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« Torna agli articoli di Giacomo Samek Lodovici

Il discorso rivolto sabato da Benedetto XVI agli artisti suggerisce molti commenti, data la sua grande profondità.
Aggiungiamo un ulteriore tassello alle riflessioni già svolte su queste colonne, considerando un altro dei passaggi importanti di questo suo intervento.
Per il Papa c’è una «seducente ma ipocrita bellezza» che «ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro».
«L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano […] al desiderio profondo di conoscere, di amare».
In effetti, la grande arte figurativa suscita nel fruitore una contemplazione ammirata e disinteressata, perciò ci insegna a guardare e ad amare la realtà senza volercene impadronire, senza volerla consumare e usare. Con buone ragioni un filosofo come Schopenhauer diceva che durante l’esperienza estetica si verifica nell’uomo una sospensione della sua volontà di potere ed egli diventa «puro occhio del mondo»: smette di percepire le cose come utili o nocive in rapporto ai suoi desideri, si immerge nell’oggetto bello, cosicché non è più focalizzato su se stesso, bensì sull’oggetto contemplato, è talmente concentrato e proiettato sull’opera d’arte che dimentica se stesso; così i suoi desideri sono sospesi, almeno per un certo tempo.
Pertanto, l’educazione al bello e l’esperienza estetica (e, similmente, la contemplazione della natura) sono particolarmente propizie sia alla conoscenza della verità sul bene e sul giusto, i quali spesso divergono dall’utile, sia all’amore. Infatti, la prima espressione aurorale dell’amore, la sua prima attivazione, è una commozione disinteressata, è uno stupore, è un destarsi all’amabilità dell’altro, un apprezzamento e una confermazione del suo valore, un’ammirazione che fa uscire l’altro dall’anonimato. Per san Tommaso il primo momento dell’amore è proprio una reazione di apprezzamento, è una confermazione del valore dell’amato, quasi come dirgli: 'È bene che tu sia, grazie perché esisti'. Perciò è molto simile all’atteggiamento estetico, dato che la risposta primaria che il soggetto esprime davanti al bello è appunto l’ammirazione disinteressata, l’apprezzamento. Quest’ammirazione che è l’origine dell’amore è ben diversa dal mero accorgersi dell’esistenza di una persona, ed è ben di più che non avere nulla in contrario nei suoi confronti. Piuttosto, grazie all’amore, la realtà dell’altro dischiude la sua preziosità unica e irripetibile.
Sennonché – ha aggiunto Benedetto XVI citando il teologo von Balthasar –, «la bellezza disinteressata […] ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza», e chi disdegna l’arte «non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare». Nei rapporti umani, cioè, predomina molto spesso una logica utilitarista, predomina la logica degli interessi e dell’avidità e rischiamo spesso di guardare gli altri non come esseri preziosi da amare e di cui promuovere il bene, bensì come meri strumenti dei nostri scopi utilitari. Quand’anche facciamo qualcosa per l’altro, egli ci preme solo in vista di un contraccambio.
Insomma, un’educazione al bello può in parte mitigare il male nelle sue diverse espressioni, può in parte contrastare la predatorietà, la sopraffazione e la violenza perché la fruizione dell’arte è un addestramento all’amore. Perciò, possiamo senza dubbio mutuare, anche in senso estetico-etico e non solo teologico, l’espressione di Dostoevskij: la bellezza può salvare il mondo.
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