BastaBugie n�821 del 17 maggio 2023

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1 IL RE CARLO III APPROVA LA MODIFICA NELLA CORONA CANADESE: UN FIOCCO DI NEVE AL POSTO DELLA CROCE
Eppure la cerimonia nell'abbazia di Westminster ha inneggiato al medioevo quando si esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale
Autore: Federica Di Vito - Fonte: Sito del Timone
2 LE DIOCESI FANNO A GARA PER ESSERE GAY FRIENDLY
A Bolzano si pensa a salvare dagli stereotipi dando visibilità al genere femminile (con esiti grotteschi), mentre in una parrocchia di Bari si organizza una veglia per il superamento dell'omobitransfobia
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 L'ABORTO UCCIDE IL BAMBINO, ROVINA LA MAMMA... MA E' DANNOSO ANCHE PER IL BABBO
Dove c'è una gravidanza c'è sempre anche un padre il quale, secondo un nuovo studio, soffre molto per la perdita del figlio, anche se fosse a favore dell'aborto (VIDEO: il padre e l'aborto)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Provita & Famiglia
4 LE SEI LEZIONI DI SAN NICOLA DI FLUE, IL PATRONO DELLA SVIZZERA
Padre di dieci figli, combatte nell'esercito battendosi con la spada in una mano e il rosario nell'altra, poi la clamorosa chiamata a fare l'eremita e l'incredibile dono di non aver più bisogno di mangiare
Fonte: Santi e Beati
5 AVVENIRE PUBBLICIZZA IL 5 PER MILLE A FAVORE DELL'ARCI
Viene da chiedersi se la CEI sa che l'Arci promuove il gender, l'aborto, l'eutanasia, l'afflusso dei clandestini, la droga libera, i gay pride, i rave party, ecc. ecc.
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Radio Roma Libera
6 SITI PORNO COSTRETTI A VERIFICARE L'IDENTITA' DEI MINORENNI?
Così rischiano di chiudere nel Regno Unito, ma anche in Australia e in alcuni stati USA (e intanto spopola il libro del sacerdote cattolico che aiuta a liberarsi dal vizio della pornografia)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 OMELIA ASCENSIONE - ANNO A (Mt 28,16-20)
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - IL RE CARLO III APPROVA LA MODIFICA NELLA CORONA CANADESE: UN FIOCCO DI NEVE AL POSTO DELLA CROCE
Eppure la cerimonia nell'abbazia di Westminster ha inneggiato al medioevo quando si esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale
Autore: Federica Di Vito - Fonte: Sito del Timone, 10 maggio 2023

Croce, stoltezza per i pagani. Ebbene sì. La riprogettazione della Corona reale canadese è stata raccomandata dal Primo ministro canadese Justin Trudeau. Croci e fleurs-de-lis sono ora rimpiazzati con «elementi che enfatizzano l'identità canadese della monarchia», afferma il sito web del governatore generale del Canada. Re Carlo ha approvato il "nuovo look" su consiglio del governo canadese. La designer è Cathy Bursey-Sabourin, che funge da Fraser Herald of Arms, ovvero artista principale dell'Autorità araldica canadese.
L'emblema della Corona reale canadese è «un importante simbolo dell'autorità del sovrano, della monarchia canadese e del potere dello Stato che agisce in nome del sovrano», secondo l'ufficio del governatore generale del Canada, che rappresenta il re Carlo III nel suo ruolo di re del Canada. «Al posto della sfera e della croce in cima alla corona c'è un fiocco di neve stilizzato, un riferimento al fatto che il Canada è un regno settentrionale», continua. Il disegno canadese, a differenza dell'emblema ufficiale di re Carlo che utilizza la corona Tudor, sostituisce croci e fleurs-de-lis con foglie d'acero - un po' come le confezioni di sciroppo per pancakes. Il sito web del governatore generale ha descritto la foglia d'acero come «un simbolo canadese per eccellenza ampiamente utilizzato dal XIX secolo per rappresentare il Canada e tutti i suoi cittadini».
La sfera e la croce in cima alla corona di re Carlo sono state a lungo utilizzate dai reali cristiani come promemoria che il mondo è soggetto al dominio di Gesù Cristo. Il simbolo fa parte delle insegne di incoronazione della monarchia britannica. Nella liturgia dell'incoronazione della Chiesa d'Inghilterra, l'arcivescovo di Canterbury Justin Welby ha dato in mano a re Carlo una sfera e una croce dichiarando: «Ricevi questa sfera, posta sotto la croce, e ricorda sempre che i regni di questo mondo sono diventati i regni di Nostro Signore e del suo Cristo». L'iconografia cristiana a volte mostra Gesù Cristo che tiene in mano la sfera e la croce.
Ora, i gusti sono gusti. Ma senza girarci troppo intorno è evidente che in un Paese che è teatro di aggressioni sempre crescenti verso i cristiani, far fuori la croce non è di certo un gesto casuale. Ennesima prova di cancel culture? Probabile. Tra i commenti su Twitter si trova di tutto, c'è chi la prende sul comico «questo nuovo design sembra un cartone», chi si sente offeso «si sta scherzando con i nostri simboli e la nostra tradizione in modo così impertinente». E poi qualcuno centra il punto scrivendo: «Perché i canadesi ora odiano Dio? No, lo fa solo il governo che è senza Dio». Proprio così. Che questo continuo andare contro Dio passerà di moda? Perché qui di stile ce n'è ben poco.

Nota di BastaBugie: Roberto de Mattei nell'articolo seguente dal titolo "Dall'Abbazia di Westminster alla piazza Rossa: due spettacoli simbolici" parla della cerimonia di incoronazione di Re Carlo d'Inghilterra che è stata ancora in larga parte medioevale. Questo rito non riflette l'Inghilterra decadente di oggi, ma appare come l'eco lontana di una nazione cattolica che, fino al XVI secolo, esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 10 maggio 2023:

Viviamo nella "società dello spettacolo", ma non dobbiamo pensare che ogni rappresentazione simbolica della realtà sia finzione e mercificazione, come riteneva Guy Debord, un autore neo-marxista che a questo tema dedicò molti anni fa un noto saggio (La Société du spectacle, Buchet/Chastel 1967). Attraverso i simboli l'uomo può ascendere infatti da una dimensione puramente sensibile a una dimensione invisibile e più alta della realtà.
Per questo nel corso della storia gli uomini sono sempre ricorsi a spettacoli, rappresentazioni, liturgie, per esprimere la loro concezione del mondo. Ed è anche in questa prospettiva che bisogna giudicare la cerimonia di incoronazione di Carlo III, re del Regno Unito, avvenuta nell'abbazia di Westminster a Londra il 6 maggio 2023. Una cerimonia ancora in larga parte medioevale, che non riflette l'Inghilterra decadente di oggi, ma appare come l'eco lontana di una nazione cattolica che, fino al XVI secolo, esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale.
Molte critiche si possono fare oggi alla Casa Reale Inglese, non solo per gli scandali di cui negli ultimi anni ha riempito le cronache. Un cattolico non può dimenticare che, sotto l'aspetto religioso, il sovrano inglese è il capo della chiesa anglicana, figlia di uno scisma avvenuto nel XVI secolo in seguito alle pretese matrimoniali del re Enrico VIII (1491-1547). L'Atto di Supremazia del 1534 fece di Enrico il «capo supremo sulla Terra della Chiesa d'Inghilterra», separando il suo regno dalla Chiesa di Roma, e da ogni uso, costume, legge o autorità che provenissero non solo dall'esterno, ma dalla sua stessa storia. Da allora si è aperta una lunga storia di persecuzione contro i cattolici, esauritasi con l'inizio del processo di dissoluzione dell'anglicanesimo. L'ultima fase di questo processo auto-distruttivo, purtroppo considerato come un modello da molti vescovi cattolici, è stata, nel febbraio del 2023, l'introduzione della benedizione delle coppie omosessuali, unite civilmente dalla legge britannica.
Su questo e su altri punti le idee di Carlo III non sono chiare. Il nuovo sovrano sembra mischiare un certo amore alla tradizione, soprattutto in campo artistico, con una forma di sincretismo espresso dal suo desiderio, di essere difensore di tutte le fedi, non solo di quella protestante. Non è però la sua persona che ha spinto quattro miliardi di persone nel mondo ad assistere, per televisione o via Internet, alla cerimonia di incoronazione, ma il fascino di uno spettacolo che, nel suo rituale risale all'alba dell'anno Mille.
Sant'Edoardo il Confessore (1043-1066), il santo più celebre a portare tale nome, insieme con il suo avo, sant'Edoardo II, fu incoronato il 3 aprile 1043 in un'epoca in cui regnavano sant'Enrico imperatore in Germania, san Canuto re di Danimarca, santo Stefano re di Ungheria, ed altri sovrani che, pur non essendo canonizzati, brillavano per la loro fede, dimostrando con il loro esempio la profondità dell'influsso cristiano nella società.
La corona che essi portavano erano il simbolo dell'autorità del corpus mysticum del regno, dal Re agli ultimi vassalli, consapevoli di essere una nazione e di avere una patria. In Inghilterra, già dalla fine del XIII secolo, il Parlamento definiva la corona come esclusivo titolare dell'autorità suprema, affermando che il Re e il Parlamento erano entrambi al suo servizio. L'imposizione della corona sul capo del sovrano, la consegna delle spade e dello scettro, l'unzione del crisma, le risposte alle domande del vescovo, gli atti di obbedienza, facevano parte del rituale medioevale e si sono ripetuti il 6 maggio, dopo quasi mille anni, nell'abbazia di Westminster.
Il rito religioso dell'unzione, che si è svolta in maniera privata è stato il punto culminante della cerimonia, dando luogo all'investitura regia vera e propria.   Questo atto esprime una concezione della regalità antitetica a quella democratica, nata dalla Rivoluzione francese. Le moderne costituzioni sono fondate infatti sul potere che viene dal popolo. Nella cerimonia della consacrazione regia si esprime invece il principio secondo cui il potere proviene da Dio, secondo la massima evangelica "Non c'è autorità se non da Dio" (Rom. 13, 1). L'autorità regia è come una partecipazione della regalità sovrana di Cristo di cui, mediante l'unzione e l'incoronazione, il monarca diventa rappresentante nello Stato. [...]

DOSSIER "LA MONARCHIA INGLESE"
Da Enrico VIII a Carlo III

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DOSSIER "IL CANADA DI TRUDEAU"
Dittatura sanitaria, gender, eutanasia, ecc.

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Fonte: Sito del Timone, 10 maggio 2023

2 - LE DIOCESI FANNO A GARA PER ESSERE GAY FRIENDLY
A Bolzano si pensa a salvare dagli stereotipi dando visibilità al genere femminile (con esiti grotteschi), mentre in una parrocchia di Bari si organizza una veglia per il superamento dell'omobitransfobia
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10 maggio 2023

Prima notizia: la Diocesi di Bolzano-Bressanone ha una commissione per la parità di genere; e temiamo che non sia un caso isolato nell'odierno contesto ecclesiale. Seconda notizia: d'ora in poi, la stessa diocesi garantirà ai peccatori (e alle peccatrici) del suo territorio una straordinaria risorsa per la salvezza: il linguaggio inclusivo. Quale salvezza? Dagli stereotipi, ovviamente. Una risorsa a cui non avevano pensato i più grandi santi in duemila anni di storia della Chiesa (forse troppo ancorati al patriarcato e ad altri concetti preistorico-medievali), ma di cui curiosamente potranno godere oggi i fedeli (e le fedeli) immersi nel mondo più secolarizzato di sempre. I lettori (e le lettrici) ci perdoneranno per questa appesantita introduzione, ma che servirà per prendere confidenza con le linee guida pubblicate dalla diocesi altoatesina, intitolate «Linguaggio sensibile al genere».
Si tratta di un documento di 28 pagine, con l'introduzione del presidente della Commissione diocesana per la parità di genere, il vicario generale Eugen Runggaldier. Un documento che, come si legge nella stessa introduzione, «si basa sulle "Direttive per il rispetto del genere nei testi dell'Amministrazione provinciale altoatesina", che sono state adattate alle esigenze della Diocesi di Bolzano-Bressanone in collaborazione con l'Ufficio Questioni linguistiche della stessa Provincia». Il vicario spiega che lo scopo della nuova prassi linguistica è quello di sottolineare «l'apporto comune di donne e uomini alla vita della Diocesi», evitando «espressioni potenzialmente svantaggiose e discriminanti» e perciò «usando il rispettivo genere grammaticale» non solo, com'è ovvio, quando ci si rivolge a gruppi di sole donne o di soli uomini, ma anche se ci si riferisce «a gruppi misti». Dov'è possibile, aggiunge la Curia, vanno usate formulazioni neutre o estese anziché soli termini maschili, singolari o plurali.
«Le linee guida vanno attuate soprattutto per i nuovi testi da creare», precisa Runggaldier, ma non si esclude di adattare i testi esistenti, «laddove vengono tuttora utilizzati frequentemente».
Il documento si dilunga con gli esempi, presentando una serie di regole generali. Si inizia con la forma sdoppiata (semplice o estesa), con l'avvertimento che «si può scegliere se nominare prima il termine femminile e poi quello maschile o viceversa». Anziché dire «collaboratori», va usata la forma «collaboratori e collaboratrici»; anziché «i volontari», meglio «il volontario o la volontaria». Indicano ancora le linee guida: si scriva «il ministrante o la ministrante porta la croce in processione», «il presidente o la presidente indice la seduta», «il costo del servizio è a carico del o della contribuente». Eccetera, eccetera. E meno male che nell'introduzione si indicava di cercare di «non compromettere la scorrevolezza e la leggibilità di un testo». Stiamo freschi, se queste sono le nuove regole nelle terre care a san Vigilio. E tutto questo complicare il pane, in luogo di semplicissime convenzioni linguistiche, servirebbe per superare «quelle barriere» e «quegli stereotipi che ancora caratterizzano il quotidiano di molte persone» e a «dare visibilità al genere femminile»?
Ma il colmo lo si raggiunge verso la fine del documento, alla voce «Opuscoli e pubblicazioni». Rendendosi conto che l'osservanza precisa delle nuove regole comporterebbe in certi tipi di testi effetti da crisi di nervi, gli stessi estensori delle linee guida suggeriscono in sostanza di sorvolare, ma «solo in rarissimi casi!» (scrivono con tanto di punto esclamativo) e premettendo un'annotazione al testo, come questa: «Nel presente opuscolo abbiamo cercato di rivolgerci ai nostri lettori e lettrici nel rispetto dell'identità di genere. Al tempo stesso però ci premeva proporre alla cittadinanza un testo quanto più leggibile e chiaro possibile. Per questa ragione ci siamo visti costretti ad adottare la sola variante maschile nei periodi caratterizzati da elencazioni di titoli e qualifiche professionali, dove non erano possibili formulazioni alternative. Teniamo a sottolineare che i contenuti del testo sono diretti in ogni caso anche al pubblico femminile. Ci scusiamo con le nostre lettrici per questa scelta obbligata e confidiamo nella loro comprensione». Roba da Scherzi a parte.
Qualche nota a margine. Intanto, l'espressione «identità di genere», che ricorre più volte nel documento, è un concetto ambiguo e mutuato dall'ideologia Lgbt, che si pone in diretto contrasto con il magistero costante della Chiesa (dove, piuttosto, si parla di complementarità e identità sessuale, il che è ben diverso). Usare dunque il termine «identità di genere» con il pretesto di dare visibilità alla presenza femminile è, volenti o nolenti, un assist alle istanze arcobaleno e in particolare transessualiste, che negano tanto il maschile quanto il femminile.
Fa tristezza questa tendenza a copiare strutture e linguaggi del mondo, che è indice di una Chiesa che rinuncia a dire qualcosa di veramente suo, fondamentalmente perché rinuncia sempre di più ad annunciare Cristo, annacquandone il messaggio. È una Chiesa - certamente non tutta ma una sua buona parte - che si appiattisce sempre più sulle posizioni di Cesare e in qualunque campo (come abbiamo visto anche con la narrazione pandemica), dimenticando che prima di tutto deve dare a Dio quel che è di Dio, l'unico modo per guidare gli uomini alla Salvezza, con la S maiuscola.
Nessuna Chiara d'Assisi, Caterina da Siena, Francesca Romana, Rita da Cascia, Angela Merici, Veronica Giuliani, Gianna Beretta Molla e via dicendo - tutte donne che in diversi stati di vita hanno espresso in pienezza la loro femminilità - penserebbe che la Chiesa debba spendere tempo e risorse per superare le presunte "barriere" linguistiche di cui parla il documento della Diocesi di Bolzano. Rivendicazioni sterili, che si inseriscono in una logica di contrapposizione neomarxista applicata al genere, piuttosto che in un'autentica prospettiva cristiana, dove «ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2335). Preferiamo dunque la stessa diocesi altoatesina quando insiste sulla riscoperta del senso più pieno della domenica libera, piuttosto che per un simile appiattimento al pensiero del mondo.
Nelle sante, nelle Sacre Scritture e nel magistero della Chiesa - come nella splendida Mulieris Dignitatem di san Giovanni Paolo II - ci sono già tutti gli esempi necessari per valorizzare veramente la vocazione della donna. A partire da Colei a cui il mese di maggio è consacrato e le cui virtù dovrebbero essere proposte continuamente all'imitazione di tutti i fedeli, senza distinzione.

Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Ermes Dovico, nell'articolo seguente dal titolo "Il verbo Lgbt nella diocesi di Bari. Il vescovo lascia fare" parla della veglia in una parrocchia di Bari per il superamento dell'omobitransfobia. Del resto in un incontro con 150 scout un prete ha sostenuto che la Bibbia non condanni gli atti omosessuali. E il vescovo non fa nulla, ma anzi permette che lo scandalo continui.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 maggio 2023:

Si avvicina il 17 maggio, data scelta dai gruppi Lgbt per celebrare la cosiddetta «Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia». Pure quest'anno ci saranno una serie di iniziative che coinvolgeranno, a macchia di leopardo, anche alcune parrocchie e diocesi cattoliche.
Tra queste, un caso particolare è rappresentato dall'arcidiocesi di Bari-Bitonto, dove da mesi si registra un susseguirsi di eventi a tema arcobaleno, promossi da gruppi di pressione con l'appoggio di qualche sacerdote. Il tutto avviene senza che il vescovo intervenga, nonostante fedeli laici e associazioni di ispirazione cristiana - con in testa la sezione locale di Pro Vita & Famiglia - lo abbiano esortato più volte a fermare questo tipo di scandali.
Il prossimo scandalo è in programma questa domenica, 14 maggio, con una «Veglia per il superamento dell'omobitransfobia» prevista alle 20 nella parrocchia barese di San Sabino. In contemporanea, ci sarà una veglia gemella nella diocesi di Lecce (parrocchia di San Giovanni Battista). I due appuntamenti sono organizzati dall'associazione La Tenda di Gionata e da una sua costola, Zaccheo Puglia, che al di là di certi paraventi della neolingua (come lo stesso termine "omofobia") puntano a sovvertire l'insegnamento della Chiesa sull'omosessualità e la transessualità.
La Nuova Bussola ha inviato un'email sia al vescovo di Bari, monsignor Giuseppe Satriano, sia a quello di Lecce, mons. Michele Seccia, chiedendo un commento rispetto a queste due veglie nel loro territorio diocesano e se vi sia l'intenzione di fermarle. Al momento in cui scriviamo non ci è giunta alcuna risposta.
Nella diocesi di Bari, come dicevamo, quella in programma domani è solo l'ultima di una serie di iniziative simili e ravvicinate nel tempo. Andiamo indietro al 25 febbraio di quest'anno, quando, sempre nella parrocchia di San Sabino (retta da don Angelo Cassano), si è tenuto un incontro organizzato dall'Agesci e da Zaccheo Puglia, e intitolato: «Come ci guarda Dio. Riflessioni su identità di genere e orientamento sessuale». Un titolo che è già tutto un programma, vista la presenza di due espressioni tratte dalla neolingua di cui sopra, estranee all'insegnamento costante della Chiesa. La Curia era stata informata da alcuni laici rispetto al pericolo-indottrinamento, ma dal segretario del vescovo sarebbe arrivata la rassicurazione che l'evento del 25 febbraio non avrebbe avuto ad oggetto la teoria del gender e quindi l'omosessualismo.
E invece l'omosessualismo l'ha fatta da padrone. Culmine dello scandalo è stato il totale travisamento delle Sacre Scritture ad opera di un assistente scout delle Marche, don Fausto Focosi, che ha sostenuto che nella Bibbia non vi sia una condanna degli atti omosessuali, secondo un filone interpretativo - se così lo si può chiamare - sempre più collaudato e che vorrebbe piegare la teologia ai desiderata della lobby gay. Qualche chicca, tra le tante. L'episodio che precede la distruzione di Sodoma e Gomorra non andrebbe legato all'omosessualità, bensì sarebbe un tentativo di violenza verso forestieri, «diciamo anche migranti», suggerisce don Focosi: una violenza per far capire chi comanda, come «lo stupro etnico [...] che esiste anche ai nostri giorni». Il peccato contronatura su cui si sofferma la Genesi consisterebbe insomma, secondo il sacerdote, nella mancata accoglienza. Ma andiamo al Nuovo Testamento. Possibile che il sacerdote "neutralizzi" anche san Paolo? Possibile... Il passaggio sui sodomiti della Prima Lettera ai Corinzi non condannerebbe gli atti omosessuali, bensì i «rapporti squilibrati», dove c'è un «maestro che sfrutta dei discepoletti». Perfino la Lettera ai Romani, nei versetti dove si parla delle donne che «hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura» e degli uomini che fanno altrettanto, non conterrebbe una condanna delle relazioni omosessuali: secondo l'assistente scout, il sottotesto è che san Paolo starebbe rimproverando i mariti perché non tengono «a bada» le mogli. Stendiamo un velo pietoso sul resto della stravagante esegesi.
Merita però un cenno il ritornello, usato dallo stesso don Focosi, secondo cui Gesù nei Vangeli non dice nulla sull'omosessualità. Un ritornello che ignora almeno tre verità: 1) la Chiesa insegna che tutti i libri dell'Antico e Nuovo Testamento sono stati «scritti per ispirazione dello Spirito Santo» (Dei Verbum, 11) e vanno interpretati organicamente; 2) Gesù stesso cita di continuo l'AT; 3) sempre Gesù usa Sodoma come termine di paragone per indicare la durezza della sorte destinata alle città rimaste incredule nonostante i suoi miracoli (Mt 11,20-24).
All'incontro del 25 febbraio, davanti a circa 150 scout, c'era tra i relatori anche Rosy Paparella, responsabile di un centro antidiscriminazione, che ha cercato di relativizzare anche il sesso biologico, presentandolo in sostanza come un costrutto culturale. Del resto, Zaccheo Puglia sostiene apertamente il transessualismo, ritenendo che ognuno debba poter liberamente «aderire all'una o l'altra categoria, o di esplorarne altre se quelle convenzionali [maschile e femminile, ndr] risultino "strette"».
Nella parrocchia di San Sabino, già attiva sugli stessi temi sotto il precedente vescovo, si è dunque distribuito un concentrato di menzogne, che fanno male innanzitutto ai più giovani, i quali hanno bisogno che la Chiesa trasmetta loro la verità che il mondo gli nega. Di qui l'allarme tra le associazioni pro family, i genitori e altri laici di buonsenso, che non solo avevano avvisato il vescovo prima, ma lo hanno informato anche dopo, a marzo, con un'email e gli audio dell'incontro del 25 febbraio, che peraltro è oggi visionabile su YouTube. Ma da mons. Satriano non è arrivata nessuna risposta.
Lo stesso vescovo è stato presente a un incontro tenuto a Bitonto poche settimane fa, con il gesuita padre Pino Piva ad aggiornare i sacerdoti sul tema dell'«accompagnamento pastorale per le persone Lgbt e dei loro familiari». Un incontro soft e con qualche sofisma, secondo una fonte che vi ha partecipato, ma che in ogni caso ha l'effetto di sdoganare la prospettiva di un sacerdote che fa un lavoro a favore delle rivendicazioni Lgbt sulla falsariga del suo confratello, padre James Martin.
Se si guarda poi alla sintesi del cammino sinodale elaborata dall'Arcidiocesi di Bari troviamo sempre l'idea che la Chiesa debba cambiare in tema di omosessualità e non solo: richieste, si dirà, provenienti dalla "base" (una base molto ridotta, in verità), ma che sono state trascritte dalla diocesi come se nulla fosse, come se cioè sia compito del mondo ammaestrare la Chiesa e non viceversa.
Tornando alla stortura degli eventi Lgbt in ambito ecclesiale, i vescovi hanno una guida precisa nella lettera del 1986 «sulla cura pastorale delle persone omosessuali», firmata da Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e approvata da san Giovanni Paolo II. Una lettera che descrive lucidamente il modo di operare dei gruppi di pressione che mirano a legittimare l'omosessualità. E afferma: «Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente». Lo stesso documento, tuttora valido eppure ignorato, raccomanda di non concedere l'uso di edifici della Chiesa a simili gruppi: «A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10 maggio 2023

3 - L'ABORTO UCCIDE IL BAMBINO, ROVINA LA MAMMA... MA E' DANNOSO ANCHE PER IL BABBO
Dove c'è una gravidanza c'è sempre anche un padre il quale, secondo un nuovo studio, soffre molto per la perdita del figlio, anche se fosse a favore dell'aborto (VIDEO: il padre e l'aborto)
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Provita & Famiglia, 12 maggio 2023

L'aborto? È una questione della donna, solo della donna. Questo vuole un tormentone del femminismo sopravvissuto dal '68 fino ai giorni nostri; e che dimentica non solo la vera vittima della pratica abortiva - il figlio concepito -, ma pure l'altro grande escluso, vale a dire l'uomo. E pensare che esistono almeno due ottime ragioni per cui anche la figura maschile andrebbe assolutamente considerata, quando si parla di aborto. La prima, molto elementare ma anche assai tralasciata, è che là dove c'è una gravidanza, evidentemente, c'è sempre anche un padre. In secondo luogo, si dovrebbe parlare dell'uomo quando ci si occupa della soppressione prenatale dal momento che di tale pratica, di fatto, fa le spese anche lui. Proprio così: l'aborto fa male non solo alla gestante, ma anche al suo compagno, fidanzato o marito. Ad attestarlo è un nuovo studio, intitolato National Men's Abortion Study, commissionato e pubblicato da Support After Abortion, una organizzazione con sede in Florida. Si tratta di una indagine rilevante non solo perché tocca un ambito spesso ignorato - quello della sofferenza maschile per la perdita d'un figlio -, ma perché lo rileva in modo netto e sostanziale. Per capirci, è stato scoperto come il 71% degli uomini interpellati abbia riportato «cambiamenti negativi» nella sua esistenza dopo l'esperienza abortiva. Colpisce che in questa percentuale ci fossero sia uomini su posizioni pro choice (31%) sia pro life (40%), a sottolineare che ciò che lascia l'eliminazione prima della nascita non dipende da posizioni politiche e ideologiche. Si tratta di una sofferenza profonda, che non conosce appartenenze né bandiere. È connaturata all'essere uomini, anzi per l'esattezza padri. Si allinea a tale considerazione anche il fatto, rilevato sempre nella ricerca in questione, secondo cui la stragrande maggioranza di uomini che hanno perso un figlio a causa dell'aborto - l'83% - «ha cercato aiuto o ha affermato che avrebbe potuto beneficiare di un sostegno», anche se non era ideologicamente contrario all'aborto. L'aiuto cercato riguardava la necessità di colmare ciò che questi uomini provano, vale a dire «tristezza, senso di colpa, rimpianto». Per questo lo studio ha concluso che sono necessarie più opzioni - sia religiose (richieste dal 40% degli interpellati) sia laiche (richieste dal 49%) - per aiutare gli uomini ad affrontare il dolore post-aborto. Va detto che, per quanto significativa, questa indagine non è la prima né la unica, anzi. Già nel lontano 1983 una indagine aveva rilevato conseguenze psicologiche gravi associate, nell'uomo, alla paternità perduta a causa dell'aborto. In seguito sono state effettuate molte altre indagini e - anche se c'è chi nega che esista una sindrome post aborto per l'uomo - lo scorso anno, su Psychology Today, Mary C. Lamia, psicologa e psicanalista docente al Wright Institute di Berkeley, in California, ha firmato un interessante articolo dove afferma che la ricerca «ha dimostrato che l'esperienza del dolore intenso per la perdita di un figlio e della paternità» si registra «anche dopo molti anni dopo l'aborto» Significativa, a tale proposito, risulta infine una straziante testimonianza raccolta dai volontari del numero verde dell'Associazione di Don Benzi di un padre che, a distanza di oltre 6 anni dall'aborto del figlio, aveva ancora una grande ferita nel cuore. Ecco le sue parole, più efficaci di ogni statistica o di ogni indagine: «È stata per me una situazione molto pesante [...] In questa situazione di tremenda solitudine e dolore ho deciso che mai avrei permesso a me stesso di rivivere una situazione simile. Ero anche molto confuso, nella mia vita non avevo mai ho provato un dolore così grande». Davanti a tutto ciò un dubbio sorge spontaneo: come si può seriamente sostenere che l'aborto sia solo una questione della donna?

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 3 minuti) dal titolo "La legge 194 e la figura del padre" lo psicologo Roberto Marchesini analizza la legge sull'aborto. La legge 194 ha due soggetti (la donna e il medico), un oggetto (così viene considerato il bambino) ed un grande assente: il padre. Un fatto gravissimo, che però non stupisce. Questa legge infatti è figlia della rivoluzione del '68 che è stato un movimento di rifiuto proprio della figura paterna come simbolo dell'autorità. Ma se si elimina il padre, si elimina anche la legge morale e religiosa dalla società. In pratica si elimina Dio.


https://www.youtube.com/watch?v=GfW0np6E9AU

Fonte: Provita & Famiglia, 12 maggio 2023

4 - LE SEI LEZIONI DI SAN NICOLA DI FLUE, IL PATRONO DELLA SVIZZERA
Padre di dieci figli, combatte nell'esercito battendosi con la spada in una mano e il rosario nell'altra, poi la clamorosa chiamata a fare l'eremita e l'incredibile dono di non aver più bisogno di mangiare
Fonte Santi e Beati

Nicola nacque nel marzo del 1417 nel piccolo abitato di Flùeli, sopra Sachseln, nella regione dell'Obwald. Nello stesso anno, l'11 novembre, il concilio che si svolgeva a Costanza, capoluogo della diocesi, poneva fine al grande scisma d'Occidente, suscitando speranze di riforma che sarebbero state però di breve durata.
Nella nuova costruzione europea che lentamente andava sostituendosi alla feudalità, la piccola Confederazione elvetica era alla ricerca di una propria identità e di un proprio ruolo all'incrocio delle grandi vie commerciali d' Europa. Le comunità montane e le borghesie cittadine erano interessate alla prosperità derivante dallo sviluppo dei traffici commerciali, ma le loro divergenti ambizioni politiche creavano antagonismi che giungevano spesso al limite della rottura. La vocazione di Nicola e il suo cammino alla ricerca di Dio si collocano dunque in un'epoca e in una terra attraversate da gravi crisi. Con la sua preghiera, l'influenza della sua presenza, la pace interiore che irradiava come risultato del suo abbandono a Dio, Nicola ottenne che comunità rivali e divise da interessi economici e politici giungessero ad accettarsi e a convivere su un piano di solidarietà.
Il cammino di Nicola presenta qualcosa di sconcertante. Cinquantenne, laico, sposato da venti anni e padre di dieci figli, ex soldato, contadino rispettato che poteva ritenersi pago del suo stato, magistrato e giudice impegnato negli affari del suo Cantone (ma che aveva abbandonato la carica per non essere riuscito a ottenere l'abolizione di una sentenza da lui ritenuta ingiusta), Nicola si lasciò condurre dalla chiamata di Dio là dove non avrebbe mai pensato di arrivare. La decisione presa fu il risultato di una lotta interiore, circa la quale egli fu sempre molto discreto: essa dovette pero essere dura, poiché Nicola la paragonò alla «lima che purifica e al pungolo che stimola».

LA CHIAMATA A DIVENTARE EREMITA
Un giorno, mentre pregava per chiedere a Dio la grazia di una fervida adorazione, vide una nuvola dalla quale uscì una voce che gli ordinò di abbandonarsi interamente alla volontà divina. Comprese allora che Dio, desiderando portare a termine in lui l'opera che aveva iniziato, lo invitava ad abbandonare la sua terra, i beni e la famiglia, per poter giungere fino a Lui. Egli chiese allora tre grazie: ottenere il consenso della moglie Dorotea e dei figli più grandi (il maggiore aveva allora 20 anni e poteva diventare capofamiglia, ma l'ultimo nato era di appena 13 settimane), non provare in seguito la tentazione di tornare indietro e infine, se Dio lo avesse voluto, poter vivere senza bere e mangiare. Tutte le sue richieste furono esaudite. Il 16 ottobre 1467, nella festa di S.Gallo, dopo aver salutato definitivamente Dorotea che egli avrebbe chiamato sempre «sua carissima sposa» e i figli, si pose in cammino, pellegrino dell'assoluto, «quasi volesse andare da solo nella miseria», come osservò Heini am Grund, un parroco delle vicinanze che sarebbe diventato suo confidente e amico. Voleva forse raggiungere una delle comunità degli «Amici di Dio» (Gottesfreunde) che fiorivano allora in Alsazia? È possibile, ma di fatto non arrivò oltre la piccola città di Liestal, nel cantone di Basilea: un contadino, al quale aveva parlato dei suoi progetti, lo persuase che in nessun luogo Dio lo voleva al suo servizio che non fosse in mezzo ai suoi. Umilmente Nicola accolse quel discorso come un segno. La notte successiva, mentre stava per addormentarsi, «vennero dal cielo una luce e un raggio che gli trafissero le viscere, come se un coltello lo avesse colpito». Sconvolto, ritornò con discrezione nei luoghi da cui era venuto, e decise di vivere in solitudine sullo scosceso prato del Ranft, all'estremità della foresta, in una valletta non lontana da casa sua. Dimorò in quel luogo per venti anni, abitando in una piccola cella fatta di assi, alla quale gli abitanti del villaggio aggiunsero ben presto una cappella.

LA FAMA DI SANTITÀ E IL DIGIUNO ASSOLUTO
Così, sorvegliato e protetto, Nicola si trovò a vivere nel deserto pur in mezzo ai suoi. Nulla lasciava allora immaginare il ruolo che avrebbe ben presto svolto a vantaggio del suo paese. Colpiti dalla fama della sua santità e anche dal suo digiuno assoluto (si nutriva solo dell'eucarestia, come fu verificato) ben presto molti ricorsero a lui per averlo come consigliere o arbitro. Fu grazie a questi incontri e a qualche breve lettera dettata alle autorità che lo avevano consultato, che Nicola trasmise il suo messaggio politico, che era quello di un operatore di pace secondo il vangelo. Per lui «in tutte le cose la misericordia vale più della giustizia», ed essa costituisce il miglior cemento per unire città e stati fra di loro. Nicola pone in guardia contro lo spirito di conquista, di guadagno e di possesso che genera solo risentimenti e conflitti. A lui, come ad estrema speranza, ricorse in tutta fretta Heini am Grund la notte fra il 21 e il 22 dicembre 1481 per cercare una parola di riconciliazione che potesse sia pure all'ultimo momento evitare una guerra fratricida fra i confederati. Senza l'intervento di Bruder Klaus la Confederazione elvetica non sarebbe sopravvissuta ai contrasti che allora la laceravano, e per questo Nicola è unanimemente venerato in Svizzera come «padre della patria», l'uomo che ne ha salvato le fondamenta nel momento più critico. «Sforzatevi di essere ubbidienti gli uni verso gli altri», scrisse alle autorità di Berna il 4 dicembre 1482, e aggiunse: «Custodite nel vostro cuore il ricordo della passione del Signore», rivelando così l'intima fonte della sua unione a Dio.
A un visitatore che gli chiedeva: «Come si deve meditare sulla passione del Signore?» Nicola rispose: «È buona qualunque via tu voglia scegliere», ma subito precisò: «Dio sa rendere la preghiera così dolce per l'uomo che questi vi si immerge come se andasse a ballare. Ma Dio sa anche far si che essa sia per lui come una lotta». E ripeté davanti al suo ascoltatore allibito: «Sì! Come se andasse a ballare!» Un altro eremita, venutosi a stabilire nelle vicinanze, avrebbe detto ammirato di Nicola: «Il mio compagno ha ormai varcato il Giordano. Io, miserabile peccatore, ne sono ancora al di qua».

AUTENTICO MISTICO
Nicola è «passato in Dio». Autentico mistico, nella sua solitudine si ritrova nel cuore del mondo, testimone di quella presenza divina da cui è irradiato. Non stupisce allora che non abbia più avuto bisogno di nutrimento, che la sua mirabile sposa abbia, condividendone la fede, accettato la sua assenza come compimento di una vocazione; che i suoi compatrioti l'abbiano chiamato «fratello» e che forze politiche pronte ad affrontarsi abbiano trovato alla sua scuola un modo di vivere in comunione di intenti nel rispetto delle reciproche libertà. Quello di Nicola fu il cammino di un'avventura interiore senza ritorno. Egli non conosce spiegazioni o distinzioni erudite: la sua conoscenza di Dio è quella del cuore, intima, non trasmissibile. Egli sa tradurre la sua esperienza spirituale solo nel linguaggio dei «sogni» simbolici, i cui elementi sono tratti dalle fonti bibliche e dagli archetipi e dalle tradizioni delle sue montagne. Nicola li confida solo ad alcuni amici particolarmente discreti, che li riferiranno dopo la sua morte.
Nel suo ritiro del Ranft, in una data che si può collocare fra il 1474 e il 1478, l'eremita ricevette da Dio una visione così intensa da restarne come annientato. Da allora, come confermano alcune testimonianze, «tutti coloro che lo avvicinavano erano presi da timore. Egli affermava di aver visto una volta una luce che lo aveva trafitto e nella quale si mostrava un volto d'uomo. Di fronte a questa visione aveva pensato che il suo cuore sarebbe scoppiato. Preso da spavento, aveva distolto lo sguardo e si era gettato a terra».
Quando Nicola, che non sapeva leggere, voleva mostrare il suo libro di meditazione, presentava una figura disegnata al centro di una grande ruota, dalla quale partivano dei raggi che rappresentavano le vie di abbassamento e di misericordia scelte da Dio per venire fino a noi, i diversi cammini di umiltà - l'incarnazione, la passione, i sacramenti - che ci rivelano la grandezza e la tenerezza divina. «Nicola - annoterà un visitatore - deve aver appreso alla scuola dello Spirito Santo questa figura della ruota che egli fece dipingere nella sua cappella e nella quale brilla lo specchio risplendente di tutta la divinità».
Nicola di Flùe morì nel suo eremo il 21 marzo 1487, all'età di 70 anni.

UN PROFETA IN PATRIA
Già mentre era ancora in vita Nicola fu considerato, dentro e fuori i confini della piccola nascente Svizzera, il santo della sua terra, un «profeta in patria». Per i suoi compatrioti, che non ebbero difficoltà a riconoscere in lui un saggio, un artefice di pace e un inviato di Dio, egli fu soprattutto uno di loro, un loro fratello: Bruder Klaus.
Nicola fu un montanaro dell'Unterwald e un attivo cittadino della giovane Confederazione degli otto Cantoni della Svizzera centrale, ma per la sua esperienza spirituale appartiene alla famiglia dei grandi mistici della Chiesa universale. I suoi contemporanei non si sbagliarono in questo e furono assai più colpiti da quanto emanava dalla sua persona che dal digiuno assoluto che egli osservò negli ultimi 20 anni della sua vita. Pur avendo conosciuto alcune delle opposizioni che inevitabilmente incontrano tutti coloro che prendono sul serio le parole del vangelo, la sua lotta fu sostanzialmente quella che tutti gli uomini alla ricerca di Dio conducono contro le oscurità, i dubbi e le contraddizioni che si manifestano dentro di loro. Così, rifiutandosi di circoscrivere la sua avventura umana nei limiti propri dell'uomo, Nicola si lasciò trascinare da Dio fino alla totale rinuncia di se stesso, con una progressione la cui originalità e austerità rimangono ancora oggi incomprensibili a molti. Un uomo che non sapeva né leggere né scrivere divenne così la più alta coscienza morale e spirituale del suo paese. Il suo radicale impegno in una vita di solitudine e di preghiera mise in evidenza come ogni alleanza umana, per essere solida, debba radicarsi nella pace che viene soltanto da Dio, poiché, come il santo amava ricordare, «Dio è la pace, e questa pace non potrà mai essere distrutta».
Il suo culto fu approvato da Clemente IX nel 1669. Venne canonizzato nel 1947 da Pio XII, che lo proclamò patrono della Svizzera. La più antica raffigurazione di Nicola è del 1492, cinque anni solamente dopo la sua morte. Il quadro fu commissionato per l'altare della chiesa di Sachseln, dove è sepolto. Nicola è raffigurato in piedi, scalzo, vestito del panno grezzo dei pellegrini e con il rosario in mano. La statua più antica, del 1504, oggi al municipio di Stans, conferma questa immagine del santo, ormai entrata nell'iconografia tradizionale.
La sua data di culto per la Chiesa Cattolica è il 21 marzo, mentre in Svizzera viene ricordato il 25 settembre.

Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "21 marzo, San Nicola di Flüe" si parla delle sei lezioni del santo elvetico.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tradizione Famiglia Proprietà con la traduzione di Massimo Introvigne:

Nicola della Flue (1417-1487), figlio di poveri contadini del cantone di Unterwalden in Svizzera, pastore e padre di dieci figli, dall'età di 23 anni serve come capitano nell'esercito della Confederazione Svizzera, battendosi con la spade in una mano e Rosario nell'altra. Tornato a casa carico di decorazioni, rifiuta di assumere la carica di sindaco che gli è offerta, affermando che le sue umili origini non lo rendono adatto al ruolo. Accetta invece l'incarico di giudice, che esercita in modo esemplare per nove anni.
Dalla più giovane età e per tutta la vita è favorito da visioni celesti. Famosa è quella del giglio che esce dalla sua bocca e cresce fino al Cielo: ma mentre il santo lo contempla il giglio si accartoccia su se stesso, cade ed è divorato da un cavallo. Infine, con il permesso della moglie, si ritira a vita eremitica a Ranft, a poche miglia dalla sua casa, dedicandosi alla cura della sua anima, per lunghi mesi miracolosamente nutrito dalla sola Eucarestia che riceve una volta al mese. Ma è un eremita molto attivo: a lui vengono non solo pellegrini in cerca di consiglio spirituale ma anche i dignitari dei cantoni svizzeri in lotta tra loro che gli chiedevano di esercitare mediazioni in cui ebbe sempre successo. I pellegrinaggi alla tomba di questo santo nazionale della Svizzera continuano ancora oggi con grande fervore.
Propongo sei punti di meditazione.

PRIMO: LA TESTIMONIANZA DELLA DIGNITÀ DELLA VITA MILITARE
A quel tempo, come oggi, la Svizzera era uno Stato genuinamente federale, fondato sull'autonomia dei cantoni. Ogni cantone era quasi completamente indipendente, e l'autorità centrale della Confederazione era piuttosto vaga. Il rovescio della medaglia era che i cantoni si trovavano sovente in lite tra loro, anche perché per ragioni linguistiche i cantoni erano influenzati da poteri vicini: i cantoni di lingua francese dalla Francia, quelli di lingua tedesca dall'Austria e dalla Germania, quelli di lingua italiana da Milano e da altri Stati italiani. Queste dispute culturali e politiche spesso degeneravano in scontri militari.
Dobbiamo anche considerare che l'epoca di San Nicola della Flue è chiamata in Svizzera l'epoca militare. È in quel tempo che gli Svizzeri si rivelano grandi soldati e offrono truppe e guarnigioni a tutta l'Europa. Le guardie svizzere che ancora oggi servono il Papa sono il ricordo vivo di quella tradizione. È in questo scenario che anche San Nicola è chiamato alle armi, e partecipa alla guerra contro il cantone di Zurigo che si era ribellato alla Confederazione. Con il suo eroico comportamento San Nicola rende testimonianza alla dignità della vita militare.

SECONDO: IL ROSARIO SUL CAMPO DI BATTAGLIA
Immaginiamo quell'uomo valoroso sul campo di battaglia, con la spada in una mano e il Rosario nell'altra. È una bellissima scena di battaglia! Oggi colleghiamo immediatamente gli oggetti di pietà come il Rosario a qualche cosa di sentimentale. Chi collegherebbe oggi il Rosario a un guerriero? Al contrario per molti il Rosario è una cosa da vecchiette o da uomini imbelli e incapaci di combattere. Non è colpa del Rosario, che anzi subisce così una grave ingiustizia, ma di un sentimentalismo religioso che ha sovvertito il vero significato della preghiera cristiana.

TERZO: L'AMORE E IL RISPETTO PER LE GERARCHIE
È interessante meditare sull'atteggiamento di San Nicola quando rifiuta la carica di sindaco. Afferma: "No, sono di condizione umile e avrei difficoltà a esercitare la mia autorità su persone che per nascita sono in una posizione più elevata". Questa affermazione è incomprensibile oggi. Ma denota l'amore di San Nicola per le gerarchie: la sua comprensione del fatto che le gerarchie - certo diverse secondo i tempi e i luoghi - sono elemento essenziale di una società bene ordinata. Oggi vediamo piuttosto il contrario: a causa dell'egualitarismo che ci ha invaso talora si ritiene che una persona di condizione sociale più elevata non sia adatta a governare. Spesso alcuni governanti sono criticati perché sono di nascita nobile o di condizione sociale più alta della maggioranza dei governati. E spesso queste critiche vengono dall'invidia e dal rifiuto della nozione stessa di gerarchia, senza la quale però le società non possono sopravvivere.

QUARTO: LE VISIONI DI UN PASTORE, UN SOLDATO E UN GIUDICE
Nel mezzo della sua vita di laico San Nicola ha sempre avuto delle visioni. Consideriamo un pastore, un soldato e un giudice che, mentre si dedica alle occupazioni tipiche di queste posizioni, riceve delle visioni dal Cielo. Immaginiamo la scena del giudice Nicola della Flue mentre presiede il tribunale cantonale e ascolta le parti e gli avvocati. Mentre segue un'arringa, all'improvviso ci si accorge che il giudice ha uno sguardo lontano: è in estasi. Il suo volto è luminoso, contempla una scena paradisiaca. Si è distratto? Forse sì, ma le testimonianze attestano che quando la visione svanisce Nicola pronuncia parole di grande saggezza. Spesso le parti si riconciliano e il caso è risolto. Certo ai giorni nostri è difficile incontrare giudici di questo genere.
Possiamo anche immaginare il giovane Nicola pastore in un tipico paesaggio svizzero. Sullo sfondo le famose Alpi svizzere, coperte di una neve che al tramonto si vena di colori delicati, dal rosa all'azzurro. San Nicola suona il suo corno per radunare il gregge, ma si ferma a pregare prima di tornare alle stalle. In questo momento il Cielo si apre e mostra al santo le meraviglie del Paradiso e degli angeli. Una vita racconta che una volta il santo si ferma a conversare con Dio e un angelo porta il gregge nelle stalle in vece sua. Gli angeli, lo splendore primigenio delle montagne svizzere e l'anima purissima di San Nicola della Flue si compongono perfettamente in un quadro di rara bellezza. Un quadro davvero superiore!

QUINTO: NON DISPERDERE LE GRAZIE DELLA MEDITAZIONE
La visione del giglio che si reclina su se stesso ed è mangiato da un animale mostra come spesso la contemplazione è interrotta e, per così dire, guastata dalle preoccupazioni terrene. Dal momento che quando cerchiamo di meditare abbiamo tutti lo stesso problema, possiamo tutti prendere San Nicola della Flue come nostro santo patrono. Dobbiamo chiedergli di non disperdere le grazie della meditazione e di perseverare nei pensieri buoni. Ma è pure incoraggiante vedere che i santi hanno avuto i nostri stessi problemi.

SESTO: IL SANTUARIO DI SAN NICOLA
Meditiamo sul grande fervore che nel corso dei secoli il popolo svizzero ha mostrato nel pellegrinaggio verso la tomba di San Nicola della Flue e la cura che ha dimostrato nel mantenere e nell'abbellire il suo santuario. Lì possiamo vedere le sue decorazioni militari, e - cosa curiosa - anche quelle che i suoi discendenti diretti hanno conquistato sui campi di battaglia del mondo e donato al santuario. Con questa eccellente tradizione di famiglia, che è durata fino a non molti anni fa, i della Flue dichiarano che per loro è più glorioso discendere da un santo che mostrare le decorazioni che si sono guadagnate. È un gesto carico di significato.

CONCLUSIONE
Questi sono i punti della nostra meditazione ammirata su San Nicola della Flue. Anche se non siamo soldati, dobbiamo chiedergli la grazia di saperci sempre battere - nelle difficili battaglie, non necessariamente militari, in cui siamo impegnati oggi - con la spada in una mano e il Rosario nell'altra.

HITLER DECISE L'INVASIONE DELLA SVIZZERA, MA UN SANTO LO FERMO'
San Nicola di Flüe bloccò i carri armati e gli aerei tedeschi con un miracolo (testimoniato da migliaia di soldati elvetici)
di Rino Cammilleri
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4541

Fonte: Santi e Beati

5 - AVVENIRE PUBBLICIZZA IL 5 PER MILLE A FAVORE DELL'ARCI
Viene da chiedersi se la CEI sa che l'Arci promuove il gender, l'aborto, l'eutanasia, l'afflusso dei clandestini, la droga libera, i gay pride, i rave party, ecc. ecc.
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Radio Roma Libera, 8 maggio 2023

Di nuovo. È successo di nuovo. Non a caso, non per una svista, né per un errore. Bensì deliberatamente, consapevolmente, pervicacemente. Il quotidiano della Cei, Avvenire, che ama definirsi genericamente «di ispirazione cattolica», quasi la sua non fosse sequela, apostolato, testimonianza, missione, bensì un tenue sentimento, un timido stato d'animo, un'intuizione senza impegno, dallo scorso 3 maggio ha ripreso a pubblicare in prima pagina, come manchette, accanto alla testata, a destra ed a sinistra, quindi con la massima evidenza possibile, la pubblicità del 5 per mille a favore dell'Arci.
Era già capitato l'anno scorso e già qui, con un articolo, evidenziammo l'anomalia: con tutte le associazioni e le realtà cattoliche benemerite, cui invitare i lettori a destinare il 5 per mille, sponsorizzare proprio l'Arci ha dell'incredibile. E proprio in quell'articolo ne sintetizzammo i motivi, ripercorrendo la storia di quest'organizzazione impregnata ancora oggi di Sinistra col pugno chiuso, di immigrazionismo spinto, di ideologia Lgbtqa+, di genderismo fatto di schwa e asterischi per Statuto e poi ancora di aborto, di suicidio assistito, di eutanasia, stracciando così pagine e pagine di Catechismo della Chiesa cattolica, infischiandosene della sua Dottrina con una foga che non fa certo rima con "accoglienza" dei valori altrui, con "ascolto" di chi solo la pensi diversamente, con un autentico "rispetto" di tutte le posizioni.
L'Arci ne ha per tutti coloro che non cantino col (suo) coro: sul suo sito, bolla senza mezzi termini e senza appello il governo Meloni d'esser «a trazione post-fascista», «pericoloso per la nostra Costituzione e per la nostra democrazia», si scaglia contro il decreto «anti-rave», monopolizza il 25 aprile, promuove la «Giornata internazionale della visibilità transgender» con tanto di «Carriera Alias» nelle scuole e via elencando.

L'ARCIGAY
Del passato l'Arci non rinnega nulla, anzi: anche nell'ultima redazione dello Statuto, approvata al XVIII Congresso nazionale del dicembre 2022, ribadisce di rappresentare «la continuità storica e politica» dell'«Associazione Ricreativa Culturale Italiana delle origini, fondata a Firenze il 26 maggio 1957», quella che affondava le proprie radici nel Pci, nel Psi e nella Cgil, come evidenziato da Vincenzo Santangelo, ricercatore presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nel suo libro Le Muse del popolo.
Nell'alveo dell'Arci sorse il 9 dicembre 1980 l'Arcigay, voluto da un sacerdote omosessuale, un teologo della liberazione sospeso a divinis, don Marco Bisceglia (riammesso nella Chiesa solo poco prima di morire, malato di Aids, dopo la supplica da lui inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, supplica in cui si pentì di quelli che chiamò «i miei errori e traviamenti»). Con lui collaborò a quest'avventura anche un allora giovane obiettore di coscienza in servizio civile, Nicola Vendola detto Nichi, che poi divenne suo convivente. Con la sua adesione al World Social Forum, l'Arci ha fatto sue le bandiere dell'antagonismo e della «globalizzazione alternativa» terzomondista, ribadendo la propria natura «antiliberista» ed «antimperialista».
Insomma, ce n'è abbastanza per indurre chi si dichiari cattolico a prender le distanze da posizioni tanto estremizzate e tanto lontane dal proprio credo. Anche quando si tratti di contratti pubblicitari, specie quando i messaggi contrastino con i propri ideali (ammesso che contrastino davvero)...Perché a Vespasiano, che sentenzia «pecunia non olet» («il denaro non puzza»), risponde Orazio, che argomenta «Est modus in rebus» («v'è una misura nelle cose») ed aggiunge: «Sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum» («Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi ciò ch'è giusto»). Allora, perché insistere, un anno dopo, riproponendo la medesima pubblicità a scapito delle realtà cattoliche, che più e meglio l'avrebbero meritata? Allora è un vizio, verrebbe da commentare...Esattamente. Come conferma il Catechismo.

AVERSIO A DEO, CONVERSIO AD CREATURAS
Secondo San Tommaso d'Aquino, infatti, il peccato è «aversio a Deo» ovvero allontanamento cosciente e volontario da Dio, da Colui che infonde l'essere e la vita, aderendo viceversa alle creature, al mondo («conversio ad creaturas»). Coincide con quanto recepito nel Catechismo della Chiesa cattolica, che, al n. 1849, definisce il «peccato» come «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo». Richiamando Sant'Agostino - e lo stesso San Tommaso, non a caso citato - bolla il peccato come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna».
Ora, promuovere pubblicamente chi sostenga aborto, eutanasia e tutto quanto sopra richiamato allontana indubbiamente da Dio sé stessi ed, ahimè, anche il prossimo, essendo manifestamente contrario alla Legge eterna.
Il peccato inizia come seduzione e, specie quando ripetuto, diviene schiavitù. Come scrive ancora il Catechismo al n. 1876, «la ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi». Ed ecco, dunque, per quale motivo non appaia né sbagliato, né esagerato ritenere un «vizio» la promozione di ideologie contrarie alla fede, alimentando la confusione tra credenti e non. Nelle sue parole di commiato, Marco Tarquinio, che ha recentemente lasciato la direzione di Avvenire al collega Marco Girardo, ha scritto d'aver voluto «offrire a tutti un'informazione sempre limpida e libera, ancorata ai grandi valori cristiani e civili del nostro umanesimo». Certamente la scelta degli inserzionisti non è stata oculata, né coerente: lascia anzi una brutta eredità ed una pesante ipoteca sulla linea editoriale del giornale della Cei, linea che sarebbe bene a questo punto chiarire: infatti, «nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16, 13).

Fonte: Radio Roma Libera, 8 maggio 2023

6 - SITI PORNO COSTRETTI A VERIFICARE L'IDENTITA' DEI MINORENNI?
Così rischiano di chiudere nel Regno Unito, ma anche in Australia e in alcuni stati USA (e intanto spopola il libro del sacerdote cattolico che aiuta a liberarsi dal vizio della pornografia)
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10 maggio 2023

Qualcosa si muove. Nel Regno Unito si sta discutendo un disegno di legge che, se passeranno le modifiche chieste dall'ala dei conservatori, obbligherà tutti i siti pornografici a verificare l'età dei fruitori in modo simile a quello utilizzato per il gioco d'azzardo on line, ossia caricando i dati della carta d'identità o di credito. Anche in Australia si valutando una soluzione simile.
Pure negli Usa qualcosa si muove. Sedici stati hanno dichiarato la pornografia una crisi di salute pubblica. Tra questi ricordiamo: Arkansas, Arizona, Florida, Idaho, Kansas, Kentucky, Louisiana, Missouri, Montana, Oklahoma, Pennsylvania, South Dakota, Tennessee, Utah e Virginia. In Lousiana, Arkansas e Utah i siti porno dovranno anch'essi verificare l'età del visitatore e i genitori potrebbero far causa alle piattaforme se queste non rispetteranno le regole. Addirittura la stessa liberal California, insieme ad Arkansas, Utah, Minnesota, Tennessee, sta valutando una "moderazione di contenuti" dei siti. Il senatore Mike Lee ha poi proposto un disegno di legge che vorrebbe ridefinire il concetto di oscenità, così come indicato dal Communications Act del 1934, ricomprendendo anche i contenuti pornografici.
Queste azioni anti-porno stanno avendo successo, almeno a guardare le reazioni dei diretti interessati. Pornhub il primo maggio ha oscurato il proprio sito nello Utah dato che in quello stato è passata la legge che obbliga alla verifica dell'età. È la prova provata che all'industria del porno non importa nulla dei danni di natura psicologica che la visione di contenuti pornografici potrebbe arrecare alla mente di ragazzi e bambini. Costoro sono solo pedine del loro fiorente business.

LA VERIFICA DELL'ETÀ
In Francia, in accordo con una legge del 2020, il garante per la comunicazione audiovisiva e digitale, Arcom, può sincerarsi se i siti pornografici hanno validi filtri per non far accedere alle loro piattaforme i minori. In caso di inottemperanza Arcom può rivolgersi ad un giudice. Un nuovo disegno di legge, attualmente all'esame del Parlamento, permetterebbe di rendere la procedura più snella senza passare dal tribunale comminando direttamente sanzioni fino a 500mila euro o pari al 6% del fatturato.
Nei Paesi Bassi l'Expertise Bureau for Online Child Abuse ha verificato che in dieci video di porno amatoriale della piattaforma xHamster i soggetti ripresi non avevano fornito il loro consenso per la divulgazione dei video. Il sito è stato denunciato alle autorità competenti. Se questi contenuti non verranno rimossi entro tre settimane Hammy Media, proprietaria del sito, rischia di pagare 32mila dollari al giorno.
Tutte queste notizie sono sicuramente incoraggianti, anche se la verifica dell'età per l'accesso ai siti pornografici potrebbe tutelare in qualche modo i minori, ma in nessun modo gli adulti i quali comunque sono anch'essi insieme vittime e complici dell'industria a luci rosse. Sono buone notizie anche perché, al di là del merito specifico, potrebbero indicare una certa tendenza sociale che potremmo definire "crisi di rigetto". Negli Usa, come la Bussola ha di recente documentato, l'insofferenza verso la cultura woke sta crescendo sempre più soprattutto tra gli elettori del partito repubblicano. Il Washington Post e la Kaiser Family Foundation hanno realizzato un sondaggio in cui si evince che il 57% degli americani rifiuta il transessualismo, ossia rifiuta l'idea che una persona possa percepirsi come appartenente ad un sesso diverso da quello riconosciuto alla nascita.

INCORAGGIANTI SEGNALI DI INSOFFERENZA
Questi segnali di insofferenza potrebbero essere incoraggianti. La cultura progressista è portata a spingere sempre più l'acceleratore della rivoluzione ideologica, ma può essere un autogol se il popolino stenta a starle dietro. Il processo di assimilazione dei "nuovi diritti" deve essere graduale, pena la ribellione dell'organismo sociale che sarà portato a rifiutare alcuni cambiamenti perché giudicati troppo radicali. Se dunque l'ideologia rivoluzionaria vuole più aborti, più morti per eutanasia, più fecondazioni artificiali, più sperimentazioni sugli embrioni, più divorzi, più "nozze" gay e tutto questo in sempre minor tempo e in modo sempre più facile, ad un certo punto potrebbe capitare - ma è una mera eventualità - che qualcuno sbotti: "Adesso basta! È troppo!". Il cavallo se troppo frustato alla fine scalcia.
Se ciò accadesse si potrebbe innescare una censura a questi fenomeni sociali di carattere radicale, ossia si potrebbe arrivare a criticare i fondamenti di aborto, eutanasia, etc. e dunque non solo i loro aspetti più devianti, ma la loro stessa origine genetica. Una critica quindi che non toccherebbe solo gli elementi accessori, accidentali, ma la stessa essenza, la stessa sostanza di certe condotte contrarie alla dignità della persona.
Ci rendiamo conto che più che una previsione è una mera speranza. Ma la speranza rimane pur sempre una virtù teologale.

Nota di BastaBugie: oggi sempre più persone cercano di liberarsi dalla nuova forma di schiavitù che consiste nel consumo frequente di immagini pornografiche. Il percorso proposto dal sacerdote cattolico padre Eric Jacquinet nel libro "Libero! Dalla trappola della pornografia" è strutturato in un cammino di 40 giorni per riconquistare la gioia di vivere. L'itinerario accompagna un progressivo lavoro di conversione, liberazione e ricostruzione di sé che, ad ogni tappa, si concretizza attraverso una testimonianza, una spiegazione dei meccanismi psicologici, una riflessione spirituale ed esercizi pratici.
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DOSSIER "PORNOGRAFIA"
Com'è nata e le sue conseguenze

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 10 maggio 2023

7 - OMELIA ASCENSIONE - ANNO A (Mt 28,16-20)
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Quaranta giorni dopo la Risurrezione, Gesù ascende al Cielo davanti agli sguardi stupiti degli Apostoli. Prima di lasciare la terra, Gesù parla per l'ultima volta, affidando ai suoi Discepoli l'incarico di evangelizzare tutte le genti, dicendo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). È questo il mandato missionario che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa e che fedelmente dobbiamo eseguire, affinché tutti conoscano il Vangelo e abbiano la Vita eterna.
Da una parte, l'Ascensione del Signore ci invita a innalzare il nostro pensiero alle realtà celesti, distaccandolo dalla terra, secondo le parole che abbiamo sentito nella seconda lettura, ove l'apostolo san Paolo ci esorta a comprendere sempre di più «a quale speranza [Dio ci ha chiamati], quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,18-19); dall'altra parte siamo invece chiamati a non rimanere inerti, in una passiva attesa del ritorno del Signore, ma a edificare il regno di Dio su questa terra.
Dunque, se in poche parole vogliamo sintetizzare il messaggio di questa solennità, possiamo dire che, alla luce dell'Ascensione del Signore, siamo esortati a innalzare i nostri cuori al Cielo e appoggiare bene i nostri piedi a terra, adoperandoci per la diffusione del Vangelo nel mondo intero. Ci vuole la contemplazione e ci vuole l'azione. Questi due elementi vanno sempre insieme. Le sorti di questo mondo non si migliorano nelle discussioni, nelle riunioni, nelle pianificazioni, ma innalzando il cuore al Signore e attingendo da Lui la luce e la forza per operare e per diffondere il bene nel mondo. I più grandi realizzatori sono stati quelli che meno ne avevano le apparenze, sono stati quelli che hanno derivato dalla contemplazione l'efficacia della loro azione.
Il mondo è pieno di iniziative: i progetti si moltiplicano, le forze si debilitano, ma le cose non migliorano. C'è bisogno di un'unica cosa: tornare al Signore, rivolgere a Lui i nostri cuori, pensando che, nella nostra opera di bene, saremo efficaci nella misura dell'unione con Dio.
L'Ascensione non ha separato Gesù dalla sua Chiesa. Anche se è salito al Cielo, Egli continua ad essere sempre con noi. Ce lo ha promesso con queste consolanti parole: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). In modo particolare, Egli continua ad essere con noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, e non ci lascia mai soli.
«Egli non si è separato da noi, ma ci ha preceduti nella dimora eterna; per darci la serena fiducia che dove è Lui saremo anche noi, uniti nella stessa gloria» (dal Prefazio). Fin da adesso, pensiamo spesso a questa gloria che ci attende nei Cieli. In Gesù Risorto e asceso al Cielo, noi contempliamo quella che sarà anche la nostra meta finale. La festa di oggi ci insegna che non siamo stati creati per questa terra, ma per il Paradiso. Solo lì i nostri cuori troveranno la vera pace. Qui giù ci sarà sempre qualcosa per cui penare, e questo Dio lo permette per farci desiderare ancora più ardentemente il Cielo.
Tante volte viviamo come se dovessimo rimanere qui tutta l'eternità. Non pensiamo a sufficienza alla Vita eterna e rischiamo di farci trovare impreparati all'incontro eterno con Gesù. San Paolo, nella seconda lettura, pregava il Signore di illuminare gli occhi del cuore (cf Ef 1,18) per contemplare la gloria alla quale siamo chiamati. Chiediamo che il Signore illumini anche i nostri occhi, affinché, fin da adesso, possiamo fissare il nostro sguardo alla meta.
Il nostro pellegrinaggio terreno si potrebbe paragonare a una lunga ascensione: dobbiamo raggiungere la vetta, e ciò richiede tutto il nostro impegno. Più facile sarà scendere, ma noi siamo chiamati a raggiungere le vette dell'amore di Dio. Più il nostro bagaglio sarà leggero, tanto più agevolmente riusciremo a salire e a raggiungere la cima. Per questo motivo, san Francesco d'Assisi volle vivere nella povertà, per non essere ostacolato da nulla nel suo slancio verso l'alto.
In questa ascensione non dobbiamo perdere di vista la vetta da raggiungere. All'inizio il cammino è agevole, ma, quanto più ci si avvicina alla vetta, tanto più l'ascesa si fa ripida e il respiro affannoso. Se prima si ammirava la bellezza del panorama, quando si è ormai vicini alla meta non si guarda che la cima, ogni altra cosa sembra scomparire. La fatica aumenta sempre di più, ma il desiderio di giungere in vetta si fa più grande e, quando finalmente vi si giunge, si è al colmo della gioia. Sembra quasi che quanto più abbiamo fatto fatica, tanto più siamo felici. Ai nostri occhi estasiati si aprono orizzonti meravigliosi e il mondo sotto di noi sembra ormai tanto piccolo. Si vorrebbe rimanere lì a lungo e si intuisce che il mondo non potrà mai appagare pienamente il nostro cuore.
Chiamati a guardare in alto, tante volte noi non riusciamo a staccare lo sguardo da terra. Impariamo dai Santi, i quali, passando per molte prove e tentazioni, sono saliti molto in alto e hanno raggiunto la cima immacolata dell'amore di Dio. Si racconta che, quando era ancora bambino, san Francesco di Sales spesso era assorto, tutto preso dai suoi pensieri e, quando il padre gli domandava a cosa stesse pensando, egli rispondeva: «Penso a Dio e a farmi santo».
Pensiamo anche noi a Dio. La preghiera è stata giustamente definita come l'«elevazione della mente a Dio». Ogni volta che pregheremo in modo autentico, eleveremo la nostra mente e il nostro cuore, staccandoli dai lacci di questa terra.
Pensiamo a Dio e fissiamo il nostro sguardo alla vetta!

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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