
In estrema sintesi, il ragionamento è il seguente: i giovani non si sposano più? Colpa del precariato lavorativo e di quel sospirato «posto fisso», per dirla con Checco Zalone, che tarda ad arrivare, quando ancora arriva. Le culle sono sempre più vuote? Beh, colpa del quoziente familiare, eterna promessa politica mai davvero realizzata. Si tenta cioè di ridurre - in una prospettiva non solo materiale ma, quel che è peggio, materialistica - la crisi odierna a fattori di ordine economico e finanziario, i quali certamente un ruolo lo giocano, ma che sarebbe incauto elevare a cause esclusive dello sconfortante scenario odierno.
Ben più saggia appare invece la seconda interpretazione della crisi della famiglia, che è quella che colloca i malanni che ammorbando il matrimonio in un'ottica valoriale e, meglio ancora, spirituale. Lo stesso vertiginoso calo del rito religioso di cui si parlava poc'anzi, del resto, va in questa direzione e ci spiega - per quanto, lo si ripete, i fattori economici un peso l'abbiano - che il virus che sta piegando la famiglia abbia un'origine lontana. E in questo senso lo stesso calo delle nascite è molto istruttivo dal momento che risulta un fenomeno venutosi a generare, in Italia, allorquando venne introdotto il divorzio. In altre parole, la crisi della famiglia è diretta conseguenza della scomparsa di quella cultura della famiglia sulla quale tante illuminanti riflessioni ci ha lasciato san Giovanni Paolo II.
Se non capiamo questo, se ci ostiniamo a sperare in fattori di ordine materiale, continueremo a tenere lontano dai nostri occhi il cuore del problema, che non è neppure il venir meno della famiglia ma di quella fede su cui tutto si regge o crolla. Non è un caso che, fra i dati rilevati dal Censis, vi sia un'allarmante crescita della sfiducia nel futuro. E non potrebbe essere altrimenti, dato che la fiducia - senza che alla base vi sia una fede - alla lunga viene a mancare. A dirlo, questo, non è il Censis ma la bimillenaria tradizione della Chiesa. Se solo si avesse la pazienza di riscoprirla e il coraggio di tornare a viverla.

Fonte: Osservatore Romano, 15/11/2018

4 - IL CROCIFISSO E IL PRESEPE: SINTESI DI STORIA, CULTURA ED OPERE
Una nazione impregnata di cristianesimo deve mettere in risalto il Santo Natale (VIDEO: il ministro dell'Istruzione Bussetti dice che il Natale va valorizzato nelle scuole)
Autore: Marco Luscia - Fonte: Libertà e Persona, 04/12/2018

Attenzione! Ancora il crocifisso con allegato presepio. Timore tra laicisti e cattolici emancipati. "I politici identitari minacciano di obbligare esposizione del simbolo cristiano in tutti gli edifici pubblici, con relativo presepio natalizio".
Eppure coloro che si dicono allarmati sanno benissimo che questo non può che restare un auspicio.

CIVILTÀ CATTOLICA
Ma veniamo ai pretoriani del cattolicesimo adulto, primi e per ora soli critici, della sparata leghista. Per bocca di mons. Spadaro, notate bene, direttore della Civiltà Cattolica - dunque esiste o è esistita una civiltà e per giunta cattolica - prontamente ripreso da molteplici testate diocesane e da innumerevoli post sui social. Cito a memoria: "il simbolo della croce non può essere oggetto di strumentalizzazione, esso rappresenta l'apertura e l'accoglienza portata sino al sacrificio di sé".
Non manca accanto a tale proclama, la solita retorica di chi presenta Maria e Giuseppe come migranti in terra straniera. Quest'ultima argomentazione non merita neppure una replica, tanto è inesatta, strumentale, fuori contesto.
Chiedo? Come hanno appreso e dove, catene di generazioni di credenti, la logica del dono e dell'amore oblativo? A quale civiltà ha dato origine tutto questo? Cosa ha spinto uomini e donne a fondare ospedali, ospizi, case per bimbi abbandonati, scuole, laboratori, opere d'arte, commercio, scienza, [...] senso del perdono? Rispondo: il crocifisso; visto e portato nelle processioni, la Santa messa, l'educazione cristiana, matrice essenziale della cultura occidentale.

IL CROCIFISSO: SINTESI DI STORIA, CULTURA ED OPERE
Sul piano strettamente teologico che senso ha chiedere: "Ma vi rendete conto di cosa significhi la croce?" Se dovessimo esporre i nostri simboli, se dovessimo portarli addosso soltanto nel caso di una reale corrispondenza di vita rispetto ad essi, chi sarebbe degno di portare la croce? Esiste una dismisura tra Cristo, la croce e noi, tutti noi; sempre. Nessun uomo e nessun popolo può dirsi degno di portare la croce pensando di rappresentarne i contenuti in termini esistenziali; fatta eccezione per i Santi.
Come nessuno può pensare di negare ad un peccatore seriale il diritto di inginocchiarsi davanti ad un tabernacolo per chiedere perdono o semplicemente per vergogna o per manifesta incapacità di amare. Gesù, lo dite sempre: "è venuto per i lontani, per i peccatori," compresi i leghisti.
Non è questo il punto cattolicissimi adultissimi. L'unica ragione che legittima il crocifisso nei luoghi pubblici è la questione della civiltà cristiana; con le sue molte luci e le sue ombre. Esso è sintesi e auspicio; sintesi di storia, cultura ed opere; auspicio d'amore possibile. Stessa cosa dicasi per il presepio con l'aggiunta che esso è motivo di gioia per grandi e piccini.
La presa di posizione della lega è una strumentalizzazione? D'altra parte ogni partito ha le strumentalizzazioni sue. Il rispetto dei musulmani non c'entra nulla, cari preti super sensibili. Dovreste anzi gioire che l'effige di Cristo, cui dite di aver donato la vita, sia ovunque.

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 2 minuti) il ministro dell'Istruzione Bussetti dichiara che vigilerà perché il Natale sia valorizzato nelle scuole, infatti la scuola deve rappresentare il luogo della valorizzazione delle più alte espressioni dei valori della nostra cultura, come le celebrazioni del Santo Natale.


https://www.youtube.com/watch?v=tEuh1BHTW4Y

Fonte: Libertà e Persona, 04/12/2018

5 - LA STORIA DI CUI NON CI HANNO PARLATO NELLA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Jamie Schmidt, sposata con tre figli, è stata uccisa per aver rifiutato prestazioni sessuali al suo aguzzino, ma nessuno ne ha parlato perché ricorda a tutti chi è una vera donna svelando l'ipocrisia del #MeToo
Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29-11-2018

Pochi giorni prima che si celebrasse la giornata contro la violenza sulle donne, Jamie Schmidt, 53 anni, mamma di tre figli, residente a St. Louis (Missouri), è stata uccisa per essersi rifiutata di fornire prestazioni sessuali al suo aguzzino, entrato in un negozio costringendo con la pistola alcune clienti a "soddisfarlo". Ma perché, allora, nessuno di quel movimento che ha invaso l'Occidente e il web di luci e scarpe rosse, ha speso una parola per questa vittima?
Bisogna constatare che l'ondata femminista, oggi più che mai rappresentata dalla retorica del #MeToo tende a colpevolizzare il maschio in quanto maschio, mentre la natura femminile sarebbe di per sé innocente, denunciando i cosiddetti femminicidi senza mai citare le statistiche delle violenze sugli uomini che dimostrano che il problema non è il sesso di nascita ma le relazioni malate. Il suo interesse non è quindi la denuncia di una società che ha ridotto la donna e la sessualità a merce, ma più che altro la riaffermazione vecchia sessant'anni del "corpo e mio e lo gestisco io". In poche parole, di me stessa posso fare ciò che voglio, persino andare con le bestie, basta che sia io a deciderlo.

NEL NOME DI DIO, NON MI SPOGLIERÒ
Jamie invece ricorda al femminismo chi è una vera donna, tramite il sacrificio della sua vita, per amore a se stessa e persino alla sua famiglia. Inoltre, guardare alla sequenza dei fatti, fa spiccare l'eroismo di questa donna a tal punto da sconfessare in pochi attimi l'ideologia femminista: il 19 novembre, mentre comprava alcuni oggetti per finire i rosari che stava creando per i membri di un ritiro spirituale della sua parrocchia, un uomo entra nel negozio e fingendo di aver dimenticato la carta di credito in macchina torna munito di pistola. Mette in ginocchio lei e altre due clienti donne. Chiede loro di spogliarsi e di sottomettersi alle sue richieste sessuali. Dopo aver visto le prime due donne obbedire, Jamie guarda in faccia l'uomo che le tiene la pistola puntata e grida: «Nel nome di Dio, non mi spoglierò», rifiutandosi di assecondare il delinquente. Dopodiché l'assassino le spara uccidendola.
Si può solo immaginare quanto questa donna, dalla voce angelica (hanno testimoniato i parrocchiani) e dalla vita normalissima, che sognava, come è stato ricordato dalla famiglia, di invecchiare con il marito e di assistere al cammino di crescita dei figli, in quegli ultimi attimi avrà pensato che ribellandosi poteva perdere non solo la sua vita, ma lasciare al mondo un vedovo e tre orfani. Eppure ha deciso di non piegarsi, mentre il piagnisteo del #MeToo si giustifica per aver assecondato i produttori che chiedevano alle attrici prestazioni sessuali in cambio non della vita, ma di un posto di lavoro. Si capisce quindi la vergogna che proverebbero le varie Asie Argento, se una vicenda come questa divenisse planetaria come la loro.

MA C'È UN ALTRO FATTO CHE INTERROGA
Perché Jamie ha ritenuto che la sua purezza valesse più della sua vita e di adempiere al compito di madre e di moglie? Mentre, probabilmente, se l'uomo le avesse chiesto di aprire la cassa di una banca piena di denaro altrui avrebbe obbedito. E cosa c'entra questo omicidio con la fede, l'unico bene (insieme alla vita altrui) per cui un credente può accettare di sacrificarsi? San Paolo nella prima lettera ai Corinzi spiega loro: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!…chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!».
In effetti, l'ambito sessuale ha qualcosa di sacro per ogni uomo, a maggior ragione per il cristiano. A spiegarlo è un saggio di Dietrich von Hildebrand, filosofo e teologo tedesco, ripubblicato nell'ottobre del 2017 dal National Catholic Register: «L'uomo puro percepisce il mistero del sesso. Percepisce la sua profondità, la sua serietà, la sua intimità… Comprende implicitamente la proposta sublime e il significato fondamentale della sessualità e comprende la spaventosa profanazione di ogni abuso del sesso, il veleno mortale, capace di inquinare l'anima e separarla da Dio, che il piacere sessuale genera quando trattato come il suo fine».

FEDELTÀ A DIO E AL MATRIMONIO
In sintesi la sessualità al di fuori del fine per cui Dio l'ha creata, la donazione esclusiva e aperta alla vita, lo può allontanare più che mai da Lui. Il motivo è che l'atto sessuale è l'unico in cui all'uomo viene permesso di partecipare a due delle prerogative esclusive di Dio: la comunione e la creazione. Compiendolo l'uomo si avvicina più che mai al Creatore, come non avviene in nessun altro caso, se non nel miracolo della transustanziazione a cui partecipa il sacerdote (non a caso il letto nuziale è definito l'altare degli sposi). Perciò, continua il teologo, «il sesso appartiene in un modo speciale a Dio, e quindi [l'uomo puro] può farne uso nel modo in cui Dio lo ha esplicitamente regolato». Così, «diversamente dall'innocua sfera del mangiare, del bere o dell'attività intellettuale, il dominio della sessualità appartiene in un modo unico a Dio».
Si capisce quindi il martirio riconosciuta dalla Chiesa di Maria Goretti, che morì piuttosto che profanare il tempio di Dio. E si comprende il sacrificio di una fedele cattolica come Jamie che imbarazza un mondo che pur dicendo di amare il sesso (mentre i cattolici ne avrebbero timore), in realtà lo svilisce ad un punto tale da compiere ormai milioni di sacrilegi ogni giorno.
E a dimostrare la gravità della profanazione non è solo la fede, tanto che se si fosse piegata, avrebbe subìto per tutta la vita il trauma dell'abuso oltre che sulla sua anima anche sul suo corpo, come rileva questo grosso studio sulle vittime adulte di abusi sessuali. E persino i suoi figli avrebbero pagato con «problematiche psicologiche, in conseguenza dell'abuso subito dalla madre». Mentre morendo così Jamie si è guadagnata il paradiso, lasciato in dono al marito e ai figli, non solo l'esempio di una fedeltà fino al sangue a Dio ma anche al matrimonio.

Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "Usa: madre di tre figli assassinata per non cedere ad un bruto" si raccontano ulteriori particolari interessanti sulla vicenda e sul carnefice di Jamie Schmidt.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Radio Roma Libera il 12 dicembre 2018:
Si chiamava Jamie Schmidt, era una 53enne di St.Louis, Missouri, Stati Uniti. Sposata, era madre di tre figli. Cattolica, era una parrocchiana piena di zelo, di fede, estremamente affabile ed alquanto discreta.
Il 19 novembre scorso, a metà pomeriggio, si era recata in un negozio cattolico sulla Manchester Road, per acquistare tutto il necessario per costruire rosari: questa era la sua forma di apostolato. Sul posto, due impiegate, una ventenne, l'altra cinquantenne. In quel momento non c'erano altri clienti. Sinché non è entrato nel locale un uomo robusto, tarchiato, di mezza età. Ha dato un'occhiata attorno, poi ha annunciato di voler fare acquisti, ma di dover tornare in auto a prendere la carta di credito, che aveva lasciato lì. Questione di un istante, poi è rientrato: in mano, però, non aveva una carta di credito, ma una pistola.
Con l'arma ha costretto le tre donne, terrorizzate, a riunirsi nel retrobottega. Qui ha ordinato alle due impiegate di spogliarsi, brutalizzandole. Ma, quando è giunta la volta di Jamie, questa, nonostante la paura e l'arma puntata alla testa, ha opposto un rifiuto netto, sereno ma deciso, sicuro ed inappellabile, guardando l'aggressore dritto negli occhi. Come testimoniato dalle altre due vittime, ha detto al criminale: «Nel nome di Dio, non mi toglierò i vestiti». Poche parole, tali però da provocare la sua collera furibonda: è partito uno sparo, a distanza ravvicinata. Ha colpito Jamie alla testa, lasciandola a terra, gravemente ferita. Agonizzante, la donna ha trovato comunque la forza di pronunciare la preghiera del Padre Nostro, come attestato da una delle due superstiti.
Il criminale a quel punto è fuggito. Subito sono stati chiamati i soccorsi, la vittima è stata trasferita all'ospedale più vicino, ma non c'è stato nulla da fare. Qualche ora dopo Jamie ha esalato il suo ultimo respiro. Ancora col Padre Nostro, sussurrato, sulle labbra, appena percettibile.
Ha preferito la resistenza eroica al compromesso, la purezza alla vita, il sacrificio alla sottomissione, benché sotto costrizione. Il colpevole è stato trovato ed arrestato già due giorni dopo, il 21 novembre, grazie alla descrizione fornita dalle due impiegate del negozio. Si è trattato di Thomas Bruce, un ex-pastore cristiano: sposato, viveva in un caravan in un parco, con sua moglie, fermo ad una trentina di chilometri da St. Louis. Non conosceva le sue vittime, non vi sono stati motivi personali alla base del suo gesto. E perché abbia deciso di uccidere proprio all'interno di un negozio cattolico, è difficile a dirsi. Cosa lo abbia spinto a macchiarsi di un simile, terribile reato potrà forse spiegarlo il processo, istruito contro di lui con le accuse di omicidio, sequestro e sodomia.
Quel che è certo è che il gesto eroico di Jamie è stato dettato dalla fede. È morta assassinata, si è sacrificata per conservare la sua modestia, la castità e la fedeltà coniugale, ha pronunciato il suo "no" all'adulterio ed alla perversione. Ora c'è già chi sta sostenendo la sua causa, c'è chi invoca la sua canonizzazione. Vi sarà tempo per valutare questa eventualità. Ma, che ciò avvenga o meno, specie in un'epoca di femminismo spinto e radicale come l'attuale, il suo esempio resta senz'altro una lezione. Per tutti.


DOSSIER "FESTA DELLA DONNA"
L'ideologia dell'8 marzo

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29-11-2018

6 - FRANCIA E GERMANIA PADRONI D'EUROPA
L'enorme razzia di opere d'arte fatta in Italia da Francia napoleonica e Germania nazista imporrebbe una richiesta di scuse e, perché no, la restituzione
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 25/11/2018

"E credo che per ristabilire l'amicizia europea, sarebbe bene che - prima di tutto - i ladri restituissero la refurtiva". Così tuonò Piero Calamandrei, nel suo storico discorso del 1951, a Londra, parlando delle "Opere d'arte in Italia e la guerra".
Chi sono stati coloro che hanno "spogliato" l'Italia trafugando i suoi tesori? Anzitutto Germania e Francia, proprio quei paesi che oggi pretendono di insegnare l'europeismo e di condannare gli italiani come "nazionalisti" perché cercano di difendere i loro interessi.
Due volte hanno provato con le armi e il sangue a "unire l'Europa" sotto il loro dominio: prima con Napoleone e poi con Hitler. In entrambi i casi sono venuti in Italia a massacrare e derubare i nostri immensi tesori d'arte (che poi sono la nostra anima e la nostra identità).
Chi oggi vuole davvero "fare l'Europa" dovrebbe cominciare a chiedere - con Calamandrei - la restituzione della "refurtiva". Ma non facciamoci illusioni. In questa Europa all'Italia si riservano solo attacchi. A noi nessuno restituisce alcunché.
Il British Museum di Londra ha appena deciso di far tornare in Nigeria (non definitivamente peraltro) i Bronzi del Benin, un'enorme quantità di oggetti artistici che gli inglesi si presero nel 1897.
Analoghe rivendicazioni arrivano da altre parti del mondo. Per esempio la Grecia chiede la restituzione dei marmi del Partenone portati via dall'Acropoli, verso Londra, nell'Ottocento. E l'Egitto vuole la restituzione della preziosa Stele di Rosetta che fu "presa" dall'esercito napoleonico e poi ceduta alla Gran Bretagna
Proprio la Francia napoleonica è, storicamente, fra i peggiori trafugatori di tesori artistici altrui. Ora a Parigi, una commissione insediata da Macron, ha raccomandato la restituzione delle opere portate in Francia nel periodo coloniale. Ma si tratta, appunto, delle razzie fatte in Africa (circa 46 mila pezzi).
Ciò che muove queste "restituzioni" è l'ideologia "politically correct" che alimenta i sensi di colpa delle potenze occidentali per il loro passato colonialista in Africa.

ALL'ITALIA NULLA
Ma all'Italia nessuno pensa di restituire nulla. L'Italia, che è lo scrigno più prezioso del mondo, dove la Francia napoleonica e la Germania nazista sono venute a fare razzia, non è nemmeno presa in considerazione.
Ogni tanto c'è da parte nostra qualche isolato sussulto. Proprio nei giorni scorsi il tribunale di Bologna ha disposto la confisca di otto opere di Tiziano, Tintoretto, Carpaccio e Veneziano - oggi esposte al museo nazionale di Belgrado - perché durante l'occupazione tedesca furono sottratte a una famiglia fiorentina dal gerarca nazista Hermann Göring e finirono, dopo la guerra, in Serbia. Ma quante speranze ci sono di riaverle?
D'altronde questa è solo la punta dell'iceberg. Salvatore Giannella, nel libro "Operazione salvataggio" (Chiarelettere), c'informa che "restando solo ai beni trafugati in Italia durante il fascismo e la Seconda guerra mondiale, l'elenco è lunghissimo. Non sono mai tornati almeno 1653 pezzi: 800 dipinti, decine di sculture, arazzi, tappeti, mobili, strumenti musicali, tra cui violini Stradivari, e centinaia di manoscritti".
E stiamo parlando di "capolavori di Michelangelo, del Perugino, di Marco Ricci, oltre a sculture greche e romane e a tavole di primitivi di ottima fattura".
Molte opere furono recuperate dopo la guerra e si tratta di autori come Leonardo, Michelangelo, Masaccio, Botticelli, Tiziano, Raffaello e Pollaiolo.
Ma oggi sembra che nessuno si occupi più di quei "prigionieri di guerra". Anzi, probabilmente è proprio per un malinteso "spirito europeista" che negli anni scorsi si è voluto evitare di riaprire il problema (non sia mai che l'Italia difenda i suoi diritti), così restano da recuperare - come si è detto - quasi duemila pezzi di cui, talora, si sono completamente perse le tracce.

C'È POI IL CAPITOLO FRANCESE
Dopo le immani distruzioni di chiese monasteri e opere d'arte perpetrate dalla Rivoluzione francese, Napoleone - con il suo progetto di conquista dell'Europa - varò anche uno dei più colossali piani di rapina di oggetti artistici che si ricordi. L'Italia fu, ovviamente, la vittima principale della razzia.
Paul Wescher nel suo prezioso libro "I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre" (Einaudi) descrive questo colossale ladrocinio che produsse "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", e che provocò anche immensi danni: "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni", scrive Wescher.
Impressionanti le pagine in cui racconta "il sistematico saccheggio di Roma", oltre a quello di Torino, Napoli, Venezia e Firenze.
Dopo la sconfitta di Napoleone anche gli stati italiani cercarono di tornare in possesso delle opere "sequestrate". Ma, a quanto pare, "su 506 dipinti di provenienza italiana, ben 248, ossia circa la metà, rimasero in Francia, e buona parte di questi provenivano dagli Stati della Chiesa".
Fanno bella mostra di sé al Louvre e non solo. L'Italia da anni tace e acconsente. Questo è l'europeismo che piace a francesi e tedeschi.

Fonte: Libero, 25/11/2018

7 - IN CINA IL GOVERNO ORGANIZZA LE DOMENICHE FELICI PER FAR CONCORRENZA ALLA CHIESA
Per sradicare il cristianesimo le autorità organizzano spettacoli di fianco alle chiese negli orari delle messe
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 04/12/2018

Sempre più villaggi nella provincia dell'Henan organizzano spettacoli culturali e teatrali di fianco alle chiese di domenica per scoraggiare la partecipazione alla messa e attirare i fedeli. A ottobre, riporta Bitter Winter, il governo di Luoyang ha ordinato di promuovere in modo rigoroso la «propaganda atea» e di organizzare eventi culturali durante le feste religiose per «ridurre l'influenza della religione attraverso "un buon spettacolo rivale"».
Molte autorità municipali organizzano così da mesi le attività delle cosiddette «domeniche felici». L'obiettivo è quello di «competere con Dio per la conquista del popolo». Attività culturali con questo scopo sono state organizzate il 21 e 28 ottobre nei villaggi della contea di Mianchi.
Come spiegato dal vicedirettore dell'ufficio della Cultura della contea, la direttiva è «nazionale» e «in futuro dobbiamo arricchire la preparazione culturale delle masse, così che la gente non vada più a messa la domenica».
Le «domeniche felici» sono solo l'ultima iniziativa del regime comunista per sradicare la religione in Cina. I regolamenti di febbraio, nell'ottica della sinicizzazione delle religioni, impediscono ai fedeli minorenni di entrare in chiesa o partecipare al catechismo, mentre è stata lanciata una stretta sulle comunità cattoliche, ufficiali e non, che riguarda anche gli edifici. Molte chiese e parrocchie, infatti, sono state chiuse o rase al suolo. Nelle scuole, inoltre, viene imposto agli studenti di non credere in alcuna religione e perfino alle imprese è stato impedito di conferire nomi a tema religioso alle proprie attività. Hanno dovuto cambiare nome, ad esempio, il "Mulino Betlemme" nella città di Hebi e la "Compagnia Arca".

Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Leone Grotti, nell'articolo seguente dal titolo "Cina, vietato usare nomi cristiani" racconta il come e il perché sono stati chiusi il "Mulino Betlemme" e il negozio "Arca".
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 27 settembre 2018:
Più che di persecuzione in Cina, bisognerebbe cominciare a parlare di paranoia. Nella provincia dell'Henan, dove dall'inizio dell'anno vengono demolite chiese, abbattute croci ed emanate nuove restrizioni al culto per i cristiani, il partito comunista ha preso di mira tutte le aziende con nomi che possano richiamare la religione.
È il caso ad esempio del "Mulino Betlemme", azienda che produce farina fondata nel 1987 da una coppia cristiana nella città di Hebi. Come riportato da Bitter Winter, a inizio anno le autorità locali hanno informato i proprietari che la fede religiosa «non è ammessa» e che la parola "Betlemme" doveva perciò essere rimossa. Se avessero disobbedito, le autorità avrebbero revocato la licenza e i permessi. Il nome dell'azienda è stato quindi cambiato in "Mulino Qingshan".
Un'altra compagnia che vende prodotti elettronici e che si chiama "Arca Henan" è stata presa di mira allo stesso modo. I funzionari, secondo uno dei commercianti incriminati, «usano ormai immagini satellitari per individuare insegne con nomi religiosi e ci obbligano a sostituirle. Come possiamo resistere?».
La repressione viene portata avanti a ogni livello. I protestanti che vogliono ottenere la licenza per predicare dal Movimento delle tre autonomie, l'equivalente protestante dell'Associazione patriottica, l'organizzazione statale che supervisiona le attività della Chiesa cattolica, devono passare un esame nel quale non è richiesta la conoscenza della Bibbia, ma della «politica del partito comunista e della sinicizzazione del cristianesimo».
Come riportato da AsiaNews, a Tengqiao, nel Zhejiang, dove negli ultimi anni sono state abbattute migliaia di croci, è stata lanciata una campagna per «guidare, boicottare e prevenire» la diffusione della religione fra studenti e insegnanti. Un rappresentante del dipartimento dell'educazione ha convocato dirigenti scolastici e insegnanti per fare questa comunicazione: «Nelle nostre scuole, in genere insegnanti e studenti credono nelle religioni. Per questo, il Partito, lo Stato, e le divisioni del governo devono guidare, boicottare, prevenire. Il prossimo 5 ottobre, il Consiglio di Stato invierà un gruppo nel Zhejiang per un'ispezione. Dal 25 al 30 settembre, le autorità provinciali del Zhejiang verranno a Wenzhou come primo luogo di ispezione. Ed essi hanno detto che anche il distretto di Lucheng deve essere ispezionato».
A Tengqiao, continua il funzionario, «autorità distrettuali e del municipio hanno cominciato l'ispezione da oggi. Da oggi fino al 5 ottobre, i poliziotti staranno qui. Cosa dovrebbero fare le scuole? Le scuole non predicano. Gli insegnanti non predicano, non si coinvolgono nelle religioni. Gli studenti non devono credere nelle religioni. Alle persone religiose è vietato entrare in università. Agli insegnanti, compresi i precari temporanei non è permesso predicare agli studenti. Agli insegnanti non è permesso di credere e di predicare».

Fonte: Tempi, 04/12/2018

8 - SE IL VESCOVO APPLICA LA LETIZIA DELL'AMORE...
Nella diocesi di Mantova si potrà dare la comunione ai divorziati risposati (nonostante le prescrizioni contrarie di Catechismo e Codice di Diritto Canonico)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 05/12/2018

È Vescovo di Mantova da circa un anno e mezzo e già si è fatto notare... A mons. Gianmarco Busca son bastati otto mesi per compiere un tale valzer di nomine in Diocesi da esser definito una «rivoluzione» dalla stampa locale, poi la pastorale dei «selfie» e delle «videocatechesi»...
Ora però ha fatto il "salto di qualità", ha premuto l'acceleratore e sdoganato l'accesso all'Eucarestia per i divorziati risposati. L'assist lo ha pescato direttamente dalla nota n. 351 dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia, in cui, anche per le cosiddette «situazioni irregolari», non si esclude l'eventualità dell'«aiuto dei Sacramenti», distinguendo tra «situazione oggettiva di peccato» e responsabilità soggettiva.
Sulla falsariga, anche mons. Busca ha predisposto, quale "regalo di Natale 2018", la possibilità di «intraprendere un percorso ecclesiale di riconciliazione, che in alcuni casi potrà sfociare nella possibilità di accedere nuovamente al Sacramento della Penitenza ed alla Comunione eucaristica». E ciò non solo per «i fedeli divorziati e risposati», bensì anche per quanti vivano una non meglio precisata «seconda relazione in modo stabile», definizione di per sé sibillina e che potrebbe teoricamente aprire scenari i più varii.
Per confermarsi nel suo look à la page il Vescovo di Mantova ha concluso il proprio messaggio con un tripudio, "correggendo" la liturgia del Natale già in linea col nuovo messale predisposto dalla Cei: non più «pace in terra agli uomini di buona volontà» quindi, bensì a quelli «amati dal Signore», all'insegna dell'ecclesialmente corretto.

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA E IL CODICE DI DIRITTO CANONICO
Eppure, va ricordato come il Catechismo della Chiesa Cattolica ancora non sia stato modificato e come al n. 1650 ancora ritenga i divorziati risposati «in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione». Non solo: «La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata, se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo e si sono impegnati a vivere in una completa continenza».
Possono certo partecipare alla vita della Chiesa in quanto battezzati, come precisa il n. 1651, compiere opere di carità ed educare i figli nella fede cristiana. Ma non possono accedere ai Sacramenti.
Lo stesso dicasi per il can. 915 del Codice di Diritto Canonico, ove si legge: «Non siano ammessi alla Sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto».
Divieto, ribadito anche in una Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi nel 2000, Dichiarazione che afferma: «Nel caso concreto dell'ammissione alla Sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il Sacramento dell'Eucaristia e l'indissolubilità del matrimonio. Tale scandalo sussiste anche se, purtroppo, siffatto comportamento non destasse più meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende più necessaria nei Pastori un'azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei Sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli».

PAROLE CHIARE ED INEQUIVOCABILI
Tutto questo viene detto con parole chiare ed inequivocabili, a differenza dei contorsionismi interpretativi, cui sono costretti quanti vogliano forzar la mano e far dire al Catechismo (ed alla Sacra Scrittura) quanto non v'è scritto, anzi il suo opposto, spingendo ad elaborare norme pastorali contraddittorie tra Diocesi e Diocesi, tra nazione e nazione, pericolo già paradigmaticamente esecrato dagli arcivescovi Tomash Peta e Jan Pawel Lenga, nonché dal Vescovo Athanasius Schneider in un documento congiunto, uscito esattamente un anno fa. Quanto lì temuto, si è puntualmente verificato o si sta purtroppo verificando.
«Un'approvazione o legittimazione della violazione della sacralità del vincolo matrimoniale - si legge in questo testo - contraddice in modo grave l'espressa volontà di Dio ed il Suo Comandamento. Tale pratica rappresenta perciò un'alterazione sostanziale della bimillenaria disciplina sacramentale della Chiesa. Inoltre, una disciplina sostanzialmente alterata comporterà col tempo anche un'alterazione nella corrispondente Dottrina». Ed è esattamente questo il pericolo, che si sta correndo. Pericolo, che iniziative quali quella assunta a Mantova, rendono quanto mai concreto.

Fonte: Corrispondenza Romana, 05/12/2018

9 - OMELIA III DOM. DI AVVENTO - ANNO C (Lc 3,10-18)
Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato
Fonte Il Settimanale di Padre Pio

Siamo giunti alla terza domenica di Avvento che è chiamata anche la domenica della gioia. È chiamata in questo modo perché il Natale si avvicina e le letture della Messa ci invitano all'esultanza. Il profeta Sofonia così annuncia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (3,14). Questo invito alla letizia è rivolto a ciascuno di noi. Dobbiamo gioire perché è stata revocata la nostra condanna (cf Sof 3,15) e Gesù viene a salvarci. A queste parole fanno eco quelle di san Paolo Apostolo che, scrivendo ai Filippesi, così esorta: «Siate sempre lieti nel Signore. [...]. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Ormai il Natale è vicino e noi dobbiamo preparare i nostri cuori al Signore che viene.
Per vivere anche noi la gioia dobbiamo fare la Volontà di Dio. Questo è quanto ci insegna il Vangelo di oggi. Le folle andavano da Giovanni Battista per chiedere a lui una parola di vita. Per ben tre volte il brano dell'evangelista Luca riporta questa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» (3,10).
La prima volta il Battista risponde: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3,11); la seconda volta, rispondendo ai pubblicani, dice: «Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13); la terza volta, rivolgendosi ai soldati, insegna: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno» (Lc 3,14). Da queste risposte impariamo che se vogliamo gioire anche noi nel Signore e a Lui piacere dobbiamo osservare i Comandamenti di Dio, praticare la carità fraterna, rispettare il prossimo e non commettere ingiustizie.
Dio che è Amore è venuto a portare l'amore su questa terra e solo amando Dio e il prossimo potremo anche noi essere felici. Ogni peccato è un'offesa all'amore, una mancanza all'amore. Ai giorni d'oggi, ciò che manca veramente ai nostri cuori è proprio l'amore. Siamo dominati dall'egoismo che è esattamente il contrario dell'amore e il contrario della gioia. E così, commettendo peccati su peccati, noi ci condanniamo alla tristezza e alla delusione.
Guardiamo i Santi se vogliamo imparare ad amare. Nessuno più di loro ha amato su questa terra; nessuno più di loro ha gioito. Così è stato san Francesco d'Assisi, il quale all'inizio della sua conversione ha posto al Signore la domanda del Vangelo: «Che cosa devo fare?». Egli pensava di trovare la gioia nel diventare un cavaliere valoroso; invece la voce del Signore lo invitava sempre di più ad abbandonare tutto e servirlo nella povertà e nella letizia.
Oltre all'osservanza dei suoi Comandamenti, Dio domanda a ciascuna delle sue creature qualcosa di particolare: una missione da svolgere per il bene di tutti. Ognuno di noi è unico e irripetibile e deve chiedere ogni giorno al Signore di comprendere quale è questa sua Volontà. San Francesco comprese e divenne la persona più felice di questo mondo. Ora tocca a noi. Da chi dobbiamo farci aiutare per comprendere la risposta? Dal sacerdote a cui abbiamo affidato la direzione della nostra vita. Il Signore si serve proprio di loro per manifestare la sua Volontà.
Per ottenere tutto questo, affidiamoci alla Madonna, alla «Causa della nostra Letizia», come la invochiamo nelle Litanie lauretane. Preghiamola ogni giorno con il Santo Rosario e domandiamole l'inestimabile grazia di trovare un direttore spirituale, fermo e deciso, che ci incammini per la retta strada che conduce alla gioia eterna.

Nota di BastaBugie: brevi spunti per l'omelia delle Messe feriali si possono leggere ogni giorno nella rubrica "Schegge di Vangelo" pubblicata sul sito de La Bussola Quotidiana.
Ecco il link:
http://lanuovabq.it/it/schegge-di-vangelo

Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

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