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« Torna agli articoli di Gianfranco Amato

C'è davvero poco di artistico nell'opera intitolata Sul concetto di Volto nel figlio di Dio del regista e sceneggiatore Romeo Castellucci, che si terrà al Teatro Parenti di Milano dal 24 al 28 gennaio prossimo. Disgustosa la scenografia, ma ancor più disgustoso il contenuto blasfemo della rappresentazione. La scena si svolge in una stanza bianca e immacolata in cui un anziano incontinente guarda la televisione ad alto volume. Ad accudire quel vecchio ci pensa un altro personaggio, il figlio, il cui compito si traduce in una sorta di fatica di Sisifo. Infatti, ogni volta che si concludono le operazioni di pulizia del corpo del padre, una nuova scarica di dissenteria vanifica i gesti compiuti dal figlio, costringendolo a ricominciare da capo. Si tratta di un'opera iperrealista destinata a colpire i sensi dello spettatore, non solo la vista e l'udito, ma anche l'olfatto, poiché ogni volta che l'anziano padre evacua, si spande per la sala un odore acre e fastidioso. Su tutta la scena domina la riproduzione gigantesca di un quadro rinascimentale raffigurante il volto di Gesù – il celebre Salvator Mundi di Antonello da Messina –, volto che nel finale viene imbrattato di liquame, e si squarcia per lasciare in evidenza una frase che rappresenta la provocazione del regista: "You are not my shepherd" (Tu non sei il mio pastore).
Definire un'oscenità irriverente quest'opera non è semplice moralismo. E per essa non può valere l'idea, che va purtroppo diffondendosi anche in alcuni ambienti cattolici, per cui è meglio tacere per non pubblicizzare ulteriormente una rappresentazione blasfema.
In realtà il Volto di Cristo è ciò che di più caro ha la tradizione cristiana. Per quel Volto uomini come il pakistano Shahbaz Batthi hanno rischiato la vita e subito il martirio. Con quale coraggio, quindi, i cattolici italiani possono tacere di fronte ad una simile ingiuria. Con quale coraggio possono declamare in chiesa il salmo 28, «Il Tuo volto Signore io cerco», e poi restare inerti e silenziosi, per misere ragioni di opportunistica convenienza, dinnanzi al Suo oltraggio? Se il volto di nostra madre, o della persona più cara che abbiamo, fosse insozzato con escrementi umani in un'opera teatrale, noi faremmo di tutto per impedirlo. E la legge sarebbe dalla nostra parte. A proposito di legge, mi pare che il nostro ordinamento giuridico preveda ancora la fattispecie penale di cui all'art. 404, secondo comma. Si tratta del reato di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose, recentemente modificato dall'art. 8 della L. 24 febbraio 2006, n. 85, il quale prevede che «chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni». Poiché non mi risulta sia stata ancora abrogata l'obbligatorietà dell'azione penale, sarebbe interessante verificare se qualche Procuratore della Repubblica avvertisse il dovere di intervenire sulla vicenda. Magari in via cautelativa, impedendo così la commissione di un reato. Non si può neppure immaginare cosa sarebbe successo se al posto della gigantografia del Cristo di Antonello da Messina, ci fosse stata quella del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Probabilmente sarebbe già intervenuta l'Arma dei Carabinieri. Ma Romeo Castellucci, che nel 2002 è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres dal Ministro della Cultura della Laica Repubblica Francese, conosce bene la differenza tra Stato e Chiesa, e sa altrettanto bene, quindi, chi può colpire impunemente. Vive la laïcité!
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