BastaBugie n�159 del 24 settembre 2010

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1 CORRADO AUGIAS SU REPUBBLICA ACCUSA IL PAPA DI ESSERE LONTANO DAI PROBLEMI REALI
Ma è lui in realtà a non aver capito (ecco l'illuminante esempio di John Wayne)
Autore: Roberto Colombo - Fonte: ilsussidiario.net
2 IN ITALIA CHI E' CONTRO L'ABORTO E' ORMAI DIVENTATO POLITICAMENTE E CULTURALMENTE INSIGNIFICANTE
Ecco ciò che tutti sanno, ma nessuno dice, sul Movimento per la Vita in Italia
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio
3 L'IMPOSSIBILE INTEGRAZIONE DELL'ISLAM SECONDO IL BEATO CHARLES DE FOUCAULD
La testimonianza insospettabile di chi ha consacrato la sua vita al dialogo con i musulmani
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
4 VA AVANTI SENZA INDUGIO LA RIVOLUZIONE DI ZAPATERO: ANCHE LE LESBICHE POSSONO ACCEDERE ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il diritto dei figli ad avere un padre e una madre viene sacrificato in nome di un falso diritto: quello di due donne ad avere un figlio
Fonte: Corrispondenza Romana
5 DISEGNO' UN FANTASMA E SUO PADRE FINI' IN GALERA ACCUSATO DI PEDOFILIA... MA ERA INNOCENTE
Dopo tre anni di carcere, è stato assolto, ma la piccola è stata data lo stesso in adozione
Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: Avvenire
6 ATTACCO A BENEDETTO XVI: ACCUSE, SCANDALI, PROFEZIE, COMPLOTTI, ECC.
Dal discorso di Ratisbona all'accusa dei preti pedofili
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
7 LETTERE ALLA REDAZIONE: ORMAI L'ABORTO E' BANALE COME COMPRARE PROSCIUTTO E MELONE
Eppure il Giuramento di Ippocrate (prima del cristianesimo) era contro aborto ed eutanasia
Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie
8 OMELIA PER LA XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 16,19-31)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CORRADO AUGIAS SU REPUBBLICA ACCUSA IL PAPA DI ESSERE LONTANO DAI PROBLEMI REALI
Ma è lui in realtà a non aver capito (ecco l'illuminante esempio di John Wayne)
Autore: Roberto Colombo - Fonte: ilsussidiario.net, 10 settembre 2010

Nella sua rubrica su La Repubblica, rispondendo ad una lettera, ieri Corrado Augias titola che “Il Vaticano è lontano dai problemi reali”. Il riferimento è al messaggio del Papa per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, già oggetto di incomprensioni e critiche da parte della stampa. Il commentatore se la prende con quello che chiama «il vero handicap della Chiesa di Roma», ossia «il distacco dai problemi reali» della gente (in questo caso, dell’occupazione giovanile), e, con tono da professore dinnanzi ad uno suo studente, asserisce che «questo Papa continua ad esprimersi male» (ecco il motivo per il quale non lo comprendono, lo fraintendono).
Così facendo, gli sfugge, però, la questione centrale sollevata dal lettore del quotidiano nella sua lettera. Una questione seria, che avrebbe richiesto una risposta adeguata. «Non capisco perché il desiderio di un impiego sicuro, della possibilità di formare una famiglia, di crescere dei figli, di avere una casa, debba essere messo in relazione col fatto che la cultura attuale tende a escludere Dio», scrive Francesco Ribeiro.
Una domanda, questa, che costituisce la chiave di lettura corretta del pensiero di Benedetto XVI. Evaderla significa porsi in una prospettiva di estraneità con lo spirito e la lettera del Papa, collocarsi nella posizione più favorevole per non comprendere le sue parole.
In un famoso film western, John Wayne fa dire al personaggio da lui interpretato, che non rinunciava a lottare contro le avversità della vita che si accanivano su di lui: «Bisogna pur avere una ragione per alzarsi alla mattina». Una società la cui cultura dominante esclude dall’orizzonte della vita il Mistero, ciò di cui tutto è fatto e a cui tutto tende, non favorisce la scoperta di una ragione per la quale alzarsi al mattino.
O, meglio, lascia che a decidere di ogni nuova giornata – se la affronteremo con tenacia o se ci lasceremo sopraffare dalle circostanze che ci incalzano – siano la nostra reattività, l’istintualità, la stanchezza, la noia o la paura di vivere (una tendenza, questa, particolarmente accentuata nei giovani, le cui difese immunitarie contro i “nemici” della loro vita sembrano essere sempre più deboli, quasi neutralizzate dai raggi invisibili di una sorgente radioattiva diffusa nell’ambiente). Senza una ragione adeguata non si combatte, ci si arrende senza neppure l’onore delle armi.
Il Papa sa bene di che stoffa sono fatti i “problemi reali” dei giovani: lo studio, il lavoro, la casa, la famiglia, i figli e la loro educazione non gli sono sconosciuti. Egli conosce la “fatica del vivere”, ma sa che questa fatica – che non può essere eliminata dalla vita (neppure Gesù è venuto per liberarci da essa!) – la si può affrontare con dignità e coraggio, fino a uscirne da vincitori, solo se un giovane ha la coscienza dello scopo della vita, del suo senso, e, dunque, del senso anche della battaglia che ogni giorno deve affrontare («militia est vita hominis super terram», la vita è una continua battaglia, dice la Bibbia).
Se manca lo scopo per cui combattere, i giovani (e gli adulti) rinunceranno presto alla lotta per lo studio, per il lavoro, per trovare una casa, per mettere su famiglia, per generare i figli e per educarli. E, così, sarà più facile al potere schiacciarli o emarginarli, illudendoli con vuoti discorsi politici, per poi deluderli voltato l’angolo della storia, impunemente, sapendo che essi non troveranno in loro stessi la forza per lottare contro di esso, per affermare ciò che hanno a cuore, ciò di cui è fatto e per cui è fatto il loro cuore.
«La secolarizzazione – ha affermato Benedetto XVI due anni fa –, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell'umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall'esistenza e dalla coscienza umana». E, senza Dio, non è presente lo scopo per cui vale la pena vivere. Nessuno come i giovani cerca potentemente nella propria vita la bellezza, il bene, la giustizia, la pace, l’amore, la felicità, come scopo del loro essere e del loro agire.
Il lavoro come lo studio, la famiglia, la casa e l’impegno sociale sono in funzione di questo desiderio. Questa domanda rimane accesa, viva, se non si censura la possibilità di una risposta ultima ad essa, che da sempre l’uomo chiama Dio. Il Papa non è lontano dai “problemi reali” dei giovani, è più vicino ad essi – vi è “dentro”, al cuore di essi – più di chiunque altro. Ha la lucida consapevolezza che per affrontarli occorre andare alla loro radice, che è il cuore. Una radice con non delude, non tradisce mai.
«La cultura attuale, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio», dice. Ma ogni tentativo di soluzione dei problemi dei giovani non può essere costruito sulla negazione che una risposta al loro cuore esista, e che essa si sia fatta conoscere, anzi incontrare, in una forma umana, accessibile ad essi: Gesù Cristo.

Nota di BastaBugie:
Per vedere i due interessanti video "Cos'è una GMG?" e "Come sarà la GMG in Spagna?" oppure per partecipare alla GMG con gli Amici del Timone vai a http://www.timone.splinder.com/tag/gmg+2011+in+spagna

2° Nota di BastaBugie:
Per leggere il messaggio intero del Papa ai giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011 a Madrid vai a http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20100806_youth_it.html

Fonte: ilsussidiario.net, 10 settembre 2010

2 - IN ITALIA CHI E' CONTRO L'ABORTO E' ORMAI DIVENTATO POLITICAMENTE E CULTURALMENTE INSIGNIFICANTE
Ecco ciò che tutti sanno, ma nessuno dice, sul Movimento per la Vita in Italia
Autore: Francesco Agnoli - Fonte: Il Foglio, 16/09/10

Il Movimento per la Vita in Italia è fermo. Ingessato. Quasi inesistente. Mi spiego meglio. Non che manchino persone valorose, coraggiose, con idee e buona volontà. Ci sono, qua e là. Neppure mancano volontarie e volontari attivissimi, straordinari, che rendono il loro servizio, ogni giorno, nei Centri aiuto alla vita, dando speranza e salvando molti bambini dalla morte. Quello che manca è un movimento culturale perla vita forte, che sappia intervenire, dire la propria nel dibattito pubblico, quando se ne parla, sui giornali, in televisione. nelle strade. Chi lo ha mai visto? Si parla ormai da anni di bioetica, e il Movimento per la Vita in quanto tale dimostra la sua estrema debolezza. Perché? Perché in America, ma anche in altri paesi europei, il mondo pro life appare più attivo, dinamico, giovane? Anzitutto vi è un motivo di carattere generale: da troppi anni il mondo cattolico fatica a capire l'importanza di una battaglia perla vita.
Già all'epoca della legge 194 e poi del referendum, il mondo pro life italiano era diviso, ma soprattutto, solo. Erano gli anni in cui buona parte delle gerarchie ecclesiastiche e del mondo cattolico "progressista" ritenevano inutile e perdente la battaglia. In cui vigeva l'idea secondo cui è meglio "cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide", che significò poi farsi da parte, per non disturbare. Per tanti anni nello stesso mondo cattolico certi temi sono stati tabù. Essere del Movimento per la Vita significava rimanere emarginati, guardati come dei matti, residui del passato, non solo rispetto alla cultura radicale e di sinistra, ma anche nel mondo cattolico stesso. Il concetto di "valori non negoziabili" non godeva buona stampa: tutto nel clima del post Concilio permanente sembrava negoziabile, anzitutto a molti cattolici. Perché litigare su queste questioni "marginali", si diceva. "Altri sono i problemi"... Oggi che ci troviamo nell'inverno demografico più nero, forse qualcuno si ricrede... Oggi, grazie al referendum sulla legge 40, promosso dai Radicali, e all'azione di personaggi come il cardinale Camillo Ruini e Dino Boffo, in campo cattolico, e Giuliano Ferrara in campo laico, qualcosa sta cambiando. Ma i problemi del Movimento per la Vita italiano rimangono, e sono enormi. Mi permetterò di elencarne alcuni, anche se so che scontenterò molti, anche amici, che mi rimprovereranno di non aver capito, oppure di aver detto cose in parte giuste, ma da tener segrete, "tra di noi". Eppure, dopo averle sentite e risentite, viste e riviste, a me sembra che occorra dirle. Oportet ut scandala eveniant, se gli scandali non sono fini a se stessi, ma servono a rilanciare un dibattito ormai sepolto, e a portare linfa nuova, vitalità nuova.
Il primo di questi motivi interni è sicuramente una presidenza troppo lunga, Lungi da me negare a Carlo Casini i suoi meriti. Non ritengo però possibile che certe cariche diventino quasi vitalizie, senza conseguenze per tutti. L'attuale presidente del Movimento è in carica da ben 20 anni, cioè dal lontano 1991. Le presidenze troppo lunghe, inevitabilmente, soffocano l'attività, paralizzano l'innovazione e la creatività. Anzitutto perché si crea intorno a esse un nocciolo duro che tende a perpetuarsi e a escludere nuove forze e nuove soluzioni. In secondo luogo perché anche la persona più brillante del mondo non può avere, dopo tanti anni, la voglia, lo slancio, le idee, il tempo, dei primi anni. Soprattutto se l'età avanza e le cariche, numerose, si sovrappongono. Soprattutto se colui che riveste quel ruolo, invece di delegare il più possibile, per creare sinergie e responsabilizzare nuove persone, accentra il più possibile. L'altro problema della presidenza attuale è poi la sovrapposizione tra la militanza pro life e l'appartenenza a un partito (sovrapposizione che per esempio Paola Binetti ha evitato, dimettendosi da presidente di Scienza e Vita prima di entrare in politica, o che si potrebbe comunque scongiurare dimettendosi dalla politica, qualora da lì si provenga, una volta eletti presidenti del MpV). In primo luogo, infatti, non sembra realistico poter svolgere nel contempo i compiti tanto gravosi di presidente del Movimento per la Vita italiano e di europarlamentare. In secondo luogo perché l'appartenenza a un partito limita inevitabilmente la libertà d'azione e di parola che dovrebbe caratterizzare un incarico così delicato come quello di guida dei pro life italiani.
Recentemente per esempio l'Udc, partito in cui milita Carlo Casini, si è schierato a fianco della Bonino piemontese, Mercedes Bresso, senza che la posizione del presidente del MpV risuonasse forte e sicura: non possumus! Analogamente Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, ha recentemente dichiarato che i pro life italiani si sarebbero sbagliati a prendere la posizione che presero nel 1981, senza che Carlo Casini contraddicesse pubblicamente il suo superiore di partito, al fine di tutelare l'onore di chi non ritiene assolutamente vere le parole del politico-filosofo ondivago per eccellenza. In terzo luogo l'appartenenza del leader del MpV italiano a una fazione, limita la sua stessa capacità di manovra, che dovrebbe essere invece a 360 gradi: come chiedere un appoggio a destra e a manca, se colui che chiede è già schierato? In questo campo, purtroppo, le appartenenze politiche vengono spesso prima della battaglia per il bene e la verità. Infine, l'ultimo inconveniente della sovrapposizione tra politica e presidenza del Movimento, sta nella mentalità che può (non che deve) venirsi a creare. Uno dei problemi principali del MpV italiano è infatti che ha cessato di portare avanti battaglie di testimonianza, culturali, capaci di attrarre ed educare i giovani agli altissimi valori del rispetto della vita. La battaglia pro life è divenuta quasi esclusivamente, con l'appoggio dì qualche ecclesiastico molto politicante, un affare di politica e di parlamenti: incontri tra Casini, qualche vescovo e altri politici di alto rango. Senza coinvolgere più di tanto il movimento stesso: "Ce la vediamo noi". In questi incontri, alla fine, si è spesso ragionato da politici: io cedo qui, tu cedi là... così di compromesso in compromesso si è dimenticato che alle nuove leve, alle generazioni che crescono, il Movimento non deve dare solo leggi che siano il "meno peggio possibile", ma anche valori non negoziabili, verità complete per cui valga veramente la pena battersi. Il Pontefice Benedetto XVI lo ha fatto capire in molte occasioni, e difficilmente certe posizioni del MpV oggi possono dirsi compatibili con documenti magisteriali assai chiari e ben poco "diplomatici" (vedi l'"Evangelium vitae" e la "bonum vitae"). Pensiamo al movimento pro life americano: è forte perché accanto alla strada della politica, che ci vuole, che non va trascurata, non cessa di dire tutta la verità, e nient'altro che la verità (almeno per un pro life). Invece in Italia accade che proprio nel MpV questa mentalità abbia portato a dissociazioni mentali inconcepibili. Mi è capitato di sentire: "Si, è vero, hai ragione a dire così, ma ora è politicamente inopportuno dirlo, come ha spiegato bene Casini". Portare la battaglia quasi solo nel campo della mediazione politica ha generato un ulteriore indebolimento: perché la mediazione politica la può perseguire soltanto qualcuno, soltanto chi rappresenta il movimento ai suoi vertici. Ecco così immobilizzata la base, ma anche il resto della dirigenza. Mentre si consumavano mediazioni qui e incontri pre parlamentari là, dibattiti col vescovo di turno e col politico di turno, quasi sempre a opera di un solo interlocutore, il presidente nazionale, o qualche suo beniamino, il pro lite medio non poteva che dirsi: "E io che faccio?". E così il pro life di tutti i giorni, magari del movimento da anni e anni, si è trovato quasi senza possibilità di agire, senza supporto.
Lo dimostrano tantissimi fatti. Uno per tutti. In tanti anni dall'interno dei Movimento per la Vita non sono sorti né pensatori né opere pro life di rilievo. Anche i movimenti si sono fatti portatori sempre e soltanto delle stesse pubblicazioni, se possibile del presidente e solo sue. Non si sono valorizzati i giovani, non si sono valorizzate le penne abili, gli oratori interessanti e carismatici, con il risultato che alla fine girano sempre le solite, le medesime facce (o i più generosi o i più "carrieristi"), Eppure, compito della guida di un movimento è anzitutto creare spazi per altri, che possano proseguire la battaglia intrapresa. E' creare una classe dirigente valida, il più possibile ampia e capace. Tanto altro ci sarebbe da dire, ma voglio concludere con ciò che a mio avviso ha fatto traboccare il vaso: il continuo stillicidio di espulsioni dal movimento (come se ci si potesse permettere di farlo). Negli anni ho visto lasciare personalità e intelligenze troppo numerose e troppo importanti: Angelo Francesco Filardo, Maria Paola Tripoli, Mario Palmaro e tanti altri della direzione nazionale. Ho visto molte persone che avrebbero potuto essere valorizzate per la loro intelligenza, farsi piano piano da parte, perché quasi si temeva facessero ombra. Ma la cosa più grave è che proprio in questi giorni scade l'ultimatum lanciato dalla direzione centrale del MpV a personaggi che sono la storia del movimento stesso (benché nelle rievocazioni ufficiali siano stati cancellati, come ai tempi di Stalin, quando si sbianchettavano le foto). Mi riferisco all'alternativa che è stata imposta dalla presidenza nazionale ad alcuni membri del MpV italiano: o rinnegate "Verità e vita" - un altro gruppo pro life italiano - o uscite dal movimento. Scomunicati latae sententiae. L'assurdo è che questo ultimatum è stato lanciato contro personaggi come Mario Paolo Rocchi, Silvio Ghielmi e Giuseppe Garzone. Il primo è stato nientemeno che socio fondatore del primo Centro aiuto alla vita in Italia, a Firenze nel 1975; socio fondatore del MpV, suo primo tesoriere ai tempi dell'autonomia finanziaria e coideatore del progetto Gemma, una delle più nobili attività concrete del movimento.
Il secondo, Silvio Ghielmi, è stato cofondatore e per anni gestore di tale progetto. Il terzo, Giuseppe Garrone, è stato anch'egli cofondatore del progetto, fondatore del numero verde SOS Vita, e riscopritore della Ruota degli esposti. E' la direzione attuale del movimento che decapita parte essenziale della sua storia. Come già accadde con la messa in disparte, poco gentile, del fondatore e primo presidente, Francesco Migliori. Per un pro life medio, di tutti i giorni, è veramente troppo. Per cui non può che auspicare il ritorno di un po' di democrazia interna, vera. Per dirla in breve: ci vorrebbero meno personalismi, e le primarie, per rilanciare un movimento qua e là eroica, ma nel complesso agonizzante.

Fonte: Il Foglio, 16/09/10

3 - L'IMPOSSIBILE INTEGRAZIONE DELL'ISLAM SECONDO IL BEATO CHARLES DE FOUCAULD
La testimonianza insospettabile di chi ha consacrato la sua vita al dialogo con i musulmani
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 28 agosto 2010

Il Beato Charles de Foucauld (1858-1916) si è consacrato a lungo – prima di essere ucciso a Tamanrasset, in Algeria, nel 1916 – a testimoniare la fede cattolica presso i musulmani con la comprensione, l’amicizia e la testimonianza. Nessuno lo ha mai accusato di “islamofobia” preconcetta. La sua opinione sulla possibilità che un musulmano, rimanendo musulmano, possa diventare “veramente francese” (o tedesco, o europeo) è dunque insieme autorevole, perché deriva da una lunga esperienza dell’islam, e insospettabile.
Trascrivo la parte centrale di una lettera inviata da Tamanrasset al suo futuro biografo René Bazin (1853-1932) il 29 luglio 1916, pubblicata in Bulletin du Bureau catholique de presse, n. 5, ottobre 1917 e riprodotta in numerose opere biografiche sul Beato. Certamente nelle opere del Beato si trovano alte espressioni di amicizia e di stima nei confronti di musulmani, apprezzamenti per espressioni specifiche della cultura islamica ed esortazioni alla pazienza e alla carità nei loro confronti.
Esse - a scanso di equivoci - sono del tutto in linea con il Magistero della Chiesa e assolutamente condivisibili, ma non sono affatto in contraddizione con questo lucido giudizio, il quale tratta della diversa questione della possibilità di una vera e piena integrazione di un musulmano che rimanga musulmano nella cultura europea. È chiaro che si tratta qui della questione culturale dell'integrazione, a sua volta diversa dalla gestione politica di un "islam francese" (o italiano) cui le autorità pubbliche oggi sono comunque chiamate a fronte della presenza in Europa di un gran numero di musulmani. Questo testo è in qualche modo “l’ultima parola” del Beato sulla delicata questione dell’integrazione, essendo stato scritto sei mesi prima del suo martirio.
Nella corrispondenza con Bazin egli considera sbagliata “ogni politica che non miri a convertire i musulmani” alla vera fede cattolica, e ritiene che solo questa conversione possa trasformare “veramente” un musulmano in francese.
È anche interessante notare che nella stessa corrispondenza il Beato spiega che il passaggio dei musulmani al laicismo e al libero pensiero, “quello della Turchia”, non è una soluzione: ne nascerà “una élite che avrà perso ogni fede islamica ma che ne manterrà la prassi per potere attraverso questa influenzare le masse”; alla fine questa élite post-musulmana “si servirà dell’islam come di una leva per sollevare la massa” e attaccare l’Occidente. Far diventare i musulmani laicisti – la “soluzione turca” – dunque secondo il Beato non serve. Occorre senza reticenze proporre loro la conversione al cattolicesimo.
Ecco dunque la parte centrale della lettera del 29 luglio 1916:
“I musulmani possono diventare veramente francesi? In via eccezionale, sì; ma in maniera generale, no. Molti dogmi fondamentali della religione islamica vi si oppongono. Con alcuni di questi vi possono essere degli accomodamenti; ma con uno, quello del mahdì, non c'è spazio di mediazione.
Ogni musulmano (non parlo dei liberi pensatori nati musulmani e che hanno perso la fede) crede che, all'arrivo del giudizio finale, arriverà il mahdì che dichiarerà la guerra santa e stabilirà l'islam su tutta la Terra, dopo aver sterminato o sottomesso tutti i non musulmani. All'interno di questa visione di fede, il musulmano considera l'islam come la sua vera patria e ritiene che i popoli non musulmani siano destinati, presto o tardi, ad essere sottomessi da lui, o al massimo dai suoi discendenti.
 Se è governato da una nazione non musulmana, egli considera questa situazione come una prova passeggera; la sua fede lo rassicura che ne uscirà e trionferà su coloro che al momento lo tengono sottomesso. La saggezza lo incita a subire questa sua prova con calma: “l’uccello preso in trappola che si dibatte perde le piume e si spezza le ali; ma se rimane tranquillo si ritroverà integro nel giorno della sua liberazione”, dicono. Per questo, i fedeli islamici possono preferire una nazione a un'altra, possono preferire la sottomissione ai francesi piuttosto che ai tedeschi, perché sanno che i primi sono più accondiscendenti; possono essere affezionati a questo o a quel francese, come si è affezionati a un amico straniero; si possono battere con grande coraggio per la Francia, con sentimento d'onore e carattere guerriero, con spirito di corpo e fedeltà di parola, come i soldati di ventura del XVI e XVII secolo.
Ma, in un senso più generale e salvo eccezioni individuali, finché sono musulmani, essi non saranno francesi, perché attenderanno, più o meno pazientemente, il giorno del mahdì, quando sottometteranno la Francia.
Da questo deriva il fatto che i nostri algerini musulmani sono così poco interessati a domandare la nazionalità francese: perché chiedere di far parte di un popolo straniero che, essi lo sanno, in futuro verrà irrimediabilmente sconfitto e sottomesso da quella stessa nazione alla quale loro stessi oggi appartengono?”.

Fonte: Cesnur, 28 agosto 2010

4 - VA AVANTI SENZA INDUGIO LA RIVOLUZIONE DI ZAPATERO: ANCHE LE LESBICHE POSSONO ACCEDERE ALLA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il diritto dei figli ad avere un padre e una madre viene sacrificato in nome di un falso diritto: quello di due donne ad avere un figlio
Fonte Corrispondenza Romana, 4/9/2010

La rivoluzione iniziata in Spagna nel 2004 con l’elezione del socialista José Luis Rodriguez Zapatero non sembra destinata a fermarsi. A solo un mese dalle sconcertanti rivelazioni del quotidiano “L’Avvenire” che, in un articolo del 23 luglio, denunciava l’operato di una clinica spagnola impegnata nella “donazione” di embrioni congelati senza il consenso dei genitori biologici, il Partito Socialista Spagnolo ha presentato una nuova proposta.
Il partito del Premier sembra essersi reso conto della presenza di una, a sua vista, discriminazione nel testo della legge (risalente al 2006) che regola la riproduzione assistita. La legge, nel delineare le linee guida della donazione di ovuli fecondati, stabilisce che queste debbano svolgersi esclusivamente tra “marito e moglie”. Due termini, secondo i socialisti, eccessivamente desueti e discriminatori, insieme a quello – presente nella normativa in vigore – di “paternità”. Questi dovrebbero essere sostituiti dai più neutri “coniugi” e “filiazione”. L’ adeguamento di alcuni termini della norma non ha, ovviamente, uno scopo erudito o linguistico.
Poiché la legge prevede esplicitamente la presenza di un uomo e una donna per intraprendere un trattamento di riproduzione assistita, questo non viene infatti mai concesso nelle cliniche spagnole a coppie lesbiche, considerate vittima di una ingiusta “discriminazione”. La proposta socialista permetterebbe quindi a tali coppie – formate da indefiniti “coniugi” – di poter impiantare in una delle due partner un ovulo fecondato da un donatore a loro esterno e anonimo. L’unico, autentico diritto, ovvero quello dei figli ad avere un padre e una madre, verrebbe così sacrificato in nome di un falso diritto: quello di due donne omosessuali ad avere un figlio.

Fonte: Corrispondenza Romana, 4/9/2010

5 - DISEGNO' UN FANTASMA E SUO PADRE FINI' IN GALERA ACCUSATO DI PEDOFILIA... MA ERA INNOCENTE
Dopo tre anni di carcere, è stato assolto, ma la piccola è stata data lo stesso in adozione
Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: Avvenire, 10 luglio 2010

Raffaella Lucanto, mamma di Angela, mi guarda fisso e mi porge carta e penna. «Mi disegni un fantasma». La penna sul foglio sale, poi arrivata in alto si incurva e scende sinuosa come un lenzuolo... «Basta così. Lei per questo è già in galera ». Non esagera: così è iniziata la tragedia che per suo marito Salvatore ha significato 2 anni e mezzo di carcere da innocente, e per la figlia Angela una reclusione ancora più dolorosa, durata dieci anni. Un rapimento vero e proprio, eseguito non da una banda criminale ma da quella che chiamiamo 'giustizia'.
CHE COSA È SUCCESSO QUEL 24 NOVEMBRE 1995?
Angela, che aveva 7 anni, era a scuola, serena come sempre. Entrarono in classe due carabinieri e un’assistente sociale e la prelevarono. A noi non dissero nulla: il pomeriggio andai a prenderla al pullmino e non c’era. Immagini la nostra angoscia, ma soprattutto la paura della bambina, non sapeva perché l’avessero portata in un posto con le sbarre, dove passavano notti e giorni e di mamma e papà non otteneva notizie. Le dicevano che il papà le aveva fatto brutte cose e che solo se lei lo avesse ammesso sarebbe tornata a casa. Ma quelle brutte cose non erano mai avvenute e Angela, che ha sempre avuto un carattere di ferro, non si piegava. Finché una delle zelanti psicologhe che collaboravano con il pm con il compito di 'far parlare' la bambina non le chiese di disegnare un fantasmino e lei lo fece proprio così... Fu interpretato come simbolo fallico e mio marito il 26 gennaio alle 5 del mattino fu trascinato a San Vittore. Non capivamo cosa stesse accadendo, eravamo certi che in poche ore l’equivoco si sarebbe chiarito, invece restò in cella due anni e mezzo.
MA COME NACQUE QUESTA FOLLIA?
Una cuginetta di 14 anni, molto disturbata (poi finì in un ospedale psichiatrico ed è tuttora in cura) aveva accusato il proprio fratello di molestie. Poi man mano aveva allargato la cerchia, tirando dentro i suoi stessi genitori, due fratelli, mio marito, altri parenti e persino uno zio di mio marito che non aveva mai visto e che viveva in America... ma secondo i suoi racconti tutti i fine settimana era in Italia e partecipava alle orge. Non ce l’ho con lei, era malata, il guaio invece è che un pm le ha creduto.
CHI ERA QUESTO PUBBLICO MINISTERO?
Pietro Forno. Non lo avevo mai sentito nominare prima, ora so che è molto noto per il cosiddetto 'metodo Forno': si interrogano i bambini, li si sottopone a psicologi e assistenti sociali, li si toglie alle famiglie anche senza prove, e tocca al presunto colpevole riuscire a dimostrare la propria innocenza. La posizione di mio marito si aggravò quando la cuginetta di colpo si inventò che oltre a lei violentava pure Angela. Infine il disegno del fantasma divenne la 'prova schiacciante' e Salvatore fu condannato a 13 anni.
MA IN SECONDO GRADO E POI IN CASSAZIONE LA SUA COMPLETA INNOCENZA FU OVVIAMENTE RICONOSCIUTA: TANTE SCUSE, CI SIAMO SBAGLIATI...
Fu assolto, sì, ma senza scuse. Ancora aspetto che il pm Forno venga a chiedere perdono per aver distrutto la nostra famiglia, soprattutto la vita di Angela. Dal giorno in cui fu prelevata a scuola non l’abbiamo più vista per dieci anni. Immagini l’inferno di due genitori e pensi a cosa avrà vissuto quella bambina, prima sbattuta al Caf, il Centro di Affido familiare, poi, dopo che io mi incatenai al di fuori perché me la restituissero, trasferita a sirene spiegate e di nascosto al Kinderheim di Genova, da dove tentò persino di evadere, infine data in adozione a una famiglia di Varese. Tenga conto che di tutto questo noi eravamo tenuti all’oscuro: di Angela dalla mattina del 24 novembre 1995 non abbiamo saputo più nulla per un intero decennio.
QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ ATROCE?
Non il giorno del rapimento da scuola, ma quando, nonostante mio marito fosse stato assolto, la pratica di adozione è andata avanti. Per la giustizia lui era innocente, ma la stessa giustizia continuava a nascondere Angela e poi la dava addirittura a nuovi genitori! Un ingranaggio, infernale, assurdo, che non sai come fermare.
OGGI ANGELA È CON VOI. COM’È AVVENUTO L’INCONTRO?
Non avevamo mai smesso di cercarla. In casa non spostavamo nulla, i suoi vestitini da bambina, i suoi giocattoli, tutto era lì ad aspettarla. Nell’estate del 2005 scoprimmo da un documento che la famiglia adottiva la portava al mare ad Alassio, così per settimane io e mio marito abbiamo battuto le spiagge. Chissà com’è diventata, ci chiedevamo, ma appena Salvatore l’ha vista l’ha riconosciuta. Che fatica non correrle incontro.
COSÌ SIETE RIUSCITI A RISALIRE ALLA FAMIGLIA ADOTTIVA.
Ma per mesi abbiamo taciuto, andavamo a guardarcela di nascosto fuori da scuola... Il momento più incredibile è stato quando suo fratello Francesco le ha rivolto la parola per la prima volta: temevamo non ci volesse più, invece ci aspettava da sempre. Appena entrata in casa è andata dritta a cercare le sue cose... Angela aveva 17 anni ed era adottata, le era vietato incontrarci e i magistrati le hanno fatto la guerra, ma appena ne ha compiuti 18 è tornata da noi.
UNA FELICITÀ DIFFICILE DA IMMAGINARE.
La vita di tutti e quattro è ripresa in quel momento, prima c’è una bolla di dolore. Adesso ci resta ancora la fatica di adottarla: per i giudici non è più nostra figlia, ha un altro cognome... E sì che dovrebbero pensarci loro, come risarcimento, invece dobbiamo affrontare tanta burocrazia... Ma non è questa la cosa più paradossale: per il rapimento ci hanno mandato il conto, 60 milioni di lire solo per il primo anno. Il riscatto no, non lo pagheremo!

Fonte: Avvenire, 10 luglio 2010

6 - ATTACCO A BENEDETTO XVI: ACCUSE, SCANDALI, PROFEZIE, COMPLOTTI, ECC.
Dal discorso di Ratisbona all'accusa dei preti pedofili
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 26 agosto 2010

"Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI" (Piemme, Milano 2010) dei vaticanisti Paolo Rodari e Andrea Tornielli non è né una storia né un'analisi sociologica del pontificato di Benedetto XVI. Si tratta invece di eccellente giornalismo, e di una cronaca attenta ai particolari e ai retroscena degli attacchi contro Benedetto XVI, che dal 2006 a oggi ne hanno fatto il Pontefice più sistematicamente aggredito da un'incessante campagna mediatica degli ultimi anni.
Rodari e Tornielli elencano dieci episodi principali, e a proposito di ognuno forniscono dettagli in parte inediti. La prima offensiva contro il Papa inizia con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, il quale contiene una citazione dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425) giudicata da alcuni offensiva nei confronti dell'islam e dei musulmani. Ne nasce una grande campagna contro Benedetto XVI, alimentata sia da organi di stampa occidentali sia dal fondamentalismo islamico, che degenera in episodi violenti. A Mogadiscio, in Somalia, è perfino uccisa una suora.
Già in questo primo episodio l'analisi degli autori mostra all'opera tutti gli ingredienti delle crisi successive. Un buon numero di media, anzitutto occidentali, estrapolano la citazione dal contesto e sbattono la notizia della presunta offesa ai musulmani in prima pagina. Al coro di questi media - secondo elemento, che non va mai trascurato - si uniscono esponenti cattolici ostili al Papa, in questo caso personaggi come l'islamologo gesuita Thomas Michel, rappresentante a suo modo tipico di un establishment del dialogo interreligioso smantellato da Benedetto XVI per il suo buonismo filo-islamico tendente al relativismo. Intervistati dalla stampa internazionale questi cattolici lanciano un "attacco frontale a Benedetto XVI" (p. 26), essenziale per rendere credibili le polemiche della stampa laicista. Ma in terzo luogo Rodari e Tornielli non mancano di rilevare una certa debolezza nel sistema di comunicazione vaticano, molto lento rispetto alla velocità delle polemiche nell'era di Internet e non sempre capace di prevedere in anticipo le conseguenze delle parole più "forti" del Papa, prendendo per tempo le necessarie contromisure.
Tornando però dal discorso di Ratisbona come evento mediatico al discorso di Ratisbona come documento, gli autori riportano l'opinione dello specialista gesuita padre Khalil Samir Khalil secondo cui non si è trattato affatto di una gaffe del Papa bisognosa di correzione, ma di un passaggio integrale e ineludibile in un'analisi sui problemi dell'islam contemporaneo e sulla sua difficoltà a impostare correttamente il rapporto fra fede e ragione. Paradossalmente, rilevano gli autori, queste motivazioni profonde del passaggio sull'islam nel testo di Ratisbona sono state comprese da molti intellettuali musulmani, ma rimangono ostiche o ignorate per la grande stampa dell'Occidente.
Emerge dunque uno schema in tre stadi - errori di comunicazione della Santa Sede, aggressione della stampa laicista, ruolo essenziale di cattolici ostili a Benedetto XVI nel supportare quest'aggressione - che si ritrova in tutti gli altri episodi, con poche varianti. Il ruolo del dissenso progressista appare particolarmente cruciale nelle campagne successive al motu proprio del 2007 Summorum Pontificum, che liberalizza la Messa con il rito detto di san Pio V, e alla remissione della scomunica nel 2009 ai quattro vescovi a suo tempo consacrati da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991). Nel primo caso Rodari e Tornielli descrivono un quadro sconfortante di resistenza di liturgisti, riviste cattoliche, intellettuali con un accesso diretto ai grandi media come Enzo Bianchi ma anche vescovi e intere conferenze episcopali che si agitano, si riuniscono, arruolano la stampa laicista e tramano in mille modi per sabotare il motu proprio. La posta in gioco, notano giustamente gli autori che si riferiscono in particolare a uno studio di don Pietro Cantoni pubblicato sulla rivista di Alleanza Cattolica Cristianità, non è solo la liturgia ma l'interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Chi combatte il motu proprio difende l'egemonia di quell'interpretazione del Vaticano II in termini di discontinuità e di rottura con tutta la Tradizione precedente che Benedetto XVI ha tentato in molti modi di correggere e scalzare.
Il caso della remissione della scomunica ai vescovi "lefebvriani" si è trasformato come è noto nel "caso Williamson". Il Papa è stato oggetto di durissimi attacchi quando è emerso che uno dei quattro vescovi consacrati da mons. Lefebvre, mons. Richard Williamson, è un sostenitore di tesi in tema di Olocausto che negano l'esistenza delle camere a gas e riducono il numero di ebrei uccisi dal nazional-socialismo a non più di trecentomila. Al di là del merito della questione, è evidente che la Santa Sede non condivide queste tesi - lo stesso Benedetto XVI le ha ripetutamente condannate - e che qualunque persona dotata di buon senso sarebbe stata in grado di rendersi conto che un provvedimento in qualche modo favorevole a un sostenitore della posizione "revisionista" sull'Olocausto non avrebbe mancato di scatenare una tempesta mediatica. Il problema, dunque, è quando la Santa Sede è venuta a conoscenza delle tesi di mons. Williamson in tema di Olocausto.
Rodari e Tornielli ricostruiscono la vicenda in modo minuzioso, e concludono che un appunto sul tema era stato indirizzato da vescovi svedesi tramite la nunziatura apostolica in Svezia - il Paese dove nel novembre 2008 mons. Williamson aveva rilasciato a un'emittente televisiva non l'unica ma la più recente e articolata sua intervista sull'argomento - alla Segreteria di Stato, dove era stato sottovalutato nella sua potenziale portata e gestito da funzionari minori responsabili dei rapporti con la Scandinavia. Quando dalla televisione svedese la notizia passa sul settimanale tedesco Spiegel e di lì ai media di tutto il mondo, il 21 gennaio 2009, il decreto di remissione della scomunica non è ancora stato pubblicato, è vero, ma è già stato trasmesso il 17 gennaio ai vescovi "lefebvriani" interessati. Non è dunque più possibile ritirarlo o modificarlo. Secondo gli autori ha tuttavia costituito un errore di comunicazione da parte della Santa Sede non accompagnare immediatamente la pubblicazione, avvenuta il 24 gennaio 2009, con una chiara precisazione sul fatto che la remissione delle scomuniche non ha nulla a che fare con le tesi di Williamson sull'Olocausto, che il Papa in nessun modo condivide. Questa precisazione è venuta solo diversi giorni dopo, dando l'impressione che la Santa Sede si trovasse in imbarazzo e sulla difensiva. Inoltre, come il Papa stesso ha rilevato nella sua lettera dell'11 marzo 2009 sul tema, già prima dell'intervista rilasciata in Svezia le posizioni di mons. Williamson comparivano su diversi siti Internet e "seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l'Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie".
Dalla lettera di Benedetto XVI, notano gli autori, emergono altri due elementi. Il primo è la grandezza d'animo di un Papa che si assume personalmente la responsabilità di ogni errore eventualmente commesso, rompendo con una lunga prassi secondo cui in questi casi ogni colpa è attribuita ai collaboratori. Il secondo è che, pur essendo evidente che al momento della firma del decreto Benedetto XVI non conosceva le posizioni di mons. Williamson sull'Olocausto, anche in questo caso la campagna della stampa laicista ha avuto successo a causa dell'immediato attacco al Papa da parte di noti esponenti cattolici che hanno inteso così "vendicarsi" del motu proprio. Scrive lo stesso Pontefice: "Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco".
I tempi del caso Williamson non sono casuali. Gli autori ricordano come sia stata ipotizzata nella diffusione mondiale delle notizie sul vescovo "revisionista" proprio in concomitanza con la remissione della scomunica la regia di una coppia di giornaliste lesbiche francesi note per le loro campagne anticlericali e per la "vicinanza al Grande Oriente di Francia" (p. 99), cioè alla direzione della massoneria francese, Fiammetta Venner e Caroline Fourest. Secondo Rodari e Tornielli l'intervista svedese con mons. Williamson "non è concordata in precedenza. Il giornalista si presenta al seminario e riesce a ottenere il colloquio con Williamson" (p. 88). Sembra dunque che mons. Williamson non abbia "organizzato" l'episodio. Tuttavia alla data dell'intervista la notizia secondo cui il Papa stava per firmare il decreto di remissione delle scomuniche circolava già su Internet. Gli autori si chiedono chi abbia armato il microfono dell'oscuro giornalista svedese Ali Fegan. Personalmente mi pongo qualche interrogativo anche su mons. Williamson, il quale sapeva certamente dell'imminente remissione delle scomuniche, è notoriamente critico su ogni ipotesi di compromesso con Roma della Fraternità San Pio X di mons. Lefebvre e come minimo si è comportato con il cronista svedese in modo davvero molto imprudente.
Il ruolo dei cattolici progressisti era già emerso in altre due campagne contro Benedetto XVI, particolarmente gravi perché coronate da successo. Due vescovi regolarmente scelti dal Papa avevano dovuto rinunciare alle cariche: mons. Stanislaw Wielgus, nominato primate di Polonia, a causa della scoperta di documenti relativi a una sua collaborazione giovanile con i servizi segreti del regime comunista, e mons. Gerhard Wagner, nominato vescovo ausiliare di Linz, in Austria, contro cui si erano sollevati il clero e anche molti vescovi austriaci a causa di dichiarazioni sulla natura di castigo di Dio dell'uragano Katrina, sul carattere satanico dei romanzi del ciclo di Harry Potter e sulla possibilità di curare l'omosessualità tramite terapie riparative. Come notano gli autori, le opinioni di mons. Wagner su tutti e tre i temi sono condivise da molti nella Chiesa - lo stesso cardinale Ratzinger aveva espresso simpatia nel 2003 per un libro critico su Harry Potter di una studiosa tedesca sua amica, pur ammettendo di non avere letto i relativi romanzi - ma è anche vero che il prelato austriaco le aveva espresse in toni particolarmente accesi.
I due casi, spiegano gli autori, sono meno lontani di quanto sembri a prima vista. Anche mons. Wielgus, per quanto denunciato per la prima volta da "cacciatori di collaborazionisti" di destra, è stato poi attaccato sistematicamente da una stampa polacca che lo avversava non tanto per il suo passato di collaboratore con i servizi segreti comunisti - un passato condiviso da oltre centomila persone in Polonia, tra cui numerosi sacerdoti e diversi vescovi - quanto per il suo presente di vescovo particolarmente conservatore. Se nel caso di mons. Wielgus, che aveva maldestramente cercato di nascondere documenti sul suo passato, l'accettazione delle dimissioni era inevitabile, non si possono non condividere alcune perplessità degli autori sul caso di mons. Wagner. Cedere alle pressioni di una parte del clero e dell'episcopato austriaco - guidato nel caso Wagner da un sacerdote che poco dopo ha ammesso pubblicamente di vivere da anni in una situazione di concubinato - ha innescato in Austria una contestazione globale nei confronti della Santa Sede, in cui sono sempre più apertamente coinvolte le massime gerarchie cattoliche del Paese e che a tutt'oggi non appare risolta.
Nel marzo 2009 con il viaggio del Papa in Africa l'attacco entra in una fase nuova. Sull'aereo che lo porta in Camerun come di consueto Benedetto XVI risponde alle domande dei giornalisti. A un cronista francese che gli pone una domanda sull'AIDS il Papa risponde che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. Il Papa, rilevano gli autori, tecnicamente ha ragione e nei giorni successivi lo confermeranno fior di immunologi: favorendo la promiscuità sessuale e creando una falsa illusione di sicurezza le politiche basate sul preservativo hanno regolarmente aggravato il problema AIDS nei Paesi dove sono state sperimentate. Ma la risposta del Papa occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, facendo ignorare almeno in Europa e negli Stati Uniti i profondi insegnamenti sulla crisi del continente africano - e la puntuale denuncia delle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa: che fosse proprio questo lo scopo?
Non sorprende ormai più la discesa in campo contro il Papa dei soliti teologi progressisti. Ma il fatto nuovo è l'intervento dei governi: Spagna, Francia e Germania chiedono al Papa di scusarsi, al Parlamento Europeo una mozione di censura del Pontefice non passa ma raccoglie comunque 199 voti. In Belgio una mozione analoga è invece votata dal Parlamento e provoca una dura risposta vaticana, innescando una crisi diplomatica senza precedenti tra i due Paesi che prepara gli atteggiamenti maneschi della polizia belga nella successiva vicenda dei preti pedofili.
Due attacchi citati da Rodari e Tornielli sono interessanti perché non vengono "da sinistra" ma "da destra", e mostrano che anche persone di solito rispettose sono indotte dal clima generale a usare nei confronti del Papa e dei suoi collaboratori un linguaggio che in altri tempi non si sarebbero permesso. Si tratta delle critiche di un mondo cattolico conservatore in tema di economia all'enciclica Caritas in veritate del 2009, giudicata da studiosi statunitensi come George Weigel e Michael Novak ingiustamente ostile al modello di capitalismo prevalente negli Stati Uniti, e delle polemiche sul terzo segreto di Fatima e sull'asserita esistenza di una parte del testo tenuta ancora segreta dal Vaticano. Sul merito si può certo discutere - anche se sull'enciclica gli studiosi americani sembrano soprattutto stizziti per non essere stati consultati, com'era invece avvenuto per testi di Giovanni Paolo II - ma il tono e i veleni sono comunque segnali di un clima malsano.
La stessa apertura agli anglicani che, delusi dalle aperture della loro comunità al sacerdozio femminile e al matrimonio omosessuale, tornano a Roma, se è avversata "da sinistra" come pericolosa per l'ecumenismo - ma quale ecumenismo è possibile con chi celebra in chiesa matrimoni gay? - è attaccata anche "da destra" perché, prevedendo percorsi di accoglienza nella Chiesa Cattolica di sacerdoti anglicani sposati, sembra compromettere la difesa del celibato. Anche qui quella che è più grave è l'incomprensione del carattere globale dell'attacco al Papa da parte di certi sedicenti "conservatori", che gettano benzina anziché acqua sul fuoco.
Le altre nove crisi impallidiscono comunque di fronte alla decima, relativa ai preti pedofili. Dal momento che gli autori citano ampiamente e riprendono materiale dal mio libro Preti pedofili (San Paolo, Cinisello Balsamo 2010), sostanzialmente condividendone l'impostazione, forse non debbo qui riassumere l'ampia sezione del libro dedicata al tema e posso permettermi di rimandare al mio testo. Il libro di Rodari e Tornielli ribadisce, contro le critiche assurde che purtroppo sono venute anche da vescovi e cardinali, quanto anch'io ho sottolineato: se c'è stato nella Chiesa un prelato durissimo nei confronti dei preti pedofili, tanto da essere accusato di violare il loro diritto alla difesa e di essersi scontrato sul punto con numerosi colleghi vescovi, questi è stato il cardinale Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Presentarlo al contrario come tollerante sul punto è semplicemente ridicolo, eppure trova talora credito tra i lettori meno informati dei quotidiani.
Semmai gli autori si chiedono se gli ostacoli che il cardinale Ratzinger ebbe a incontrare negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II - quando le sue richieste di ancor maggiore severità non sempre furono accolte - non gettino un'ombra sul grande Papa polacco e non rischino perfino di compromettere la sua causa di beatificazione. In effetti nella causa in corso il problema è stato affrontato. Ma si è concluso, giustamente, che taluni freni all'opera del cardinale Ratzinger risalgono agli ultimi anni del pontificato wojtyliano, quando Giovanni Paolo II, sempre più gravemente malato, non seguiva più personalmente queste vicende delegandole a collaboratori cui vanno dunque girate eventuali critiche.
In conclusione Rodari e Tornielli si chiedono se si possa parlare di un complotto contro il Papa, citando varie opinioni tra cui la mia in un'intervista che ho loro rilasciato specificamente per questo volume. La loro conclusione è che ci siano in atto tre diversi attacchi a Benedetto XVI da parte di tre diversi nemici. Il primo è costituito dalla galassia di lobby laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia. Questa galassia, troppo complessa perché si possa ritenere che risponda a una sola regia, dispone però grazie alle nuove tecnologie dell'informazione di un potere che nessun altro nemico della Chiesa ha avuto nell'intera storia umana e vede nel Papa il principale ostacolo alla costruzione di una universale dittatura del relativismo in cui Dio e i valori della vita e della famiglia non contano. Un ostacolo che dev'essere spazzato via a tutti i costi e con ogni mezzo.
Queste lobby hanno successo perché hanno arruolato un secondo nemico del Papa costituito dal progressismo cattolico e da quei cattolici e teologi - tra cui non pochi vescovi - i quali vedono la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio in termini di discontinuità e di rottura con la Tradizione su cui hanno costruito per decenni carriere e fortune. Le interviste ai cattolici progressisti permettono ai media laicisti di rappresentare la loro propaganda non come anticattolica ma come sostegno contro il Papa reazionario che vuole "abolire il Concilio", cioè mettere in discussione il suo presunto "spirito", dal momento che la lettera dei documenti conciliari dai giornalisti anticattolici non è neppure conosciuta e dai loro compagni di strada "cattolici adulti" è giudicata irrilevante.
In terzo luogo, Benedetto XVI ha anche un terzo nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Ci sono "'attacchi' involontariamente autoprodotti a causa delle numerose imprudenze e dei frequenti errori dei collaboratori" (p. 313) del Papa. Gli autori riportano diversi pareri sulla difficoltà di comunicazione della Santa Sede nell'epoca non solo di Internet ma di Facebook e di una telefonia mobile collegata al Web che fa sì che le notizie arrivino a centinaia di milioni di persone - per esempio i cinquecento milioni di utenti Facebook attivi ogni giorno - pochi secondi dopo essere state lanciate e siano archiviate come vecchie dopo qualche ora. Se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore, se a un attacco non si risponde al massimo entro ventiquattr'ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero.
Se tutto questo è vero, le opinioni di chi, intervistato dagli autori, rimpiange il precedente portavoce pontificio, il laico dottor Joaquín Navarro Valls, giudicandolo più scaltro del suo successore gesuita padre Federico Lombardi, possono essere dibattute all'infinito ma forse non vanno al cuore del problema. È il modo di comunicare che è cambiato radicalmente, ed è cambiato dopo la morte di Giovanni Paolo II perché il problema non è Internet ma il numero sempre maggiore di persone - centinaia di milioni, appunto, non piccole élite - che a Internet sono collegate ventiquattro ore su ventiquattro tramite gli smartphone, i netbook o i vari iPad, e hanno un tempo di reazione a richieste o provocazioni che si misura in minuti e non più in ore. Sul punto il libro del giornalista italiano Marco Niada Il tempo breve (Garzanti, Milano 2010) dovrebbe forse essere letto anche da qualche vaticanista.
Benedetto XVI non è inconsapevole di questi attacchi. È molto interessato alle nuove tecnologie e alla necessità di migliorare le strategie di comunicazione della Santa Sede. Ma, concludono Rodari e Tornielli, è anche molto sereno. È disponibile a seguire i problemi che la rivoluzione delle comunicazioni - una rivoluzione forse non meno importante di quella degli anni 1960 in tema di morale e di crisi dell'autorità - pone alla Chiesa, ma non a inseguirli. Insiste sul fatto che la salvezza della Chiesa perseguitata non verrà dalle strategie, dalle diplomazie, dalle tecnologie - per quanto queste siano importanti e non vadano trascurate - ma dalla fedeltà alla preghiera, alla meditazione, al Cristo crocefisso. È probabile che abbia ragione non solo, com'è ovvio, sul piano spirituale ma anche su quello culturale e sociologico, dove alla Chiesa non si chiede d'imitare i modelli dominanti ma di essere se stessa. Non tutti, anche tra i cattolici, sembrano averlo compreso.

Fonte: Cesnur, 26 agosto 2010

7 - LETTERE ALLA REDAZIONE: ORMAI L'ABORTO E' BANALE COME COMPRARE PROSCIUTTO E MELONE
Eppure il Giuramento di Ippocrate (prima del cristianesimo) era contro aborto ed eutanasia
Autore: Giano Colli - Fonte: BastaBugie, 21 settembre 2010

Cara Redazione di BastaBugie,
dopo aver letto l'articolo del numero 158 di BastaBugie dal titolo "Aborto, una tragedia mondiale inimmaginabile", ho riflettuto su alcuni episodi che mi sono capitati in questi giorni.
Credo che la cosa più drastica dell'aborto sia la normalità con la quale se ne parla. Non è un atto che dà scandalo, ma una cosa normale, come prendere una pasticca se si ha mal di testa.
Proprio stamani una mia amica si consultava sull'opportunità o meno di fare l'amniocentesi. Amici, colleghi e conoscenti l'hanno guardata con occhi sgranati: "Ma certo che devi farla! E anche subito, cosi se viene che è down puoi immediatamente abortire e riprovarci in 3/4 mesi".
Lei ha risposto che era dubbiosa perché comunque lei non avrebbe mai abortito e di conseguenza le sembrava assurdo sottoporre il bambino ai rischi dell'amniocentesi. Lei era convinta di non farla, ma all'ospedale le hanno consigliata di farla.
La cosa più carina detta dalla persone che la stavano ascoltando è stata che PECCAVA di un egoismo strepitoso.
"Sei una grande egoista, perché nel caso non vuoi abortire? Hai paura?" "E cosi lasceresti al mondo una creatura destinata ad essere infelice?" "Sei una vigliacca a non volerlo sapere...." " E lasceresti al mondo una persona che rimarrà sola e non autosufficiente, che ti rovinerà la vita e non potrà mai godere di niente?".
Su una ventina di persone nessuno ha dubbi sull'aborto. Nessuno ha dubbi perché mettere al mondo un ragazzo down sarebbe, secondo loro, solo segno di egoismo.
Per i più è un discorso di condanna all'infelicità, per altri un discorso logistico organizzativo per quando non "ci sarai più".
E pensare che qualcuno di questi va a messa tutte le domeniche (e ci sarebbe da domandarsi che fine ha fatto la Provvidenza...).
Al momento in cui io ho detto "Al tuo posto non me lo porrei il dubbio. Io non la farei e basta" sono stata bollata come con "ecco ha parlato quella religiosa".
Lei mi ha detto "Per me è una benedizione del Signore questo bambino e io lo terrei comunque. Però il fatto di essere accusata da tutti di essere egoista mi fa venire i dubbi. Il futuro mi spaventa. Soprattutto perché sono anche i medici ad insinuare anche altri dubbi genetici o di malformazioni varie".
Improvvisamente la probabilità "un down ogni tot gravidanze" diventa quasi una certezza... ti ci fanno pensare, pensare, pensare che diventa quasi un obbligo dover verificare questa elevata probabilità. Ma considerare che il down è un uomo, no? E se sei credente, affidarsi nelle mani del Signore, no?
Qualcuno riesce a capitolare solo di fronte a domande del tipo: "E quando hai avuto la certezza che è bello, sano, perfetto sei sicuro di aver previsto proprio tutto? E se succede qualcosa durante il parto... potrebbero bastare anche solo pochi attimi senza ossigeno. Questo non lo puoi prevedere. Ci hai pensato?" La risposta diventa ovvia: "Ma te ora cosa vai a cercare? Di fronte al destino non si può far niente. Succederà una volta su un milione..."
Ah beh..
Ed è un continuo cosi...un continuo di queste discussioni. Una banale riflessione post visita diventa un incontro tra il "modernissimo" fronte pro amniocentesi e pro aborto e quei fessi "egoisti" che restano soli e abbandonati anche da quelli che dicono di credere.. .
La testimonianza cristiana è davvero diventata più unica che rara.
Si vede anche parlando con le nuove generazioni. La notizia da raccontare è che "quella è rimasta incinta e ha deciso di tenerlo... cosi giovane". Cioè... il fatto che tenga il bambino è un evento che stupisce, il fatto che abbia abortito è normale.
E io continuo a dire ..."beh se quella ragazza era adulta da fare un certo tipo di scelta è adulta anche per assumersene le conseguenze, non siamo adulti o giovani a seconda della convenienza..." ma temo che sia tutto fiato sprecato.
Può bastare? No di certo. Sabato sera ho incontrato una ragazza che dieci giorni fa mi aveva detto di essere incinta. Appena mi ha visto mi ha detto: "ho dovuto interrompere la gravidanza perché c'era un valore sballato. Ci tenevo tu lo sapessi".
Sono rimasta senza parole. Non ho avuto la forza di parlare, la forza di rispondere. Premesso che non conosco bene le circostanze, mi chiedo perché me lo abbia detto per la strada in mezzo a tante persone come se mi avesse detto di aver comprato un etto di prosciutto e un melone.
Se di primo acchito può sembrare indifferenza, la riflessione porta a pensare che lo avesse dentro, che ci fosse sofferenza dietro l'indifferenza, che avesse bisogno di un confronto. Forse non era cosi convinta, anche se li per li mi ha dato l'impressione di una fredda "comunicazione di servizio". Forse manca assistenza, confronto, umanità.. a queste persone che si fanno trascinare dalla mentalità comune, dalla scelta "ovvia"....
A volte basterebbe poco, basterebbe ricordare che tutti siamo stati un embrione. E a chi è credente, si potrebbe dire che ogni figlio è un dono del Signore. E a chi proprio non vuol credere basterebbe ricordare il cuoricino che ha sentito battere durante la prima ecografia per far riflettere... Basterebbe far riemergere i sentimenti... la vera umanità... a scapito della programmazione, della perfezione e della felicità presunta.
Forse almeno noi credenti dovremmo testimoniare ciò in cui crediamo... senza la paura di sentirci condannati per il nostro essere controcorrente.
Benedetta

Cara Benedetta,
condividiamo in pieno le tue preoccupazioni di fronte alla banalizzazione dell'aborto.
Nella battaglia a favore della vita è necessario usare argomenti di ragione con chi non crede e risvegliare la fede nei credenti.
Ai credenti inoltre è bene ricordare che chi compie un aborto (donna, medico e chi collabora attivamente all'aborto) incorre automaticamente nella scomunica. Chi poi è pentito di un atto così grave deve confessare la propria colpa a un vescovo o a un suo delegato, in quanto la remissione della scomunica in questo caso è riservata appunto al vescovo.
In ogni caso è bene notare che un medico cattolico non è contrario all'aborto in quanto cattolico, MA IN QUANTO MEDICO.
Infatti ben prima di Cristo, il medico Ippocrate, scrisse nel famoso giuramento che poi generazioni di medici hanno fatto: "neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto".
Detto per inciso, il giuramento di Ippocrate prevedeva anche una condanna dell'eutanasia prevedendo il solenne impegno "non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale".
Oggi i medici fanno ancora il giuramento di Ippocrate che però è stato modificato storpiandone il significato per permettere ai medici favorevoli ad aborto e eutanasia di non incorrere in contraddizione con quanto giurato.
In conclusione consigliamo a tutti la visione di alcuni filmati comparsi su YouTube,
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DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: BastaBugie, 21 settembre 2010

8 - OMELIA PER LA XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 16,19-31)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 26 settembre 2010)

Il Vangelo di oggi ci presenta la famosa parabola di Lazzaro e del ricco, che tradizionalmente è detto epulone. Nell’antichità romana l’epulone era l’incaricato di preparare il solenne banchetto nell’anniversario della fondazione del tempio di Giove Capitolino. L’uomo ricco della parabola veste di bisso, cioè di finissimo lino molto apprezzato per la sua morbidezza, e ha un mantello di porpora. Sembra che tutto il suo da fare consista nell’imbandire ogni giorno lauti banchetti per gozzovigliare con gli amici tra musica e danze.
Al ricco fa riscontro il povero che, caso unico nelle parabole, ha un nome: Lazzaro, forma breve e popolare di Eleazaro. Vi è questo nome o perché Gesù si riferiva a un personaggio realmente esistito, oppure perché il nome Eleazaro, di cui Lazzaro è un diminutivo, significa “Dio soccorre” e ben si addice al senso della parabola.
Lazzaro apparteneva ai poveri più abbandonati. Ogni giorno veniva posto davanti al portone del palazzo del ricco e lì rimaneva come inchiodato dalle piaghe di cui era ricoperto. Il poveretto della parabola era ridotto a tal punto da non aver la forza per difendersi dai cani randagi che gli leccavano le piaghe. Mentre il ricco banchettava nella grande sala del palazzo, il povero aspettava che gli venissero gettati i resti del cibo, che secondo l’uso i convitati lasciavano cadere sul pavimento. Il Vangelo non dice che il ricco abbia negato a Lazzaro quei resti. Basta però la scena descritta per comprendere l’avarizia di quel ricco.
Fin qui la prima parte della parabola. Ora si apre, per così dire, la seconda scena. Sia il ricco che Lazzaro sono morti. La situazione è però capovolta: Lazzaro è portato dagli angeli in Paradiso, mentre il ricco si trova all’inferno.
Da questa parabola possiamo trarre dei preziosi insegnamenti riguardanti i cosiddetti “Novissimi”, ovvero le ultime realtà che vi sono al termine della nostra vita terrena: morte, Giudizio, inferno e Paradiso. Prima di tutto apprendiamo che già al termine della nostra vita terrena, subito dopo la morte, noi veniamo retribuiti per il bene o il male che abbiamo compiuto, e, come nel caso del ricco epulone, per il bene che non abbiamo fatto. Nel nostro esame di coscienza serale, pensiamo attentamente alle omissioni, a tutto il bene che potevamo fare e non abbiamo fatto per nostra cattiva volontà.
Pensiamo che un giorno verremo giudicati e in quel momento conteranno molto le opere buone che avremo compiuto. Prepariamoci giorno per giorno a questo Giudizio che è una delle pochissime cose certe della nostra vita. Un giorno verremo giudicati! Basterebbe questo pensiero per cambiare radicalmente vita. La cosa più brutta è che non ci pensiamo affatto. Viviamo tranquillamente come se dovessimo rimanere un’eternità su questa terra. Il pensiero del Giudizio è l’inizio della vera sapienza.
Il secondo insegnamento riguarda invece l’irrevocabilità della condizione futura, l’eternità sia dell’inferno che del Paradiso. Il versetto che dimostra questa verità è il seguente: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (Lc 16,26). Pensiamo dunque all’eternità, al fatto che sia la pena che la gloria non avranno mai fine.
Prepariamoci a questo Giudizio invocando ogni giorno la Vergine Maria. Santa Matilde, pensando con tremore al giorno del suo Giudizio, si rivolse alla Madonna, e Lei, la Vergine Santa, fece una meravigliosa promessa a tutti quelli che reciteranno ogni giorno tre Ave Maria per onorare la potenza che il Padre Celeste ha concesso a Maria, la sapienza datale dal Figlio e l’amore donatole dallo Spirito Santo. Tutti quelli che praticheranno questa piccola devozione, con il sincero proposito di vivere da veri cristiani, otterranno la particolare assistenza di Maria al momento della morte.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 26 settembre 2010)

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