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« Torna agli articoli di Corrado Gnerre

Purtroppo possono esserci due tipi di ecumenismo. Il “purtroppo” sarà subito chiaro.
C’è un ecumenismo corretto, che è quello che mira al dialogo, non per il dialogo in sé, ma per realizzare l’unità tra i cristiani che, inevitabilmente, deve prefiggersi il ritorno alla Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, l’unica chiesa voluta e fondata da Cristo.
C’è poi (ecco il mio “purtroppo”) un altro tipo di ecumenismo, quello che oggi è presente nell’immaginario di molti fedeli e anche di molti teologi ed ecclesiastici, ovvero un ecumenismo che dovrebbe servire solo formare una sorta di “super-chiesa”, secondo la nota convinzione del cosiddetto Consiglio Ecumenico delle Chiese, nato ad Amsterdam nel 1948.
Al fondo di questo tipo di ecumenismo vi è la convinzione secondo cui l’unica santa Chiesa voluta da Gesù, pur esistendo, non si sarebbe ancora manifestata in modo visibile. Ad essere visibili sarebbero solo le tante chiese separate fra loro; per cui l’unità visibile dei cristiani si realizzerà solo grazie alla confluenza di tutte le “chiese” cristiane in una nuova Chiesa visibile, diversa ma anche più perfetta.
Si tratta di un’affermazione inaccettabile, perché l’unica santa Chiesa voluta e fondata da Gesù esiste già in modo visibile, ed è appunto la Chiesa Cattolica. L’unità dei cristiani va sì auspicata, ma deve realizzarsi con il riconoscimento da parte di tutte le comunità cristiane della Chiesa Cattolica e quindi della necessità di ritornare ad essa.
Va detto che Gesù ha voluto e fondato una chiesa “visibile” a tutti fino alla fine del mondo, come la «città posta sul monte» (Mt. 5,14). Ora, se questa Chiesa oggi fosse invisibile, vorrebbe dire che Gesù avrebbe detto il falso e che la sua missione sarebbe fallita. Fu proprio nel periodo in cui stava per nascere il Consiglio Ecumenico delle Chiese – precisamente nel 1943 – che Pio XII scrisse nella Mystici Corporis: «Si allontanano dalla verità divina coloro che immaginano la Chiesa come se non potesse raggiungersi né vedersi, quasi che fosse una cosa “pneumatica” come dicono, per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile».
Solo la Chiesa Cattolica ha storicamente conservato nei secoli il collegamento con Pietro. Solo la Chiesa Cattolica si è preservata “Una” come Gesù promise quando disse: «un solo ovile e un solo Pastore» (Gv. 10,16). Solo nella Chiesa Cattolica si è conservata davvero intatta la stessa dottrina. Infatti: la Chiesa Ortodossa nacque definitivamente nel 1054, il Protestantesimo nel 1517 e l’Anglicanesimo nel 1534.
Veniamo adesso al ritorno degli anglicani. Indico tre punti importanti.
1. Indubbiamente ciò che è avvenuto è un fatto positivo, anche perché costituisce un precedente che può aprire prospettive molto interessanti in merito al numero di conversioni alla Chiesa Cattolica.
2. Va evitato, però, di trattare questo avvenimento esclusivamente alla luce della libertà di coscienza. Molti, infatti, spinti da convinzioni iper-ecumeniche (nel senso di quell’ecumenismo “scorretto” di cui ho parlato prima) e dimentichi della dottrina tradizionale che vuole la Chiesa Cattolica come unica realtà salvifica, hanno cercato di spiegare l’accaduto solo motivandolo come questione di libertà di coscienza; trascurando, invece, l’obbligo morale di aderire alla Chiesa Cattolica e quindi, per gli scismatici ed eretici, di ritornarvi.
3. Bisogna convincersi che a rendere legittima una scelta di adesione alla Chiesa Cattolica non può essere solo lo scandalo e quindi il rifiuto di aberrazioni ormai frequenti nella “Chiesa” anglicana come l’ordinazione femminile o i matrimoni gay, ma – appunto – il riconoscimento della verità cattolica. Non a caso tra i punti (su alcuni occorrerebbe un’adeguata spiegazione per evitare errate interpretazioni) della Costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus (documento con cui si regola il ritorno di questi anglicani) vi è anche l’adesione al Catechismo della Chiesa Cattolica.
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