BastaBugie n�89 del 05 giugno 2009

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1 ECCO PERCHE' ACCOGLIERE LA TURCHIA IN EUROPA SAREBBE UN GRAVE ERRORE

Fonte: 28 Maggio 2009
2 OSCAR WILDE ERA CATTOLICO
Come quasi tutti i maggior letterati della storia britannica
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 24 maggio 2009
3 CULTURA DELLA VITA CONTRO CULTURA DELLA MORTE
L'esempio del Cottolengo
Autore: Marina Corradi - Fonte: 24 Maggio 2009
4 IL LIVELLO DEI GHIACCI MARINI TORNA UGUALE A 30 ANNI FA, MA E' VIETATO DIRLO!

Autore: Cara Ronza - Fonte: 5-3-2009
5 COSA E' IN PERICOLO: IL CLIMA O LA LIBERTÀ?

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 11 Apr 2009
6 ELOGIO DEL CELEBATO SACERDOTALE
Perche' i preti non si sposano
Autore: Cornelio Fabro - Fonte: 19 aprile 2009
7 IL PAPA INDICA LA VITA DEI MONACI BENEDETTINI COME ESEMPIO

Autore: Vittorio Messori - Fonte: 3 maggio 2009
8 PER IL CORRIERE DELLA SERA IL LATINO E' INUTILE (MA FORSE E' INUTILE IL CORRIERE DELLA SERA...)

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
9 QUANDO C'E' DEL BENE ANCHE NELLE PARETI GRIGIE

Autore: Carlo Bellieni - Fonte: 18 maggio 2009

1 - ECCO PERCHE' ACCOGLIERE LA TURCHIA IN EUROPA SAREBBE UN GRAVE ERRORE

Fonte 28 Maggio 2009

Secondo il Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, far entrare la Turchia in Europa sarebbe «un segnale importante». Lo stesso Parlamento europeo, in una risoluzione del 1999, sosteneva che un futuro ingresso «di Ankara sarebbe un contributo importante allo sviluppo dell’Unione, come pure alla pace ed alla sicurezza».
È proprio così? Vi sono concrete ragioni per dire di no, come rivela il prof. Roberto de Mattei nel suo ultimo libro "La Turchia in Europa, beneficio o catastrofe?" edito da Sugarco.
Fare della Turchia un partner privilegiato è un conto. Accettarne l’adesione con i suoi 72 milioni di abitanti – il 98% dei quali ufficialmente islamici – è un altro. Circa 539 mila persone qui muoiono di fame e ben 13 milioni sono al di sotto della soglia di povertà. Un eventuale ingresso di Ankara nella Ue riverserebbe, quindi, per il principio della libera circolazione, milioni di lavoratori turchi in Occidente.
Tale imponente fenomeno migratorio farebbe impennare la spesa sociale, oltre a diminuire la produttività, l’occupazione e la qualità della manodopera. Fu Vural Öger, europarlamentare tedesco di origine turca, del resto, ad affermare nel 2004: «Ciò che Solimano ha iniziato con l’assedio di Vienna nel 1683, noi lo porteremo a termine con i nostri abitanti, col potere dei nostri uomini e donne». Anche l’ex-primo ministro turco Erbakan disse in un’intervista: «Noi turchi musulmani veniamo per assumere il controllo del vostro Paese e per mettervi radici ed in seguito costruire ciò che riteniamo appropriato e tutto questo con il vostro consenso e secondo le vostre leggi». Ed ancora, nel 1989, nel corso di una visita alla città tedesca di Arnham, Erbakan dichiarò apertamente: «Gli europei sono malati. Daremo loro le medicine.
Tutta l’Europa diventerà islamica. Conquisteremo Roma». Non basta. Il nuovo Trattato costituzionale europeo attribuisce agli Stati europei un peso politico proporzionale a quello demografico. La popolazione turca dovrebbe giungere nel 2023 a quota 90 milioni contro gli 85 della Germania. Se entrasse in Europa, avrebbe il numero massimo di eurodeputati previsto dalla Costituzione, ben 96, a spese di Gran Bretagna, Francia e Italia. Inoltre, diverrebbe cruciale in ogni decisione.
Ciò nonostante, in Turchia non vige una democrazia nel senso occidentale del termine: sono prassi le carcerazioni politiche, le torture ed i maltrattamenti, come ampiamente documentato da Amnesty International e da Human Rights Watch.
Nel Rapporto 2007, la Commissione Europea confermò come la libertà di espressione non sia affatto garantita. Innumerevoli le condanne inflitte ad Ankara dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo e le proteste della Santa Sede contro le discriminazioni ai danni dei cattolici. Tutti i cristiani sono esclusi dall’accesso alle funzioni pubbliche, Parlamento compreso.
La Chiesa Cattolica non può costruire chiese, ristrutturarle, aprire seminari, possedere o gestire le proprie istituzioni scolastiche o sociali. Di contro, in Turchia si contano 90 mila imam stipendiati dallo Stato e 85 mila moschee attive, una ogni 350 abitanti, il più alto numero pro capite nel mondo. Circa il piano culturale, intervenne autorevolmente, in un’intervista su “Le Figaro Magazine” del 13 agosto 2004, l’allora card. Ratzinger: «Le radici che hanno formato e permesso la formazione dell’Europa – dichiarò – sono quelle del Cristianesimo.
In questo senso la Turchia ha sempre rappresentato nel corso della storia un altro Continente, in permanente contrasto». Parere ribadito ancora in un discorso del 18 settembre dello stesso anno presso la diocesi di Velletri, di cui il Card. Ratzinger era titolare: «Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l’Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell’Unione Europea». Più chiaro di così…

Fonte: 28 Maggio 2009

2 - OSCAR WILDE ERA CATTOLICO
Come quasi tutti i maggior letterati della storia britannica
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 24 maggio 2009

«La Chiesa Cattolica è soltanto per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana». Chi poteva averlo detto se non lui, Oscar Wilde? Battezzato in segreto, apologeta di Pio IX, gran lettore di Dante e sant’Agostino, filantropo, pellegrino, amico dei gesuiti: tutto questo era Wilde. Che, sì, era di condotta scandalosa (e la pagò cara) ma anche uomo eccezionalmente buono e caritatevole. Quando vedeva dei mendicanti – e nella Londra vittoriana ce n’erano in numero altissimo – non mancava di dar loro l’elemosina; la sua attenzione al prossimo si manifestò anche in occasione di un’inondazione che aveva colpito particolarmente il borgo londinese di Lambeth: insieme a un amico si recò sul posto per cercare di aiutare le persone in difficoltà, riuscendo anche a far divertire col suo buonumore una vecchia signora costretta a letto. Il Wilde sfrontato e beffardo era un uomo dalla grande sensibilità verso il dolore, verso chi era sofferente, finché lui stesso non piombò negli abissi cupi del dolore, dell’umiliazione, dell’abbandono. Un abisso dove ritrovò definitivamente Dio. Questo e (molto) altro troverete nel libro di Paolo Gulisano Il ritratto di Oscar Wilde (ed. Ancora). Humour all’inglese: quasi tutti i maggior letterati della storia britannica erano cattolici.

Fonte: 24 maggio 2009

3 - CULTURA DELLA VITA CONTRO CULTURA DELLA MORTE
L'esempio del Cottolengo
Autore: Marina Corradi - Fonte: 24 Maggio 2009

Porta Palazzo, Torino sembra una casba, un mercato mediorientale ondeggiante di chador, vociante di richiami maghrebini. Poi giri a destra, e ti si para davanti il Cottolengo con le sue imponenti interminabili facciate. La strada si fa silenziosa.
Caritas Christi urget nos, è scolpito sull’ingresso, la carità di Cristo ci sprona. Entri. Sotto ai tigli secolari ti sembra d’essere in una città diversa. 112 mila metri quadri di padiglioni, 3000 pasti al giorno, una mensa per i poveri, una scuola per infermieri, un monastero di clausura, il seminario, l’ospedale, e poi le case per disabili e anziani, in tutto oltre seicento letti. Una città, davvero. Ti inoltri per i viali in un viavai di suore in veste bianca – ce ne sono oltre seicento qui – e di ospiti che camminano adagio, claudicanti, o in carrozzella. La reazione istintiva del visitatore è di inquietudine – quella che provi quando immagini di dover vedere da vicino il dolore. Del resto, un’aura di mistero gravava un tempo su questa Piccola casa della Provvidenza. «Laggiù stanno i mostri», si diceva a Torino. Lo dice ancora del resto, sull’Espresso, Giorgio Bocca, che ha scritto di «un culto della vita ad ogni costo che lascia perplessi i visitatori della pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi». E dunque chi entra immagina una immersione nel dolore. Belli i viali alberati, ma, dietro quelle finestre? Don Carmine Arice, responsabile della Pastorale della Casa, è un pugliese arrivato qui da oltre vent’anni. Ci porterà per i reparti, in un labirinto infinito di corridoi e stanze e sotterranei dove, ti fa notare, un uomo in carrozzella può andare ovunque senza incontrare un gradino: e sì che l’anno di fondazione della casa precede di 150 anni le leggi sulle 'barriere architettoniche'. Quel prete, san Giuseppe Cottolengo, ci aveva già pensato.
Passi per l’ospedale con gli ambulatori affollati, riesci di nuovo, verso la chiesa. Qui il via vai delle suore si fa più intenso. Allo scadere dell’ora vanno e vengono le sorelle che si alternano per tutto il giorno nella laus perennis. C’è sempre qualcuno, in questa chiesa, che prega. Sentinelle, che s’alternano alla guardia. Perché pregare, diceva il fondatore, è 'il primo lavoro'. Quando aveva bisogno di nuove strutture, fondava un nuovo monastero di clausura. Quasi che veramente fondante fosse il pregare. Singolare logica, pensa fra sé il visitatore del 2009, a tutt’altro sguardo abituato; ma si direbbe, a giudicare dall’allargarsi prodigioso di questa casa dal 1832, che funziona. E siamo arrivati ai Santi Innocenti, il reparto dei 'mostri' nella leggenda popolare. 122 ricoverati, quasi tutti disabili gravi. Morti ormai i macrocefali dalla testa enorme, gli ospiti qui sono quasi tutti handicappati anziani, età media 65 anni (da quando esistono le ecografie, certi figli raramente vengono al mondo. Li individuano, e vengono eliminati).
Ai Santi innocenti i ricoverati sono divisi in dieci 'famiglie', ciascuna con una propria casa. Grandi stanze luminose, odore di pulito. Qualche ospite passeggia e risponde al saluto degli infermieri con un gesto di familiare consuetudine. Una, ancora giovane, esile, un moncone al posto di una mano, all’abbraccio di una suora risponde prima con uno scuotersi spastico del busto; poi le si calma fra le braccia. Le ricoverate qui, anche le più vistosamente colpite da una disabilità che ne annebbia lo sguardo o rende incerto il movimento delle mani, lavorano. Il lavorare con un senso, e uno scopo, al Cottolengo è considerato essenziale per l’uomo. Allora al pomeriggio trovi le donne ai tavoli dei laboratori, intente ad assemblare lentamente pezzi di giocattoli. O, le più abili, a lavorare all’uncinetto, le mani che con lucida precisione tramano pizzi elaborati. Una legge da un quaderno spalancato: 'VII93XC2P', e tutta la pagina è un susseguirsi di formule astruse, scritte a mano. È l’ordine dei punti del merletto, spiega la suora; e rimani attonita a contemplare il lavorio di quelle mani. Splendidi, degni di un altare, i pezzi finiti.
Le donne riconoscono don Carmine, gli sorridono. Pare un convivio di vecchie di paese intente ad antichi femminei mestieri. Dov’è, ti domandi, il dolore cocente che paventavi entrando in queste stanze? Le donne sembrano serene nel loro lavorare, in una dimestichezza affettuosa con le assistenti. Forse che il problema di queste persone, ti domandi, stia più negli occhi di chi li guarda che in loro? Perché noi dobbiamo essere efficienti, autonomi, capaci; e allora ci sembra un povero niente, quel faticoso lavorio di dita per assemblare una scatola di matite. Ma loro, le donne dei Santi Innocenti, ti dicono: «L’ho fatto io», e ne sono contente. Ci han messo un’ora, a ordinare quei pastelli. Ma qui, dice don Carmine, «il tempo è al servizio degli uomini, e non gli uomini al servizio del tempo».
Armadi colmi di giochi ad incastro per bambini. Banchi incrostati di anni di pitture. I quadri dei disabili sembrano opere di impressionisti, sgargianti, tracimanti di colore. Un grande foglio appeso al muro è tutto nero: le ospiti lo hanno dipinto così per raccontare la morte. Un altro è un’esplosione di luce: quello, spiega la suora, è, secondo loro, il Paradiso.
Vai avanti e parli meno, e resti assorta a guardare. Certo, nelle mani tremanti, negli sguardi persi riconosci come un piegarsi della vita sotto al giogo di un antica condanna. Una ferita oscura, originaria, in queste donne è evidente. «Dove la ferita è più grande, la domanda è più grande. Queste persone sono come un grido, una più forte domanda di Cristo», dice don Carmine, intuendo ciò che ti stai chiedendo. (Forse per questo, per questa domanda evidente portata dalla sofferenza, oggi i figli malformati si sopprimono?) No, non ci sono creature 'metà cavallo e metà uomo' qui al Cottolengo, come fantasticavano una volta nei paesi del Torinese. Ma solo uomini con un 'di meno', che agli occhi dei sani è insopportabile. (E accadeva che li lasciassero qui con l’inganno. Li portavano per una visita e li abbandonavano, perché quella diversità era onta fra i sani).
Eppure Angela, sorda, muta e cieca, si alza di scatto nell’avvertire la voce amica del prete, gli afferra le mani, inizia un intenso discorso di gesti che la suora che le è accanto – grossa, benigna, materna – capisce. Le risponde. Ridono fra di loro. Oltre la maschera che, fuori, noi sani portiamo, qui dentro intravvedi cos’è davvero un uomo. Oltre a ogni apparenza. «Vede – dice don Arice – questo giardino, come è perfettamente curato. Le finestre di fronte sono quelle dei malati di Alzheimer. Ecco, questo giardino lo curiamo così perché ognuno dei malati che lo guarda ha per noi un valore infinito».
È una concezione dell’uomo molto grande, quella che regge questo allargarsi di case e stanze da 170 anni nel cuore di Torino. Quando un canonico quarantenne si trovò di fronte allo scandalo della ingiustizia e del dolore: una donna incinta e malata respinta da due ospedali e lasciata morire in una stalla. Don Giuseppe Cottolengo cambiò vita. Le sue case nacquero una dopo l’altra, senza un progetto, rispondendo al quotidiano bisogno. I soldi, all’occorrenza, arrivavano. Si mostrava evidente, quasi in un’eco di ciò che il Manzoni proprio in quegli anni scriveva, che «la c’è, la Provvidenza». Malati segregati, poveri 'mostri' da imboccare e amare, confluirono nella Casa. Oggi nuovi poveri premono alle porte della cittadella dietro a Porta Palazzo. Vecchi dementi, lasciati soli in case vuote: la nuova emergenza, sono i vecchi. La Piccola Casa resta nel cuore della Torino del Duemila, crocevia di mille etnie, come un segno. Giovanni Paolo II qui disse: «Se non si comincia da questa accettazione dell’altro, comunque egli si presenti, in lui riconoscendo un’immagine vera anche e offuscata di Cristo, non si può dire di amare veramente». Tutto un altro amore. Tutta un’altra logica, da quella di cui scrivono i giornali.

Fonte: 24 Maggio 2009

4 - IL LIVELLO DEI GHIACCI MARINI TORNA UGUALE A 30 ANNI FA, MA E' VIETATO DIRLO!

Autore: Cara Ronza - Fonte: 5-3-2009

Tolleranza zero per chi non la pensa come loro. Non è la prima volta che gli ecologisti riservano questo trattamento a chi sostiene idee che contraddicono la loro dogmatica dottrina, ma nel caso di George Will sono davvero riusciti a superarsi. Per aver scritto un editoriale contro l'allarmismo climatico e contro l'eco-pessimismo, cioè per aver espresso la propria opinione, è stato accusato di quello che per un giornalista è un peccato mortale: mentire. E il giornalista menzognero, si sa, quando gli è tolta la sua credibilità, rischia la condanna a non scrivere più.
La vicenda inizia il 15 febbraio, quando sul Washington Post esce un pezzo di Will intitolato "Dark Green Doomsayers", in italiano qualcosa di simile a "Verdi profeti di sventura", in cui il giornalista rievoca una nutrita serie di catastrofi predette dagli ecologisti che però poi non si sono verificate, dalla moderna era glaciale annunciata negli anni Settanta (che avrebbe causato, tra l'altro, una riduzione della produzione agricola mondiale per il resto del secolo), all'allarme lanciato di recente per la prossima e definitiva dissoluzione dei ghiacci marini (causata senza ombra di dubbio dal global warming di umana responsabilità).
A partire dallo scorso settembre, proprio quest'ultima catastrofe è stata ufficialmente scongiurata dagli scienziati autorevoli del Centro Ricerche sul Clima Artico dell'Università dell'Illinois, che hanno comunicato il ritorno del livello globale dei ghiacci marini a quello rilevato 29 anni fa, quando nel 1979 iniziarono le osservazioni satellitari delle regioni polari negli emisferi Nord e Sud.
George F. Will, classe 1941, premio Pulitzer nel 1977, di idee tendenzialmente conservatrici, ma che più di una volta ha preso posizioni personali e non sempre allineate riguardo alla politica interna ed estera del suo Paese, ha sempre esercitato il proprio diritto di opinione e di espressione, offrendo attraverso i media il proprio pensiero. Nel corso della sua lunga carriera di giornalista è stato più volte contestato, ha trovato chi la pensava in modo diverso da lui, ma mai si era trovato a dover combattere contro un'aggressione mediatica della portata di quella che stavolta lo ha investito.
Gli ecologisti di tutta l'America (Center for American Progress Action Fund, Media Matters e la rappresentanza americana degli Amici della Terra) si sono uniti per metterlo all'indice. Hanno organizzato una raccolta di firme via internet rivolta all'ombundsman del Washington Post (una sorta di "garante dei lettori", figura presente in molti giornali americani) attraverso la quale, più che chiedere, si intima al Post di non permettere più ai propri giornalisti di "offuscare" con le loro opinioni (qualificate come menzogne, "falsehoods"), la verità inconfutabile del global warming.
"This must stop", scrivono, "questo deve finire". Bisogna impedire che i giornalisti scrivano il contrario di quello che pensano loro. Che strano. Il tono di questo appello appare davvero molto imperativo. Troppo imperativo per associazioni che si definiscono non dogmatiche, libere da pregiudizi ideologici e soprattutto democratiche. E la libertà di opinione dove la mettiamo?

Fonte: 5-3-2009

5 - COSA E' IN PERICOLO: IL CLIMA O LA LIBERTÀ?

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: 11 Apr 2009

Dario Fertilio sul Il Corriere della Sera (16 marzo 2009) ha recensito il libro di Vaclav Klaus, economista e presidente della Repubblica Ceca: Pianeta blu, non verde. Cosa è in pericolo: il clima o la libertà? (ed. Istituto Bruno Leoni). Klaus accusa «i cattivi ideologi, gli studiosi pronti a inventare qualsiasi cosa pur di strappare finanziamenti, i neocomunisti travestiti da verdi», i quali vogliono «instaurare nel mondo una dittatura salutista globale, nemica del capitalismo e del libero mercato». Klaus, seguace della scuola austriaca di von Hayek, afferma: «La temperatura media globale durante tutto il XX secolo è aumentata di appena 0,6 gradi! E non c’è alcuna prova che questa modesta variazione sia dovuta all’inquinamento». Che fare? Niente, perché «sui tempi lunghi la creatività umana, e forse gli stessi equilibri endogeni, sapranno trovare spontaneamente una soluzione». Cita uno scienziato, Indur Goklany: «L’età della pietra non ebbe fine perché l’uomo rimase senza pietre, o quella del bronzo perché rimase senza bronzo». Grossman e Krueger hanno dimostrato, anzi, che proprio l’aumento dello sviluppo riduce il deterioramento ambientale. Perché mai lanciare allarmi, se «l’aspetto fondamentale della variabilità naturale del clima sulla Terra è il Sole?». Faremmo molto meglio a preoccuparci degli scienziati «politicizzati» che vorrebbero imporci il famoso «protocollo di Kyoto», il quale ci obbligherebbe a ridurre di un terzo il nostro utilizzo di energia per averne in cambio, nel 2050, un abbassamento di temperatura di soli 0,05 gradi. Le fonti alternative? «L’estrazione dell’energia geotermica è per ora antieconomica» e, quanto a quella eolica, «la sostituzione della centrale nucleare ceca di Temelìn con un impianto eolico richiederebbe l’installazione di circa cinquemila turbine. Se dovessero essere costruite una accanto all’altra, formerebbero una linea che da Temelìn giungerebbe fino a Bruxelles». L’innalzamento dei mari? E quand’anche fosse? Per qualche isola oceanica sommersa, non potremmo ritrovarci con una Siberia improvvisamente coltivabile e fertile? Klaus ce l’ha con l’ecologismo, «un’ideologia metafisica che si rifiuta di vedere il mondo, la natura e l’umanità come realmente sono». Il «famigerato» Ipcc, il rapporto del gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici, é egemonizzato da scienziati catastrofisti, propagandisti politici dello «sviluppo limitato», del controllo centralizzato, gli eredi insomma della fallita pianificazione socialista. Michael Crichton, il bestsellerista, ha descritto le intimidazioni catastrofiste nel suo Stato di paura, una lettura che «dovrebbe essere obbligatoria». Klaus e Crichton sono in buona compagnia. Con loro stanno l’ex Cancelliere dello Scacchiere britannico, Lord Nigel Lawson, lo scienziato «pentito» Bjørn Lomborg, nonché tutti i quattromila intellettuali firmatari (fra cui 72 premi Nobel) dell’Appello di Heidelberg, l’anti- Kyoto, in cui si afferma che «al contrario di quanto sostiene il sapere convenzionale, non esiste oggi un consenso scientifico generale sull’importanza del riscaldamento da gas a effetto serra». Klaus: «Che fare dunque per migliorare il mondo? La migliore risposta è: niente».

Fonte: 11 Apr 2009

6 - ELOGIO DEL CELEBATO SACERDOTALE
Perche' i preti non si sposano
Autore: Cornelio Fabro - Fonte: 19 aprile 2009

A un secolo di distanza dalla crisi del celibato a opera dell’Illuminismo culturale dell’Ottocento, giudicata e condannata dal grande Mohler, ci viene ancora dalla Germania la difesa teologica del celibato e la diagnosi scientifica della sua crisi provocata da una società edonistica e da una cultura antropologica di cui si è fatta succube la nuova teologia e resa cedevole qualche parte della stessa gerarchia. L’analisi del grave fenomeno è sia esistenziale sia teologica.
La crisi del celibato nella Chiesa contemporanea è un fatto indiscutibile di cui si è impadronita spesso anche la stampa laica e che ricorre di frequente nella cronaca dei giornali e dei settimanali. Leggiamo, scrive il May, di preti che depongono il loro ufficio e abbandonano la loro comunità. Si organizzano votazioni sul celibato. È sorto un regolare movimento anticelibato che chiede la soppressione della legge del celibato. Soprattutto in Olanda la situazione è molto avanzata.
Qual è il significato del fenomeno? Secondo il May, non si tratta affatto di una faccenda (Angelegenheit) intellettuale; esso non sorge per una fondazione insufficiente della legge del celibato. Coloro che trovano insufficiente la legge del celibato sono di regola gli stessi che spesso agiscono per impulsi irrazionali e si lasciano condurre dalle tendenze. La fondazione del celibato è completamente (vollauf) sufficiente per coloro che sono pronti e disposti al sacrificio. Chi non vuole, non trova alcun sufficiente fondamento né nella Humanæ vitæ né nella Sacerdotii cælibatus.
La presente crisi del celibato ha varie radici, alcune nella Chiesa e altre fuori della Chiesa: ecco le principali.
1) CONTESTAZIONE DEI VALORI
Il primo dato di fatto della situazione è che valori elevati ed esigenti sono sempre più combattuti e ritenuti di poco valore. I nemici del celibato l’hanno sempre ammesso, fuori e dentro la Chiesa. Dentro la Chiesa certamente di solito non osano uscire allo sbaraglio. Essi vengono allo scoperto solo quando l’autorità dei Pastori si indebolisce e lo spirito del tempo (Zeitgeist) viene loro in aiuto.
Anche all’inizio del secolo diciannovesimo, ricorda il May, ci fu la bufera anticelibato, specialmente nel Baden e nel Würtemberg. Gli avversari del celibato nel clero erano i seguaci di una teologia illuministica. I suoi promotori (Förderer) erano liberali e protestanti.
2) INSICUREZZA NELLA FEDE
La prima causa della crisi del celibato è l’insicurezza della fede che ha colpito oggi una vasta zona di clero e di popolo. Essa si alimenta di posizioni non cattoliche in parte radicalmente incredule di certi teologi rinomati la cui diffusione è realizzata da un esercito molto attivo di operatori di pubblicità. La campagna di denigrazione del sacerdozio da parte di certi teologi ha tolto a molti preti la coscienza della dignità e del valore del sacerdozio.
Se il sacerdozio, come affermano falsamente questi teologi, è una vocazione come qualsiasi altra, allora in realtà non si vede perché non si debba “cambiare” quando a qualcuno questo “giogo” più non piace. Quando l’assolutezza della fede cattolica più non sta salda, non ci sarà più un numero notevole di uomini e donne a fare il sacrificio che li eleva essenzialmente al di sopra della misura ordinaria delle altre denominazioni cristiane. Il grande sacrificio della vita celibataria sta o cade con il carattere della Chiesa Cattolica come l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo. Più si alimenta l’apparenza (con un concetto di ecumenismo indiscriminante) che le confessioni non cattoliche stiano più o meno alla pari con la Chiesa Cattolica, più diventerà incomprensibile perché si debba esigere dal sacerdote un sacrificio che quelle non conoscono.
Il sacerdote cattolico può e vuole sacrificarsi – e la completa astinenza sessuale è un sacrificio – soltanto per una causa assoluta. Né per una cristeità generica né per una Chiesa che è equiparata alle altre comunità religiose si troveranno uomini che fanno il sacrificio.
La distruzione della fede oggettiva (del contenuto della fede) trascina la fede soggettiva nel compromesso. L’appello alla soppressione del celibato nasce dalla mancanza di fede nella potenza della grazia. Non si ha più fiducia nella grazia di Dio che può dare il volere e il realizzare.
3) TRASCURATEZZA DELLA PREGHIERA
Un’altra causa delle proteste contro il celibato è la trascuratezza della preghiera. La Chiesa ha ridotto notevolmente la recita del Breviario per il clero, probabilmente per l’eccesso di lavoro dei sacerdoti in cura d’anime. Io dubito della consistenza di questa motivazione. In base alla mia esperienza e osservazione ognuno trova il tempo per fare tutto ciò che vuole. La riduzione della doverosa recita del Breviario non ha avuto come effetto che il Breviario sia recitato con maggiore devozione o che la parte tolta venga sostituita con altre preghiere. Al contrario, il Breviario ridotto oggi è recitato alla stregua del Breviario intero di dieci anni fa.
Uguale trascuratezza si osserva nelle altre preghiere. La recita del Rosario è da molti disprezzata e resa spregevole dai predicatori. La meditazione è a mal partito. La visita del Santissimo Sacramento è in ribasso. La devozione alla Madonna è in molti ormai spenta. La Confessione frequente, prescritta dalla Chiesa, è da non pochi sottovalutata. Con un simile regresso di vita spirituale è ovvio che il voto della vita verginale sia in crisi e la carne si ribelli. La caduta del celibato coincide anche con la decadenza degli Esercizi spirituali.
4) INCOMPRENSIONE PER L’AUTO-ABNEGAZIONE
Viene a mancare inoltre la comprensione per l’ascesi. Dominio di sé, moderazione, rinunzia, sono termini, così sembra, scomparsi dal vocabolario dei progressisti. Ci si vuol scapricciare, godere la vita, il più presto possibile, il più frequentemente possibile, il più a lungo possibile. La rinunzia e l’astinenza sono prese in giro, la castità verginale e la purezza di coscienza sono deprezzate. La generale sessualizzazione della vita spinge troppi giovani ad esperienze erotiche precoci e sbarra loro quindi la via al sacerdozio.
La storia ci insegna che la dissoluzione del matrimonio e la corruzione dei costumi portano spesso in molti modi al disprezzo del celibato. Un siffatto clima non è per nulla favorevole all’invito per la completa astinenza sessuale. Chi lo accetta, deve imporsi contro preconcetti, opposizioni e diffamazioni.
A questo aggiungi che l’astinenza dall’attività sessuale non può stare isolata. Essa deve piuttosto essere inglobata in una condotta che sia pronta alla rinuncia anche in altri campi. Non ci si può del resto permettere tutto, quando per amore di Dio e dei fratelli si è rinunziato al matrimonio.
La volontà di condurre una vita sufficiente e di astenersi dai vizi è completamente in ribasso. Accenniamo a un punto soltanto.
Famiglie numerose e aumento delle vocazioni si corrispondono. Dove c’è la volontà di vivere il matrimonio secondo le leggi di Dio e di avere una famiglia numerosa, ci sono anche a sufficienza giovani e ragazze che mostrano la forza di offrire un libero celibato per amore di Dio. Ma la gioia delle famiglie numerose è diminuita negli ultimi anni in modo spaventoso. Se scompare lo spirito di sacrificio nelle famiglie, esso mancherà di regola anche nei figli. Il sacrificio del celibato sembra ad essi troppo pesante. Si portano ragioni apparenti per nascondere il timore del sacrificio. Infatti non si osa confessare a se stessi e agli altri la propria debolezza. Il crescente timore di avere una famiglia numerosa, di cui è responsabile in parte la teologia progressista che fa propaganda dei metodi contraccettivi contro natura, renderà sempre più raro il caso che una sorella zitella si prenda cura della casa del fratello sacerdote.
5) L’ATTIVITÀ DEL MOVIMENTO ANTICELIBATARIO
La crisi del celibato ha in parte notevole la sua causa nella messa in discussione del medesimo da parte dei teologi progressisti. I suoi patroni sono noti. Basta ricordare i nomi di Küng e Böckle. Il movimento anticelibatario possiede i più calorosi banditori fra quei teologi che da molto tempo si disinteressano della cura d’anime e godono di eccellenti condizioni economiche. La vita borghese e il darsi alle teorie non sono favorevoli ai doni di Dio. La cosiddetta discussione aperta degli avversari del celibato toglie a molti sacerdoti la gioia e la sicurezza del loro stato e pertanto la forza di restare fedeli alla loro obbligazione.
Ciò che prima si faceva senza discutere, oggi è diventato discutibile soprattutto perché, a causa del dominio monopolistico del progressismo nei mezzi della pubblicistica cattolica e dell’appoggio che questo indirizzo trova nella stampa liberale, la voce della Chiesa, soprattutto del suo supremo Pastore e dei teologi fedeli, non si fa sentire che debolmente.
Da certi gruppi presbiterali è stata allestita una cosiddetta consultazione o per dir meglio una votazione sul celibato. Questa consultazione di preti sul celibato non serve primariamente allo scopo di inquisire in base al numero su un’opinione finora sconosciuta. La consultazione provocherà oppure aumenterà l’inquietudine e l’insicurezza nel clero, convincerà il popolo fedele della superfluità del celibato, in generale eserciterà dal basso una pressione sui Pastori per costringere questi a sopprimere la pesante legge, i quali a loro volta dovranno influire sul Papa.
Quanto questo calcolo sia esatto e quanto sia efficace questa tattica, lo mostra l’esempio dell’Olanda. L’attività ininterrotta di circoli relativamente piccoli ma influenti di teologi e pubblicisti ha spinto i vescovi olandesi, il card. Alfrink in testa, a fare propria e a impegnarsi per la causa degli avversari del celibato per presentarla al Santo Padre nel secondo Sinodo dei vescovi nell’autunno del 1969. Va rilevato che questo accadde appena a due anni di distanza dalla pubblicazione dell’Enciclica di Paolo VI sul celibato e dopo che il Santo Padre molte volte aveva fatto capire direttamente o mediante interpreti autorizzati che una mutazione (cioè l’abolizione) della legge del celibato è fuori questione.
Di qui si vede che le parole e le decisioni del Papa hanno nei circoli progressisti e modernisti poco o nessun valore. Il Santo Padre può insegnare ciò che vuole, questi circoli sono sempre insoddisfatti, dicono che questa non è l’ultima parola del Papa o che il Papa non ha buoni consiglieri o non ha una giusta teologia. Si ha l’impressione che il Santo Padre non possa più afferrare queste persone con le parole ma soltanto con atti, cioè con provvedimenti disciplinari.
Le votazioni su leggi ecclesiastiche riposano in ultima istanza sopra il malinteso che la struttura della Chiesa sia democratica. Nella Chiesa il potere non procede dal popolo. I Pastori della Chiesa lo ricevono da Dio attraverso la struttura storica della Chiesa Cattolica. Una legislazione mediante referendum o plebisciti è nella Chiesa per diritto divino impossibile.
Ciò che il singolo o anche molti singoli pensano di una legge (difficile) è irrilevante, e non c’è bisogno di ricorrere alle distribuzioni e richieste di questionari. La tendenza alla facilitazione e alla comodità è fin troppo nota e non c’è bisogno di pubblicizzarla. Un valore superiore è sempre di più difficile comprensione e attuazione di un valore più basso. Non ci si deve pertanto aspettare che il signor Qualcuno possa essere guadagnato al celibato la cui anima è la verginità consacrata a Dio.
Una concezione semplicistica e a buon prezzo ha sempre più probabilità di essere accolta dalla massa di una elevata e complicata. Un’appropriata agitazione contro tutto ciò che è difficile nel campo del mistero soprannaturale e insieme pratico produce una vasta impressione. La Chiesa ha fatto spesso simili esperienze, per esempio nel secolo sedicesimo. Ma si è anche sempre visto che siffatti movimenti fanno deviare i loro sostenitori e abbattono valori la cui distruzione non era stata prospettata e tuttavia ora non può essere più impedita. (tratto da "L'avventura della teologia progressista", 1974)

Fonte: 19 aprile 2009

7 - IL PAPA INDICA LA VITA DEI MONACI BENEDETTINI COME ESEMPIO

Autore: Vittorio Messori - Fonte: 3 maggio 2009

Perché un papa bavarese del XXI secolo predilige a tal punto un monaco sabino del VI secolo da averne assunto il nome e da considerarlo il patrono del suo pontificato? Perché, fra tanti luoghi che lo invocano, ha scelto di recarsi domani a Montecassino, per una domenica di full immersion  nel mondo benedettino? Perché, poche ore prima della morte dell’amato predecessore, si è recato a Subiaco, dove è iniziata l’avventura del monachesimo d’Occidente,  per leggervi ciò che parve una sorta di programma di governo?
Per comprendere una simile attenzione, occorre ricordare che il lucido  teologo, l’intellettuale post-moderno divenuto pastore di anime, ha da sempre, e ora più che mai, un assillo: l’indebolirsi della fede  di cui è custode e garante. Una fede, ha scritto di recente, <<che sembra spegnersi come una candela cui viene a mancare l’alimento>>. Da qui, la necessità di ritrovare le ragioni del credere, di riconfermare la ragionevolezza della “scommessa“ sulla verità del Vangelo. L’enorme edificio ecclesiale è in bilico (parola di san Paolo) sulla storicità di un sepolcro vuoto, a Gerusalemme. Se venisse  meno questa certezza, non resterebbe che un drammatico << tutti a casa ! >>.       
Avviene, ormai da decenni, un fatto che inquietava Joseph Ratzinger  responsabile dell’ex-Sant’Uffizio e  che ora inquieta ancor più Benedetto XVI. Il fatto,  cioè,  che  quanto resta di un  cristianesimo falcidiato dal secolarismo tenda a trasformarsi in una associazione mondiale di volontariato, in un’organizzazione no-profit  di impegno sociale. L’amore cui esorta il vangelo è inteso da molti in senso solo “orizzontale“: dunque, la carità del pane e dell’impegno socio-politico per una società più pacifica,  giusta, meno inquinata. Questo, in effetti, lo slogan “trinitario“, proposto come  nuovo Credo dal Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra: << Pace, giustizia, salvaguardia del creato >>.
Ebbene: dietro alla rimozione della prospettiva cristiana autentica – che  si fa  “orizzontale“ come conseguenza della sua “verticalità“, che guarda alla Terra perché crede nel Cielo –  c’è una crisi di fede che è il vero, drammatico problema del cristianesimo moderno. Appannata la speranza in  una vita eterna nell’Aldilà, i superstiti engagés  cercano appagamento sensibile  nell’impegno per una vita migliore   nel presente, ripiegano sulle  certezze tangibili  dell’Aldiquà. La fede nell’uomo e nella storia  sostituisce quella in Dio e nell’eternità, il militante per le buone cause prende il posto dell’orante  e dell’asceta. Cristiani (ma senza Gesù come Cristo-Dio: non usiamo parole troppo grosse!)  come filantropi, adepti del volontariato, sindacalisti, ambientalisti, custodi suscettibili  dei “ diritti umani“....   
E’ una  deformazione  inquietante  che, in un passato recente,  è passata attraverso la fase del clerico-marxismo e che  ora ha assunto le vesti della nuova ideologia egemone, quella della political correctness, del radicalismo liberal, occidentale. Che importa aderire a dogmi e perder tempo in preghiere, quando c’è un mondo che può salvarsi grazie alle forze umane, di qualunque Credo o incredulità, purché di buona volontà ? 
Questa deriva fu causa di angoscia per Paolo VI, fu contrastata dallo straordinario mix di misticismo e di concretezza di Giovanni Paolo II ed è la priorità assoluta su cui intervenire per Benedetto XVI. Tutti gli ultimi papi furono ben consapevoli che – per la logica dell’et-et che sempre lo guida e per il rifiuto di ogni aut-aut - il cristianesimo è chiamato a umanizzare la Città dell’uomo ma perché crede nella Gerusalemme celeste, si infanga  nel mondo ma perché prega, si preoccupa dei  corpi mortali ma in quanto chiamati all’immortalità. Un equilibrio, una sintesi  che sembrano  essersi rotti: l’indebolirsi della fede ha sbilanciato coloro che, pur non rinnegando esplicitamente il Credo (la contestazione rumorosa è finita per stanchezza, per senso di irrilevanza, talvolta per dissimulazione), non lo giudicano necessario per il loro darsi da fare.
Anche, forse soprattutto, questo, può spiegare l’attenzione che, sia prima che dopo il pontificato, Joseph Ratzinger  ha riservato alla vita monastica. Una vita assurda, insopportabile, anzi disumana. Un ergastolo – la scelta è a vita – ben  peggio di quello nelle  prigioni pubbliche:  rinuncia alla famiglia,  astensione dal sesso, nessuna proprietà personale, otto ore di preghiera comunitaria quotidiana  più altre in solitudine, veglie notturne, penitenze, alimentazione scarsa e vegetariana interrotta da frequenti digiuni, freddo e caldo,  obbedienza pronta e assoluta, divieto di varcare il muro della clausura, lettere  e letture sotto controllo, notizie scarse e filtrate dai superiori, convivenza stretta, continua, senza termine con compagni imposti e non scelti... Un inferno. Un inferno che  però, può rovesciarsi in un  paradiso.  Ma solo -solo- in una visione  di fede che non esiti sulla verità del Vangelo e sulle sue promesse;  un paradiso solo  per chi creda, senza dubitare, che Gesù Cristo è davvero ciò che la Chiesa annuncia. Una vocazione per pochi, certo. Ma nella quale si manifesta una fede totale, radicale, che non esita a spingersi sino a quelle estreme  conseguenze di cui Montecassino è simbolo illustre da quindici secoli. Il benedettino mostra con la sua vita stessa che la fiamma della sua candela ha ancora alimento. Forse è proprio  questa luce, rara e preziosa, che Benedetto XVI vuole  additare a noi, credenti sempre più increduli. Noi che del distico  monastico abbiamo conservato, semmai,  solo il labora, dimenticando del tutto l’ora.

Fonte: 3 maggio 2009

8 - PER IL CORRIERE DELLA SERA IL LATINO E' INUTILE (MA FORSE E' INUTILE IL CORRIERE DELLA SERA...)

Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 14 maggio 2009

Suona come una condanna implacabile nei confronti delle discipline umanistiche l’indagine anticipata ieri dal «Corriere della sera», condotta in Italia intervistando più di 1500 giovani che hanno terminato negli ultimi cinque anni gli studi nella scuola superiore: la letteratura, la filosofia, il greco e il latino sono decisamente svalutati e considerati inutili.
  Per l’Associazione Treelle, che ha svolto la ricerca, prevale di gran lunga l’apprezzamento per quelle materie che forniscono strumenti di comunicazione ed interazione col mondo e con gli amici.
  Ora, ognuna di queste discipline meriterebbe un’accorata difesa, ma ci soffermiamo sul latino, perché generalmente viene considerato (insieme col greco) la materia più inutile di tutte. Le seguenti riflessioni sul latino, peraltro, valgono in modo analogico anche per gli altri saperi umanistici. Ebbene, ciò che questi intervistati non sembrano aver colto (forse anche perché non sempre i loro docenti glielo hanno fatto comprendere) è che il latino ha una valenza molto alta.
  Per esempio - ed è persino ovvio ricordarlo ­ provengono dal latino molte parole italiane, straniere ed anche della terminologia scientifica: perciò chi padroneggia il latino solitamente mostra una maggiore competenza linguistica ed una maggiore propensione ad apprendere le lingue.
  Inoltre, il latino contribuisce a costituire una forma mentis molto preziosa, perché insegna la logica, sviluppa la memoria, la flessibilità mentale, fa esercitare la capacità analitica, insegna la sintesi. Insomma, lo studio del latino è molto utile perché promuove capacità di ragionamento che poi vengono tesaurizzate, spesso inconsapevolmente, in qualsiasi campo professionale.
  È vero che il latino non produce cose, opere, servizi, ma, per esercitare qualsiasi professione, bisogna saper ragionare ed il latino aiuta a farlo. Se ne sono accorti in Germania, dove il latino era stato tolto da molti curricula scolastici, mentre adesso è stato reintrodotto ed è oggi una delle lingue straniere più studiate dopo l’inglese ed il francese. Le autorità scolastiche hanno infatti appurato che gli studenti che avevano continuato a studiarlo facoltativamente conseguivano risultati migliori ed entravano più facilmente nelle facoltà universitarie a numero chiuso.
  Anche negli Stati Uniti, come ha scritto qualche mese fa l’«Economist», gli studenti universitari con più crediti, mediamente, sono quelli che hanno studiato le lingue classiche.
  Ancora, il latino permette di accedere direttamente (le traduzioni non rendono quasi mai esaurientemente gli originali) allo scrigno della letteratura e della filosofia dei Romani, alle loro riflessioni sulla felicità, sul senso della vita, sul bene/male, sull’uomo: non è forse sommamente utile cercare delle risposte, sia pur parziali, su questi temi?
  Infine (e l’inventario è incompleto), proprio la conoscenza dell’uomo è fondamentale in qualsiasi professione, dove è sempre utilissima la capacità di comprendere le persone (colleghi, superiori, dipendenti) e di interagire.

Fonte: Avvenire, 14 maggio 2009

9 - QUANDO C'E' DEL BENE ANCHE NELLE PARETI GRIGIE

Autore: Carlo Bellieni - Fonte: 18 maggio 2009

Un difetto frequente è pensare che messaggi eticamente buoni debbano essere confezionati in carta patinata ed espressi da persone al di sopra di ogni critica, che magari usano un linguaggio ineccepibile e danno pubbliche professioni di religiosità.
E’ quanto abbiamo visto succedere in questi giorni nei confronti di Mel Gibson, criticato perché si separa dalla moglie, a quanto si sa: evidentemente non si accetta che chi predica bene sia un povero Cristo anche lui e non andiamo lontano se pensiamo che qualcuno non aspettava altro che trovare una pecca a questo combattente cristiano.
Non è un caso isolato, ma è un tarlo da cui dobbiamo epurarci, perché invece ritroviamo proprio nei meandri più inaspettati delle belle sorprese. Vediamo ad esempio degli spunti nel cinema più semplice e non “colto” e nelle semplici canzonette di San Remo dei messaggi che ci stupiscono positivamente e che sono da additare ad esempio.
Il primo spunto viene dal semplice e allegro film di Giovanni e Giacomo “Il Cosmo sul Comò” in cui ritroviamo raccontata con semplicità la storia di una coppia che si affanna a ricercare con tutti i mezzi tecnici un figlio, per poi arrendersi agli insuccessi della medicina… e finire col miracolo di passare una sera tardi vicino ad un cassonetto dell’immondizia e trovare lì, nella tragedia dell’abbandono uno, anzi due bambini che il nostro protagonista salva da morte e adotta.
In realtà il finale è di una comicità estrema, e anche privo di moralismo (il personaggio oscilla tra il cinismo di prendere uno solo dei bambini, ma poi capisce che li deve amare e salvare entrambi): chi l’ha detto che le cose buone non devono destare allegria? San Tommaso Moro scriveva: “Dammi, o Signore, il senso dell'umorismo”. Già: proprio quando l’adozione sta passando ad essere una genitorialità di “seconda scelta” ecco che dei comici rimettono ordine là dove tanti teorici non ci sono riusciti.
Al contempo, dal festival di San Remo arriva la famosissima Arisa, con la cantatissima canzone “Sincerità” che ha sbancato i botteghini e che si permette di dire in una canzone d’amore la parola che dalle canzonette d’amore è stata semplicemente espunta negli ultimi anni: “Eternità”. Ed è la parola-chiave della canzone: la ripete dodici volte:
“Sincerità
Un elemento imprescindibile
Per una relazione stabile
Che punti all’eternità…”
Certo, è una parola apparentemente inoffensiva, ma come non pensare che non sia finita lì per caso? Qualche “purista” potrebbe storcere il naso dato che non si parla di matrimonio e si parla di “fare e rifare l’amore”; la parola Eternità chiarisce tutto, rischiara tutto, illumina tutto.

Così come la canzone del rap più duro, “Vivi per miracolo” dei Gemelli Diversi, anch’essi prodigio di San remo 2009, che risulta una specie di preghiera, ma non una sciapa preghiera laica fatta di buoni sentimenti fashion, e lo capiamo dal fatto che dice qualcosa di “fuori posto”: parla di aborto col dolore e la riprovazione che vorremmo sentir più spesso:
“Per ogni madre ancora troppo immatura
che ha avuto troppa paura
Per ogni vita finita in un sacco della spazzatura”
E la canzone si fa davvero preghiera:
“Ce l’hai un attimo per me? Perché c’è troppo bisogno di aiuto, di aiuto, di aiuto..”
“Ti imploro veglia e prega
Per chi è sul baratro però
guarda in basso e dice no” (un coraggioso no al suicidio –assistito o no-, così di moda oggi).

Certo anche qui si può obiettare che il testo è ambiguo, ma intanto certe parole sono state dette… e non sono parole inoffensive: “dai speranza”, “veglia e prega”. E l’ambiguità dolce è proprio il segno di una generazione che vuole pregare ma ha disimparato l’ABC, ha perso la dimestichezza a come si parla con Dio.
Ultimo, in ordine non di valore, è la serie tanto osteggiata da alcuni: “I Simpson”, personaggi squallidi, dal colorito giallo-squallore, che vivono in una città all’ombra di una centrale nucleare tossica, che si fanno dispetti e sgarberie, che scappano di fronte alle responsabilità… ma che tornano sempre indietro; indietro alla loro famiglia che, affogata nello squallore, non si sfascia mai, resta piena di amore e questo li salva.
I Simpson passano per essere un inno al dissesto, talvolta quasi un inno cinico, viste le scomposte reazioni dei personaggi: ma cosa vi aspettate che faccia la generazione di oggi affogata in un mare di perdita di senso, intossicata nell’animo e nel corpo se non diventare squallida e vile... salvo riprendersi sul punto estremo, grazie ad un’ancora che per grazia talora affiora: la famiglia Simpson quest’ancora l’ha trovata, resta aggregata, non si separa, non si sfascia.
La puntata-simbolo di questa ri-lettura (titolo inglese: “Don’t fear the roofer”, stagione 16) narra una storia meravigliosa...“alla Simpson”: Homer, il capo-famiglia non riesce ad aggiustare il tetto, se ne va di casa, arriva nel bar del quartiere e lì viene sbeffeggiato. Cambia bar disperato... e lì trova “Rio”, uno sconosciuto che si rivela come la persona ideale per lui: è un artigiano che aggiusta i tetti, e lo rincuora, gli offre da mangiare, scherza con lui, diventa in breve il suo migliore amico. E con lui la vita cambia, arriva l’allegria, le cose si aggiustano.
Il problema, paradosso del cartone animato, è che nessuno dei familiari e amici vede Rio; e nessuno crede che esista davvero. E Homer grida “Rio esiste: io l’ho visto!”, ma non gli credono (“Rio è una tua immaginazione!”), lo ricoverano, gli fanno l’elettroshock… finché Rio non appare di nuovo a tutti; e si capisce perché amici e parenti non lo vedevano: perché uno era cieco da un occhio, un altro aveva un camion che gli occupava la vista ecc.
La conclusione è che “Rio” c’è: siamo noi che non lo vediamo. Insomma, è chiaro che “Rio” altri non è altri che... fate voi.
Credo che la chiave per scoprire una trasmissione (TV, radio, musica) davvero religiosa, tra tanto ciarpame, sia il seguente: trovare un segnale-chiave politicamente scorretto, “fuori posto”, piuttosto che tante parole affastellate su “generici problemi religiosi” (cfr . Mt 7,21).
Ma cos’è “politicamente scorretto” oggi? La manina del feto che accarezza il dito del dr House (cui di recente abbiamo dedicato un libro), il neonato adottato invece di essere concepito in vitro, una famiglia che regge e non si sfascia tra lo squallore, “puntare all’Eternità” invece che il banale “senza di te non vivo”, l’immagine della donna che “abortisce perché si arrende”: questo è davvero politicamente scorretto. E ritrovarlo “fuori posto” (in una canzonetta, in un TG) non è casuale ed è molto più forte che un telefilm su un santo, trasmesso in orario protetto, ad un pubblico già preparato a ciò che vedrà. Perché in un’epoca di censura di tutto quello che è davvero religioso, questi segnali non sono messi per caso dai loro autori, che rischiano davvero per questo.
Trovare delle “figurine di santi” vicine a quelle dei calciatori in edicola è un bel “fuori posto”; vedere un bambino Down che sorride durante il TG è “fuori posto”, un calciatore che si fa il segno della croce quando entra in campo (anche se dopo farà tutti i fallaci del mondo e si riempirà la bocca di parolacce) è “fuori posto”; Mel Gibson che forse non è perfetto ma fa film sul vero amore è “fuori posto”. E proprio perché questi bei “fuori posto” ci suonano veri, capiamo che invece quello –cioè il quotidiano– è davvero il “loro posto”.
Probabilmente è anche da esempi come questi che deve ripartire un’educazione all’etica, per un pubblico che non vuole istruzioni per l’uso, ma immagini belle. Certo, spesso i termini che circondano queste immagini possono essere sgarbati, rudi, e volgari… come siamo un po’ tutti. Già, perché il cristianesimo non è una religione per persone buone (essere buoni è Grazia), ma per peccatori (cfr. Mt 9,9-13). Talvolta ce ne dimentichiamo.

Fonte: 18 maggio 2009

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