BastaBugie n�6 del 07 dicembre 2007

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1 VENEZUELA: IL PRESIDENTE HUGO CHAVEZ MINACCIA LA CHIESA
Bocciata nel referendum la riforma della Costituzione
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: Il Giornale
2 CATASTROFISMO, L'APOCALISSE NON C'ENTRA

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone
3 ENCICLICA SPE SALVI: RISPOSTE ALL’ANSIA DI INFINITO
Quel desiderio di Itaca che svela la felicità vera
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
4 LINK DEL TESTO INTEGRALE DELL'ENCICLICA SPE SALVI

Autore: Benedetto XVI - Fonte:
5 IL DIO DI MICHELANGELO E LA BARBA DI DARWIN

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit
6 INTERVISTA A GIANPAOLO BARRA: IL POPOLO DIMENTICATO DALLA POLITICA

Autore: Massimo Introvigne - Fonte: il Giornale della Libertà
7 LA RISPOSTA DEL PAPA AI 138 FIRMATARI ISLAMICI E AI ...CRISTIANI

Autore: Gabriele Mangiarotti - Fonte: CulturaCattolica
8 OMELIA DELL'IMMACOLATA - ANNO B (Lc 1,26-38)
Rallégrati, piena di grazia
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano

1 - VENEZUELA: IL PRESIDENTE HUGO CHAVEZ MINACCIA LA CHIESA
Bocciata nel referendum la riforma della Costituzione
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: Il Giornale, 26 novembre 2007

« No alla rielezione indefinita del presidente. No alla progressiva trasformazione in uno Stato socialista. No alla sospensione del diritto all’informazione in caso di stato di eccezione». Dopo cinque mesi di polemiche, il Venezuela ha bocciato la riforma costituzionale promossa da Hugo Chavez : il 50,70% ha detto “no” al referendum, contro il 49,29% dei “sì”.
Numeri chiari, nonostante il margine ristretto. Poco dopo l’annuncio dei dati da parte della Commissione nazionale elettorale, Chavez è comparso per confermare i risultati. Con un certo nervosismo, cercando di non abbandonare il sorriso, il leader bolivariano ha detto che non interpreta il voto come una «sconfitta», ma come un nuovo «per ora».
In qualsiasi caso, ha annunciato, «continuiamo la battaglia, costruendo il socialismo».
Ma quella di domenica sera è una chiara sconfitta per Chavez . Di più: è il suo primo fiasco elettorale in oltre nove anni. Fino ad ora, infatti, le urne lo avevano sempre sostenuto.
Leggiamo un articolo scritto qualche giorno prima del referendum.


«IN GALERA LE GERARCHIE CATTOLICHE» di Andrea Tornielli

Caracas. Il presidente venezuelano Hugo Chavez minaccia di
incarcerare i principali rappresentanti della Chiesa venezuelana,
che criticano il suo progetto di riforma costituzionale: le alte
gerarchie cattoliche venezuelane, ha detto Chavez, «sono il demonio
e difendono gli interessi più marci». Il presidente ha anche
ipotizzato per la prima volta di abbandonare la carica di capo dello
Stato a fine mandato qualora il «no» prevalesse nel referendum
costituzionale del prossimo 2 dicembre. «Nel caso perdessimo - ha
dichiarato - dovremmo iniziare a pensare a chi potrà sostituirmi
quando nel 2012 scadrà l'attuale mandato». La riforma costituzionale
sottoposta all'approvazione popolare prevede tra l'altro la
possibilità per i presidenti di restare in carica per un numero
indefinito di mandati. Sulla base della carta fondamentale oggi in
vigore, Chavez sarebbe costretto a lasciare la presidenza al termine
del mandato attuale. Secondo alcuni sondaggi, la maggioranza dei
venezuelani sarebbe contraria alla riforma.

Monsignor Baltazar Porras, attualmente vicepresidente dei vescovi
latino-americani, ha risposto alle nostre domande sul referendum per la
riforma della Costituzione, che si terrà il 2 dicembre, e del clima
sempre più repressivo in cui vive il Paese…

"Chavez vuole pieni poteri e porta il Venezuela a un regime
oppressivo"
Parla Balthazar Porras, vicepresidente dei vescovi
latinoamericani: "Il referendum del 2 dicembre, se approvato,
indebolirà diritti civili e libertà"

«Quello del presidente Chavez rischia di diventare un vero e proprio
regime personalista e repressivo. La popolazione non è più
tutelata». Sono parole dure quelle che pronuncia monsignor Baltazar
Porras, arcivescovo di Merida, capitale dell'omonimo Stato nel nord-
ovest del Venezuela. Il prelato, attualmente vicepresidente dei
vescovi latino-americani, ha parlato con il Giornale del referendum
per la riforma della Costituzione, che si terrà il 2 dicembre, e del
clima sempre più repressivo in cui vive il Paese.

Che cosa pensa della riforma della Carta costituzionale che Chavez
intende fare?

«Ciò che sarà sottoposto a referendum non è una revisione della
Costituzione, ma una nuova Costituzione che di fatto conferisce
praticamente tutti i pieni poteri al presidente e al governo,
espropriando, nonostante le apparenze, gli spazi di partecipazione
del popolo. E le proposte possono essere accettate o respinte solo
in blocco, impedendo così qualsiasi opportuno discernimento tra i
vari articoli».

Perché la Chiesa definisce «moralmente inaccettabile» la riforma?

«Di fatto affievolisce la tutela dei diritti umani, aumentando la
discrezionalità incontrastata del governo; votare 60 articoli
raggruppati in due blocchi impedisce ogni scelta selettiva limitando
di fatto la libertà di espressione della volontà popolare, e inoltre
la campagna elettorale è fortemente manipolata».

Faccia degli esempi.

«La riforma indebolisce i diritti civili, perché limita le libertà e
aumenta la discrezionalità del potere: chi non è socialista e
bolivariano non è un buon venezuelano, e quindi può essere
perseguito. Inoltre l'esperienza comunista castrista è estranea alla
nostra cultura, perciò nessuno si augura avventure di questo genere;
le posizioni che si richiamano a Che Guevara sono percepite come
violenza e ingiustizia».

Qual è lo stato dell'informazione in Venezuela?

«Ogni giorno cresce il numero dei mass media direttamente finanziati
dal governo o appartenenti a suoi sostenitori. Le informazioni sono
sempre più a senso unico e i media liberi sono sottoposti a
limitazioni e pressioni, ad esempio per ottenere il cambio dei
dollari necessari per l'acquisto della carta o del materiale
televisivo, comprato all'estero. Per non parlare delle pubblicità
propagandistiche del governo che tutti i mezzi d'informazione sono
obbligati a pubblicare gratuitamente. I media liberi rischiano e
così spesso scatta l'autocensura».

Eppure si vedono di continuo manifestazioni popolari di sostegno a
Chavez…

«Lei deve sapere che la partecipazione alle manifestazioni promosse
dal governo è obbligatoria per tutti i dipendenti pubblici, che
altrimenti rischiano il posto di lavoro. Se invece partecipano,
viene loro assicurato il mezzo di trasporto, il cestino con il pasto
e perfino un indennizzo economico. Ecco perché si vede così tanta
gente in camicia rossa, come è accaduto di recente anche alla Coppa
America».

Cresce il numero delle violenze e delle uccisioni. Perché?

«Purtroppo ci sono troppe persone armate e la polizia talvolta
garantisce loro l'immunità. Ogni manifestazione pacifica, a causa di
questi elementi infiltrati, viene usata per giustificare la
repressione governativa. I morti assassinati sono circa 200 ogni
settimana, senza contare la cattura di ostaggi, le intimidazioni,
tutto nella connivente indifferenza del potere».
Come giudica quanto è avvenuto nei giorni scorsi a Santiago del
Cile, quando Chavez ha definito ripetutamente l'ex premier spagnolo
Aznar «un fascista», suscitando la reazione di re Juan Carlos?
«La forma in cui Chavez si è espresso, così autoritaria e
autocratica, ha reso evidente al mondo la crescente intolleranza che
noi venezuelani dobbiamo soffrire ogni giorno».

Fonte: Il Giornale, 26 novembre 2007

2 - CATASTROFISMO, L'APOCALISSE NON C'ENTRA

Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: Il Timone, novembre 2007

Alla fine di giugno è stato un curioso spettacolo leggere sui giornali inglesi alcuni commenti che - a proposito delle recenti inondazioni che avevano colpito la Gran Bretagna - parlavano di “punizione di Dio” per le responsabilità dell’uomo nella mutazione del clima. Davvero curioso questo rigurgito di religiosità in un Paese dove un’impiegata perde il posto di lavoro per aver portato un crocifisso al collo e dove nelle scuole è ormai proibito parlare di Natale e Pasqua. E curioso che a farsi interpreti del “giudizio di Dio” siano magari gli stessi ecclesiastici (anglicani) che negli ultimi anni hanno messo in discussione ogni insegnamento dottrinale possibile, inclusa la Resurrezione di Gesù.
E se le inondazioni hanno provocato un facile riferimento al racconto del diluvio universale nella Genesi, più in generale il tema dei cambiamenti climatici o del riscaldamento globale rimanda spesso all’Apocalisse, con l’annuncio di inevitabili catastrofi. E tralasciando il ruolo di politica, giornali, tv, cinema e letteratura – cui pure molto dobbiamo per questa isteria collettiva – troviamo ancora una volta uomini in clergyman a puntare il dito contro l’uomo, favorendo una lettura quanto meno riduttiva del Libro della Rivelazione. Già, perché Apocalisse vuol dire Rivelazione e non Disastro, è attesa della venuta finale di Gesù e non delle catastrofi che provocheranno la fine del mondo.
Nel corso dei secoli, il Libro dell’Apocalisse ha sempre fatto molto discutere teologi ed esperti, a cominciare dall’attribuzione all’evangelista Giovanni. Nostro obiettivo in questa sede non è certo quello di proporre un’esegesi o di prendere posizione su dispute teologiche. Ma su una cosa certamente non si può discutere: il termine apocalisse, così come è entrato nel linguaggio comune, ha un significato completamente diverso da quello biblico e il catastrofismo che oggi ci penetra da ogni parte ha piuttosto il sapore dell’Anticristo.
Il catastrofismo è figlio infatti di una visione radicalmente negativa dell’uomo, condannato senza appello per il suo “peccato” che peraltro in questa visione non è contro Dio ma contro la natura. E’ un annuncio di morte e devastazione, la parola definitiva sono i flagelli: nei mari e nell’aria (inquinamento), nella terra (clima impazzito e devastazione dell’ambiente), fra gli animali (mucca pazza ed epidemie di ogni genere). E in futuro – si dice – andrà sempre peggio: le risorse si esauriranno in pochi decenni e centinaia di milioni di uomini periranno di fame e si scateneranno in guerre sanguinose per accaparrarsi le ultime risorse. E’ il trionfo del peccato.
Tutt’altra cosa è invece l’Apocalisse di Giovanni: le visioni terribili di cui è costellata sono anzitutto simboli del presente e non previsioni del futuro. Il libro viene infatti scritto alla fine del I secolo dell’era cristiana, mentre infuriavano le violente persecuzioni volute da Nerone e Domiziano. Il primo obiettivo, come spiega l’introduzione della Bibbia di Gerusalemme, è quello di “rialzare e rafforzare il morale dei cristiani”, riaffermando la certezza che Dio ha vinto il mondo, che chi rimarrà fedele sarà preservato dal male. E fino ad oggi quella parola risuona per riconfermarci la promessa di Gesù: “Ecco, io sono con voi per sempre, fino alla fine del mondo”. E non per niente l’Apocalisse (e con essa il Nuovo Testamento) si conclude con il grido della Chiesa e di ogni cristiano: “Vieni Signore Gesù”, che prima di essere un’invocazione di aiuto è una certezza.
L’Apocalisse è dunque espressione di una speranza certa, è l’annuncio definitivo della liberazione dal male, così che anche i disastri naturali che pure sono inevitabili - così come le sofferenze personali - diventano occasione di lode a Dio. Al contrario, il catastrofismo - oltre che presagio di morte - ci spinge a una forma di schiavitù neo-pagana, costringendoci a una serie di riti per placare l’ira della Madre Terra, o Dea Gaia. Così si fa strada la bizzarra idea che possiamo salvare il mondo sostituendo le normali lampadine a incandescenza da 100 watt con lampadine a basso consumo da 40 watt. E su questa scia ci sono ormai parrocchie che spendono cifre considerevoli per l’installazione di pannelli solari, non perché siano economicamente convenienti (il che sarebbe sacrosanto senza bisogno di scomodare la religione) ma per compiere un “gesto profetico”.
Si potrebbe obiettare: però è vero che il mondo va sempre peggio, che l’ambiente è sempre più danneggiato dalle attività umane, che il clima è impazzito e così via. Bene, nel mondo ci sono sicuramente molte cose che non vanno come dovrebbero, ma gli allarmi ecologisti sono in massima parte vere e proprie bufale, verosimili al punto che è facile crederci, ma palesemente false. Il clima cambia, lo vediamo: è vero, ma il cambiamento climatico è la normalità non il segnale di un problema, e inoltre non va confuso il clima – i cui cambiamenti si apprezzano su cicli lunghi - con i mutamenti meteorologici che sperimentiamo. In ogni caso, la natura è dinamica, sempre in movimento, e questo vale, ad esempio, anche per i ghiacciai: si ritirano, lo vediamo sotto i nostri occhi; è vero, ma non è un fenomeno globale (l’Antartide, ad esempio, non mostra segni di ritiro) e comunque è un processo ciclico (ritiro ed estensione) e questa fase è iniziata più di un secolo fa e con le attività umane ha poco a che fare. Le nostre città sono inquinate, come negarlo? E’ vero, ma lo sono molto meno di 20-30-40 anni fa e anche meno inquinate di 300 anni fa quando la Rivoluzione industriale era di là da venire. Basta rileggere la poesia di Giuseppe Parini, “La qualità dell’aria”, scritta nel 1759, per ringraziare Dio di vivere nella Milano di oggi.
Ad ogni modo gli indici ambientali tendono costantemente a migliorare – contrariamente a quello che ci fanno credere gli ambientalisti – nei Paesi sviluppati, mentre la vera emergenza ambientale è costituita dal sottosviluppo.
Se poi vogliamo verificare ulteriormente la credibilità dei catastrofisti, non potendo viaggiare nel futuro possiamo però almeno andare a controllare le previsioni fatte nel passato per vedere se si sono verificate o meno (il catastrofismo non è certo nato ieri). Allora scopriamo che una serie di libri che ebbero molta fortuna tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, tra cui il più famoso è senz’altro “The Population Bomb” (La bomba demografica) di Paul Ehrlich, prevedevano che negli anni ’70 e ’80 centinaia di milioni di persone sarebbero morte per fame. E’ successo invece che a fronte di un forte aumento della popolazione la situazione alimentare nel mondo, anche nei Paesi più poveri, è generalmente migliorata. E nel 1972, lo studio “I limiti dello sviluppo”, pubblicato dal “Club di Roma”, tradotto in 20 lingue, venduto in 9 milioni di copie, e oggi tante volte citato dagli ecologisti e dai no-global, nel prevedere l’esaurimento delle risorse naturali, ne fissava anche la data per alcuni minerali: l’oro sarebbe finito entro il 1981, il mercurio entro il 1985, lo zinco entro il 1990, il petrolio nel 1992, rame, piombo e metano nel 1993. E’ necessario dire che non solo tali previsioni sono state smentite dalla realtà, ma che addirittura disponibilità e riserve di tutti questi minerali sono aumentate nel tempo?
Si potrebbe continuare a lungo, e potremmo anche dilungarci sui “beneficiari” del catastrofismo, che è ormai diventata un’industria che a livello mondiale sposta miliardi di dollari nelle tasche delle associazioni ecologiste e delle grandi compagnie che saltano sul carro dell’ecologico. Ma in questa sede ci interessa soprattutto analizzare le implicazioni culturali della questione ambientale e allora dobbiamo anzitutto comprendere che l’allarmismo ecologista ha come scopo ultimo quello di imputare all’uomo ogni colpa possibile, così da renderne odiosa la sola presenza nel mondo. Non a caso l’ecologismo va di pari passo con l’attacco al cristianesimo, esplicito o implicito.
Sotto accusa è l’antropocentrismo, ovvero la superiorità dell’uomo su tutte le creature così come descritta nella Genesi, che gli ecologisti considerano la causa di tutti i problemi ambientali. L’attacco al cristianesimo su questo punto è così forte, che anche qualche teologo cerca di annacquare la Rivelazione teorizzando un “antropocentrismo moderato”, espressione sostanzialmente priva di senso. Per la Dottrina sociale della Chiesa esiste un solo antropocentrismo, che si esprime sinteticamente nella frase “la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio”. Ovvero, l’uomo è chiamato a usare con responsabilità i doni della natura senza farsene tiranno ma senza neanche divinizzarli. E questa non è una visione moderata ma radicale, nel senso che va alla radice, ovvero al fine ultimo per cui ogni cosa è stata creata e che l’uomo deve riconoscere.
Da qui nasce la responsabilità, da questo amore profondo per Dio e quindi per il Creato, non certo dalla paura che il mondo stia per finire.
E’ anche la visione che ci trasmette San Francesco nel Cantico delle Creature, altro testo vergognosamente equivocato. In questo splendido cantico non si trova traccia dell’approccio ambientalista oggi dilagante anche dalle parti di Assisi: l’inno si apre e si chiude con la lode all’ “Altissimo, onnipotente, bon Signore”, ovvero con il riconoscimento dell’opera del Creatore; il resto è poi un continuo ringraziamento a Dio per tutte le creature,  riconosciute come dono per l’uomo, come afferma dall’inizio: “Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole, lo qual è iorno; et allumini noi per lui”. Ovvero il fine del sole è dare luce e calore all’uomo. E per quelli che “il clima è impazzito” (anche allora si diceva che le stagioni non sono più quelle di una volta), San Francesco ringrazia per “onne tempo, per lo quale alle tue creature dai sostentamento”. Ed ecco quindi l’invito finale di San Francesco: “Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate et servitelo cum grande humilitate”. Ecco la vera strada di un’ecologia umana: convertitevi e seguite Gesù, vero Dio e vero uomo. Altro che “antropocentrismo moderato”.

Fonte: Il Timone, novembre 2007

3 - ENCICLICA SPE SALVI: RISPOSTE ALL’ANSIA DI INFINITO
Quel desiderio di Itaca che svela la felicità vera
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 4 dicembre 2007

Nel paragrafo 30 della magnifica enciclica Spe salvi,  firmata venerdì scorso, Benedetto XVI scrive che «l’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze». Questa soddisfazione, però, è solo temporanea, e ciò verso cui ci sospingeva la nostra speranza finisce per deluderci, più o meno cocentemente: «Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre».
  Il Papa ci invita così a riflettere sul sentimento della delusione. L’uomo, in effetti, lo può sperimentare sotto due forme. C’è la delusione per uno scopo mancato: speravo di ottenere un buon lavoro e non l’ho avuto, speravo di avere una bella casa e non l’ho posseduta, di essere amato e non sono stato amato..., e perciò sono insoddisfatto. Ma c’è anche la delusione per uno scopo ottenuto, quella che proviamo perché il suo conseguimento non ci soddisfa come ci eravamo aspettati: speravo di ottenere un buon lavoro e l’ho ottenuto, speravo di avere una bella casa e l’ho posseduta, di essere amato e sono stato amato..., eppure, ogni volta, contrariamente alle mie speranze, pur avendo investito moltissime energie per cogliere questo obiettivo, non sono appagato.
  Questo secondo tipo di delusione ci consente di comprendere che l’oggetto del desiderio umano non è rinvenibile in alcuna esperienza finita. Infatti quando raggiungiamo i nostri obiettivi non li apprezziamo più, e desideriamo altre cose.
  In questi momenti sperimentiamo che ciò che volevamo veramente non l’abbiamo raggiunto.
  Potremmo allora disperare, pensando che l’uomo non possa mai conseguire una soddisfazione definitiva e piena. Ma, al contrario, questa delusione va interpretata diversamente. Invece di farci disperare per l’insaziabilità dell’uomo, essa dev’essere vista come l’indizio che è un’altra la felicità conforme agli esseri umani, che è un’altra la speranza che non delude (Rm 5, 5).
  Così, questa delusione mostra che siamo perennemente insoddisfatti non perché abbiamo conseguito questo o quel bene invece di un altro, bensì per via della natura finita di tutti questi beni, incapace di appagare il desiderio umano. Come ha detto Simone Weil «quaggiù ci sentiamo stranieri, sradicati, in esilio; come Ulisse, che si destava in un paese sconosciuto dove i marinai l’avevano trasportato durante il sonno e sentiva il desiderio d’Itaca straziargli l’anima».
  Allora – prosegue il passo dell’enciclica – «si rende evidente che può bastargli [all’uomo] solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere».
  Nel cuore dell’uomo alberga, insomma, un desiderio radicale che non è il desiderio di qualsivoglia bene finito bensì di un Bene Infinito. L’esperienza di delusione dello scopo conseguito ci fa così comprendere che la soddisfazione del nostro desiderio può darla solo la comunione definitiva e totale con Dio. Solo quella totale, non quella provvisoria e parziale che ci è data nel corso della vita.
  Quale sia Itaca per noi ce lo indica Agostino (nel celeberrimo incipit
  delle Confessioni, che sicuramente il Papa aveva ben presente quando ha scritto questo paragrafo 30): «Ci hai fatti per te [o Dio], e il nostro cuore non trova pace finché non riposa in Te».

Fonte: Avvenire, 4 dicembre 2007

4 - LINK DEL TESTO INTEGRALE DELL'ENCICLICA SPE SALVI

Autore: Benedetto XVI - Fonte:

Il testo integrale dell'enciclica "Spe salvi" di Papa Benedetto XVI la trovi andando a:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html


5 - IL DIO DI MICHELANGELO E LA BARBA DI DARWIN

Autore: Antonio Gaspari - Fonte: Zenit, 27 novembre 2007

E' vero che gli esseri umani discendono dalla scimmia? E' vero che tutto dipende dal caso e non esiste un Creatore? E' vero che sopravvive solo il più forte e che per seguire la legge dell'evoluzione i deboli devono essere lasciati morire, o addirittura, devono essere soppressi prima che nascano?
Per rispondere a queste e altre domande sulla teoria evoluzionista di Charles Darwin e sull'esistenza di Dio Creatore, la professoressa e scrittrice Rosa Alberoni ha appena pubblicato “Il Dio di Michelangelo e la barba di Darwin” (Rizzoli, 327 pag., Euro 18,00).
In questo volume Rosa Alberoni spiega il Dio della creazione e la rivoluzione cristiana attraverso la lettura della Cappella Sistina dipinta da Michelangelo.
Le suggestioni, il senso, la dimensione dell'umano e del divino rappresentate nella Sistina vengono analizzate e confrontate con l’ideologia che ha cancellato il Creatore e ha ridotto l’uomo a poco più di una scimmia, una ideologia che la Alberoni ha chiamato “darwinolatria”.
Nell’introduzione al libro, il Cardinale Renato Raffaele Martino ha scritto: "Gli episodi della creazione di Adamo e di Eva, nella Cappella Sistina di Michelangelo, affascinano non solo per la genialità dell'artista, ma soprattutto perché danno un senso - il senso cristiano - al posto dell'uomo nell'universo”.
Secondo il porporato, “il Dio di Michelangelo è il Dio della dottrina cristiana, che crea l'universo secondo verità e amore e vi colloca l'uomo in una posizione eminente, unica creatura ad essere stata amata per se stessa”, mentre “le ricerche scientifiche di Darwin hanno destato e destano tanto interesse soprattutto perché mettono in questione quel posto dell'uomo nell'universo”.
Per il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace “la barba di Darwin, che rappresenta l'ideologia darwinista, pone il mondo a caso", come diceva Dante di Democrito, e secondo Rosa Alberoni, considerava l'uomo solo come un anello nella filiera evolutiva, senza alcun salto qualitativo tra di esso e gli animali".
Sul perché tante critiche a Darwin, Rosa Alberoni ha risposto: “Cancellando il Creatore e riducendo l’uomo ad un derivato delle scimmie, Darwin ed i suoi seguaci, da una teoria scientifica, hanno tratto una ideologia atea che si basa su un solo comandamento: il primato del volere individuale che ha un solo scopo: saziare i propri impulsi. E’ un modo subdolo per parificare l’essere umano agli animali”.
Secondo la scrittrice, “le ideologie atee come la rivoluzione francese, il comunismo ed il nazismo, hanno prodotto degli orrori”, dei grandi mattatoi, e i darwinisti miravano a fare qualcosa di più: “spazzare via il Dio della Bibbia e Cristo. Vogliono cancellare la religione ebraico cristiana, e i valori cardini della nostra civiltà, la morale. Vogliono annientare la regalità dell'uomo, la creatura prediletta di Dio”.
“Non è un caso – ha spiegato Rosa Alberoni– che il darwinismo ha prodotto aberrazioni come il razzismo, il classismo, l'eugenetica, il peggior colonialismo, la discriminazione biologica”, e “non è perché sia stato male inteso, ma è Darwin stesso che sin dall’inizio mira alla disintegrazione dell’uomo, l’unico essere vivente che è portatore dell’anima e della ragione divina”.
Per la Alberoni, Darwin “lo fa per uno scopo personale: beffarsi di Dio. L’uomo proviene dalla scimmia, egli afferma, non è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, come è scritto nella Genesi e come ci dice la nostra ragione, osservando l’abisso che esiste fra un uomo e qualsiasi animale”.
“Considero molto dannosa la diffusione della ‘darwinolatria’ nelle scuole – ha aggiunto la Alberoni –. Stanno cancellando lo stupore della Creazione dalla mente dei nostri figli, gli stanno insegnando che il nostro antenato è un animale peloso, che siamo solo materia frutto del caso, e che per legge di natura i deboli sono destinati a perire, perché solo più forti sopravvivranno nella lotta per l’esistenza”.
“Voglio mettere in guardia i genitori – ha sottolineato la scrittrice – perché nel momento in cui si accettano le origini solo materiali del nostro corpo, della nostra mente, del nostro cuore, allora cadranno non solo i fondamenti della fede, ma anche quelli della morale e della convivenza umana”.
“Per questo – ha aggiunto la Alberoni – tra lo scimpanzé propostoci da Darwin come antenato e Dio padre, come ci ha rivelato Cristo, preferisco Dio”.
“Non solo perché credo in un Padre onnipotente, onnisciente, amorevole e misericordioso e che quindi non ci ha abbandonati al caso, ma anche perché preferisco l’immagine di Dio dipinta da Michelangelo nella Cappella Sistina, a quella dello scimmione peloso, saltellante sui rami di un albero e con i denti aguzzi”, ha concluso.

Fonte: Zenit, 27 novembre 2007

6 - INTERVISTA A GIANPAOLO BARRA: IL POPOLO DIMENTICATO DALLA POLITICA

Autore: Massimo Introvigne - Fonte: il Giornale della Libertà, 23 novembre 2007

La percentuale di approvazione dell’attuale governo tra i cattolici è la più bassa nella storia della Repubblica, o almeno da quando si fanno i sondaggi. Abbiamo dunque pensato di portarci avanti con il lavoro, e di chiedere a una serie di opinion leader del mondo cattolico che cosa si aspettano da un diverso governo prossimo venturo. Il mondo cattolico, dopo la fine della Democrazia Cristiana, si è abituato a non rilasciare più deleghe in bianco, ma a giudicare ciascun governo dai fatti. È un mondo che in questi ultimi anni è molto cambiato. Come ha mostrato il Family Day, sono emersi nuovi leader e forme di aggregazione, più ampie e vive di quelle tradizionali.


Il fenomeno editoriale – e non solo – di maggiore rilievo negli ultimi anni si chiama Il Timone. Una rivista che – senza essere venduta nelle edicole – è arrivata in pochi anni a una circolazione di assoluto rilievo, e intorno alla quale sono nati decine di circoli in tutta Italia. L’avventura de Il Timone è inseparabile da quella del suo ideatore e direttore, Gianpaolo Barra, di Varese.  51 anni, sposato, padre di quattro figli, Barra ha fondato la rivista nel 1999 e la ha guidata in questi anni a una crescita costante. Nato come bimestrale, con venti pagine e tremila copie di tiratura, oggi è un mensile, ha 64 pagine e tira quindicimila copie. Gli abbonati sono più di diecimila, il resto è venduto in qualche parrocchia, in libreria o dai circoli.
"Il Timone – ci spiega Barra – è un mensile di apologetica popolare, che si prefigge un duplice compito: presentare le ‘ragioni per credere’, vale a dire offrire argomenti razionali, accessibili a tutti, anche a chi non crede – o credendo non è però cattolico – per mostrare la verità, la profondità e la bellezza del cristianesimo cattolico; e difendere queste ragioni dalle contestazioni e dagli attacchi". "Per svolgere al meglio questo compito – continua Barra –  ho chiesto e ottenuto la collaborazione di autori prestigiosi, tra i quali alcuni prelati noti per il loro coraggio e la chiarezza di idee (il cardinale Biffi, i vescovi Maggiolini, Negri, Grillo) e scrittori che si sono conquistati un certo seguito, anche al di fuori del mondo cattolico, per non avere ceduto di fronte alle tante menzogne che vengono propinate sulla Chiesa, sulla sua storia e sulla dottrina morale che insegna, dunque autentici apologeti (Messori, Cammilleri, Corti, Tornielli, Gheddo, Cantoni, Palmaro, Agnoli, e così via)".


Chiedo a Gianpaolo Barra che cosa vorrebbe da un "buon governo", e quali sarebbero i temi urgenti che un futuro governo dovrebbe affrontare per ottenere i consenso dei cattolici. La risposta è secca: "Condivido totalmente le indicazioni offerte, in occasione delle elezioni politiche del 2006, dalla Conferenza Episcopale italiana, la quale indicava tre criteri fondamentali per giudicare della bontà di un governo, quelli che sono stati definiti valori non negoziabili:
1) La tutela e la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale.
2) La promozione e la difesa della famiglia ‘naturale’, la cellula composta da un uomo e una donna uniti in matrimonio e aperti alla vita.
3) La libertà di educazione, con l’affermazione che il primo soggetto titolare del diritto di educare è la famiglia stessa, che deve essere posta nella condizioni di poter offrire ai propri figli il tipo di scuola che si preferisce".

 
Ma i politici hanno capito la lezione del Family Day? Risponde Barra: "Il Family Day ha mostrato a tutti una realtà della quale spesso i politici non si curano, o che non capiscono a fondo. E la realtà è questa: esiste un popolo, un popolo concreto, reale, fatto di uomini e donne, di giovani e adulti, di padri, madri e figli. Questo popolo c’è, non trova spazio sui grandi media ma esiste, ed è pure numericamente consistente. Ora, questo popolo, nonostante il dilagare di una ‘cultura’ sciaguratamente laicista, che mira ad abbattere i valori naturali e cristiani che hanno fatto la nostra civiltà, questo popolo – dicevo – ha dato, con il ‘Family Day’ un forte segnale di vita, ha fatto capire che è un popolo reattivo, che vuole dire la sua. A una condizione: che trovi ragioni convincenti per suscitare una sua mobilitazione – nel caso, la difesa della famiglia naturale e l’opposizione a quell’obbrobrio giuridico che sono i DICO – e che vi siano delle guide credibili che sappiano interpretare la sua volontà e che sappiamo dargli voce. Ecco, un ‘buon governo’ dovrà essere capace di ascoltare questo popolo, di prestare attenzione privilegiata alle sue istanze e, per il bene di tutti i governati, tradurre in disposizioni anche di legge i valori nei quali questo popolo crede".
Le buone intenzioni, tuttavia, non bastano. Chiedo a Barra che cosa un "buon governo" non dovrebbe fare. "Non dovrebbe concedere cittadinanza – risponde – a tutte le pretese, ai desideri, alle aspettative che non si fondano sul bene comune. Il bene comune non è un’astrazione, è qualche cosa che la ragione può riconoscere. Una sana dottrina e l’esperienza della storia lo provano. Per fare qualche esempio: poiché non c’entra niente con il bene comune di una nazione riconoscere legalmente l’unione di due uomini, di due donne, o la poligamia, un ‘buon governo’ non consentirà questa legalizzazione. Un altro esempio: poiché per i cattolici è certo che con l’aborto si uccide una vita umana nel grembo della propria madre, e poiché è altrettanto certo che una vita umana innocente è sempre un bene di cui può usufruire l’intera comunità, un buon governo non dovrebbe essere ‘abortista’. Certo, non mi nascondo il fatto che anche il miglior governo dovrà fare i conti con la realtà, e in Italia forse non ci sono oggi e non ci saranno domani le condizioni politiche per modificare la legge 194, ma questo non impedisce di porsi in un orizzonte ideale anti-abortista. Da questo orizzonte potranno poi scaturire le misure politicamente possibili che almeno limitino la piaga dell’aborto".

Fonte: il Giornale della Libertà, 23 novembre 2007

7 - LA RISPOSTA DEL PAPA AI 138 FIRMATARI ISLAMICI E AI ...CRISTIANI

Autore: Gabriele Mangiarotti - Fonte: CulturaCattolica, venerdì 30 novembre 2007

Abbiamo rivolto a Magdi Allam, vice-direttore ad personam del Corriere della Sera, una domanda su come valuta la "Risposta del Santo Padre Benedetto XVI alla Lettera aperta di 138 guide religiose musulmane", pubblicata il 29 novembre a firma del Segretario di Stato vaticano il cardinale Tarcisio Bertone. Ecco la sua risposta:
"Mi conforta la chiarezza e la determinazione con cui Benedetto XVI afferma il primato del sodalizio indissolubile tra fede e ragione quale base inequivocabile nel rapporto con l'islam. A fronte di una Lettera aperta sterminata, appesantita da innumerevoli citazioni del Corano, dei Vangeli e della Bibbia per suffragare la tesi della comunanza tra l'islam e il cristianesimo, il Papa replica con una breve nota improntata al buonsenso, che ispira l'accettazione della mano tesa, ma soprattutto al realismo che sottolinea che non si possono "ignorare o sminuire le nostre differenze in quanto cristiani e musulmani". Ecco perché, come ha affermato oggi in un'intervista a l'Avvenire il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il dialogo con l'islam "ora viene rilanciato su nuove basi". A cominciare, si evidenzia nella risposta pontificia, "dall'effettivo rispetto della dignità di ogni persona". Quindi prima il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo al cui cardine c'è certamente il valore della sacralità della vita. Di conseguenza, come rileva lo stesso Tauran, "con l'islam che predica e pratica il terrorismo – che non è un islam autentico ma una perversione dell'islam – non è possibile alcun dialogo". Bene ha fatto quindi il Papa ad assumere un atteggiamento di cautela, dato che sussistono perplessità sull'atteggiamento dei firmatari dell'Appello circa il diritto all'esistenza di Israele e del terrorismo palestinese, pur mantenendo aperte le porte del dialogo con coloro che condividono sinceramente e incondizionatamente i valori assoluti, universali e trascendenti che rappresentano l'essenza della nostra umanità e devono costituire il fondamento della comune civiltà dell' uomo."

Fonte: CulturaCattolica, venerdì 30 novembre 2007

8 - OMELIA DELL'IMMACOLATA - ANNO B (Lc 1,26-38)
Rallégrati, piena di grazia
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano, 8 dicembre 2005

Cari Fratelli e Sorelle, [...]
Che cosa significa "Maria, l'Immacolata"? Questo titolo ha qualcosa da dirci? La liturgia di oggi ci chiarisce il contenuto di questa parola. [...]
Questa metafora tratta dal Libro della Genesi parla a noi da una grande distanza storica, e solo a fatica può essere chiarita; soltanto nel corso della storia è stato possibile sviluppare una comprensione più profonda di ciò che lì viene riferito. Viene predetto che durante tutta la storia continuerà la lotta tra l'uomo e il serpente, cioè tra l'uomo e le potenze del male e della morte. Viene però anche preannunciato che "la stirpe" della donna un giorno vincerà e schiaccerà la testa al serpente, alla morte; è preannunciato che la stirpe della donna - e in essa la donna e la madre stessa - vincerà e che così, mediante l'uomo, Dio vincerà. Se insieme con la Chiesa credente ed orante ci mettiamo in ascolto davanti a questo testo, allora possiamo cominciare a capire che cosa sia il peccato originale, il peccato ereditario, e anche che cosa sia la tutela da questo peccato ereditario, che cosa sia la redenzione.

L'UOMO NON SI FIDA DI DIO
Qual è il quadro che in questa pagina ci vien posto davanti? L'uomo non si fida di Dio. Egli, tentato dalle parole del serpente, cova il sospetto che Dio, in fin dei conti, gli tolga qualcosa della sua vita, che Dio sia un concorrente che limita la nostra libertà e che noi saremo pienamente esseri umani soltanto quando l'avremo accantonato; insomma, che solo in questo modo possiamo realizzare in pienezza la nostra libertà. L'uomo vive nel sospetto che l'amore di Dio crei una dipendenza e che gli sia necessario sbarazzarsi di questa dipendenza per essere pienamente se stesso. L'uomo non vuole ricevere da Dio la sua esistenza e la pienezza della sua vita. Vuole attingere egli stesso dall'albero della conoscenza il potere di plasmare il mondo, di farsi dio elevandosi al livello di Lui, e di vincere con le proprie forze la morte e le tenebre. Non vuole contare sull'amore che non gli sembra affidabile; egli conta unicamente sulla conoscenza, in quanto essa gli conferisce il potere. Piuttosto che sull'amore punta sul potere col quale vuole prendere in mano in modo autonomo la propria vita. E nel fare questo, egli si fida della menzogna piuttosto che della verità e con ciò sprofonda con la sua vita nel vuoto, nella morte. Amore non è dipendenza, ma dono che ci fa vivere. La libertà di un essere umano è la libertà di un essere limitato ed è quindi limitata essa stessa. Possiamo possederla soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà: solo se viviamo nel modo giusto l'uno con l'altro e l'uno per l'altro, la libertà può svilupparsi. Noi viviamo nel modo giusto, se viviamo secondo la verità del nostro essere e cioè secondo la volontà di Dio. Perché la volontà di Dio non è per l'uomo una legge imposta dall'esterno che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera. Se noi viviamo contro l'amore e contro la verità - contro Dio -, allora ci distruggiamo a vicenda e distruggiamo il mondo. Allora non troviamo la vita, ma facciamo l'interesse della morte. Tutto questo è raccontato con immagini immortali nella storia della caduta originale e della cacciata dell'uomo dal Paradiso terrestre.

LA STORIA DI TUTTI I TEMPI
Cari fratelli e sorelle! Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia, dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia dell'inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell'Immacolata Concezione emerge in noi il sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa; che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell'essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé; che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la profondità del nostro essere uomini, dell'essere veramente noi stessi; che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per diventare in realtà pienamente noi stessi. Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po', noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell'essere. Pensiamo che Mefistofele - il tentatore - abbia ragione quando dice di essere la forza "che sempre vuole il male e sempre opera il bene" (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po' col male, riservarsi un po' di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario.
Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l'uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo. Questo dobbiamo piuttosto imparare nel giorno dell'Immacolata: l'uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, una noiosa persona consenziente; egli non perde la sua libertà. Solo l'uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene. L'uomo che si volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso. L'uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta.

L'ESEMPIO DI MARIA IMMACOLATA
Più l'uomo è vicino a Dio, più vicino è agli uomini. Lo vediamo in Maria. Il fatto che ella sia totalmente presso Dio è la ragione per cui è anche così vicina agli uomini. Per questo può essere la Madre di ogni consolazione e di ogni aiuto, una Madre alla quale in qualsiasi necessità chiunque può osare rivolgersi nella propria debolezza e nel proprio peccato, perché ella ha comprensione per tutto ed è per tutti la forza aperta della bontà creativa. È in lei che Dio imprime la propria immagine, l'immagine di Colui che segue la pecorella smarrita fin nelle montagne e fin tra gli spini e i pruni dei peccati di questo mondo, lasciandosi ferire dalla corona di spine di questi peccati, per prendere la pecorella sulle sue spalle e portarla a casa. Come Madre che compatisce, Maria è la figura anticipata e il ritratto permanente del Figlio. E così vediamo che anche l'immagine dell'Addolorata, della Madre che condivide la sofferenza e l'amore, è una vera immagine dell'Immacolata. Il suo cuore, mediante l'essere e il sentire insieme con Dio, si è allargato. In lei la bontà di Dio si è avvicinata e si avvicina molto a noi. Così Maria sta davanti a noi come segno di consolazione, di incoraggiamento, di speranza. Ella si rivolge a noi dicendo: "Abbi il coraggio di osare con Dio! Provaci! Non aver paura di Lui! Abbi il coraggio di rischiare con la fede! Abbi il coraggio di rischiare con la bontà! Abbi il coraggio di rischiare con il cuore puro! Compromettiti con Dio, allora vedrai che proprio con ciò la tua vita diventa ampia ed illuminata, non noiosa, ma piena di infinite sorprese, perché la bontà infinita di Dio non si esaurisce mai!".
Vogliamo, in questo giorno di festa, ringraziare il Signore per il grande segno della Sua bontà che ci ha donato in Maria, Sua Madre e Madre della Chiesa. Vogliamo pregarlo di porre Maria sul nostro cammino come luce che ci aiuta a diventare anche noi luce e a portare questa luce nelle notti della storia. Amen.

Fonte: Sito del Vaticano, 8 dicembre 2005

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