BastaBugie n�3 del 16 novembre 2007

Stampa ArticoloStampa


1 OTTO PER MILLE

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire
2 I SOLDI DEL VESCOVO, PARTE SECONDA

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire
3 ORGANI DI CONTROLLO
Come funziona il Consiglio Cei per gli Affari economici
Autore: Vincenzo Grienti - Fonte: Avvenire
4 NON SONO DOCENTI PRIVILEGIATI E FORNISCONO UN SERVIZIO RICHIESTO DALLO STATO

Autore: Enrico Lenzi - Fonte: Avvenire
5 LA SAGA DELLE CANTONATE

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire
6 ORA DI RELIGIONE , ATTACCO FUORI BERSAGLIO
Nel mirino di «Repubblica». Ma la nuova bordata va ancora una volta a vuoto
Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire
7 TURISMO RELIGIOSO: L'INCHIESTA SA DI FALSO

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

1 - OTTO PER MILLE

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

Il sostentamento del clero non è, come adombrato nell’inchiesta, un misterioso meccanismo per trasferire risorse alla Cei, ma una forma di democrazia diretta che altre nazioni hanno copiato.
Bilanci trasparenti e controlli secondo la legge. Il contrario di quanto scrive «Repubblica».

La Chiesa come la politica? Con un notevole sforzo, parecchie omissioni e un pizzico di demagogia, perché no? È l’operazione tentata ieri da Repubblica, ben tre pagine firmate da Curzio Maltese, coadiuvato da Carlo Pontesilli e Maurizio Turco. Alla fine delle quali, a forza di "all’incirca" e di "stime", di ipotesi e di proiezioni, si conclude che la Chiesa "costa" agli italiani più di quattro miliardi di euro all’anno, "una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose". Detta così, fa impressione. Malachiesa uguale a malapolitica, soldi a palate, agio e ricchezza. Chi però frequenta una parrocchia strabuzza gli occhi: dov’è tutta questa ricchezza? Nella parrocchia vicina, forse? No. Che si intaschino tutto i vescovi? La grande foto furba di pagina 31, con il dettaglio di una croce pettorale e un anello episcopale, e il titolo "I soldi del vescovo", potrebbero ammiccare in tal senso. Le remunerazioni di preti e vescovi le trovate in questa pagina. Cifre pubbliche, però omesse dalla Repubblica che pure riproduce le due tabelle sull’otto per mille, di fonte Cei. Perché? Sono stipendi non abbastanza alti per suscitare riprovazione, o così bassi da indurre un effetto contrario? Poiché la verità non è valida se non la si dice per intero, diamo un aiutino a Maltese e ai suoi collaboratori.

Quanti euro in carità?
"Su 5 euro incassati dal gettito Irpef - è in evidenza in un sommario - 1 va alla carità. Il resto tra culto e immobili". Non è corretto leggere l’impegno della Chiesa nel nostro Paese attraverso la schema rigido di un rendiconto amministrativo, impostato secondo le voci di spesa - che devono rispondere alle formulazioni di legge - ammesse con i fondi dell’otto per mille destinati alla Chiesa. L’attività concreta non è catalogabile solo secondo alcune voci, generiche e imprendibili. Per dire: il prete che ispira e anima un progetto di carità finisce sotto la voce "sostentamento del clero". I volontari della carità sono formati attraverso progett i pastorali. E mense, centri di ascolto e case d’accoglienza, immobili a servizio della carità, finiscono sotto la voce "culto e pastorale". La parrocchia stessa educa alla carità e compie in prima persona opere di carità: sotto quale voce la mettiamo? A proposito di preti, nel sistema ne sono inseriti circa 38 mila, di cui appena tremila in "quiescenza", vale a dire in pensione. Chi ha un parroco ottantenne, sa bene che in pensione un prete non ci va mai, e "molla" soltanto quando il fisico non gli regge proprio. Quanto "costa un prete"? Costa poco, rende tanto e non si ferma mai. E chi serve? Soltanto i battezzati, soltanto i praticanti? No, è a servizio di tutti.

6.275 interventi in 15 anni
Tanto improvviso interesse per le opere di carità della Chiesa italiana è sorprendente. Due anni fa il Comitato per gli interventi caritativi del Terzo Mondo (con i fondi otto per mille) pubblica "Dalle parole alle opere", un volume di 386 pagine con il resoconto dettagliato, con nomi, indirizzi, tipo d’intervento e cifre al centesimo, dei 6.275 interventi finanziati in tutto il mondo tra il 1990 e il 2004, per un totale di 719 milioni di euro. Grazie alla generosità degli italiani, si è passati dai 13 milioni di euro del 1990 ai 66 del 2003. Ebbene, di quel resoconto non parlò nessun giornale: disinteresse totale, allora. Oggi insinuazioni, genericismi. No, signori, è tutto documentato. Basta aprire il documento, che è già nelle vostre redazioni.

Otto per mille, ecco chi firma
L’otto per mille stesso è ancora, in larga parte, un oggetto sconosciuto. Gli italiani firmano in massa per la Chiesa cattolica? Occorre sminuire il risultato. Maltese ci prova: "Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" (…) la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale". Il 35 per cento, una minoranza dunque… Intanto, a partecipare con la firma sono 16 milioni di italiani: in assoluto, non pochi. Se poi consideriamo chi presenta il 730 o l’Unico, i firmatari sono il 61,3 per cento, una percentuale superiore a quella di molte consultazioni assimilabili a questa. Ad abbassare la percentuale sono i 13 milioni di italiani che non sono obbligati a presentare la dichiarazione, chi ad esempio ha il solo Cud. Costoro - nella grande maggioranza anziani, spesso soli - sono costretti a operazioni complicate e scoraggianti: qui infatti la percentuale di firme si riduce all’1 per cento. Sulla configurazione sociologica degli anziani tuttavia ci sono studi a non finire. Perché non fate, signori, anche qui una proiezione ponderata?

Una stima crescente
Magari tutti firmassero e firmare fosse per tutti agevole. Un’indagine del 2006 sul consenso degli italiani all’operato della Chiesa parla di un giudizio molto o abbastanza positivo da parte del 70 per cento della popolazione; nel 2001 era del 60. È un secondo indizio della stima di cui gode la Chiesa, per Maltese "non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici". Non è esattamente così. L’otto per mille non dà alcuna garanzia alla Chiesa, che ogni anno si sottopone al giudizio (democratico) dei cittadini, che possono darle la firma o rifiutargliela. Le garanzie, se così vogliamo chiamarle, c’erano semmai prima del Concordato del 1984, quando ancora i preti privi di altri redditi ricevevano dallo Stato il cosiddetto "assegno di congrua", che veniva dato in sostituzione dei beni ecclesiastici incamerati dallo Stato nell’Ottocento. Garanzie a cui la Chiesa ha rinunciato, in accordo con lo Stato, rimettendosi alla volontà degli italiani. L’otto per mille è una forma di democrazia diretta applicata al sistema fiscale, che qualche nazione ha copiato e mezza Europa ci invidia.

Le quote? Decide l’Assemblea
E la parte di otto per mille che va alle singole diocesi? Il servizio di Maltese insinua che sia una forma di ricatto da parte della presidenza della Cei, per premiare i vescovi doc ili e punire gli indocili, che difatti non ci sono perché, secondo lui, tutti tacciono, tranne qualche emerito. Naturalmente le cose non stanno così. Non è assolutamente vero che due o tre decidono per tutti. La quota per le diocesi - decretata ogni anno dall’Assemblea generale dei vescovi per alzata di mano - viene distribuita per una parte in porzioni uguali a tutti, per un’altra quota in base alla popolazione. Dunque, criteri oggettivi. Certo, le diocesi devono rendere conto al centesimo di come hanno destinato la propria quota di otto per mille. Per legge. Ma anche gli altri contributi, come quelli per edificare i centri parrocchiali o restaurare i beni culturali, vengono distribuiti secondo precisi regolamenti,criteri e controlli oggettivi. Ma davvero Curzio Maltese pensa che i vescovi siano un’accozzaglia di gente sprovveduta che attendeva Repubblica per aprire gli occhi?

Ici, tutti gli esenti
Verrebbe voglia di lasciar perdere il capitolo Ici e Irap. I nostri lettori sono stanchi di leggere precisazioni ostinatamente ignorate dai soliti giornalisti. Per i dipendenti laici, diocesi ed enti ecclesiastici pagano l’Irap; non così se si tratta di sacerdoti che è difficile immaginare come meri impiegati. Tutti però, laici e preti, pagano Irpef e contributi. Quanto all’esenzione dall’Ici prevista dalla legge 504 del 1992, e che fino al 2004 non aveva suscitato nessun problema, essa riguarda tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale rientrano certamente gli enti ecclesiastici ma che comprende anche: associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, sindacati, partiti politici (che sono associazioni), enti religiosi di tutte le confessioni e, in generale, tutto quello che viene definito come il mondo del non profit. Gli alberghi pagano, le case per ferie o le colonie no. A un albergo non basta la cappellina per non pagare, anzi d ovrà pagare l’Ici anche sulla cappellina; e i Comuni hanno gli strumenti per accertare se qualche albergo, chiunque ne sia il proprietario, si "traveste" da casa d’accoglienza. Anche qui, niente trucchi.

I conti in tasca
"Fare i conti in tasca al Vaticano…" scrive Maltese. Ci risiamo. Confondere la Cei (vescovi cittadini italiani a servizio del Paese) con il Vaticano è errore da bocciatura all’esame da giornalista. Eppure ci tocca ancora leggere dell’"otto per mille al Vaticano". Citare "come fonte insospettabile" la Cei va benissimo, i problemi sorgono quando ti ritrovi citato a metà, e la metà omessa è regolarmente quella scomoda all’autore dell’inchiesta. Quanto alla presunta scarsa libertà all’interno della Chiesa, è curioso che Maltese e collaboratori riportino proprio le cifre rese note (non nascoste) dalla Cei, e citino due giornalisti cattolici. La prossima puntata, per dirla davvero tutta? Non "i soldi del vescovo", ma… "i debiti del vescovo". Aiuta, sfama (la pancia, ma soprattutto l’anima), educa, costruisci e ripara… Alla fine è difficile non finire in rosso. Il rosso di chi restituisce tutto quello che riceve dagli italiani, e oltre.

Fonte: Avvenire

2 - I SOLDI DEL VESCOVO, PARTE SECONDA

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

Disinformazia, parte seconda.
Ieri su Repubblica la triade Maltese-Pontesilli-Turco ha rifilato ai suoi lettori "I soldi del vescovo-2", una seconda dose di totali menzogne e mezze verità a proposito dell'otto per mille, dopo la prima di venerdì scorso. I tre sembrano ignorare le nostre puntuali confutazioni del giorno dopo, fino a sparare questo titolone: "Dove finisce l'otto per mille, segreto da un miliardo di euro". Curzio Maltese scrive che Avvenire «pubblica per la prima volta il resoconto sul numero del 29 settembre». Segreto? Per la prima volta? A Maltese, troppo indaffarato a scrivere per perdere tempo a leggere, perfino il suo giornale, sfugge che ogni anno la Cei acquista una pagina di Corriere della sera, Repubblica e Sole 24 Ore (oltre ad Avvenire), dove pubblica il resoconto. Maltese ce l'ha da sempre sotto il naso, il "segreto". Ma procediamo con ordine, limitandoci alle cose essenziali.
I costi? Trasparenti
«La campagna 2005, secondo il Sole 24 Ore, è costata alla Chiesa nove milioni di euro. Il triplo di quanto poi la Chiesa ha donato alle vittime dello tsunami, tre milioni», tragedia ricordata in uno spot. Maltese sa perfettamente, se ha letto la nostra pagina di sabato, che gli interventi per il Terzo mondo sono stati finora 7.772. Tra di essi, c'è anche quello a favore delle popolazioni colpite dallo tsunami.
E tanti sono gli spot che illustrano tanti altri interventi. Sono andati in onda spot sulla carità, sui preti, sul culto e sulla pastorale, perfino sulla pastorale dei marittimi e dei non vedenti, sui restauri, eccetera. Chi li avesse persi in tv, può visitare il sito www.8xmille.it (ci sono pure gli accessi per ipovedenti e non vedenti) e ripassarseli tutti, e poi liberamente giudicarli. Nello stesso sito, a proposito di segreti, c'è un corposo documento in formato pdf sui rendiconti 1990-2006. Dimenticavamo: la fonte del Sole 24 Ore è la Chiesa stessa; basta visitare il sito appena citato. Nel 2006 al Terzo Mondo sono andati 80 milioni. E i 9 della campagna sono serviti anche a parlare delle altre destinazioni dell'otto per mille, compresa la remunerazione dei preti. Maltese scrive una colossale falsità: «La Chiesa cattolica è l'unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza». Basta andare al sito appena citato, seguire il percorso "informazioni" e "quesiti", ed ecco il quesito numero 10: «Quanto investe la Chiesa cattolica per la comunicazione dell'8 per mille?». Risposta: «Si investono circa 9 milioni all'anno, con una incidenza media pari solo a meno dell'1% dei fondi raccolti (eccetera)». Tanto o poco? Per capirci, chi volesse scrivere personalmente a tutti i 40 milioni di contribuenti italiani, solo per lettera, busta e francobollo spenderebbe 32 milioni. Da dieci anni, la Chiesa cattolica non fa cartelloni stradali. Quello che appariva ieri a pagina 35 di Repubblica risale al 1990.
5 e 8 per mille: ecco chi firma
Maltese confronta 5 e 8 per mille: «Al 5 hanno aderito (firmato, ndr) il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 dell'8 per mille». Peccato che per il 5 per mille firmi solo chi consegna la dichiarazione (Unico e 730); tra questi, le firme per l'8 per mille sono praticamente identiche: 61,3 per cento, come avevamo documentato sabato.
Chiesa cattolica senza garanzie
C'è poi la vecchia questione di chi non firma affatto. In Spagna, le "non firme" finiscono allo Stato, scrive Maltese. È vero. Però dimentica di aggiungere un dettaglio: in Spagna la Chiesa cattolica ha un "minimo garantito" che in Italia non ha. La Chiesa cattolica italiana non gode di alcuna garanzia e dipende solo ed esclusivamente dagli italiani, che oggi la sostengono, domani chissà. In Germania invece vige la "tassa per il culto", obbligatoria, a meno che un contribuente non si cancelli dalle liste diocesane. Una simile "conta" dei rispettivi fedeli è auspicabile anche in Italia? Lo escludiamo. L'otto per mille viene ripartito per intero, per lo stesso motivo per cui, quando andiamo a votare, tutti i seggi vengono assegnati, a prescindere dagli astenuti. Chi si astiene si rimette alla volontà dei votanti. Ma va detto che l'otto per mille non sono "soldi dello Stato", ma una porzione delle tasse che i cittadini versano allo Stato e che lo Stato stesso, in un esemplare meccanismo di democrazia diretta, mette a disposizione dei cittadini, chiedendo loro: a chi volete che sia ridistribuito?
Molte altre sono le falsità dell'inchiesta. Una particolarmente antipatica è la frase tra virgolette, datata 1996, attribuita a quello che Maltese definisce "cassiere pontificio", monsignor Attilio Nicora, in realtà allora in forza alla Cei: «Lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa». Frase mai letta né sentita. Maltese è in grado di indicare la fonte?
Restituiamo quanto ci viene dato
Scrive poi Maltese: «Dal 1990 al 2007, l'incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa alla metà, dal 70 al 35 per cento». Assurdo. I preti inseriti nel sistema sono semmai aumentati e la loro remunerazione è rimasta costante. Ad aumentare sono state le firme a favore della Chiesa e il gettito Irpef; in questo modo la percentuale necessaria per provvedere ai preti è diminuita e si sono liberate maggiori energie per carità, culto e pastorale, destinazioni definite per legge, che campeggiano chiare, da sempre, nell'apposito spazio della firma. Dispiace poi leggere questa affermazione attribuita alla moderatrice della Tavola Valdese: «I soldi arrivano dalla società e vi debbono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere». Cara moderatrice, quanto poco conosce la Chiesa cattolica. Tutti i soldi dei cittadini tornano ai cittadini, perché i preti sono a loro disposizione, e così pure le parrocchie, gli oratori, le strutture di accoglienza, tutto. La carità va a tutti, senza distinzione di fede o etnia. L'educazione è a favore dell'intera società. E l'otto per mille è soltanto una minima parte di ciò che la Chiesa riceve e ridistribuisce. Molto, molto di più arriva dalle libere offerte alle parrocchie, ai missionari, ai conventi. I preti italiani sono circa 39 mila e per metà del loro fabbisogno complessivo provvedono già la Chiesa e i fedeli. Solo per la restante metà si ricorre all'otto per mille. Quanto alla volontà di Dio, cara moderatrice, quella è nel cuore di Dio. E Dio non ha bisogno di suggeritori.

Fonte: Avvenire

3 - ORGANI DI CONTROLLO
Come funziona il Consiglio Cei per gli Affari economici
Autore: Vincenzo Grienti - Fonte: Avvenire

Chi pensasse alla Conferenza episcopale italiana come a un ministero resterebbe probabilmente deluso. Alla fine del 2006, anno del Convegno ecclesiale di Verona, i sacerdoti e i dipendenti laici "in forza" presso la Cei si attestavano rispettivamente a 34 e 57 unità. Sotto il profilo dei costi, nel 2006, rispetto al flusso complessivo dell'8 per mille, le spese generali della Cei non raggiungevano il 6 per cento mentre le spese ordinarie per il funzionamento della struttura e per i convegni si attestavano all'1,4 per cento del totale. A verificare la situazione finanziaria all'interno della Cei c'è un organismo specifico: si tratta del Consiglio per gli Affari economici, composto dal presidente della Cei e da quattro vescovi eletti dall'Assemblea generale. Come si evince dall'art. 34 dello statuto, si riunisce almeno tre volte l'anno, esamina la gestione amministrativa interna, formula parere vincolante sugli atti di amministrazione straordinari, predispone il bilancio consuntivo annuale sottoponendolo alla Presidenza della Cei in vista della presentazione all'Assemblea generale per l'approvazione. Esso si avvale dell'opera di un collegio di tre revisori dei conti scelti tra esperti del settore anche laici. Secondo l'art. 104 del Regolamento il Consiglio per gli affari economici elabora lo stato di previsione annuale della Conferenza entro il mese di novembre dell'esercizio precedente e lo presenta all'approvazione della Presidenza, tenendo conto delle richieste di spesa che il Segretario generale espone dopo aver valutato le esigenze formulate dalle Commissioni episcopali, dagli Uffici della Segreteria generale, dai Servizi di promozione pastorale della Conferenza e dai Comitati.

Fonte: Avvenire

4 - NON SONO DOCENTI PRIVILEGIATI E FORNISCONO UN SERVIZIO RICHIESTO DALLO STATO

Autore: Enrico Lenzi - Fonte: Avvenire

«Altro che posto di ruolo regalato. Con l'immissione in ruolo dei docenti di religione lo Stato ci ha guadagnato». Ribatte con forza alle tesi di Repubblica, il professor Nicola Incampo, esperto di normativa dell'insegnamento della religione cattolica.
Come può essere diventato un guadagno per lo Stato il loro inserimento in ruolo?
«Perché prima non esisteva l'obbligo di avere una cattedra completa di 18 ore alle superiori, che diventano 22 alle elementari e 25 alla materna. Al contrario esistevano i cosiddetti spezzoni, cioè docenti solo con 6 o 10 ore. Il ruolo ha comportato l'accorpamento delle ore e la riduzione dei posti. E pure di docenti».
E all'accusa di aver regalato il posto fisso "grazie a una rapida e farsesca serie di concorsi di massa"?
«Altra affermazione non vera. Al contrario questi concorsi, previsti dalla legge sul ruolo ai docenti di religione cattolica, sono stati molto seri, tanto che il 15% di coloro che vi hanno partecipato non sono stati ammessi. Non mi risulta che in altri concorsi si raggiungano tali percentuali».
Sempre gli autori dell'inchiesta parlano di "infinite diatribe legali" per questa immissione in ruolo, soprattutto perché si tratta di una materia opzionale.
«E ancora una volta ci dimentichiamo che questo insegnamento è offerto dallo Stato. È quest'ultimo che dice a chi vuole conoscere la sua storia che c'è anche l'insegnamento della religione cattolica. E allora lo Stato chiede alla Chiesa docenti formati per questo insegnamento. La Chiesa garantisce sull'autenticità dell'insegnamento, ma ad assumere questi docenti è lo Stato, non la Chiesa».
E se l'idoneità data dal vescovo viene meno cosa succede al docente di religione?
«La legge di immissione in ruolo, la numero 186 del 2003, parla chiaro: chi perde l'idoneità finisce nella mobilità nazionale».
Ma resta nella scuola come docente?
«Può pensare di passare all'insegnamento di un'altra materia soltanto se in possesso dei requisiti richiesti per qualunque altro docente e cioè il titolo di studio e l'abilitazione. Ma visto che lo Stato non ha ancora emanato il regolamento di questa mobilità nei 3 o 4 casi di idoneità ritirata in questi ultimi anni la conseguenza per questi docenti è stata il licenziamento».
Per anni i docenti di religione sono stati dei precari, ora si sarebbero trasformati in privilegiati rispetto ai loro colleghi. Addirittura con uno stipendio maggiorato. Ma come stanno davvero le cose?
«Chi fissa lo stipendio è il contratto nazionale di lavoro e non una circolare come viene detto. Il docente di religione, fino all'immissione in ruolo, è l'ultima figura di incaricato annuale rimasta. Il contratto del 1994 ha recepito questa figura, che è meno pagata di un docente di ruolo. Infatti quest'ultimo ogni 6 anni ha un gradone di avanzamento che comporta l'aumento mensile medio di 200-300 euro, mentre l'incaricato annuale ha uno scatto biennale che comporta aumenti di 10 euro al mese. Comunque i docenti Irc di ruolo seguono la normativa dei loro colleghi, stipendi compresi».
Ultimo capitolo, l'ora alternativa. Davvero la Chiesa non la vuole?
«Va detto che spetta allo Stato garantire questa ora alternativa. Ed è falso che la Chiesa la osteggi o che intervenga nella collocazione oraria dell'Irc. Anzi si chiede che davvero ci sia un'alternativa reale e non l'uscita anticipata o l'ingresso posticipato, come avviene oggi».

Fonte: Avvenire

5 - LA SAGA DELLE CANTONATE

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

Sul quotidiano romano un'altra puntata di veleni e fantasie. Nessun argomento serio, né tantomeno nuovo, ma solo una lunga serie di stucchevoli invenzioni
Con un titolo rutilante, "Gli alberghi dei santi alla crociata dell'Ici", e il fiato sempre più corto, Repubblica - il giornale di Carlo De Benedetti - dedicava ieri altre due pagine alla novela (inchiesta pare eccessivo) sui "Soldi del vescovo", inaugurata il 28 settembre e proseguita il 3 ottobre. Notizie nuove, zero. E un tono dimesso: nessun annuncio in prima, segno che le sparate precedenti non si sono rivelate l'auspicato brodino capace di rinvigorire le vendite. L'autore stesso rimane da solo con il cerino in mano, mollato dai due collaboratori delle puntate precedenti. In mancanza di argomenti nuovi e seri, le due pagine abbondano in effetti speciali, nella fattispecie la visita alla Casa delle Brigidine in piazza Farnese, alla quale fanno una pubblicità entusiasmante. Pur sapendo di scrivere cose che i nostri lettori conoscono a menadito, ripercorriamo i passaggi salienti della puntata.

Gli alberghi pagano
A Roma "La Casa di Santa Brigida", dallo "sterminato terrazzo", "non paga una lira di Ici". Facciamo un euro. Ma guardiamo al positivo. Repubblica ha imparato a viaggiare in Internet e dopo aver ignorato il sito ufficiale www.8xmille.it, dove avrebbe trovato tutti i dati denunciati come "nascosti", e nonostante non sia arrivata a www.avvenire.it dove nella home page avrebbe trovato un intero dossier sull'Ici, ha scoperto www.chiesacattolica.it. Ancora non ci spiega come abbia potuto scrivere che la Cei tiene nascosti i rendiconti dell'otto per mille, che lo stesso giornale di De Benedetti pubblica a pagamento ogni anno (se non è una menzogna, che cos'è?). In compenso annuncia che la Chiesa strangola i comuni italiani. L'abbiamo già detto e ridetto: gli alberghi pagano, e se ciò non avviene, paghino: senza alcuna incertezza. Gli alberghi però, ossia le strutture aperte a tutti, con continuità d'esercizio e che applicano prezzi di mercato. Ma le case parrocchiali usate un paio di mesi all'anno per i campi-scuola, devono pagare? Le stanze messe a disposizione per i familiari dei degenti in ospedale? Ma è anche e soprattutto lì che interviene la Chiesa, a beneficio di tutti.

Una collaborazione più che leale
Sembra essere d'accordo con noi il presidente dell'Anci, Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, che a Repubblica dichiara: "Nessuno pretende l'Ici dal bar o dal cinema dell'oratorio". Domenici stesso, in occasione del suo matrimonio, chiese di tenere il suo rinfresco alla Calza (Oltrarno Meeting Center), struttura della diocesi che per la parte alberghiera paga regolarmente l'Ici. Ma il giornale commenta: "Una leale collaborazione per separare (…) il culto dal commercio, da parte delle curie, non c'è". Non è vero, tra Cei e vertici dell'Anci i rapporti sono cordiali. E rappresentanti della Chiesa cattolica partecipano, insieme a quelli dell'Anci, alla Commissione istituita allo scopo presso il Ministero dell'economia. Secondo calcoli attribuiti da Repubblica all'Anci, i comuni italiani avrebbero perso "oltre 400 milioni di euro a causa di un'esenzione fiscale illegittima". Un calcolo impossibile e un'affermazione arbitraria, a cominciare dal verbo "perdere". Sembra quasi che tra comuni e curie sia in corso una guerra fredda… Repubblica parla di "immobili considerati unilateralmente esenti". Unilateralmente? Assurdo: sarebbe come se ciascuno di noi, persona fisica, decidesse di ritenersi "unilateralmente esente" dall'Irpef e così non pagasse le tasse. L'Ici è un'imposta comunale. Ai Comuni spetta accertare chi ne è soggetto e, in caso di resistenza, ingiungere il pagamento. Repubblica non riporta cifre sui contenziosi tra comuni ed enti ecclesiastici. Forse perché il numero è talmente esiguo, dal 1992 a oggi, anche dopo le sentenze della Cassazione del 2004, da dimostrare che la questione è gonfiata.

Il turismo paga le tasse
Sostenere che da parte della Cassazione ci sia stata una "correzione" alla legge denota una notevole ignoranza giuridica: è il Parlamento a fare ed eventualmente modificare le leggi; le sentenze della Cassazione valgono per il singolo caso, ma "fanno giurisprudenza", cioè orientano l'interpretazione della legge da parte dei tribunali inferiori. Secondo Repubblica, la Cei l'avrebbe definita "una sentenza folle", tra virgolette. Sarebbe interessante sapere in quale documento o intervento ufficiale la Cei (non un commercialista o un giornalista) ha usato il termine "folle". Non lo sapremo mai perché non c'è da nessuna parte, è un'invenzione del giornale di De Benedetti. Né è vero che l'attività turistica gestita dall'Opera romana pellegrinaggi o da altre organizzazioni analoghe "è in larga parte esentasse". È vero semmai il contrario: il turismo religioso costituisce una risorsa economica di grande importanza per il Paese, crea posti di lavoro e valorizza il nostro patrimonio storico-artistico, pagando Iva e Irap, come tutti. La Chiesa, sembra di capire, non può svolgere attività turistiche. Ma perché mai, se rispetta la legge e se paga tutto quello che c'è da pagare, consentendo a chi lo desidera di arricchirsi spiritualmente e culturalmente?

Brindisi e veleni
Sempre a proposito di turismo, Repubblica parla di "cin cin" di festeggiamenti, nel 2005, quando il governo anticipò alla Cei "l'abolizione dell'Ici" (abolizione?). Lascia credere che alla Cei si siano stappate bottiglie. Grottesco e falso. La battuta è prelevata dalla relazione che Aurelio Curina, un commercialista di Roma che segue parecchi enti religiosi, ha tenuto al Convegno sulle case per ferie, organizzato il 13-14 marzo 2007 dall'Ufficio Nazionale Cei per la pastorale del turismo (www.chiesacattolica.it/turismo). Curina, serio e preparato, non suggerisce né scorciatoie né trucchi; Repubblica, non trovandoli, riduce tutto a una battuta, togliendola dal contesto e attribuendola alla Cei. Complimenti.

Meglio di Dan Brown
Niente di nuovo, qualche veleno, abili taglia-e-cuci, silenzio profondo sulle cantonate prese nelle due puntate precedenti e da noi smascherate. Vien da chiedersi: qual è dunque il senso dell'operazione? Alla fine, batti e ribatti, resta l'immagine di una Chiesa avida, in malafede, doppiogiochista. L'intento biecamente ideologico, tutto tranne che laico, Repubblica se lo lascia scappare in chiusura, quando straparla di "quattro miliardi" (quattro?) di otto per mille che "in parte più cospicua" vanno "dentro una macchina di potere che influenza e condiziona l'economia, la politica, la vita democratica e a volte l'esercizio dei diritti costituzionali, fra i quali la libertà di stampa". Dan Brown, al confronto, è un dilettante.

Fonte: Avvenire

6 - ORA DI RELIGIONE , ATTACCO FUORI BERSAGLIO
Nel mirino di «Repubblica». Ma la nuova bordata va ancora una volta a vuoto
Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

L’ insegnamento della religione cattolica (Irc) non serve a nulla, se non a rimpinguare la Chiesa, «un altro miliardo di obolo di Stato a san Pietro». A questa tesi sbrigativa e grossolana va piegata la realtà, insinuando che l’Italia sia un’anomalia in Europa, mentre invece è l’esatto contrario; e con supremo disprezzo degli insegnanti di religione e degli oltre nove studenti su dieci che nelle scuole statali seguono le loro lezioni. 'I soldi del vescovo', parte quarta, è comparsa ieri su Repubblica. Il bersaglio? Probabilmente il Concordato; sicuramente la Chiesa e i cattolici tout court e ogni loro forma di presenza sociale - oratori, scuole, ospedali, centri d’ascolto, mense… tutto - lasciandogli forse le sacrestie, purché ben chiuse.
 I programmi ci sono
 «Uno strano ibrido di animazione sociale e vaghi concetti etici destinati a rimanere nella testa degli studenti forse lo spazio di un mattino. Pochi cenni sulla Bibbia, quasi mai letta, brevi e reticenti riassunti di storia della religione ».
  Questa è l’ora di religione secondo
 Repubblica. In realtà i programmi Osa, obiettivi specifici di apprendimento - ci sono, come per ogni disciplina. Se un docente li ignora, è un cattivo docente. Ma se un insegnante di matematica dovesse in- segnar male, concluderemmo che la matematica è una porcheria?
 Repubblica stessa poi si contraddice pesantemente, quando nel titolo sentenzia: 'Religione , il dogma in aula'. Quale dogma?
 Che cosa dice il Concordato
 Repubblica evita di spiegare ai lettori l’origine dell’attuale Irc: gli Accordi concordatari del 1984, che definiscono in positivo, secondo un’idea inclusiva di laicità, i rapporti tra Chiesa e Stato, non in concorrenza o in conflitto, ma collaboranti: «La Repubblica Italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento». Un testo improntato al buon senso. Il resto sono giochi di parole. Scrive
 Repubblica: «L’ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe prevedere docenti di ruolo». Dell’Irc gli studenti, tramite i genitori se minorenni, hanno facoltà di avvalersene o meno; ma le scuole hanno l’obbligo, non la 'facoltà', di assicurarlo. Viene poi insinuato che a un insegnante separato verrebbe ritirata l’idoneità. Sciocchezze: i separati accedono ai sacramenti, e non possono invece insegnare religione ? I divorziati risposati no, non insegnano; ma lo sanno e i patti sono chiari fin dall’inizio.
 Irc e fantasie
 Il giornale di De Benedetti afferma con sicurezza che la Cei chiede (e lo Stato l’accontenta) «che l’ora di religione sia sempre inserita a metà mattinata e mai all’inizio o alla fine delle lezioni, come sarebbe ovvio per un insegnamento facoltativo ». Naturalmente non cita la fonte - quando mai la Cei avrebbe chiesto una cosa simile? - perché non esiste. Sono fantasie, tra l’altro impossibili da realizzare. Repubblica
  dovrebbe sapere che, di media, un insegnante ha 16 ore alla settimana; in cinque giorni, neanche il computer della Nasa riuscirebbe ad assegnargli soltanto seconde, terze e quarte ore; e il 73,9 per cento insegna 18 o più ore. Falso è poi che la Cei boicotti le attività alternative. Tutto il contrario, come già emergeva nel convegno nazionale del 1995, presente l’allora ministro Berlinguer.
 Se il 91,2% vi sembra poco
 Repubblica non indica la fonte delle tabelle, anche se leggendo il lungo articolo si intuisce che è la stessa Cei. Ma i numeri vanno spiegati. Ad esempio gli avvalentesi dell’Irc: in totale, nel 2006-07 erano il 91,2 per cento, media tra il 94,6 delle primarie e l’84,6 delle secondarie di 2° grado. Sono in calo, gongola il quotidiano di De Benedetti. Ma di quanto? Nel 199394 erano il 93,5: un’oscillazione minima. E comunque è una stima compiuta monitorando l’83,5 per cento degli alunni (6.554.562 su un totale di 7.681.536). I dati del Nord sono quasi al completo (98,4), assai meno al Sud (77,5), dove la rinuncia all’Irc è molto più bassa (appena l’1,6, contro il 14,1 del nord). Quindi la stima è sicuramente per difetto.
 Insegnanti quasi tutti laici
 Gli stipendi agli insegnanti sono «un miliardo alla Chiesa»? Chissà che cosa ne pensa l’85 per cento di insegnanti laici, tra cui il 57 donne e il 28 uomini. Cittadini e lavoratori con regolari titoli di studio. I soldi vanno alle famiglie degli insegnanti, non ai vescovi. È l’ennesima contraddizione di chi rimprovera alla Chiesa di non adeguarsi all’Europa (coppie di fatto, fecondazione artificiale, eccetera). Ebbene, nel caso dell’Irc (come è spiegato in un altro servizio in questa stessa pagina) siamo adeguatissimi. Ed è l’ennesimo infortunio di chi, per faciloneria o disprezzo, riesce a sbagliare il cognome di Giovanni Paolo II: si scrive Wojtyla, insigne collega, non Woytjla.

Fonte: Avvenire

7 - TURISMO RELIGIOSO: L'INCHIESTA SA DI FALSO

Autore: Umberto Folena - Fonte: Avvenire

Ordunque, tutti alla «splendida Abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: costa 300 euro, ma è un cinque stelle a tutti gli effetti». Repubblica la addita come una delle lussuose strutture alberghiere della Chiesa che evadono l’Ici e fanno concorrenza sleale, insomma frodano l’Italia e gli italiani. Bene, andiamoci. L’Abbazia di Chiaravalle, nei pressi di San Giuliano, in effetti ha una foresteria, per i pellegrini che vogliano condividere qualche giornata con i monaci. Sette camerette con letto, lavandino e armadietto. Pensione completa: 30 euro al giorno, «ma se uno è in difficoltà – spiegano – può darci anche di meno». Trecento, trenta… uno zero e cinque stelle di troppo, e che saranno mai?

Camaldoli extralusso
È solo uno dei tanti sfondoni della quinta puntata della temeraria inchiesta sui «Soldi del vescovo». Le inchieste sono cose serie, chi le fa è tenuto a controllare di persona. O no? Dopo la bufala di Chiaravalle, «lo stesso vale per le celebri Orsoline di Cortina e per il monastero di Camaldoli nell’aretino, mete di turismo intellettuale, culturale e politico d’alto bordo». Quella delle «celebri Orsoline» è in realtà una scuola: d’estate vengono messe a disposizione le stanze delle studentesse: 80 euro pensione completa in alta stagione, sconti per famiglie, bambini 50%. Per Camaldoli ci piacerebbe lasciare la risposta ai camaldolesi, agli studenti della Fuci ma soprattutto alla tanta gente normale, di bordo medio e perfino basso, ospitata nelle cellette, che spartane è dir poco.

Tutti i voli dell’Orp
L’avete capito, la quinta travolgente puntata è dedicata al turismo religioso, «un affare da 5 miliardi di euro» recita il titolo. Il primo bersaglio è l’Opera Roma pellegrinaggi (Orp) con i suoi voli «a basso costo», a cominciare dal Boeing 707-200 della Mistral. In realtà è un 737-300: solo un dettaglio, che però conferma l’approssimazione del giornale di Carlo De Benedetti. In realtà il partner principale dell’Orp è l’Alitalia, che però da sola non basta a garantire tutti i voli necessari. Così l’Orp ricorre anche ad AirOne, El Al (per Israele), Sirian Airline (Siria), Air Jordan (Giordania), Lot (Polonia) Aeroflot (Russia), Tap (Portogallo)… Repubblica scrive che tra i 148 pellegrini del volo Mistral dello scorso 27 agosto c’era l’ex direttore tecnico della Juventus: «La Chiesa si affida al testimonial Luciano Moggi». Moggi non era su quel volo, non è testimonial della Chiesa né ha legami di alcun genere con l’Orp. A Lourdes ci sarà andato come ogni altro pellegrino, senza rappresentare nessuno se non se stesso. <+corsivo>Repubblica <+tondo>scrive che al volo «ha elargito la sua benedizione il rettore della Lateranense». A parte il fatto che non ci sarebbe stato niente di male, il rettore non c’era.

Il turismo religioso paga le tasse
Il turismo religioso, leggiamo, è «quasi sempre esentasse». Non è vero. L’Orp è della Santa Sede. Ma quando opera in Italia è soggetto alle leggi italiane esattamente come qualsiasi tour operator di qualsiasi Stato estero. La quasi totalità delle strutture utilizzate sono normali alberghi, non strutture religiose, e tutti pagano le tasse. Il 2008, secondo Repubblica, sarà il «150° anniversario dell’apparizione di Fatima»: no, di Lourdes. Per quell’anno ci sarebbe «la previsione di arrivare a 150 mila» pellegrini italiani verso i santuari europei e la Terra Santa, contro i 50 mila attuali: «previsione» fatta da chi? Qual è la fonte? Se è una fantasia di Repubblica, non resta da augurarsi che si avveri…

Monasteri? Un tempo
Uno stillicidio di errori e mezze verità. Nel suo superficiale copia-incolla, viene citato il Sole 24 Ore, che parla di «un centinaio di alberghi entrati nel network Condè-Nast Relais & Chateaux o Leading Hotel of the world». Tralascia di precisare che la gran parte di essi sono ex monasteri, venduti a privati, con i quali la Chiesa non c’entra nulla. Si parla di un finanziamento statale di 10 milioni di euro per la Via Francigena, di cui però pressoché nulla va alla Chiesa. Si afferma che i 3.500 miliardi di lire versati alla Chiesa per il Giubileo sono serviti «in buona parte a riorganizzare la rete di accoglienza turistica». Falso: in buonissima parte sono serviti a ristrutturare chiese e abbazie e altri luoghi di culto; alle strutture di accoglienza è andata una parte minima.

Rispunta poi la questione di suore e religiosi che «lavorano gratis», consentendo di abbattere i costi e di fare concorrenza sleale. I religiosi impegnati a tempo pieno nel turismo sono pochi. Ma a Repubblica non viene in mente che sono a carico, per sempre e per ogni necessità, della loro congregazione, a cui "costano" assai più di quanto verrebbe a "costare" un normale contratto di lavoro.

Le bugie sul Bambin Gesù
Viene gettato fango anche sull’Ospedale Bambin Gesù di Roma, una struttura a servizio dei bambini che ci invidia tutto il mondo, il quale «riceve numerosi finanziamenti dallo Stato e della Regione Lazio», senza che essi possano «rivedere gli accordi perché ogni modifica deve essere trattata direttamente dal ministro degli esteri con il Vaticano». Falso: tra Bambin Gesù e Regione Lazio esiste una normale convenzione bilaterale, con precisi diritti e doveri, che viene rivista periodicamente. Doveri: il Bambin Gesù è un’organizzazione seria che elargisce prestazioni di altissima qualità di cui si avvalgono bambini di tutta Italia, e anche d’Europa.

Attacco al turismo sociale
Ce ne sarebbe dell’altro, da un fantascientifico Giovanni Paolo XXIII a una cartina geografica che mette Pompei in Calabria, San Giovanni Rotondo in Campania e Padova sotto Vicenza. Quanto ai 6 milioni di turisti in Terrasanta, magari; l’Istituto israeliano di statistica ne indica, nei primi otto mesi del 2007, 1.440.000. Nella sagra dell’approssimazione, Repubblica evita accuratamente di far notare che il turismo religioso arricchisce soprattutto regioni, province e comuni verso i quali è diretto. Circa il 60 per cento del turismo in Italia ha motivazioni cultural-religiose. Il turismo religioso non sfrutta l’Italia, semmai l’arricchisce. Ma sotto accusa sembra sia pure il turismo sociale, che garantisce il diritto e la libertà di viaggiare anche a chi non può permettersi le cinque stelle, e gode di agevolazioni proprio per le sue riconosciute finalità sociali. È il turismo del popolo. Sì, anche dei poveri. Che a quanto pare farebbe "concorrenza sleale" al turismo dei ricchi.

Repubblica e i suoi giornalisti, in più occasioni, anche di recente, continuano a ripetere di non aver ricevuto alcuna smentita. E questi articoli che cosa sono? Dalla bufala di Chiaravalle in giù, contate pure le smentite. Se vogliono una raccomandata, gli spediremo questo giornale con ricevuta di ritorno.

Fonte: Avvenire

Stampa ArticoloStampa


BastaBugie è una selezione di articoli per difendersi dalle bugie della cultura dominante: televisioni, giornali, internet, scuola, ecc. Non dipendiamo da partiti politici, né da lobby di potere. Soltanto vogliamo pensare con la nostra testa, senza paraocchi e senza pregiudizi! I titoli di tutti gli articoli sono redazionali, cioè ideati dalla redazione di BastaBugie per rendere più semplice e immediata la comprensione dell'argomento trattato. Possono essere copiati, ma è necessario citare BastaBugie come fonte. Il materiale che si trova in questo sito è pubblicato senza fini di lucro e a solo scopo di studio, commento didattico e ricerca. Eventuali violazioni di copyright segnalate dagli aventi diritto saranno celermente rimosse.