BastaBugie n�870 del 24 aprile 2024

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1 CASO BOCCIA, DA DIRITTO L'ABORTO E' DIVENTATO UN DOVERE
La vice-direttrice del Tg1 al centro di una tempesta mediatica per aver semplicemente detto che l'aborto è un omicidio (VIDEO: Le parole della Boccia sull'aborto)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 SEI MIRACOLI SORPRENDENTI DEL SANTO ROSARIO
La straordinaria potenza del Rosario ha ottenuto molti grandi miracoli che hanno cambiato le sorti del mondo
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone
3 LA FAMIGLIA NON PUO' ESSERE MODIFICATA DALLE LEGGI
La famiglia è lo spazio di libertà tra l'individuo e il Potere: ecco perché quest'ultimo vuole eliminarla (per rendere l'individuo solo e quindi manipolabile)
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Pro Vita & Famiglia
4 GIORNALI E TELEVISIONI GIUSTIFICANO SEMPRE GLI ISLAMICI COME SQUILIBRATI MENTALI
A febbraio un terrorista islamico accoltella i passanti, ma per tv e politici è solo un povero matto e così si favorisce l'invasione e l'islamizzazione della Francia (VIDEO: La verità sull'islam in Europa)
Autore: Guillaume Gattermann - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà
5 UNA STIGMATIZZATA FUORI DAL COMUNE
La Beata Maria Domenica Lazzeri visse 33 anni e morì un Venerdì Santo, era impedita a mangiare, bere e dormire, stigmate alle mani, al torace e ai piedi e... ogni venerdì rimaneva morta per diverso tempo (sì, morta)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone
6 PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (4° e ultima parte)
Risposta alle due obiezioni (il dissenso di un gruppo e a condizione che...) contro l'accettazione universale dei vescovi al Papa (che invece è un segno infallibile della sua legittimità e chi lo nega è eretico)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
7 OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO B (Gv 15,1-8)
Senza di me non potete far nulla
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CASO BOCCIA, DA DIRITTO L'ABORTO E' DIVENTATO UN DOVERE
La vice-direttrice del Tg1 al centro di una tempesta mediatica per aver semplicemente detto che l'aborto è un omicidio (VIDEO: Le parole della Boccia sull'aborto)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 aprile 2024

Le polemiche più infuocate di questi giorni hanno il loro epicentro nella trasmissione serale di Rai 3 Che sarà, condotta da Serena Bortone. Ma mentre sul caso Antonio Scurati - lo scrittore a cui è stato bloccato il monologo sul 25 aprile - la conduttrice si ribella e rivendica il diritto di leggere in diretta il pensiero (se così si può definire) di Scurati, sul caso Incoronata Boccia ha fatto calare un imbarazzato silenzio.
Cosa ha fatto Incoronata - detta Cora - Boccia, che tra l'altro è vice-direttrice del Tg1? Semplicemente nel corso di uno scambio tra diverse ospiti, ha detto che l'aborto è un delitto e non un diritto: «Lungi da me giudicare persone e storie - ha detto -, si giudica il principio: stiamo scambiando un delitto per un diritto».
Apriti cielo, piovono critiche feroci da tutte le parti, giudizi di indegnità a ricoprire un incarico importante nella tv di Stato, dal Pd si arriva fino alla richiesta di dimissioni. Ovviamente sono gli stessi che con la stessa violenza denunciano la censura per il monologo di Scurati.
Tutto ampiamente prevedibile, anche Cora Boccia lo aveva previsto, come ha detto in una successiva intervista in cui ha comunque confermato quello che ha detto in tv «parola per parola».
Quindi un doppio applauso a Cora Boccia, che ha avuto il coraggio di affermare la verità e di non rimangiarsela dopo gli attacchi personali. E merito ulteriore perché sapeva già in partenza che non sarebbe stata difesa neanche dai politici di centro destra: «Anche la politica ha paura di dire che l'aborto è un omicidio», aveva infatti detto in tv. E così infatti è: ci si è fermati al massimo a difendere il diritto a esprimere le proprie opinioni, ma senza entrare nel merito, anzi preoccupandosi di dire che la Legge 194 non si tocca.
Eppure ciò che ha detto la vice-direttrice del Tg1 è esattamente il punto vero della questione: l'aborto è un omicidio. È un dato evidente, una realtà che si impone se si guarda al fatto in sé: oggi, con la tecnologia e le conoscenze che abbiamo a disposizione, nessuno può dire seriamente che non si tratta di una vita, che è soltanto un grumo di sangue.

LA FORZA E LA VIOLENZA DELL'IDEOLOGIA
E allora come accade che sia un argomento tabù, che chi afferma questa evidenza è trattato come un marziano, ridicolizzato ed espulso dal consesso delle persone civili?
È la forza e la violenza dell'ideologia, che occulta la realtà spostando l'attenzione altrove, in questo caso sulla donna: il dramma della donna, la libertà della donna, il diritto della donna. Già, cose in teoria anche legittime, ma non è la donna la principale protagonista della vicenda. È il bambino, cioè la vittima sacrificale. In tutti i discorsi sull'aborto e sulla 194 è il grande assente, si parla solo della donna. E della donna in astratto, si potrebbe dire; perché ad esempio non si parla mai delle donne che hanno avuto l'aborto e si portano dietro il dramma - questo sì - di aver fatto fuori il proprio figlio. Non si parla mai del grande peso che le donne si trascinano tutta la vita per aver rifiutato quel figlio. Ogni tanto qualche caso personale affiora, come recentemente è capitato con Simona Ventura, ma resta confinato a qualche programma di confessioni personali, ma nei grandi dibattiti non è mai un tema di discussione.
E si capisce, l'ideologia non può ammettere sconfinamenti nella realtà. Ed è per questo che è violenta; è necessariamente violenta. Se chi comanda decide che il cielo è verde, per forza dovrà tagliare la testa a chiunque alza il capo: potrebbe esclamare innocentemente "ma io lo vedo azzurro!" e tutto il castello di menzogne crollare. È quello che accade anche con il gender o con i cambiamenti climatici: il Potere stabilisce una verità e tutti devono convincersi che sia così, anche se la realtà quotidiana dimostra esattamente il contrario.
Così è per l'aborto. Per il Potere non c'è minaccia più grande che affermare con innocenza, osservando la realtà, che si tratta di un omicidio. Per questo reagisce con tanta violenza e impone la sua legge assoluta.

L'ABORTO IN ITALIA È UN DIRITTO
Fino a stravolgere il senso stesso delle leggi. È vero, l'aborto in Italia è un diritto, checché ne dicano tanti cattolici. Anche se nella Legge 194 non si afferma espressamente questo diritto, è chiaro che se lo Stato - attraverso l'azienda ospedaliera - ha il dovere, a certe condizioni, di garantire l'aborto a chi lo richiede, vuol dire che dall'altra parte c'è un diritto soggettivo.
Ma oggi si sta andando oltre, dal diritto si sta passando al dovere: la donna in difficoltà "deve" scegliere l'aborto. Altrimenti non si spiega questa insurrezione contro l'emendamento che prevede l'ingresso di personale pro-life nei consultori, peraltro previsto dalla 194. Se fossero davvero per la scelta della donna, si dovrebbero rallegrare per il fatto che nel consultorio la donna avrebbe la possibilità di valutare tutte le opzioni. Che scelta è se c'è solo una opzione? Così non dovrebbero avere nulla da obiettare a che la donna possa ascoltare il battito del cuore del bambino che ha in grembo, per esprimere un vero consenso informato. Ma non è la libertà e il diritto quello che si vuole. L'aborto sta diventando un dovere: per le donne in difficoltà e per coloro che scoprono di avere un bambino con malformazioni.
La semplice realtà è che la nostra società sta scivolando nel totalitarismo, e soltanto il rifiuto della menzogna può invertire la tendenza. L'aborto è un omicidio, la Legge 194 è quella che lo ha introdotto in Italia (purtroppo fin qui non c'è arrivata neanche la Boccia, vedi intervista al Giornale). Perciò chi continua a difendere la 194 - attivamente o non giudicandola per quello che è - vive nella menzogna.

Nota di BastaBugie: nel seguente video dal titolo "Boccia al centro di una bufera mediatica per le sue parole sull'aborto" (durata: 1 minuto e mezzo) si può vedere cosa ha detto la vice-direttrice del Tg1.


https://www.youtube.com/watch?v=oSHuvgYjE40

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 aprile 2024

2 - SEI MIRACOLI SORPRENDENTI DEL SANTO ROSARIO
La straordinaria potenza del Rosario ha ottenuto molti grandi miracoli che hanno cambiato le sorti del mondo
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone, 19 aprile 2024

Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, san Giovanni Paolo II ha espresso in modo eloquente il suo pensiero riguardo la bella e santa devozione del Rosario. «Il Rosario, pur distinguendosi per il suo carattere mariano, è una preghiera cristocentrica», aggiungendo anche che «attraverso il Rosario il credente ottiene grazie abbondanti, come se le ricevesse dalle mani stesse della Madre del Redentore». Ovviamente si tratta di Grazie che hanno come fine quello di avvicinarci a Dio: benedizioni personali che cambiano la nostra vita e quella degli altri.
La straordinaria potenza del Rosario ha ottenuto anche molti grandi miracoli che hanno cambiato le sorti del mondo. Alcuni sono documentati. Christine Galeone, dal portale Beliefnet, presenta alcuni sei sorprendenti miracoli associati al Rosario. Il primo è quello che riguarda san Domenico e gli Albigesi. Siamo in Francia, tra il 1100 e il 1200, periodo in cui imperversava la setta eretica degli albigesi che convinsero molti cattolici a suicidarsi per poter essere liberati dai loro corpi, considerati fonte di male. Fu così che intorno al 1214, la Beata Vergine donò il rosario a San Domenico per sconfiggere quelle terribili menzogne. E così avvenne. San Domenico, inoltre, da quel momento, si prodigò nella diffusione della devozione mariana.
Ne Il segreto del Rosario, san Luigi Maria Grignion de Montfort racconta proprio la devozione mariana di san Domenico: «Come ricompensa ricevette da lei [la Madonna N.d.R.] innumerevoli grazie. Esercitando il suo grande potere di Regina del Cielo, coronò le sue fatiche con molti miracoli e prodigi. Dio Onnipotente gli ha sempre concesso ciò che chiedeva tramite la Madonna. L'onore più grande di tutti è stato quello di averlo aiutato a schiacciare l'eresia albigese e di averlo reso il fondatore di un grande ordine religioso».

IL MIRACOLO DEL SOLE A FATIMA
Ma facciamo un salto in avanti nella storia e veniamo al miracolo del sole a Fatima, nel 1917, quando la Madonna apparve ai tre pastorelli: Giacinta, Francesco e Lucia, nella Cova da Iría, a Fátima. Nell'arco di alcuni mesi, tra il 13 maggio e il 13 ottobre del 1917, la Beata Vergine apparve ai bambini sei volte. Non solo chiese loro di pregare il Rosario ogni giorno per portare la pace nel mondo e porre fine alla Prima Guerra Mondiale, ma si presentò come "Nostra Signora del Rosario" tenendo tra le mani un Rosario radioso.
Il 13 ottobre 1917, poi compì, poi, un grande miracolo, mantenendo la promessa che aveva fatto a Lucia, perché nessuno più dubitasse delle apparizioni: circa 70.000 persone osservarono il sole che girava in cielo, compiendo una specie di danza, andando poi quasi a lanciarsi tra la folla, asciugando loro tutto il fango e gli indumenti inzuppati di pioggia, prima di riprendere il suo volo. Alcune persone furono guarite dalle malattie, molti altri si convertirono. Il messaggio della Madonna di Fatima ha avuto un ruolo molto importante anche in un altro miracolo associato al Rosario, che si colloca agli inizi degli anni ‘60, in Brasile, quando il presidente Joao Goulart si preparava a diffondere il comunismo in tutto il paese.
Sembrava un destino ormai inesorabile, proprio come era successo a Cuba. Tuttavia non tutti erano disposti ad arrendersi: il cardinale de Barros Camara invitò il popolo brasiliano a fare penitenza, secondo le indicazioni date dalla Madonna a Fatima, per poter scongiurare il pericolo ormai all'orizzonte. Fu così che il presidente del Brasile e convinto comunista Joao Goulart venne rovesciato dopo la cosiddetta "Marcia della famiglia con Dio verso la libertà", formata da più di 600.000 donne che leggevano libri di preghiere e sgranavano rosari mentre marciavano con striscioni anticomunisti.

LA BOMBA ATOMICA
Dal rovesciamento di un potenziale regime dittatoriale, alla salvezza di un re, anche questo ha ottenuto la preghiera del rosario. Parliamo di Alfonso, re di León e della Galizia che portava costantemente un grande rosario legato alla cintura per ispirare gli altri a pregarlo e onorare la Madonna, anche se non lo pregava lui stesso. Un giorno, dopo essersi ammalato così tanto che si pensava non sarebbe vissuto a lungo, ebbe una visione in cui veniva giudicato e stava per essere gettato all'inferno, quando la Madonna intercedette per lui.
San Luigi Maria Grignion de Montfort descrisse ciò che accadde dopo. Ne Il segreto del Rosario scrive: «Lei chiese una scala e su una scala mise i suoi peccati, mentre sull'altra mise il rosario che lui aveva sempre usato, insieme a tutti i rosari che aveva detto. Si scoprì che i rosari superavano i suoi peccati». Così guardandolo con grande benevolenza, la Vergine gli disse che la sua vita era stata allungata di alcuni anni e preservata dall'inferno, per aver diffuso la devozione del rosario. Un'altra guarigione importante venne ottenuta, tramite la recita de rosario, dal sacerdote Patrick Peyton, a cui nel 1938 fu diagnosticata una tubercolosi avanzata, all'epoca incurabile
Dopo che la sorella gli suggerì di pregare la Beata Vergine, si consacrò a Maria e cominciò a pregare devotamente il Rosario. Con stupore dei suoi medici, guarì completamente e miracolosamente, e promise alla Beata Vergine che avrebbe passato la vita a promuovere il Rosario. La scamparono bella, invece, durante la grande tragedia di Hiroshima, dei sacerdoti gesuiti che vivevano in una casa parrocchiale ad un miglio e mezzo dalla città dove venne sganciata la bomba atomica.
Mentre la chiesa accanto alla canonica fu completamente distrutta e migliaia di persone morirono e altre migliaia soffrirono tremendamente per l'esposizione alle radiazioni, la casa dei gesuiti rimase in piedi e i religiosi devoti del rosario, non furono colpiti né dalla bomba e nemmeno dalle radiazioni Negli anni successivi all'esplosione furono visitati molte volte e vissero ancora per molti anni. E quando i religiosi sono stati intervistati, hanno ripetutamente spiegato il motivo per cui credevano di essere sopravvissuti: lo attribuivano al fatto di vivere fedelmente il messaggio di Fatima, dedicandosi alla recita quotidiana del santo rosario.

Fonte: Sito del Timone, 19 aprile 2024

3 - LA FAMIGLIA NON PUO' ESSERE MODIFICATA DALLE LEGGI
La famiglia è lo spazio di libertà tra l'individuo e il Potere: ecco perché quest'ultimo vuole eliminarla (per rendere l'individuo solo e quindi manipolabile)
Autore: Gianfranco Amato - Fonte: Pro Vita & Famiglia, 08/08/2023

La famiglia è una creazione dell'uomo o un elemento di natura? La risposta è semplice. La famiglia non è il frutto di un sistema socio-giuridico, di un determinato contesto storico-culturale, di una moda, di una concezione filosofica o politica, né tanto meno è il frutto di una dottrina religiosa. La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana. Per questo essa è sottratta alla disponibilità dello Stato e non può essere modificata o manipolata attraverso la funzione legislativa. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-giuridico e pre-politico. Fa parte della struttura naturale dell'essere umano.
La prima immagine che abbiamo di famiglia - senza aggettivi di sorta come "naturale", "tradizionale", ecc. - risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore in particolare. Nel 2005 in Germania, vicino alla città di Eulau, gli archeologi hanno rinvenuto alcune tombe che appartenevano a quell'epoca. In una di queste tombe hanno ritrovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna e due bambini. Furono seppelliti abbracciati tra di loro. Attraverso l'analisi del Dna gli scienziati hanno scoperto che si trattava di una famiglia: madre, padre e due figli. L'immagine che è stata ricostruita di questa famiglia, oltre ad essere particolarmente commovente, ci dice una cosa importante: in quell'epoca non esisteva nessuna legge, non esisteva nessun parlamento, non esisteva lo Stato e non esisteva nessuna Chiesa, ma esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni.

L'UOMO LASCERÀ SUO PADRE E SUA MADRE
La nostra civiltà occidentale affonda le sue radici, oltre che nella preistoria, anche nella cultura giudaica, che nel Bereshit (בראשית), il primo libro della Torah, definisce la famiglia in questi termini: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla moglie e i due formeranno una sola carne».
La nostra civiltà si radica anche nella cultura classica greco-romana. Aristotele, che rappresenta la massima espressione del pensiero filosofico greco, ci ha lasciato una definizione interessante: «Polis sùnkeitai ex oikiòn», ossia «La società è costituita dall'insieme delle famiglie» (Politica, I, 1253b). Non sono i singoli individui ma le famiglie a costituire la società. E Aristotele aveva ben in mente quali fossero le funzioni e le caratteristiche della oikos, intesa come famiglia. Cinque, in particolare. La prima caratteristica era quella della despotèia, ovvero dell'autorità indiscussa: la famiglia è una comunità dove i genitori comandano e i figli obbediscono. La seconda caratteristica era quella di nascere dalla sùnzeuxis gunaikòs kai andròs γυναικός καί ἀνδρός, ovvero dall'unione di un uomo e di una donna. La terza caratteristica era legata a una funzione essenziale della famiglia, ovvero la teknopoìia, la procreazione. La quarta caratteristica era connessa alla oikonomìa, in quanto la famiglia è una comunità che si amministra e si gestisce in maniera razionale: il termine economia, peraltro, deriva proprio da «οἶκος», famiglia. La quinta caratteristica risiede in un'altra funzione fondamentale, ovvero quella della «παιδεία», l'educazione: la famiglia è la prima e più importante agenzia educativa della società.

IL PENSIERO GIURIDICO DEI ROMANI
Dopo il pensiero filosofico dei greci arriva il pensiero giuridico dei romani. Ulpiniano, uno dei più grandi giuristi dell'antica Roma, sosteneva che la famiglia si fonda sull'unico matrimonio, quello «justum», ovvero il matrimonio tra un «masculus pubes» e una «femina potens». Prima di lui il grande Cicerone aveva spiegato che la famiglia è la «prima societas», il nucleo, la cellula della società (De Officiis, I, 53-54). Essa costituisce, infatti, il fondamento della stessa società («principium urbis») e il suo vivaio («seminarium rei publicae»). Perché i romani sostenevano che la famiglia fosse un "vivaio"? Perché per essi la famiglia costituiva il primo luogo dove il cucciolo d'uomo impara a convivere con persone che non si è scelto; impara che esistono delle regole da rispettare; impara cosa significa condividere. Era una specie di filtro, di "stage" che il cucciolo d'uomo doveva affrontare prima di andare a vivere nella grande famiglia che è la società. I romani pensavano che se la natura non avesse donato questa possibilità di una sperimentazione quotidianamente della convivenza in famiglia, gli stessi uomini non avrebbero potuto vivere insieme nella società: sarebbero stati dei lupi solitari o si sarebbero scannati tra di loro. Ma poiché nella grande famiglia dove il cucciolo d'uomo andrà a vivere, cioè la società, ci sono uomini e donne, era importante per i romani che il bambino imparasse nella sua famiglia quali fossero le funzioni di questi due sessi. Ecco perché, per esempio, nonostante nell'antichità classica l'omosessualità fosse abbastanza tollerata e diffusa, nessuno si è mai sognato di parlare di matrimonio omosessuale o di famiglia tra persone dello stesso sesso. E perché non lo fecero malgrado allora ci fossero maggiori condizioni per farlo rispetto a oggi? Perché i romani avevano un senso chiaro e intelligente della laicità e sapevano distinguere tra l'aspetto privato - per cui uno a casa sua, sotto le lenzuola, può fare quello che più gli aggrada - e l'aspetto pubblico, ovvero ciò che può avere effetti negativi nella convivenza civile e nella società.
Ora, se la famiglia, come abbiamo visto, è un elemento pre-giuridico e pre-politico, ossia non ha nulla a che vedere con il diritto, la legge, il parlamento, quando e perché i documenti giuridici in Europa si occupano di essa? Esiste una data e una ragione. Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, l'esperienza mostrò al mondo che l'unica cosa che seppe resistere e tenere insieme la società durante quello tsunami devastante fu proprio la famiglia. E il mondo comprese che, per ricostruire la stessa società dalle ceneri di quel devastante evento bellico, occorreva ripartire dalla famiglia. Per questo la Costituzione italiana del 1948, la Costituzione tedesca del 1948 e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 riconobbero l'importanza della famiglia fino ad allora sottovalutata.

LA FAMIGLIA È IL NUCLEO DELLA SOCIETÀ
L'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, infatti, stabilisce che «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato». E la Costituzione italiana all'art. 29 usa un verbo interessante quando afferma che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». "Riconosce" significa prendere atto di qualcosa che preesiste. L'articolo non afferma che la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione e di estinzione. Non è una creazione dello Stato.
Per comprendere esattamente il significato attribuito dai costituenti all'espressione « società naturale», è sufficiente leggere il dibattito sul tema che emerge dai verbali dei lavori preparatori della stessa Costituzione. Si possono citare, ad esempio, tre significativi interventi: le dichiarazioni di voto degli onorevoli Moro, La Pira e Mortati. Il primo affermò quanto segue: «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare». Il secondo, La Pira, precisò che «con l'espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione familiare». Il terzo, Mortati, volle precisare il carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale, dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all'istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione».
Poche furono le voci critiche rispetto a quella formula, e solo perché le attribuirono una portata meramente definitoria. L'on. Ruggiero, per esempio, rilevò che la Costituzione non doveva dare definizioni degli istituti, e che il progetto non ne dava alcuna, tranne che per la famiglia. Nel suo ragionamento fu interrotto dall'on. Moro, che lo fulminò con queste parole: «Non è una definizione, è una determinazione di limiti». Con quelle tre parole, espressione dell'indiscutibile intelligenza di un uomo come Aldo Moro, in maniera sintetica ed efficace fu riprodotto il pensiero della maggioranza dell'Assemblea, che volle infatti mantenere la formula «società naturale».

DESTRUTTURARE LA FAMIGLIA
Ora si pone il tema del perché si voglia far prevalere l'idea che la famiglia non rappresenti un elemento di natura, bensì una variabile socio-culturale soggetta al cambiamento anche attraverso la funzione legislativa.
Io credo - e questa rappresenta una mia convinta opinione - che oggi questa tendenza a destrutturare la famiglia ubbidisca a una precisa logica di potere.
Sembra di vivere la profezia distopica del grande scrittore inglese Aldous Huxley nella sua opera Il Nuovo Mondo, che identificava proprio nell'eliminazione della famiglia e nell'abolizione delle parole "padre" e "madre" uno dei passaggi fondamentali per il raggiungimento del dominio assoluto da parte di poteri oligarchici.
Del resto, la famiglia rappresenta l'ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra l'individuo e il Potere. E il Potere vuole eliminare anche quell'ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà per rendere l'individuo solo e facilmente manipolabile. Lo denunciò, circa trent'anni fa, quello che io considero il mio Maestro, Mons. Luigi Giussani, con queste profetiche parole: «L'interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice. Prima di tutto, distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell'uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato: l'uomo solo è senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, è privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l'uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere. La seconda ragione, più profonda, è questa: distruggendo la famiglia si attacca l'ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, di cui il potere è funzione, vale a dire, intendere la realtà atomisticamente, materialisticamente, una realtà in cui il bene sia l'istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo».

Fonte: Pro Vita & Famiglia, 08/08/2023

4 - GIORNALI E TELEVISIONI GIUSTIFICANO SEMPRE GLI ISLAMICI COME SQUILIBRATI MENTALI
A febbraio un terrorista islamico accoltella i passanti, ma per tv e politici è solo un povero matto e così si favorisce l'invasione e l'islamizzazione della Francia (VIDEO: La verità sull'islam in Europa)
Autore: Guillaume Gattermann - Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 28 febbraio 2024

In un articolo pubblicato su Valeurs Actuelles, Jean Messiha, noto esponente politico, ripercorre l'attacco alla Gare de Lyon (la più nota stazione ferroviaria di Parigi, ndr) del 3 febbraio. L'aggressore ha improvvisamente estratto un coltello e un martello e ha accoltellato un passante. Altre persone sono rimaste ferite in un secondo momento.
"L'individuo è stato arrestato poco dopo", ha spiegato Messiha. "Abbiamo subito appreso che aveva 32 anni, che era originario del Mali e che aveva un permesso di soggiorno italiano. Entro un'ora dal suo arresto, ci è stato detto che era squilibrato e che soffriva di problemi psichiatrici. Insomma, un pazzo". Il verdetto è stato emesso!
"Perché questa smania di ripulire il nome di un criminale che ha quasi stroncato delle vite innocenti senza motivo?".
Come se non bastasse, "per quanto incredibile possa sembrare, la fonte dell'informazione sul presunto squilibrio dell'aggressore è... l'aggressore stesso! (...) Adesso i pazzi ammettono spontaneamente di essere pazzi? È una cosa nuova, appena uscita. Qualsiasi psichiatra vi dirà che esiste un principio immutabile in psichiatria: un pazzo non sa mai di esserlo. Infatti, una delle caratteristiche principali della follia è la sua incapacità di diagnosticarsi come tale", sottolinea giustamente.

I NOSTRI NEMICI
"Considerare i nostri nemici pazzi, squilibrati o affetti da disturbi psichiatrici è nel migliore dei casi un disprezzo pretenzioso e una cecità militante, e nel peggiore una manipolazione mediatica volta ad addormentare l'opinione pubblica affinché non si renda conto del pericolo che corre", denuncia Messiha.
"I nostri nemici non sono squilibrati, ignoranti o pazzi, non lo sono in alcun modo, salvo rare eccezioni. Soprattutto quando dicono di essere loro stessi pazzi, in una forma poco velata di taqqiya [indica la possibilità di nascondere o addirittura rinnegare esteriormente la fede, di dissimulare l'adesione a un gruppo religioso, e di non praticare i riti obbligatori previsti dalla religione islamica per sfuggire a una persecuzione o a un pericolo grave e imminente contro sé stessi a causa della propria fede, N.d.R.]. Tale irresponsabilità viene dichiarata dopo una lunga valutazione da parte di diversi medici nel corso di diversi giorni o addirittura settimane. In altre parole, la pazzia non può essere decretata, tanto meno autodecretata. Deve essere riconosciuta da un gruppo di professionisti esperti".
"Tuttavia, nulla di tutto ciò è stato fatto per l'aggressore maliano alla Gare de Lyon, il che non ha impedito che la teoria dello squilibrio psichiatrico si diffondesse a macchia d'olio fino a finire sulle prime pagine di tutti i giornali", si rammarica Jean Messiha.
"Come è possibile, e chi può ingoiare un'informazione così rapida, perentoria, gratuita e definitiva da essere di per sé un'ammissione di menzogna?".

UN IMMIGRATO ILLEGALE, UN MUSULMANO RADICALIZZATO, UN TERRORISTA ISLAMICO
"La verità - e sarà molto difficile da ascoltare per il sistema progressista di sinistra - è che questo individuo è un immigrato illegale, un musulmano radicalizzato e, in fin dei conti, un terrorista islamico che ha cercato di uccidere in nome dell'Islam", ha affermato.
"Potremmo moltiplicare gli esempi di tutti questi squilibrati che giornalisti di sinistra e politici progressisti, travestiti da psichiatri da fiera, ci hanno spontaneamente venduto come tali e che, con il progredire delle indagini, sono apparsi per quello che erano in realtà: musulmani radicalizzati e terroristi islamici".
Jean Messiha deplora: "Ogni volta che viene commesso un attentato, la prima cosa che viene in mente è uno squilibrato: la tecnica è collaudata: giorno dopo giorno, una notizia si rincorre all'altra, e solo ciò che viene ribadito nelle ore successive agli attentati sarà ricordato dall'opinione pubblica. La verità, che arriverà giorni o addirittura settimane dopo, non interesserà più a molti. Dormite, dormite, brava gente".
Nell'ultima parte del suo articolo, Messiha si chiede: "Perché mai, quando si parla di immigrati o di musulmani, il sistema mediatico-politico si trasforma in una vera e propria fabbrica di bugie, per di più su scala industriale, vista l'abbondanza di esempi?".
"E perché la verità è così terrificante per l'ideologia progressista di sinistra?"
"Perché è quello che rende possibile questi crimini e attacchi contro la Francia e il popolo francese, promuovendo fanaticamente la loro invasione e islamizzazione con ogni mezzo possibile", ha affermato con forza.

VIDEO: LA VERITÀ SULL'ISLAM IN EUROPA (durata: 5 minuti)


https://www.youtube.com/watch?v=HVqRZTJfD5M

Fonte: Tradizione Famiglia Proprietà, 28 febbraio 2024

5 - UNA STIGMATIZZATA FUORI DAL COMUNE
La Beata Maria Domenica Lazzeri visse 33 anni e morì un Venerdì Santo, era impedita a mangiare, bere e dormire, stigmate alle mani, al torace e ai piedi e... ogni venerdì rimaneva morta per diverso tempo (sì, morta)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone, dicembre 2023

Ho scrutato attentamente il video che il dottor Paolo Basso da Crema mi ha recapitato sulla beata Maria Domenica Lazzeri, detta la "Meneghina", nata nel 1815 e morta nel 1848. Diciamo subito, per chi non lo sapesse, che si tratta di una stigmatizzata. Stavo per scrivere "la solita stigmatizzata", perché essendomi occupato per trent'anni, ogni giorno, prima sul quotidiano Avvenire e poi Il Giornale, di santi e beati, di stigmatizzate ne ho viste tante. Quante siano potete agevolmente contarle, se avete pazienza, sul sito santiebeati.it. Da Caterina da Siena, a Teresa Neumann, eccetera. Mai, però, avevo considerato il fatto che queste mistiche sanguinanti fossero tutte donne. Sì, abbiamo il Poverello e Padre Pio. E basta, almeno che io ricordi. Tutte le altre sono donne, sempre donne. Queste strane privilegiate dal Cielo in genere non devono far altro che starsene in un letto a patire. Qualcuna ha visioni e detta libri, come Katharina Emmerick. Qualche altra manifesta i dolori della Passione in periodi ricorrenti e limitati, come Natuzza Evolo. Qualche altra ancora, come Elena Aiello, continua a occuparsi dei suoi orfanotrofi. Ma le più devono solo fare le "vittime". Perché donne? Forse perché sono più delicate e fragili? In effetti ciò si accorderebbe con il risultato modus operandi del Cielo: scegliete il personaggio più improbabile onde mostrare che quanto gli accade viene solo esclusivamente dall'Alto. La potenza di Dio si manifesta meglio nella debolezza, come dice Paolo. E più la creatura prescelta è inadeguata, più appare, a chi voglia vederla, l'opera di Dio.

RIMANEVA MORTA
Naturalmente noi crediamo che la ricompensa per tali "vittime" sarà straordinaria, altrimenti prendere una ragazza minuta e insignificante, confinarla in un letto di dolore senza mangiare, né bere, né dormire, ma solo e sempre sanguinare tra le sofferenze più atroci sarebbe puro sadismo. Ma noi sappiamo che il Creatore è Bontà e Amore, perciò non ci resta che aggrapparci alla Fede. E veniamo alla Nostra. Al solito, nasce in un posto sperduto e dimenticato, Capriana in Val di Fiemme, Trento. Figlia di un povero mugnaio fin da subito conosce la fatica e i geloni alle dita in un tempo e in un luogo in cui se vuoi scaldarti devi prima far legna e accendere il camino. Ultima di cinque figli, dopo qualche anno di scuola, va a servizio, anche perché il padre è nel frattempo morto. Nel 1833, mentre si prodiga per i malati d'influenza, rimane contagiata. A quel tempo o si guarisce o si muore di polmonite. Lei, invece, sviluppa un crescendo di sintomi mai visti prima che in breve la confinano a letto, impedita a mangiare, bere e dormire. Riesce solo a "inghiottire" l'ostia, di cui nell'800 bisogna essere "degni", perciò mensile. Chiamata in paese "meneghina" ("Domeneghina"), ha diciannove anni quando comincia: sudorazione di sangue come nel Getsemani, ferite sulla fronte come da coronazione di spine, stigmate alle mani, al torace e ai piedi. Le mani sono artigliate, come si suppone siano state quelle inchiodate di Cristo, i piedi sempre sovrapposti. Ogni venerdì, all'ora della morte di Cristo, anche lei rimane morta per diverso tempo. Sì, morta. Indi si rianima e si riparte con il calvario.

IL SANGUE OLTRE LA GRAVITÀ
Gli scienziati che scrutano il caso sono intrigati anche dal fatto che su di lei il sangue gocciola non seguendo la gravità, ma come se davvero fosse appesa verticale a una croce. E ciò accade tutti i venerdì, per quattordici anni (per chi ama le coincidenze sempre in questi casi c'è il bicchiere mezzo pieno: la mistica è in grado di seguire omelie pronunciate in altri luoghi e di riferire cose dette altrove, di comprendere lingue straniere e pure antiche, di bilocarsi). Naturalmente, il caso fa scalpore e in breve la sua casa è assediata da visitatori provenienti da ogni dove. Anche semplici curiosi, certo. Ma per fortuna il vescovo competente è il beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, che prende a cuore la vicenda e provvede a disciplinare l'accesso. Il primario dell'ospedale di Trento, dopo accurato studio, stende una relazione che viene presentata in ben tre congressi scientifici nazionali. Vengono illustri personaggi da tutta Europa, viene il beato Antonio Rosmini, perfino l'Arcivescovo di Sidney. Scoppia il caso sulla stampa, fogli cattolici e fogli protestanti incrociano le lame. Diversi editori europei fiutano l'affare e sguinzagliano agenti alla ricerca di testimoni oculari per cavarne libri e opuscoli a sensazione, i pamphlets il più delle volte di scaso valore, ma che concorrono alla divulgazione della notizia. Malgrado l'interessata non abbia mai voluto fotografie. Che pensare di tutto questo? Perché Dio sceglie una "vittima" e la massacra (o permette che lo sia, ma è lo stesso) per tutta la vita? Certo la cosa è sempre su base volontaria e se qualche farabutto conclamato scansa la dannazione eterna proprio grazie a queste mistiche che accettano di farsi maciullare al loro posto dalla Bontà Divina?

HA RAGIONE DIO
Si, Uno potrebbe osservare che Cristo in croce ci rimane tre ore, mica 14 anni, cioè 728 venerdì. Ma, attenzione, la prescelta assenziente viene fornita di un dono speciale: l'amore per la croce. La meneghina, si scoprì, portava il cilicio. Come se non le bastassero le sofferenze inaudite che doveva sopportare. Nella letteratura mistica questo fenomeno è chiamato "follia della croce", che, seppure alla lontanissima, può essere paragonato a quel che prova un padre che si fa togliere un rene per salvare la vita al figlio. Forse l'esempio è inadeguato, ma non me ne vengono altri. E non me ne vengono perché io, come voi, aborro la sofferenza e faccio di tutto per evitarla. Siamo fatti per la gioia, non per il dolore (il che dimostra che il peccato originale è un fatto storico). È per questo, temo, che a molti la preghiera sembra una perdita di tempo: se fosse efficace, se venissimo sempre esauditi, saremmo tutti in ginocchio. Ma ogni nostra preghiera - ci si faccia caso - è una richiesta per toglierci una croce. O la croce. Forse è per questo che di solito non succede niente. Si, poi il devoto spiega che Dio ascolta, ma si riserva dell'esaudimento al tempo opportuno; oppure che stai chiedendo la cosa sbagliata, oppure che...
La solita arrampicata sugli specchi perché Dio, per definizione, ha sempre ragione e tu torto. Come Giobbe, cui alla fine Dio rispose come il Marchese del Grillo. Insomma, boh. Proviamo a chiedere lumi alla Meneghina.

Fonte: Il Timone, dicembre 2023

6 - PAPI E ANTIPAPI, SEDE VACANTE E PAPA LEGITTIMO (4° e ultima parte)
Risposta alle due obiezioni (il dissenso di un gruppo e a condizione che...) contro l'accettazione universale dei vescovi al Papa (che invece è un segno infallibile della sua legittimità e chi lo nega è eretico)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24 marzo 2024

Dedichiamo un'ultima riflessione alla questione relativa alla legittimità del papa riconosciuto universalmente e pacificamente dalla Chiesa come fatto dogmatico (per gli articoli precedenti, clicca qui), affrontando le due principali obiezioni che normalmente vengono sollevate.
Prima di tutto ricordiamo che i fatti dogmatici - tra i quali rientra la legittimità del pontefice riconosciuto universalmente - fanno parte delle verità connesse alla Rivelazione (per necessità storica); il che, in concreto, significa che la loro negazione finirebbe per contraddire uno o più punti della medesima Rivelazione. I fatti dogmatici devono pertanto essere tenuti in modo definitivo, non ipotetico (potrebbe essere così) o condizionale (sarebbe così, ma solo a condizione che). Il papa, una volta che ha ricevuto l'accettazione della Chiesa universale, è papa, qualunque contestazione si possa avere a riguardo.

1) IL DISSENSO DI UN GRUPPO
Una prima obiezione frequentemente sollevata contesta il senso dell’"accettazione universale", ritenendo che il dissenso di un gruppo, più o meno esteso, di fedeli e chierici, sia sufficiente per affermare la non universalità di tale accettazione. In sostanza, l'universalità dovrebbe essere intesa come una totalità matematica da parte dei battezzati. Occorre rilevare che, se così fosse, non si raggiungerebbe quasi mai la certezza della legittimità del papa, perché sarebbe sufficiente qualsiasi dissenso di un gruppo, dovuto a ragioni più o meno plausibili, per lasciare nell'incertezza la Chiesa universale. Questa incertezza si riverserebbe sugli atti del sommo pontefice, così che sarebbe sempre possibile rifiutare una definizione dogmatica o un insegnamento definitivo a motivo del fatto che la legittimità di tale papa era stata contestata da quel gruppo di fedeli e/o chierici.
Ma c'è una ragione più profonda che fa comprendere che il dissenso di fedeli e chierici non sia sufficiente ad inficiare l'universalità richiesta: quando si parla di "Chiesa universale" si intende non la semplice comunità dei battezzati - concezione protestante dell'Ecclesia -, ma la comunità dei battezzati uniti ai loro legittimi pastori, i vescovi. Se dunque i vescovi, nella loro universalità, riconoscono Tizio come vero papa, i fedeli sono tenuti ad aderire a questo insegnamento. L'ipotesi che tutti i vescovi si ingannino sulla legittimità del pontefice comporterebbe infatti una defezione di tutta la Chiesa docente su un fatto dogmatico e sul riconoscimento di chi è il Capo visibile della Chiesa, il che sarebbe una contraddizione diretta dell'infallibilità della Chiesa. Ma anche della sua indefettibilità, perché la Chiesa non può rimanere senza Capo, se non per quel tempo di sede vacante necessario per eleggere un nuovo pontefice. Verrebbe altresì meno la nota dell'unità della Chiesa, che è una delle quattro note professate nel Credo, perché ci troveremmo nella situazione in cui la Chiesa, vescovi e fedeli loro sottomessi, sarebbe separata dal suo Capo. Va da sé che, quando parliamo dell'insieme dei vescovi, intendiamo quanti hanno ricevuto una giurisdizione dal sommo pontefice e sono dunque in comunione con la Chiesa: non è sufficiente infatti l'ordinazione episcopale per fare di un sacerdote un vescovo.

2) SOLO A CONDIZIONE CHE...
La seconda obiezione riguarderebbe la condizionalità dell'accettazione pacifica universale, posizione che potremmo riassumere in questo modo: la dottrina sull'accettazione è valida, ma solo a condizione che...; oppure: è valida, ma non si applica a questo caso di pontefice universalmente accettato. Dunque vi sarebbero condizioni "aggiuntive" perché si possa ritenere questa dottrina nel caso concreto del papa Tizio. Per esempio, che siano state osservate tutte le norme dell'elezione del papa (dal 22 febbraio 1996 indicate nella Universi Dominici Gregis); o a condizione che il papa scelto dai cardinali non fosse eretico prima della sua elezione; o ancora, a condizione che il papa eletto non fosse iscritto alla Massoneria o ad altre associazioni proibite dalla Chiesa, per le quali si incorrerebbe nella scomunica; a condizione che la rinuncia di un eventuale papa dimissionario sia valida.
Si potrebbero aggiungere ulteriori argomenti condizionali, ma non serve a molto, perché le pur diverse condizionalità hanno in comune questa logica: occorre verificare che certe condizioni si siano verificate per poter ritenere applicabile al presunto papa in questione la dottrina sull'accettazione pacifica universale. Detto in altro modo: l'insegnamento sulla legittimità del papa non si applicherebbe a questo singolo caso, perché, in questo caso, non si sono verificate certe condizioni.
Ora, il punto è che l'unico caso in cui non si applica la dottrina sull'accettazione pacifica universale è che... non vi è stata un'accettazione pacifica universale! Ossia quando vi sono stati dei vescovi che hanno contestato quella specifica elezione, per delle precise ragioni legate alle condizioni previe del soggetto eletto o alle modalità dell'elezione: eresia, scisma, scomunica, incapacità mentale del candidato, simonia, brogli, costrizione nell'elezione, e così via.
Quando invece i vescovi (secondo Giovanni di San Tommaso, basterebbero i cardinali elettori) hanno universalmente riconosciuto Tizio come papa, allora, in virtù del fatto dogmatico, si ha la certezza che Tizio sia papa, a prescindere dal fatto che possa rivelarsi un pessimo papa e, soprattutto, a prescindere che si siano risolti eventuali dubbi sulla sua persona, sull'elezione e quant'altro. Perché il punto chiave dell'accettazione pacifica universale è proprio questo: poiché è impossibile che la Chiesa erri nell'unirsi a un Capo fasullo (per le ragioni dette sopra), dunque il papa riconosciuto universalmente è il Capo della Chiesa. La maggioranza dei teologi che trattano della questione ritiene che questa accettazione sia la prova che tutte le condizioni di validità, su cui si potrebbero sollevare dubbi, si sono di fatto verificate; altri si spingono ad affermare una sorta di eventuale sanatio in radice di eventuali deficienze; ma a noi interessa che tutti concordino con il fatto che l'accettazione universale è la garanzia che Tizio è papa.
Guardando nuovamente la questione da un altro punto di vista, possiamo dire che chi ritiene che, in questo caso specifico, il pontefice riconosciuto universalmente non è in realtà papa, per qualsivoglia ragione, non ha compreso il senso del fatto dogmatico. Sarebbe come colui che, di fronte ad un pronunciamento ex cathedra, mettesse in dubbio il dogma proclamato perché, a torto o a ragione, le argomentazioni addotte risulterebbero insufficienti o errate, oppure non limpido l'iter per giungere a tale pronunciamento. L'adesione di fede, in questo caso, viene data in ragione dell'infallibilità petrina, mentre, nel caso dell'accettazione universale, in ragione dell'infallibilità della Chiesa.
Dunque aveva ragione Martino V: l'accettazione di questo concreto papa, riconosciuto universalmente dalla Chiesa, non è solo una questione disciplinare, ma di fede. La Chiesa universale non può errare nell'unirsi al suo Capo visibile (unità della Chiesa), né la Chiesa può rimanere priva di lui (indefettibilità), né la Chiesa gerarchica può errare nell'insegnare che Tizio sia papa (infallibilità): l'adesione universale dei vescovi è un segno infallibile della legittimità del sommo pontefice.

DOSSIER "PAPI E ANTIPAPI"
Sede vacante e Papa legittimo

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24 marzo 2024

7 - OMELIA V DOMENICA DI PASQUA - ANNO B (Gv 15,1-8)
Senza di me non potete far nulla
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Domenica scorsa, Gesù si è paragonato al Buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, che le ama e che da esse è amato; oggi Egli usa un'altra immagine molto bella: quella della vite, alla quale sono uniti i tralci. Egli è la vite, noi siamo i tralci. L'immagine è molto semplice e piena di profondi significati. Vediamo ora di trarre da questa stupenda pagina del Vangelo degli insegnamenti per la nostra vita spirituale.
Prima di tutto impariamo l'importanza di vivere sempre uniti a Gesù. Siamo uniti a Gesù quando viviamo in Grazia di Dio, quando in noi non regna il peccato mortale. Sappiamo dal Catechismo che con il peccato mortale noi perdiamo la Grazia che è il bene più prezioso, più prezioso della nostra stessa vita. Per questo motivo, i Santi avrebbero desiderato mille volte morire piuttosto che perdere l'amicizia con Dio.
Anche se ci capitasse questa sventura, con animo pentito, ricorriamo al sacramento della Confessione, il quale, cancellando i nostri peccati, ci ridona il bene inestimabile della Grazia divina. Staccandoci da Gesù con il peccato, noi saremo come un tralcio strappato dalla vite e destinato a seccarsi.
Siamo uniti a Gesù, in maniera particolare, quando viviamo in profonda amicizia con Lui, coltivando bene la nostra vita di preghiera. La preghiera non dovrebbe lasciarci mai, fino a diventare il respiro della nostra anima. Nel corso della nostra giornata, tra le varie preghiere, non dovrebbe mai mancare un intimo colloquio con il Signore, da prolungare il più possibile, magari anche durante le nostre occupazioni. Il momento d'oro di questo colloquio sarà quello della Comunione eucaristica, quando Gesù è nel nostro cuore. Gesù è la sorgente della vita, e quanto più saremo uniti a Lui, tanto più si riverserà su di noi la Vita divina di Colui che ci ha redenti.
Dobbiamo essere dei "tralci viventi" di questa vite: in tal modo porteremo molto frutto. Gesù lo dice chiaramente: «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Questa precisa e secca dichiarazione: «senza di me non potete far nulla» non ha bisogno di molti commenti. È di una tale importanza e di una tale gravità da non lasciare alcun dubbio sull'assoluta necessità per l'uomo di rimanere in grazia di Dio. Come ad un tralcio staccato dalla vite è impossibile far frutto, così, e molto di più, ad un'anima separata da Gesù a causa del peccato, non è possibile riuscire a far qualcosa di meritorio per la Vita eterna, qualcosa per cui il Padre Celeste si compiaccia.
Da questa considerazione deve nascere in cuor nostro una profonda umiltà: da soli siamo proprio una nullità. Bisogna rimanere stabilmente in Lui, in uno stato permanente di grazia. Gesù ci dice: «Rimanete di me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rimanere in Lui viene indicato come premessa e condizione di una vita fruttuosa, colma di una profonda gioia. Come il ramo pieno di frutti maturi si abbassa a terra fino quasi a spezzarsi per il gran peso, così il cristiano unito a Gesù dovrebbe giungere alla sua maturità cristiana così colmo di frutti spirituali e di buone opere, da consumarsi lentamente per amore. Certo non mancheranno i sacrifici, ma non mancherà neppure la gioia di aver raggiunto lo scopo per cui siamo stati creati.
Affinché possiamo portare più frutto, il vignaiolo, ovvero il Padre Celeste, opererà nella nostra vita delle potature: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2). Queste potature sono le inevitabili prove della vita, le sofferenze, gli insuccessi. Apparentemente queste prove ci privano di qualsiasi frutto; ma, a lungo andare, ci donano una messe abbondantissima. Chi ama il Signore non si meraviglia della sofferenza, ma la sa valorizzare in vista di un amore più puro e di un frutto più grande.
Se l'anima si mantiene fedele anche in mezzo alla prova, verrà poi il tempo del raccolto, e sarà tempo di gioia e di consolazione. Se l'anima si mantiene generosa con Dio anche nel tempo della sofferenza, il Signore esaudirà poi ogni sua supplica, secondo la promessa fatta da Gesù nel Vangelo: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto» (Gv 15,7).
Lo scopo per cui siamo stati creati è quello di portare frutti abbondanti e di amare, come ci dice san Giovanni nella seconda lettura di oggi, «con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18). E questo lo realizzeremo solo se rimarremo uniti a Gesù, come il tralcio è unito alla vite.
La Madonna, Madre nostra tenerissima, ci unisca sempre di più al Figlio suo diletto.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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