BastaBugie n�715 del 05 maggio 2021

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1 FEDEZ PROMUOVE IL DDL ZAN IN MONDOVISIONE (E SI LAMENTA PURE) MENTRE UNA DEPUTATA RISCHIA 6 ANNI DI CARCERE
Il rapper Fedez al concerto del Primo Maggio fa la vittima come se fosse censurato, ma nasconde il vero bavaglio che si imporrà se sarà approvata la legge Zan sull'omofobia, come sta accadendo ora in Finlandia...
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 COPRIFUOCO DURO PER I CRISTIANI IN EUROPA, MENTRE PER I MUSULMANI...
In Francia e Spagna si concedono ampie eccezioni agli islamici che vogliono riunirsi a qualunque ora durante il Ramadan (ricordate invece le forzate anticipazioni delle Veglie di Natale e Pasqua?)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
3 LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CHE... AVETE TALE MINISTRO DELLA SALUTE
Guarire a casa dal Coronavirus si può, ma Speranza e l'Aifa fanno ricorso contro il Tar che aveva restituito ai medici il diritto di curare i malati, come fanno i medici di Ippocrate (VIDEO: Appello ai medici di base per curare il Covid a casa)
Autore: Silvana De Mari - Fonte: Blog di Silvana De Mari
4 + LOCKDOWN - NASCITE = L'ITALIA SI SUICIDA
L'Istat dice che i lockdown hanno aggravato il crollo della fecondità, la vera emergenza che farà fallire il ''piano di ripresa'' del governo (intanto un tribunale ha assolto due donne che avevano violato il lockdown)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 L'INGANNO DELLA RICERCA DELLA FAMA
Sopravvalutare la fama significa cercare la ricompensa sulla terra anziché in Cielo... del resto le persone famose sono come noi, la loro fama non aumenta l'eventuale importanza di quel che fanno
Autore: Pierfrancesco Nardini - Fonte: I Tre Sentieri
6 FINALMENTE GLI STATI UNITI RICONOSCONO IL GENOCIDIO ARMENO
Erdogan attacca ferocemente Biden, ma alle parole non seguono i fatti perché l'economia della Turchia è fragile
Autore: Luca Della Torre - Fonte: Corrispondenza Romana
7 IL SUMMIT SUL CLIMA DI BIDEN E' UN ''SUCCESSO''... MA SOLO PER LA CINA
La Cina inquina sempre di più e si allontana dalle promesse fatte, ma queste sono sufficienti per fare affari d'oro a spese dell'Occidente (ad es. il 95% dei pannelli solari sono fatti di materie che vengono dalla Cina)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
8 OMELIA VI DOMENICA PASQUA - ANNO B (Gv 15,9-17)
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - FEDEZ PROMUOVE IL DDL ZAN IN MONDOVISIONE (E SI LAMENTA PURE) MENTRE UNA DEPUTATA RISCHIA 6 ANNI DI CARCERE
Il rapper Fedez al concerto del Primo Maggio fa la vittima come se fosse censurato, ma nasconde il vero bavaglio che si imporrà se sarà approvata la legge Zan sull'omofobia, come sta accadendo ora in Finlandia...
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 03-05-2021

Per tutta la giornata di ieri la notizia del comizio di Fedez al concerto del Primo Maggio è stata in cima a tutti i siti Internet dei grandi giornali. E questo non può non essere un problema almeno per chi pensi di poter usare ancora la ragione. Gli stessi giornali e gli stessi politici che abilmente parlano di pandemia, e regolamentano da 13 mesi la nostra libertà, si sono presi una pausa strategica per distrarci un altro po' facendo diventare un caso di Stato le esternazioni politiche del cantante, così cantante che il 1° maggio però, per fare notizia, ha usato l'ugola per parlare e non per cantare.
Un comizio becero e infantile contro la Lega a favore del Ddl Zan, infantile e pronunciato con la prepotenza di chi sa di potersi permettere, proprio perché ricco, famoso e dalla parte giusta, di infrangere le regole del dibattito e umiliare i pro life dipingendoli come nemici del popolo. Che cosa c'entra con il concerto che dovrebbe celebrare il lavoro e i lavoratori? Nulla.
C'entra però con il bisogno terribile della Sinistra di portare a casa testimonial gratis per la sua lotta politica che non è più quella dei diritti, ma quella della violenza libertaria e liberticida. E lo fa scegliendo simboli griffati e patinati della ricca, ricchissima Milano da bere, andando a pescare un rapper dismesso ormai campione del politicamente corretto che è così conformista da essere ormai dappertutto, così adatto a tutto e al contrario di tutto al punto da trattare allo stesso modo e con la stessa nonchalance l'eliminazione di Frank Matano da LOL e l'acquisto di scarpe customizzate con simboli satanici.

FESTA DEL LAVORO O IL SUO FUNERALE?
Il problema non è lui, ma chi gli va dietro e, ahinoi, chi gli va dietro sono i grandi giornali e i partiti politici. Alle 17.14 di ieri il caso Fedez-Rai era ancora in testa su Repubblica, Corriere, La Stampa, Ansa e via andare con tutta la rassegna stampa del giornalismo collettivo. C'è voluta la notizia dello scudetto nerazzuro per aggiornare le home page dei siti e cambiare argomento. Ma nel frattempo Pd e 5 Stelle avevano già fatto tutto quello che dovevano fare, pronti come sono stati a chiedere le dimissioni dei dirigenti Rai mentre Salvini cercava di correre ai ripari condannando le frasi dei leghisti citati da Fedez come fossero mostri neri.
Insomma, la prima domenica di timide riaperture è stata coperta mediaticamente e politicamente da questa arma di distrazione di massa. Del resto, celebrare il lavoro e parlare dei 900mila posti di lavoro persi con la pandemia sarebbe stato sconveniente, titolare sul lavoro che manca ai ristoratori che hanno dovuto chiudere per sempre la saracinesca pareva di cattivo gusto. Parlare della pandemia e di come le politiche di lockdown abbiano impoverito il Paese, giammai! E non si osi proferir parola sul fatto che ancora oggi mandiamo a morire la gente negli ospedali perché non vogliamo curare precocemente il Covid.

UNA FALSA CENSURA
Così si prende un tema altamente divisivo come quello del Ddl Zan, ci si inventa una falsa censura e si spara contro il partito odiato. Nel frattempo gli italiani sono invitati a bersi il cocktail di diritti negati e kattivi omofobi. Titoli, commenti, prese di posizione, mea culpa: l'operazione anestesia del popolo italico è servita e stavolta alla Sinistra va bene un guitto tatuato come Fedez, che dice di essere stato censurato quando invece durante il suo monologo dimostra di essere molto libero di dire quello che vuole. A proposito, registrare una telefonata e poi mandarla in onda non è un reato? Invece è lui che grida alla censura e i giornali gli vanno dietro come pecoroni mentre Letta e Conte lo spalleggiano, felici di avere trovato anche ieri un argomento per essere sulle prime pagine dei siti.
Però, la censura che Fedez sostiene di aver subito quando invece gode di tutte le libertà «di poter dire proprio quel ca*** che vuole perché sono un artista» (sono parole sue) non ha niente a che vedere con la censura che si introdurrà quando il Ddl Zan verrà approvato. Quello sarà un bavaglio vero e non ci sarà quel giorno un Fedez pronto a difendere anche i diritti di quei più deboli che dovranno giustificarsi davanti a un giudice perché accusati di aver detto che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma. La libertà che pretende per se stesso non è la stessa che lui, sostenendo una legge liberticida che prevede la rieducazione maoista nei centri Arcigay, concederebbe agli altri. Ecco il vero volto dei difensori dei cosiddetti nuovi diritti.

Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo seguente dal titolo "Fedez fa la vittima, mentre una deputata rischia il carcere" parla di Fedez osannato dai giornali di mezzo mondo per il suo discorso livoroso contro chi crede che la famiglia sia quella naturale. E intanto una parlamentare finlandese rischia 6 anni di carcere per aver citato la Bibbia sulle unioni contro natura.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 4 maggio 2021:

Ci vuole un bel coraggio da parte del rapper Fedez, che con la moglie e "influencer" Chiara Ferragni è diventato un marchio (i "Ferragnez") da incassi milionari, a fare la vittima sociale, affermando che "sono devastato" perché "ho visto che c'è chi mi ha attaccato su tutto, sul discorso che ho fatto", mentre i giornali di mezzo mondo lo osannano per il suo monologo pieno di astio durante il concerto del Primo Maggio contro chi crede che la famiglia sia quella naturale.
Sì, ci vuole davvero una gran faccia tosta, per sponsorizzare in diretta Rai l'introduzione in Italia di un reato di opinione (il Ddl Zan) ergendosi a martire della censura, soprattutto quando c'è chi veramente avrebbe decine di motivi per dirsi "devastata" e invece lotta per ciò in cui crede contro l'opinione pubblica del suo paese ma senza vittimizzarsi. Si tratta della parlamentare ed ex ministro degli Interni finlandese Päivi Räsänen, che per aver citato un versetto della Bibbia in un post di Tweeter rischia sei anni di carcere proprio grazie alla legge sull'"omofobia". Ma come siamo arrivati fino a qui?
Forse anche grazie alla cultura del piagnisteo e del vittimismo arcobaleno, per cui Fedez si batte e per cui basta dirsi oppressi dal "bigottismo" di quei cattivoni dei cattolici e della destra per poter fare e dire quello che si vuole (non importa se ciò significa denigrare qualcun altro). Una cultura che ha davvero del patetico: con quale dignità, infatti, Fedez, fa l'offeso e il perseguitato che lotta contro la censura? Con che argomentazione può fingersi superstite del sistema, quando si può permettere di fare "diti medi" in tv (come a X Factor contro il Family Day) e di sciorinare una lista di proscrizione di politici e personaggi pubblici solo per il livore che nutre nei loro confronti (che c'entra il citato Formigoni con il Ddl Zan?) senza incorrere in alcuna sanzione, anzi acquisendo ancor più visibilità da cui trarre guadagno?
Il questo mondo di ruoli alla rovescia e di paradossi, si può dire che il cantante maschio avrebbe molto da imparare in quanto a virilità e forza dalla parlamentare femmina finlandese. Päivi Räsänen, medico, madre di cinque figli e nonna di sei nipoti, rischia ben due anni di carcere per ciascuno dei tre presunti "crimini" per cui è accusata. A procedere contro di lei per il reato di "discorso d'odio" grazie alla legge finlandese, simile al Ddl Zan, è stata la procura generale della Finlandia nel 2019.
Il primo reato d'odio da lei commesso consisterebbe nel tweet in cui Räsänen citava san Paolo (Romani 1, 24-27) criticando le posizioni della leadership della chiesa Evangelica Luterana in appoggio alla marcia arcobaleno del 2019. Membro di questa chiesa, la parlamentare aveva voluto ricordare ai suoi ministri la posizione del Vangelo di fronte a chi si oppone all'ordine naturale della creazione. Räsänen aveva poi espresso la sua convinzione sul matrimonio come solo fra uomo e donna in un opuscolo pubblicato ben 17 anni fa, in merito a cui la polizia aveva già precedentemente concluso che non vi era alcun contenuto criminoso. La terza accusa proviene dalle sue parole sulla fede, sul mondo e sulla famiglia naturale rilasciate in un lungo colloquio con una giornalista in un programma andato in onda nel 2018.
A differenza di Fedez, celebrato dai grandi media universali (anche se sua moglie ha avuto l'ardire di commentare che è fiera del marito che avrebbe "avuto il coraggio di andare contro tutto e contro tutti"), l'opinione della politica cristiana non gode del consenso della vulgata politicamente corretta. Perciò ad avere coraggio, ben sapendo di essere in una posizione di minoranza, è stata unicamente lei. Inoltre, mentre il rapper si è appunto lamentato del peso di qualche critica, lei non ha voluto nascondere la verità dicendosi disposta a pagarne le conseguenze. Così, nonostante il carcere che lei, e non Fedez, rischia per le sue idee, ha affermato: "Non tornerò indietro rispetto alle mie opinioni. Non mi lascerò intimidire fino a nascondere la mia fede". Anche perché "più i cristiani tacciono su temi controversi, più si restringe lo spazio per la libertà di parola".
È questo un esempio mondiale di eroismo e di battaglia per una minoranza oggi sempre più discriminata e messa ai margini della società, quella di chi crede che la realtà abbia una sua oggettività da rispettare. Una battaglia che non pretende il bavaglio per chi la pensi diversamente ma che vuole difendere il diritto democratico di potersi esprimere differentemente rispetto alla massa. Mentre, al contrario, chi parla sponsorizzando l'ideologia che piace ai potenti vorrebbe mettere a tacere chiunque dissenta. Non a caso, quanti seguono il politicamente corretto diventano icone che cambiano il mondo denigrando chi si discosta pubblicamente dal pensiero Lgbt dominante e rischiando la carriera, la fama e perfino il carcere (come prevede anche il Ddl Zan).
Nonostante tali conseguenze, ha continuato Räsänen, continuerà la sua battaglia, perché non "posso accettare che esprimere le mie convinzioni religiose possa significare la prigionia... non mi considero colpevole di aver minacciato, calunniato o insultato nessuno. Le mie dichiarazioni sono tutte basate sugli insegnamenti della Bibbia sul matrimonio e la sessualità". E siccome la gerarchia della chiesa protestante del suo paese è stata già messa a tacere, la donna ha affermato che difenderà "il diritto di confessare la mia fede cosicché nessun altro sia privato del diritto alla libertà religiosa e di parola".
È questo un discorso con cui si rischia grosso per una minoranza che magari non ti sostiene nemmeno pubblicamente, non quello riecheggiato dal palco del concerto del Primo Maggio che ha portato a chi lo ha pronunciato e al suo marchio fama e popolarità. Fra i pochi onesti a riconoscerlo era stato Platinette, fra i primi personaggi della tv italiani travestiti: "Il prossimo scontro, già in atto, è tra chi vuole una vita ordinaria e chi cerca visibilità e sale sul carro del pensiero dominante anche se non ci crede. Mi lasciano perplesso le battaglie di tutti questi vip a favore della legge Zan, secondo me non l'hanno neppure letta. Agiscono in branco, come chi assale un inerme", perché "i veri discriminati oggi" sono quelli capaci "per tutta la vita di rapporti sessuali ordinari, in grado di tener vivo il desiderio senza mezzi alternativi". Come Räsänen o Forstater e centinaia di altre persone che, nel silenzio mediatico, vengono licenziate o discriminate solo per un pensiero, ma che, a differenza di chi si vende al mondo, non perde comunque la dignità. Probabilmente facendo crescere la rabbia di quanti sono così fragili da non riuscire nemmeno ad accettare che esista qualcuno capace di mette in discussione il loro modo di pensare e di vivere.

DOSSIER "CHIARA FERRAGNI"
La regina delle influencer

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 03-05-2021

2 - COPRIFUOCO DURO PER I CRISTIANI IN EUROPA, MENTRE PER I MUSULMANI...
In Francia e Spagna si concedono ampie eccezioni agli islamici che vogliono riunirsi a qualunque ora durante il Ramadan (ricordate invece le forzate anticipazioni delle Veglie di Natale e Pasqua?)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 28 aprile 2021

Inutile illudersi. L'islam è islam. E vani sono i tentativi d'occidentalizzarlo o di "democratizzarlo" (ammesso che, in merito, l'Europa abbia realmente qualcosa da insegnare e modelli da "esportare"). Ma non tutti lo capiscono, c'è chi ancora si ostina.
Come la Germania. Si è saputo che in dieci anni ha concesso oltre 750 milioni di euro «per erigere istituzioni democratiche» nei Paesi, che furono teatro delle cosiddette «primavere arabe». Benché anche Berlino le consideri un sostanziale fallimento, alla fin fine ritiene che per certi cambiamenti politici occorrano anni. Da qui i rubinetti ancora abbondantemente aperti. Non solo. Il ministro degli Affari esteri tedesco, Heiko Maas, ha evidenziato come il suo governo sia il solo a dare ancora credito ad un'eventuale svolta "democratica" di quei Paesi, chissà perché...
Le «primavere arabe» - val la pena ricordarlo - iniziarono nel dicembre 2010 e coinvolsero una dozzina di Stati del Nord-Africa e del Medio Oriente, dalla Tunisia all'Egitto, dallo Yemen alla Siria sino alla Libia; ma le riforme invocate in piazza e finanziate in buona parte da agenzie straniere (come, ad esempio, la Open Society Foundation di George Soros, secondo quanto dichiarato dalla rivista Eurasia) si tradussero, in realtà, in una recrudescenza di assolutismi, di radicalismi e di terrorismo islamico dagli effetti devastanti. Perché finanziare ancora tutto questo? Ed a chi sono andati quei 750 milioni di euro tedeschi? Per farne che?

LIBERTÀ PER IL RAMADAN
Eppure la sudditanza, la voglia matta di cancel culture e la sostanziale ignavia dell'Occidente nei confronti dell'islam partono anche dalle piccole cose (che poi tanto piccole non sono...) di casa nostra. Lo scorso 13 aprile ha avuto inizio il periodo del Ramadan, che si concluderà il prossimo 12 maggio. Ebbene, secondo quanto pubblicato da Le Figaro, «la direzione dipartimentale dell'Hérault avrebbe ricevuto un'informativa dal ministero dell'Interno, con cui si comunica che una certa "tolleranza venga accordata" ai "fedeli" [musulmani-NdR], che desiderino pregare al mattino, prima del termine previsto per il coprifuoco"». Lo stesso dicasi alla sera. E non si tratta di una concessione isolata, poiché è stata fatta anche altrove. Prosegue, infatti, l'articolo del prestigioso quotidiano francese: «Nel Tarn le forze dell'ordine sono state incaricate dalla Prefettura di non sanzionare i musulmani circolanti» durante il coprifuoco imposto con l'emergenza Covid, né di verbalizzare eventuali «assembramenti in strada o nei pressi delle moschee» o ancora «consegne di cibo ad amici e familiari». Indicazioni analoghe anche nel dipartimento della Gironda. Una disponibilità al «deconfinamento», che si scontra col pugno duro viceversa utilizzato nei confronti dei cattolici per l'intero periodo della Quaresima, quando non furono ammesse né concessioni, né deroghe alle norme previste.
Stesso copione in Spagna, dove il presidente della Città autonoma di Melilla, Eduardo de Castro, dallo scorso 22 aprile, su richiesta della locale Commissione islamica, ha fatto ampie concessioni circa il coprifuoco sia per gli spostamenti che per gli assembramenti, affinché i musulmani, durante il Ramadan, possano riunirsi in preghiera nelle moschee. È lo stesso presidente, che viceversa a febbraio decretò la chiusura domenicale delle chiese dalle otto del mattino sino a mezzanotte, per "contenere" la pandemia, nonostante le proteste del Vicariato episcopale.

IL CASO DELLA TUNISIA
Provvedimenti ampiamente discriminatori, ma dovrebbe far riflettere quanto accaduto in Tunisia, dove si è registrato un rapido e preoccupante incremento dei casi di Covid-19 proprio a partire dall'inizio del Ramadan: qui si è passati, infatti, nel giro di soli dieci giorni da 1.079 a 2.305 casi di contagio. Segno evidente di come certe concessioni siano decisamente fuori luogo. Per questo le autorità hanno mantenuto il coprifuoco, forse ricorreranno anche alla chiusura delle frontiere con Libia e Francia, al fine di contenere gli spostamenti, soprattutto in zone considerate a rischio. Ma il Paese non può alzare troppe barriere, per evitare la crisi economica prima e sociale poi: il settore turistico, principale fonte di entrate, ha subìto l'anno scorso un calo degli introiti pari al 65% e non può permettersi il bis, ragion per cui non sarà troppo esigente sul fronte sanitario nei confronti dei vacanzieri, intenzionati a trascorrere qui le proprie ferie.
La Tunisia ha almeno l'attenuante di doversi salvare dalla bancarotta. L'Occidente, invece, non si capisce per quale motivo sia così rigido nei confronti dei cattolici e stranamente così blando nei confronti dei musulmani.

DOSSIER "CORONAVIRUS"
Sì alla prudenza, no al panico

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Fonte: Corrispondenza Romana, 28 aprile 2021

3 - LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CHE... AVETE TALE MINISTRO DELLA SALUTE
Guarire a casa dal Coronavirus si può, ma Speranza e l'Aifa fanno ricorso contro il Tar che aveva restituito ai medici il diritto di curare i malati, come fanno i medici di Ippocrate (VIDEO: Appello ai medici di base per curare il Covid a casa)
Autore: Silvana De Mari - Fonte: Blog di Silvana De Mari, 2 maggio 2021

Il ministro che dovrebbe essere della Salute, Speranza Roberto, e l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), con un ulteriore dimostrazione di dubbia equità, hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato contro l'ordinanza con la quale il Tar del Lazio, il 4 marzo scorso, aveva finalmente restituito ai medici il diritto (o forse il dovere?) di fare i medici, e soprattutto il diritto ai pazienti di essere curati. I pazienti sono cittadini di uno stato (ex) democratico che ha già nei suoi tempi migliori, ormai tramontati, ha violato le regole di libertà personale con una tassazione eccessiva. Una delle libertà personali è godere del proprio denaro e amministrarlo secondo la propria volontà. Lo stato Italiano sottrae ai cittadini cifre spropositate, in cambio dà una pensione che forse non si prenderà mai e di cure sanitare "gratis": Gratis un accidente, sono state già pagate con prelievi fiscali folli. In questa maniera però il cittadino ha sempre l'impressione che gli stiano facendo un favore, ma, soprattutto, i medici di famiglia sono proprietà dello Stato, o, se definirli così vi sembra un po' forte, possiamo serenamente descrivere le come impiegati statali, impiegati che, come ogni impiegato il mondo, seguono le istruzioni di chi paga il loro stipendio. Lo spiego in parole molto povere. Sarà squallido, ma inevitabile, che ogni professionista tende a fare l'interesse di colui che lo paga. Ho abitato quattro anni in Svizzera. A fronte di una tassazione enormemente inferiore a quella italiana, non avevamo il diritto alla sanità gratuita. In cambio non eravamo stati spolpati, dato che i soldi li avevano lasciati in mano a noi, perché la Svizzera dà per scontato che i suoi cittadini siano maggiorenni, non minorati mentali cui bisogna sottrarre il denaro per pagare assicurazione malattie, perché da soli non sono capaci. Mi fermo anche a considerare che in Italia io non posso rifiutare il Sistema Sanitario Nazionale, non posso non pagare le tasse, perché altrimenti mi arrivano a casa i finanzieri, che sono uomini armati. Il denaro per pagare quindi un carrozzone indecente che ha lasciato la gente a casa a morire con tachipirina e vigile attesa (mi assumo la responsabilità di ogni singola sillaba di questa affermazione) mi è stato sottratto con la forza. Torniamo alla Svizzera. Quando avevo bisogno del pediatra per mio figlio andavo dal pediatra che avevo scelto io e che mi piaceva perché era capace, cortese, e si era anche preso il disturbo di avere una sala d'aspetto divertente e colorata, e lo pagavo con i soldi miei. Lui faceva una ricevuta con la quale ottenevo il rimborso dell'assicurazione. Ero io che pagavo il medico. Era chiaro al medico che doveva fare il mio interesse, nel caso quello del mio bambino.

CARROZZONI BUROCRATICI E POLITICIZZATI
I medici italiani sono impiegati statali pagati dallo Stato. Fanno l'interesse dello Stato, altrimenti si trovano senza stipendio e corrono anche il rischio di trovarsi espulsi dai sempre più problematici Ordini dei Medici, carrozzoni burocratici e politicizzati che in tutta la cosiddetta pandemia sono riusciti a dare il peggio di sé, rinnegando completamente i due scopi per cui sono nati: proteggere i pazienti e proteggere i veri medici che curano i pazienti. Hanno rinnegato le più elementari norme che tutelano la libertà: la libertà di cura, e la banale libertà di non volere che nel proprio corpo venga iniettata una medicina che non si vuole. Vorrei approfittare di questa tribuna per manifestare la mia totale disistima agli Ordini dei Medici e chiedo a tutti medici che, come me, se lo possono permettere, quelli che non devono mantenere una famiglia, quelli che hanno altri introiti, di uscire degli ordini medici. Dobbiamo fare sciopero. Non continuiamo a finanziare questi carrozzoni.
Il Tar del Lazio aveva affermato il diritto dei medici per i pazienti positivi al coronavirus di «prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza» senza necessariamente attenersi ai protocolli Aifa che prevedono che le cure domiciliari si basino sulla somministrazione di paracetamolo e vigile attesa. Il Senato, in modo quasi unanime (212 a favore, 2 astenuti, 2 contrari), ha chiesto al governo di approvare un protocollo unico nazionale per regolamentare e ampliare le cure domiciliari contro il Covid-19, grazie anche a audizioni parlamentari di medici, al quotidiano la Verità e a poche ma incisive trasmissioni televisive (Fuori dal coro, Diritto e rovescio) che hanno affrontato il problema.
Il ricorso al Tar era stato presentato dal Comitato Cure Domiciliari Covid-19, valorosa l'associazione di medici, che come altre associazioni, per esempio Ippocrate, e innumerevoli medici sfusi (Amici, Gulisano, Citro, De Mari eccetera), curano i pazienti guarendoli a casa senza intasare gli ospedali, con farmaci di poco costo. Il comitato ha affermato in una nota che [quello del Ministro Speranza al Consiglio di Stato, N.d.BB] si tratta di un ricorso che «lascia senza parole», e sottolinea come il ricorso neghi la base della medicina: «la libertà dei medici di fare riferimento alla propria esperienza e formazione per curare i pazienti in scienza e coscienza, con libertà prescrittiva dei farmaci ritenuti più efficaci e la necessità di agire tempestivamente, ovvero entro le prime 72 ore» il protocollo Aifa è basato su somministrazione di un pessimo antipiretico privo di attività antinfiammatoria che deprime il glutatione, il Paracetamolo, e della cosiddetta vigile attesa, che vuoi dire non dare cure fino a quando la misurazione dell'ossigeno mediante un apparecchietto che si mette sul dito (pulsometro), non ne segnala un abbassamento nel sangue, vale a dire fino a quando non c'è un danno polmonare sorvolando sul particolare che solo una piccola parte delle persone che ha tosse e febbre ha il coronavirus, la maggioranza ha una polmonite batterica, quindi l'idea di non somministrare antibiotico fino a quando non c'è un abbassamento dell'ossigeno, cioè un danno polmonare, è assolutamente sbagliata. Il Comitato ha chiesto al ministro Speranza di fornire al più presto delucidazioni in merito al ricorso, ricordando che ormai sono innumerevoli le persone in Italia e all'estero curate con quello che in Italia è chiamato il protocollo del professor Cavanna, con spettacolari risultati.

IL MINISTRO DELLA SALUTE
Il ministro della salute, dizione ogni giorno sempre più orwelliana, non si è preso il disturbo di rispondere all'associazione dei medici di Medicina Domiciliare, un gruppo di medici che curano gratuitamente i pazienti a casa con ottimi risultati, non deve essergli sembrato un interlocutore degno della sua attenzione. Ci chiediamo quali accidenti siano gli interlocutori degli della sua attenzione, e dell'attenzione dei circuiti televisivi anche. Il dottor Gulisano, uno dei medici che guariscono il Covid a casa avrebbe dovuto essere presente da Floris su La 7 martedì 20, dato che il ricorso approvato dal Tar sta spingendo tutti verso l'idea di curare a casa. La troupe per riprenderlo era già a casa sua, quando tutto è stato annullato. Qualche malalingua ha ipotizzato che forse già serpeggiava la notizia che il ricorso dell'Orwelliano ministro della Salute sarebbe stato accettato, come in effetti è successo due giorni dopo. È un'affermazione grave che lascia ombre sull'imparzialità degli organi decisionali della nazione e che noi ricusiamo assolutamente. La riportiamo per puro dovere di cronaca.
Mentre ci domandano dove trovare i dati che ci spieghino quanti morti hanno avuto Svizzera e Austria per la loro temeraria imprudenza di lasciare aperti gli impianti di risalita, siamo di nuovo immersi in tachipirina e vigile attesa.
Ma noi non molliamo. Noi continueremo la nostra battaglia. Noi che abbiamo curato continueremo a curare. Noi siamo medici e continueremo essere medici. Ippocrateorg, terapia domiciliare, Amici, Citro, Gulisano, io e innumerevoli altri continuiamo a curare. E ad aspettare il momento in cui Ippocrate tornerà a essere Ippocrate. Che i medici tornino a curare. Che gli ordini dei medici tornino a proteggere il diritto dei medici di curare e il diritto dei pazienti a essere curati. Che i ministri della salute tornino a proteggerla.
Nel suo ridicolo libro Come guariremo [di Roberto Speranza, N.d.BB], c'è l'affermazione che la "pandemia" è una magnifica occasione per attuare i "valori del socialismo": più miseria per tutti e tutti di proprietà dello stato, ma non c'è solo questo.
I cosiddetti vaccini Covid sono tutte terapie sperimentali. possono essere somministrati solo se non esistono cure alternative.
Due più due fa...? Quattro!

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 ora circa) dal titolo "Sconfiggiamo il Covid: appello ai medici di base" Federica Picchi, presidente della Dominus Production, intervista Paolo Allegri e Mauro Rango dell'associazione Ippocrate e l'autrice del precedente articolo, Silvana De Mari.


https://www.youtube.com/watch?v=1N_yiIw4FOY

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Manuale per Terapia Domiciliare Personalizzata
Mauro Rango - Independently published - pagine 73 - € 12,01 (prezzo Amazon) - Marzo 2021

L'autore, Mauro Rango è l'ideatore e fondatore del Movimento IppocrateOrg, nato per offrire una luce, in questo difficile periodo che stiamo vivendo, in grado di farci "scalfire il velo che ci separa dalla realtà". Egli trasferisce in questo libro l'esperienza vissuta - ormai da quasi un anno - da tutti coloro che lo hanno affiancato in questa iniziativa meritoria e da tutte le persone sofferenti che hanno cercato aiuto rivolgendosi al Movimento. Un Movimento che ha raccolto intorno a sé l'adesione di un numeroso gruppo di volontari: medici, psicologi, tecnici informatici, e professionalità varie: Uomini e donne che hanno abbracciato con generosità e dedizione il progetto per rendere vivo il pensiero che ci connette al coraggio, alla virtù e alla conoscenza, consapevoli che solo la bellezza e l'Amore nobilitano la nostra esistenza. Un libro alla portata di tutti in cui l'autore cattura l'attenzione del lettore fin dalla prefazione; i casi riportati nell'opera, testimoniano la concreta capacità di intervenire tempestivamente, con le cure adeguate, nell' offrire un sostegno laddove se ne invoca un bisogno.
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DOSSIER "CORONAVIRUS"
Sì alla prudenza, no al panico

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Fonte: Blog di Silvana De Mari, 2 maggio 2021

4 - + LOCKDOWN - NASCITE = L'ITALIA SI SUICIDA
L'Istat dice che i lockdown hanno aggravato il crollo della fecondità, la vera emergenza che farà fallire il ''piano di ripresa'' del governo (intanto un tribunale ha assolto due donne che avevano violato il lockdown)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04-05-2021

Immaginiamo che il presidente di una società di calcio si prefigga di vincere il campionato: sceglie l'allenatore più bravo, i dirigenti più in gamba; poi costruisce lo stadio di proprietà; crea una campagna di comunicazione per guadagnare simpatie e dare un'immagine adeguata alla società. Poi, siamo alla vigilia del campionato e il presidente si accorge che si è dimenticato di acquistare i calciatori. Una follia, si dirà. Impossibile. Già, ma questa è l'Italia di oggi, questo è ciò che il nostro governo sta facendo, ed è quello che dimostrano i dati Istat pubblicati ieri (con l'aggiunta di una analisi della natalità in Italia svolta dal presidente dell'Istat stessa, Gian Carlo Blangiardo).
In questi giorni si è molto parlato e molto fantasticato a proposito del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) presentato dal nostro governo alla Commissione Europea, 210 miliardi di euro che dovrebbero rilanciare l'economia italiana, ulteriormente depressa dalla crisi pandemica. Transizione ecologica, digitale, mobilità sostenibile, inclusione, sono i principali capitoli di spesa per investimenti. Tralasciamo pure la questione, non secondaria, se questo sia il modo più efficace di rilanciare un'economia; il vero problema del PNRR è che non ci sono gli italiani, o meglio: saranno sempre meno, e insufficienti, gli italiani protagonisti dell'economia.
La crisi demografica dell'Italia, sempre più grave - e una delle cause fondamentali del declino economico - è stata semplicemente ignorata nel PNRR, esattamente come se il presidente di una squadra di calcio dimenticasse i giocatori. Teniamo conto che in 12 anni, le nascite sono calate del 30%, dalle 577mila del 2008 alle 404.000 del 2020, una vera e propria catastrofe.

LE CONSEGUENZE DEL LOCKDOWN
E i dati forniti ieri dall'Istat rendono il quadro ancora più drammatico, perché al calo di nascite già previsto dall'andamento ormai pluriennale, si è aggiunto un ulteriore calo dovuto alle conseguenze della crisi pandemica. Da novembre 2020 infatti, c'è un improvviso calo di fecondità rispetto ai mesi precedenti, comparati con gli stessi mesi del 2019. Se fino a ottobre si registrava un calo medio del 2.7% rispetto all'anno precedente (in linea con la tendenza degli ultimi anni), a novembre si registra un -8.2% rispetto allo stesso mese del 2019 e a dicembre addirittura un -10.3%. A gennaio 2021 il calo poi cresce a -14.3%, per la prima volta con una media giornaliera al di sotto della barriera psicologica dei mille nati: 992 per la precisione, per un totale sul mese di 30.767 nati vivi. Nel gennaio 2020 la media era stata di 1.159 nascite. In totale nel gennaio 2021 sono nati 5.151 bambini in meno rispetto al gennaio 2020, vale a dire una cifra ben sette volte superiore al calo che nel 2020 si registrava rispetto al gennaio 2019 (-729 nati vivi). Un vero e proprio crollo che si aggiunge al già drammatico calo tendenziale delle nascite, tanto che ci si aspetta per il 2021 un totale di nati vivi ben al di sotto delle 400mila unità.
A cosa si deve questo ulteriore, drastico calo della fecondità? Alla paura, ci dice il professor Blangiardo. Alla paura scatenata dal virus che ha portato a una immediata contrazione dei concepimenti: novembre infatti coincide con i nove mesi dal marzo 2020, e la contrazione - come abbiamo visto - è andata aumentando. Il fatto che da parte delle autorità e dei media si continui a spargere terrore a piene mani di fronte a un virus certamente pericoloso ma gestibile in ben altro modo, lascia pensare che nei prossimi mesi vada ancora peggio.

PERSI UN MILIONE DI ABITANTI
Il crollo delle nascite - che ha portato l'Italia a perdere in sette anni un milione di abitanti - è la vera emergenza nazionale, anche dal punto di vista economico. Senza la spinta delle nuove generazioni infatti non ci può essere ripresa economica; e i grandi progetti raccontati dal presidente del Consiglio Mario Draghi, non solo sono destinati a rimanere sogni, ma hanno ottime probabilità di trasformarsi in incubi perché il Recovery Fund europeo a cui attingerà l'Italia per il PNRR sarà un ulteriore debito a carico delle sempre più striminzite generazioni future.
Un governo che pensa alla ripresa economica saltando a piedi pari l'ingrediente fondamentale perché la ricetta possa essere efficace, è semplicemente irresponsabile. E ancora di più lo è continuando a seminare panico e incertezza sul futuro, imponendo lockdown devastanti - per l'economia e per la salute mentale -, e diminuendo così la propensione alla fecondità.
C'è a questo proposito un altro elemento che agisce da moltiplicatore in questa drammatica spirale denatalista, e che è diretta conseguenza delle politiche di lockdown: «Nel 2020 - dice l'Istat - sono stati celebrati circa 97mila matrimoni, il 48% in meno dell'anno precedente (...) Considerando quanto ancora oggi vi sia uno stretto legame tra matrimonio e le intenzioni riproduttive nel breve periodo, non vi è dubbio che anche questo fattore eserciterà una spinta negativa sulle nascite del 2021 e forse anche in seguito».
Ovviamente nel PNRR nulla c'è scritto riguardo alla famiglia - e come sostenerla -, ignorando che essa è il fondamento di una qualsiasi politica che voglia invertire la tendenza demografica. Come dire che questo governo, non diversamente da quello precedente, sta allegramente accompagnando il nostro popolo al suicidio.

Nota di BastaBugie: Gianfranco Amato nell'articolo seguente dal titolo "Lockdown illegittimi, un giudice dà l'esempio" spiega come è possibile che un giudice di Reggio Emilia abbia giustamente disapplicato il DPCM dello scorso marzo assolvendo due donne che giravano in violazione del lockdown.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 marzo 2021:

C'è un giudice a Reggio Emilia. Si tratta del Dott. Dario De Luca, Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale reggiano, al quale va ascritto il merito di aver emesso una sentenza giusta e coraggiosa.
Questi gli antefatti. Ai tempi del lockdown 2020, due donne in auto vengono fermate dai Carabinieri di Correggio, i quali chiedono spiegazioni del motivo per cui circolano in violazione del DPCM 8 marzo 2020. Una delle due adduce come giustificazione il fatto di esser andata a sottoposi ad alcuni esami clinici, mentre la seconda sostiene di aver accompagnato l'amica. I militari dell'arma eseguono i dovuti accertamenti e riscontrano che le affermazioni delle due donne non corrispondono a verità. Da qui la denuncia ed il relativo processo a carico delle sventurate. Processo che, però, si è concluso con un'assoluzione.
Il giudice dott. De Luca, infatti, nella sua sentenza è partito dalla considerazione, «in via assorbente», della «indiscutibile illegittimità del DPCM del 8.3.2020», come «pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo», ove si prevede che le misure di contrasto e contenimento del virus Covid-19 siano «estese all'intero territorio nazionale». Secondo il G.I.P. del Tribunale di Reggio Emilia, tale disposizione «stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare».
Questo, però, crea un vero problema perché, sempre secondo il dott. De Luca, «nel nostro ordinamento giuridico, l'obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all'esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all'esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa».
In pratica, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad atto motivato della Autorità giudiziaria e non in base ad una atto amministrativo, e comunque nei casi e nei modi previsti dalla legge, ossia con provvedimento di natura singolare e non «con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come sarebbe l'obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Il G.I.P. di Reggio Emilia, quindi, avvalendosi di una vecchia legge del 1865, ha disapplicato il D.P.C.M. in quanto palesemente incostituzionale. Infatti, poiché il D.P.C.M. non è una legge ma un semplice atto amministrativo non è la Corte costituzionale che deve dichiararne l'illegittimità, ma è il giudice ordinario che può semplicemente disapplicarlo.
Del resto, non c'è dubbio che l'obbligo l'obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. E secondo l'art. 13 della Costituzione le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Secondo il G.I.P. del Tribunale dei Reggio Emilia da tale principio costituzionale discendono due corollari. Primo, «un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale», trattandosi di un semplice atto amministrativo, anche se emesso dal Capo del Governo. Secondo, «neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l'obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Come si giunge all'assoluzione delle due donne? Con la seguente ineccepibile conclusione del G.I.P. De Luca: la disapplicazione del DPCM, rende comunque la condotta di falso non punibile, perché «è esclusa l'antigiuridicità in concreto della stessa condotta» e, perché, in ogni caso, si tratta di «un falso inutile». In pratica, sostiene il G.I.P., avendo disapplicato, perché costituzionalmente illegittimo il DPCM, il falso ideologico contenuto nell'autocertificazione appare «necessariamente innocuo». Da qui il proscioglimento delle due donne perché il fatto non costituisce reato.
Ogni tanto in Italia la giustizia batte un colpo.

DOSSIER "CORONAVIRUS"
Sì alla prudenza, no al panico

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04-05-2021

5 - L'INGANNO DELLA RICERCA DELLA FAMA
Sopravvalutare la fama significa cercare la ricompensa sulla terra anziché in Cielo... del resto le persone famose sono come noi, la loro fama non aumenta l'eventuale importanza di quel che fanno
Autore: Pierfrancesco Nardini - Fonte: I Tre Sentieri, 9 aprile 2021

"O quanto velocemente passa la gloria del mondo!" (De imitatione Christi)
Ci sono persone che rincorrono disperatamente la visibilità agli occhi degli altri, del mondo, che rincorrono la fama.
Senza riuscire ad ottenerla si sentono come vuoti, come se non avessero fatto nulla di buono e di importante nella vita.
Addirittura un commissario di polizia americano nei primi decenni del 1900 raccontava che alcuni giovani, dopo l'arresto, chiedevano il giornale per vedersi sulle prime pagine assieme ai divi dello sport e dello spettacolo.
A questo arriva a volte la mente umana.
Entriamo però nel ragionamento con un paio di domande. Si fa qualcosa di importante nella propria vita solo se è una cosa pubblica, nota, che ci dà fama? E quanto la fama realmente può "riempire" la vita di un uomo?
Il Vocabolario Treccani così definisce la parola "importanza": "il fatto d'importare a qualcuno, di stargli a cuore, di costituire per lui oggetto di grande o notevole interesse" e "riferito a persona, anche autorità, credito, influenza, valore".
Sono definizioni che non hanno come condicio sine qua la notorietà, la conoscenza pubblica. Si è certamente importanti per qualcuno (per quanto poi dipenda da noi e dalla nostra capacità di relazionarci con gli altri) anche se si è la persona meno conosciuta al mondo.
Si diventa una persona di valore, autorevole, influente in base a come ci si comporta non in base alla propria fama.
Si fa, insomma, qualcosa di importante, si lascia il segno vivendo la propria vita con i valori, rispettando i nostri doveri di stato, soprattutto vivendo secondo la Legge di Dio. Non si deve necessariamente aver inventato qualcosa di decisivo per l'umanità o essere il più grande di tutti i tempi nel proprio campo.
Le persone famose d'altronde sono come noi, la loro fama non aumenta l'eventuale importanza di quel che fanno.
Viene in mente il film Notting Hill e la risposta di Anna Scott (Julia Roberts) a William Thacker (Hugh Grant) che manifesta preoccupazione per la troppa fama di lei: "...la faccenda della fama non è una cosa reale... sono una semplice ragazza che sta di fronte a un ragazzo e gli sta chiedendo di amarla".
La "faccenda della fama", insomma, è sopravvalutata. Soprattutto è anche pericolosa.
Si esagera? No, se si pensa che un cattolico non deve puntare alle cose di questo mondo, ma alla vita eterna.
Sopravvalutare la fama significa correre il rischio di crearsi degli idoli e di "ricevere la ricompensa" (Matteo 6, 2) qui sulla Terra per poi piangere per l'eternità.
La gloria terrena si disperde nel nulla. Scrive Shakespeare nell'Enrico VI, Atto I, Scena II: "La gloria è simile ad un cerchio nell'acqua che non smette mai di allargarsi, fino a che, causa del suo stesso ingrandirsi, non si disperde nel nulla."
Preghiamo Maria Santissima affinché il nostro cuore e la nostra mente possano mantenersi fissi su Gesù e sulla vera ricchezza.

Fonte: I Tre Sentieri, 9 aprile 2021

6 - FINALMENTE GLI STATI UNITI RICONOSCONO IL GENOCIDIO ARMENO
Erdogan attacca ferocemente Biden, ma alle parole non seguono i fatti perché l'economia della Turchia è fragile
Autore: Luca Della Torre - Fonte: Corrispondenza Romana, 28 aprile 2021

Lo scorso 24 aprile, il governo degli USA ha finalmente riconosciuto ufficialmente il genocidio del popolo armeno costato la vita a un milione e mezzo di cristiani sterminati con un piano normativo studiato a tavolino e realizzato con criminale determinazione dal governo ottomano musulmano turco tra il 1915 ed il 1917.
Gli Stati Uniti si uniscono così ai 29 Paesi che nel mondo riconoscono che le efferate persecuzioni perpetrate con ferocia dalla Turchia durante la Prima Guerra Mondiale contro l'intero popolo di fede cristiana ed etnia armena rientrino a pieno titolo nella fattispecie di crimine penale internazionale di genocidio, come previsto dalla Convenzione ONU del 1948: 29 Stati sono ancora molto pochi in verità, rispetto ai 194 Stati membri dell'ONU.
La decisione degli USA avrà ovviamente una ricaduta storica, politica e giuridica di portata internazionale nei confronti del tanto discusso alleato NATO, il regime islamico-nazionalista turco di Recep Taiyp Erdogan, che viene inchiodato alle sue precise responsabilità in tema di negazionismo sul genocidio armeno cristiano.
Gli elementi storiografici che hanno portato a maturazione i processi per il riconoscimento di questo tragico capitolo nella storia della persecuzione alla fede cristiana sono dati dalla scoperta e pubblicazione nelle università USA del carteggio istituzionale di uno dei tre membri del Triumvirato che governò la Turchia ottomana durante la Prima Guerra Mondiale, il ministro Talat Pasha. In questi documenti si individuano le prove dei decreti, ordinanze, provvedimenti amministrativi finalizzati al massacro degli armeni.

LA STRAGE DI UN MILIONE E MEZZO DI ARMENI
A partire dall'aprile del 1915, il governo del Sultano turco in guerra contro le potenze alleate, pianifica a livello legale, militare un programma mirato alla eliminazione totale dal territorio ottomano della popolazione armena - cittadini turchi a tutti gli effetti ma di fede religiosa cristiana e non islamica e di gruppo etnico non turcomanno - attraverso arresti, massacri, stupri, deportazioni di massa, tra cui le celebri "marce della morte" verso i deserti della Mesopotamia. Le famiglie vengono smembrate, separando i genitori dai figli che vengono affidati in schiavitù a tribù curde dell'Impero ottomano; la legge di sicurezza per la deportazione ed espropriazione dispone la liquidazione dei beni dei cittadini armeni per miliardi di Euro attuali.
Il frutto tragico di questa strategia porterà alla eliminazione fisica intenzionale di più di un milione e mezzo di armeni, alla luce dei più attendibili dati scientificamente assunti dalla comunità scientifica internazionale.
La repressione dei cristiani armeni nell'Impero ottomano era cominciata in verità diversi anni prima. Già alla fine dell'Ottocento, nel momento in cui all'interno dell'Impero ottomano la vivace intraprendente minoranza cristiana si era organizzata per ribellarsi alle condizioni anacronistiche di "dimmithudine" (la sottomissione giuridica a discriminazioni dei diritti di libertà, politici, economici, praticate dai sistemi politici islamici verso le minoranze religiose cristiane in Medio Oriente da secoli) l'esercito turco si era già mobilitato.
Gli storici armeni di quel periodo evidenziano che i militari di Costantinopoli uccisero con ferocia, nei quindici anni compresi fra il 1894 e il 1909, circa 200 mila persone. Uno sterminio, dunque, partito già dagli ultimi sultani, in particolare da Adbul Hamid II, che governò fino al 1909, e poi dal governo dei Giovani Turchi.
Oggi la battaglia sul riconoscimento del genocidio riguarda più aspetti nell'ambito delle relazioni internazionali e della geopolitica: almeno tre.
In primo luogo la legittimità della attribuzione del termine genocidio a questo stermino di massa, considerato come decisivo a livello di diritto internazionale: si consideri che il termine genocidio non nasce a seguito della Shoah ebraica della Seconda Guerra Mondiale, ma viene creato e introdotto nel diritto internazionale dal giurista accademico USA di origine polacca Raphael Lemkin, che studiò per primo negli anni ‘30 del XX secolo il dramma del popolo armeno nella Prima Guerra Mondiale.
La nozione di genocidio introdotta grazie agli studi di Lemkin nella Convenzione ONU per la repressione del crimine di genocidio comprende tutte quelle condotte - uccisioni di massa, lesioni gravi, stupri, deportazioni, sottoposizione a condizioni di vita insostenibili fisicamente - miranti a distruggere in toto o in parte un gruppo nazionale, etnico, religioso, razziale.

COPYRIGHT EBRAICO ESCLUSIVO SUL GENOCIDIO
Per quanto paradossale possa apparire, si consideri che a livello di relazioni internazionali il termine genocidio è ancora oggetto di contesa sulla "proprietà esclusiva" del termine: un esempio è il discorso di memoria storica fortemente dibattuto in seno ad Israele - sia alla Knesset, il Parlamento, sia nelle accademie - sulla questione di esclusiva del genocidio ebraico e sulla unicità della Shoah. L'Armenia ha avuto parecchi contraddittori proprio con Israele al riguardo, contestando la pretesa israeliana al "copyright" esclusivo sulla tragedia del genocidio in forma di Olocausto nazista.
Ciò vale pure per i criminali tragici misfatti compiuti dai regimi totalitari comunisti nel XX secolo: dall'Unione Sovietica alla Cambogia alla Cina, le responsabilità precise dei vertici politici, militari, di questi funesti leader - da Lenin a Stalin a Krushev, da Mao Ze Dong ai Khmer Rossi - tendono a non essere ricomprese nella qualifica di genocidio da parte dei governi che si sono succeduti agli stessi regimi.
Così accade in Turchia: la reazione furibonda della Cancelleria turca a questo preciso atto d'accusa USA, tradisce l'impronta islamista-nazionalista che ancor oggi è la piattaforma giuridico-istituzionale che cementa le aspirazioni geopolitiche di questo scomodo alleato dell'Occidente: uno dei primi atti istituzionali che fondano la moderna Turchia in cui si incarna Erdogan è il Patto nazionale del 1920 dei Giovani Turchi, che afferma che il popolo turco ha una comune radice musulmana ed ottomana, che la rende unita per religione, razza e finalità.
La Turchia vive oggi - con riferimento al mancato riconoscimento del genocidio armeno - la paradossale condizione dell'impianto costituzionale del proprio Stato, un mix di totalitarismo di evidente impronta islamista che confonde religione, Stato e società civile in un'unica definizione giuridica, e di esasperato nazionalismo panturanico che qualifica come nemico della nazione tutto ciò che proviene dall'Occidente: basti considerare che il Codice Penale turco prevede il reato di "offesa alla nazione turca" nei confronti di chiunque osi attribuire al governo turco di allora la responsabilità del presunto genocidio: le responsabilità giuridiche e politiche del milieu islamico ed islamista nei confronti dell'Occidente sono evidenti, il dialogo tra civiltà non è unilaterale se non esiste piattaforma identitaria condivisa su cui ragionare.

Nota di BastaBugie: Leone Grotti nell'articolo seguente dal titolo "Genocidio armeno. Più Erdogan strepita, più si rivela debole" spiega perché Erdogan attacca Biden per il riconoscimento del genocidio armeno. Ma va detto anche che alle parole non seguono i fatti perché l'economia della Turchia è troppo fragile.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 27 aprile 2021:

Il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte di Joe Biden ha mandato su tutte le furie Recep Tayyip Erdogan. Il "sultano" ha intimato agli Stati Uniti di «rivedere immediatamente questo passo falso». Ha spiegato che il riconoscimento «avrà effetti devastanti sulle nostre relazioni bilaterali». Ha aggiunto che i rapporti con gli Usa «sono danneggiati come mai prima d'ora». E poi non ha fatto nulla di concreto, svelando l'estrema debolezza della Turchia.
Il presidente turco sa di non potersi permettere sanzioni contro gli Stati Uniti per non indebolire ulteriormente un'economia già fragile e inimicarsi l'alleato Nato. Al contrario di quanto fatto in precedenza, non ha nemmeno ritirato l'ambasciatore, dimostrando ancora una volta l'inconsistenza delle minacce di Ankara. Al di là delle dichiarazioni di fuoco, infatti, più Erdogan urla più dimostra di essere debole.
Quando nell'aprile 2019 la Camera dei deputati italiana riconobbe il genocidio armeno, Ankara si infuriò e ritirò il proprio ambasciatore. La stessa cosa fece nel 2015, quando fu papa Francesco a esprimersi sul genocidio. In entrambi i casi, gli ambasciatori tornarono al loro posto dopo pochi mesi.
Erdogan sa che l'economia della Turchia è fragile. L'inflazione a marzo è cresciuta per il sesto mese consecutivo, aumentando il costo delle importazioni, a causa del continuo deprezzamento della lira. Nell'ultimo anno la lira turca ha perso più di un quinto del suo valore rispetto al dollaro americano. Ecco perché Ankara non può permettersi di protestare seriamente per il riconoscimento del genocidio armeno da parte di Biden.
Parlare di genocidio armeno in Turchia è un reato punito dall'articolo 301 del codice penale. Ma lo sterminio di 1,5 milioni di armeni tra il 1915 e il 1917 è un fatto storico confermato da decine di migliaia di documenti ufficiali. Persino Hasan Cemal, nipote di quel Djemal Pasha che fu uno degli architetti del genocidio, ha scritto un libro intitolato 1915. Genocidio armeno, tradotto in Italia da Guerini. Nel libro si legge: «Finché noi turchi non prendiamo coscienza di ciò che è avvenuto, non potremo fare pace col nostro passato e considerarci una nazione con una storia».

THE PROMISE (2016): IL MIGLIOR FILM SUL GENOCIDIO ARMENO
Per sapere tutto sul film, che vede tra i protagonisti Christian Bale (ha interpretato Batman nella trilogia), visita il sito FilmGarantiti.it
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=72

Fonte: Corrispondenza Romana, 28 aprile 2021

7 - IL SUMMIT SUL CLIMA DI BIDEN E' UN ''SUCCESSO''... MA SOLO PER LA CINA
La Cina inquina sempre di più e si allontana dalle promesse fatte, ma queste sono sufficienti per fare affari d'oro a spese dell'Occidente (ad es. il 95% dei pannelli solari sono fatti di materie che vengono dalla Cina)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 23 aprile 2021

Il summit sul clima di Joe Biden è stato un «successo». Lo scrivono tutti i giornali, parlando del vertice in videoconferenza dove i principali leader mondiali hanno fatto nuove promesse sul taglio dei gas serra. Ma c'è un paese che ha beneficiato più di tutti dell'appuntamento green, ed è la Cina. Mentre gli altri Stati, incitati dai discorsi di Greta Thunberg e papa Francesco, facevano a gara a migliorare gli impegni assunti con l'accordo di Parigi, Xi Jinping si è guadagnato il plauso dei media di tutto il mondo, pur senza prendere nessun impegno.
Il «green» è la vera gallinella dalle uova d'oro per Pechino. Criticato a livello internazionale su tutti i fronti possibili, ha capito che è sufficiente fare roboanti discorsi sul clima per ottenere una tregua. Anche se poi, alle parole, non seguono mai i fatti.
Xi ha disperatamente bisogno di migliorare l'immagine della Cina. Ha scatenato una pandemia che ha messo in ginocchio l'economia mondiale. È sotto accusa per il «genocidio» degli uiguri. Ha azzerato le libertà civili di Hong Kong in violazione degli accordi internazionali presi con il Regno Unito. Minaccia costantemente di invadere Taiwan. Protegge la dittatura militare del Myanmar, che sta massacrando il suo stesso popolo, impendendo all'Onu di intervenire. Ruba la tecnologia agli alleati industriali, viola le regole del Wto, invade il mercato con merci a basso costo danneggiando i partner commerciali. Sanziona tutti coloro che osano muovere delle critiche.

IL CLIMA È IL CAVALLO DI TROIA DI XI
Nessun paese al mondo potrebbe resistere a tante malefatte. Non è dunque sorprendente che la Cina abbia accettato l'invito di Biden a partecipare al summit virtuale sul clima. Pechino ha disperatamente bisogno di promuovere agli occhi del mondo un'immagine più responsabile del regime e ha trovato nel clima il cavallo di Troia che cercava. Il vertice americano ne è stata la riprova. Xi Jinping non ha promesso nulla, eppure ha ricevuto l'elogio di tutto il mondo.
Gli Usa si sono impegnati a tagliare le emissioni di anidride carbonica almeno del 52% entro il 2030; l'Ue le ridurrà del 55% entro il 2030 con l'obiettivo di arrivare a zero emissioni nel 2050. Il Giappone ridimensionerà i gas del 46% entro il 2030, il Regno Unito del 78% entro il 2035. E la Cina? Xi ha vagamente parlato di «investimenti sostenibili», «Via della seta verde», «riduzione del tasso di crescita nei consumi di carbone nei prossimi cinque anni» (riduzione della crescita, non dei consumi). Ha poi ribadito l'impegno degli accordi di Parigi: raggiungere il picco delle sue emissioni di Co2 nel 2030 e la neutralità carbonica nel 2060.
Solo tra 10 e 40 anni, dunque, si potrà avere la certezza se Pechino fa sul serio oppure no. Nel frattempo, però, si può dare un'occhiata a come la Cina si sta muovendo per raggiungere i suoi mirabolanti obiettivi. Secondo il gruppo di analisi finanziare TransitionZero, la Cina potrebbe risparmiare fino a 1,6 triliardi di dollari se sostituisse il carbone con alternative più pulite. Eppure «al momento non c'è traccia di questa transizione».
Secondo i dati diffusi dalla Cina, il carbone soddisfa il 56,8% del fabbisogno energetico del paese. Pechino resta il principale emettitore di gas serra nel mondo, a livello assoluto, e a breve supererà gli Stati Uniti nella classifica dei paesi per inquinamento pro capite. Nel 2020, le emissioni in Cina sono aumentate dell'1,7%, raggiugendo i 14.400 milioni di tonnellate, pari alle emissioni di 180 paesi del mondo messi insieme.

OLTRE 200 NUOVE CENTRALI A CARBONE
In Cina, secondo i dati del Global Energy Monitor, sono attive 1.082 centrali a carbone. Per mantenere gli impegni presi, dovrebbe chiuderne nei prossimi dieci anni 588. Invece, 92 nuove centrali sono in costruzione e altre 135 sono in fase di progettazione. Ogni nuova centrale difficilmente verrà spenta «prima di 40 anni» per non generare perdite. Se nel 2020 il mondo ha spento centrali a carbone per un totale di 37,8 gigawatts in meno, la Cina ne ha costruite per un totale di 38,4 gigawatt in più, vanificando quindi gli sforzi del mondo intero. Ancora, se nel 2019 la Cina aveva commissionato il 64% di tutte le nuove centrali a carbone del mondo, nel 2020 il dato è aumentato al 76%. Nel computo, non sono considerate quelle costruite all'estero.
Paradossale, infine, è il fatto che il Dragone domini i settori delle automobili elettriche, dei pannelli solari, delle turbine eoliche e delle batterie. Mentre guadagna dalle promesse green degli altri paesi, quindi, non fa nulla in patria per limitare le emissioni di Co2. Secondo il Climate Action Tracker, l'operato della Cina rispetto agli obiettivi preposti è «altamente insufficiente». È da notare anche che nessun paese fortemente industrializzato guadagna la sufficienza nella classifica. Gli unici paesi definiti “modello” sono al momento Marocco e Gambia.
Xie Chunping, membro del Grantham Research Institute on Climate Change, ha affermato che se la Cina vuole mantenere le sue promesse deve ridurre le sue emissioni del 66% entro il 2030. Come riuscirà a farlo in soli nove anni, quando ancora oggi le sue emissioni aumentano anno dopo anno, è un mistero. Ma ai summit sul clima come quello americano non si parla di dati. Si fanno solo promesse. Xi Jinping questa volta non ha fatto neanche quelle. Eppure ha ricevuto l'applauso del mondo intero. Il «green» si conferma un affare d'oro per la Cina.

Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Leone Grotti, nell'articolo seguente dal titolo "La rivoluzione green si fonda sullo sfruttamento del lavoro forzato in Cina?" rivela che il 95% dei pannelli solari sul mercato è realizzato con materiali lavorati in Cina nel Xinjiang, dove si sfrutta il lavoro forzato degli uiguri.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 29 aprile 2021:

La battaglia per mitigare il cambiamento climatico e la rivoluzione green sognate dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti di Joe Biden potrebbero basarsi su un'amara verità: lo sfruttamento del lavoro forzato in Cina. Si fanno sempre più forti, infatti, i sospetti sulla produzione dei pannelli solari, settore in cui Pechino è leader in ogni fase del processo, concentrata nella provincia del Xinjiang.
I pannelli funzionano grazie alla capacità delle celle fotovoltaiche di assorbire e convertire la luce del sole in energia. La stragrande maggioranza delle celle sono fatte con componenti di polisilicio. La produzione globale del polisilicio è per l'82% in mano alla Cina, che nel 2010 deteneva soltanto il 26% del mercato. Nello stesso lasso di tempo la fetta di mercato americana è scesa dal 35 al 5%.
Come affermato dall'esperto di Bloomberg New Energy Finance, Jenny Chase, «almeno il 95% dei pannelli solari presenti sul mercato», anche prodotti in altri paesi, «sono fatti di polisilicio che proviene dal Xinjiang». È in questa provincia, infatti, che si trovano quattro dei cinque produttori più grandi al mondo, in grado di offrire prezzi imbattibili: Gcl-Poly, East Hope Group, Daqo New Energy e Xinte Energy.
Alla base della competitività delle aziende cinesi non c'è soltanto il possibile utilizzo di lavoro forzato. Ma anche il minor costo dell'energia. Per produrre il polisilicio è necessario un processo industriale che richiede l'utilizzo di fornaci ad altissime temperature. Il 40% dei costi operativi di queste aziende è assorbito dall'energia. E in Xinjiang l'energia viene prodotta con economiche, ma iper inquinanti, centrali a carbone. Ogni fabbrica è infatti costruita di fianco a una di queste centrali che «mina alla radice i benefici per l'ambiente eventualmente prodotti dai pannelli solari», spiega Bloomberg.
Il Xinjiang è anche la provincia dove nel 2017 è iniziata la più grande incarcerazione di massa di una minoranza etnica della storia. Da allora, sono stati detenuti senza processo in enormi campi di rieducazione attraverso il lavoro 1,8 milioni di uiguri. La loro colpa è di essere musulmani e di conseguenza, secondo Pechino, estremisti e poco patriottici. Il Partito comunista cinese ha sempre negato le incarcerazioni di massa e lo sfruttamento del lavoro degli internati, spiegando che si tratta di programmi di «reinserimento nella società» attraverso periodi di soggiorno in «centri di formazione». Qui, sempre secondo il regime, gli uiguri possono imparare un nuovo lavoro. La verità, confermata da centinaia di testimonianze, è che gli uiguri vengono rinchiusi, abusati, torturati fisicamente e psicologicamente contro la loro volontà. In molti casi, sono anche sottoposti ai lavori forzati.
A gennaio, come riportato dal New York Times, la società di consulenze Horizon Advisory ha realizzato un rapporto sulle aziende che si occupano di tecnologia per lo sfruttamento dell'energia solare in Cina. All'interno si legge ad esempio che Gcl-Poly ha accettato «un surplus di forza lavoro» proveniente da una regione rurale del Xinjiang nel 2020. La stessa cosa era avvenuta nel 2018. Una filiale di Jinko Solar ha ricevuto sussidi per impiegare nel 2020 almeno «40 lavoratori poveri provenienti dal sud del Xinjiang». Una filiale di East Hope «ha accettato 235 impiegati provenienti da una minoranza etnica del Xinjiang meridionale».
Secondo una ricerca condotta dal Center for Strategic and International Studies, il think tank più autorevole degli Stati Uniti e uno dei più importanti del mondo, simili diciture rappresentano un paravento per nascondere il lavoro forzato. Gli uiguri impiegati, infatti, non possono né rifiutare né abbandonare il lavoro, non possono allontanarsi dalla fabbrica né partecipare a funzioni religiose, spesso non vengono pagati o non ricevono un salario adeguato, subiscono sessioni di indottrinamento e minacce di arresto.
Poiché la Cina non permette ai giornalisti di visitare le fabbriche in questione e parlare con gli operai, è impossibile essere certi al 100% che si tratti di lavoro forzato. Ma i segnali vanno in questa direzione. Bloomberg è uno dei pochi media che ha avuto accesso alla regione del Xinjiang per confermare i sospetti e ha pubblicato un lungo reportage ad aprile.
I giornalisti, accompagnati da funzionari governativi con armi automatiche in mano, non hanno potuto entrare nelle aziende incriminate «a causa del Covid-19». Quasi tutte le foto che hanno scattato sono state cancellate dai funzionari, tranne quelle che mostrano la vicinanza delle fabbriche di polisilicio alle inquinantissime centrali a carbone.
Un altro rapporto realizzato da S&P Global Market conferma però i timori e l'importante utilizzo di «lavoro volontario» da parte delle aziende del settore energetico che lavorano nel Xinjiang. E come dichiarato da Rune Steenberg, esperto tedesco che lavora con la diaspora uigura, «è diventato quasi impossibile parlare di lavoro volontario in un gruppo di persone che rischiano di essere arrestate in ogni momento e per nessuna ragione».

Fonte: Tempi, 23 aprile 2021

8 - OMELIA VI DOMENICA PASQUA - ANNO B (Gv 15,9-17)
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Quando si parla di amore, ci si riferisce normalmente a quello che dobbiamo avere verso Dio e verso il prossimo. Oggi, il brano evangelico, che segue immediatamente alla parabola della vite e dei tralci, letta domenica scorsa, fissa invece l'attenzione sull'amore che Dio ha per noi e lo propone come sorgente e modello di quello che noi pure dobbiamo a Lui e ai fratelli.
«Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi» (Gv 15,9). Queste parole, scaturite dalle labbra e dal Cuore di Gesù, sono tra le più belle di tutto il Vangelo. Esse ci fanno comprendere tutta la grandezza dell'amore di Gesù per noi. Con lo stesso amore con cui è amato dal Padre, Gesù ama ciascuno di noi in particolare. Gesù stabilisce il confronto dell'amore suo verso di noi con quello che ha per Lui il Padre: è un amore veramente divino, senza limiti. Non sarebbe stato possibile dare una definizione più elevata di questa per farci comprendere di quale estensione e portata sia l'amore di Cristo per noi e per aiutarci a dissipare le eventuali obiezioni contro l'amore di Dio che sorgono talvolta dal nostro fondo di peccatori.
E Gesù ci dice: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Rimanere nell'amore di Dio comporta una conseguenza pratica: l'osservanza dei Comandamenti. Chi deve rimanere nella corrente dell'amore divino è tutto l'uomo: non solo la mente, ma anche la volontà, decisa a conformarsi al Volere divino. Non può infatti esservi amore autentico e sincero se non c'è una piena adesione della volontà dell'uno a quella dell'altro: è solo dalla fusione delle due volontà che sorge l'amore. Perciò amare Dio e non osservare i suoi Comandamenti è una vera e propria contraddizione. Gesù lo dice molto chiaramente: «Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore» (Gv 15,10).
Viene dunque da sé che chi cerca il Signore è sempre disposto ad osservare i suoi Comandamenti. Dio, che è amore, come ci ricorda san Giovanni nella seconda lettura, non può non desiderare quello che è bene per ciascuno di noi. I suoi precetti sono perciò la via migliore, anzi l'unica, perché noi raggiungiamo il vero nostro bene definitivo ed eterno. Anche su questo punto Gesù si richiama al paragone del suo amore verso il Padre. Anche Egli ha dimostrato il suo amore al Padre con l'osservanza dei Comandamenti del Padre suo e lo ha fatto con ubbidienza assidua e perfetta. Così Egli invita a fare anche noi, mostrandoci il suo esempio. L'imitazione di Cristo è infatti la grande strada che il cristiano è chiamato a percorrere ed è, nonostante le apparenze, la fonte della massima gioia. Lo conferma Gesù: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).
A questo punto Gesù estende la sua esortazione passando all'amore del prossimo. E se anche per questo occorre un modello, eccolo pronto: «Come io vi ho amati» (Gv 15,12). Il modello da imitare è sempre di natura divina: è Cristo stesso, colui che sa e può veramente amare nel senso più pieno della parola. Come io vi ho amati: e qui dobbiamo pensare alla nostra Creazione, alla Redenzione, al Sacrificio di Cristo per noi, a tutti i doni di cui ci rende partecipi.
I caratteri di questo amore disinteressato e senza limiti devono costituire l'esempio da seguire da parte di noi tutti. Ed è così che l'amore verso il prossimo diventa la perfetta imitazione di quello di Cristo e la norma suprema della vita dei suoi discepoli.
L'esortazione va così a colpire il punto centrale: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Questa misura straordinaria dell'amore costituisce il supremo vertice a cui dobbiamo tendere anche nelle circostanze ordinarie della vita. L'amore deve essere disinteressato al massimo per meritare di chiamarsi amore cristiano.
Nella seconda lettura di oggi abbiamo la più bella definizione di Dio, se di definizione possiamo parlare. L'apostolo san Giovanni scrive che «Dio è amore» (1Gv 4,8). In questa piccola frase è racchiuso tutto il Mistero divino. E noi, creati a immagine e somiglianza di Dio, siamo chiamati innanzitutto ad amare, siamo chiamati a riflettere l'amore del nostro Creatore nell'amore fraterno. Comunemente si dice che il simile conosce il simile, che solo l'amore può conoscere l'Amore. Pertanto si comprende molto bene che quanto più amiamo, tanto più riusciremo a conoscere Dio e a farlo conoscere a chi ci sta intorno. Per questo motivo, i Santi parlavano di Dio anche senza aprir bocca: tutta la loro vita era una predica vivente. San Giovanni scrive inoltre che «chi non ama non ha conosciuto Dio» (1Gv 4,8), proprio perché Dio è amore.
La Vergine Immacolata, Madre del Risorto, ci ottenga dal Figlio suo il bene inestimabile del puro e santo amore!

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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