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La nuova strage di bambini in Texas per mano di un 18enne armato di tutto punto penetrato nella scuola elementare Robb di Uvalde, non può lasciare indifferenti e spinge a chiedersi quale sia la causa del ripetersi di queste sparatorie di massa. Purtroppo sembra un rito inutile che si ripete a ogni strage, visto che passati i giorni del lutto e delle polemiche politiche nulla cambia in attesa della prossima sparatoria.
Uno dei motivi di questa inutilità sta nel fatto che si reagisce sempre dando per scontata la risposta: la colpa è delle armi che negli Stati Uniti circolano liberamente, e quindi è della lobby delle armi che impedisce al Congresso di intervenire per limitarne o proibirne la possibilità di acquisto. Da ieri tutte le testate giornalistiche sono piene di queste analisi che dicono tutte la stessa cosa. Ma è davvero così? O ci sono altri fattori da tenere in considerazione e che alla lunga sono molto più determinanti delle armi?
In effetti, la tesi "è tutta colpa delle armi" è fortemente riduttiva, per una serie di fattori, non ultimo il fatto che «è l'uomo che uccide, non la sua spada», come ricordava Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata della pace del 1984. Bisogna perciò più realisticamente guardare all'uomo, al suo cuore e alle sue motivazioni piuttosto che alla sua spada o fucile automatico.
LA LIBERTÀ E LA PROPRIETÀ PRIVATA: FONDAMENTO DELL'IDENTITÀ AMERICANA
Lasciamo pure stare il fatto che il possesso personale delle armi negli Stati Uniti affonda le radici nelle origini, che pongono la libertà e la proprietà privata a fondamento dell'identità americana. Ci sono altri dati relativi alla diffusione e all'uso delle armi che fanno dubitare che questa sia la causa vera del problema. Anzitutto gli Stati Uniti non sono l'unico paese dove c'è ampia possibilità di avere armi in casa. Il Canada solo due anni fa ha posto dei limiti vietando l'acquisto di fucili d'assalto, ma fino ad allora sparatorie di massa sono stati eventi molto rari. In molti altri paesi, inoltre, procurarsi armi è molto facile in modo più o meno legale - pensiamo, per non allontanarci troppo, a Messico e Venezuela - ma non c'è questo fenomeno seppure la violenza sia molto diffusa. Peraltro, il fatto che - come dice un rapporto dell'FBI pubblicato nei giorni scorsi e citato dalla BBC - dall'inizio della pandemia da Covid-19 siano raddoppiati gli attacchi armati di privati cittadini smentisce una relazione diretta tra disponibilità di armi e sparatorie di massa (nello stesso periodo le armi non sono raddoppiate). Piuttosto dovrebbe porre qualche domanda sulle conseguenze che hanno avuto certe politiche di gestione della pandemia.
Certo, è innegabile che avere armi a disposizione renda più facile e drammaticamente più efficace l'azione di chi in cuor suo ha deciso di rovesciare su degli innocenti la propria rabbia. Ma questo sarebbe un fattore decisivo se tali stragi fossero d'impeto. Ovvero una reazione immediata a un presunto torto subito, come accade ad esempio per le liti stradali (omicidi per un sorpasso subito o per un parcheggio "rubato") o per gli omicidi passionali (un marito che scopre la moglie con l'amante): in questi casi ovviamente un'arma pronto uso fa la differenza.
ANCHE SE NON CI FOSSERO LE ARMI LE STRAGI CI SAREBBERO LO STESSO
Ma le sparatorie di massa di cui parliamo sono stragi attentamente pianificate, preparate accuratamente per giorni e settimane, addirittura annunciate in alcuni casi sui social media. Vuol dire che chi ha queste intenzioni ha anche tutto il tempo di procurarsi le armi necessarie in qualche modo, anche illegale. E di fronte a questa determinazione anche se non ci fossero le armi potrebbe usare un altro mezzo: ad esempio potrebbe lanciarsi con un'auto a tutta velocità contro la folla all'ingresso o all'uscita della scuola.
Torniamo allora all'uomo, al suo cuore, alla sua mente. Che cosa spinge ad atti così tremendi? Non pretendiamo di avere una risposta esaustiva, tanto il mistero del male è impossibile da esplorare compiutamente. Però possiamo notare alcuni fattori che tornano in gran parte di queste sparatorie di massa. Il primo elemento è proprio la scuola, certamente il luogo più colpito: in dieci anni, dall'attacco del dicembre 2012 alla scuola elementare Sandy Hook (Connecticut) con 27 morti, sono state ben 9 le sparatorie all'interno delle scuole, praticamente una all'anno. Ex studenti della stessa scuola, in gran parte, che in quell'ambiente sentono di aver subito delle ingiustizie, hanno accumulato frustrazioni, si sono scoperti dei falliti: come Salvador Ramos, il 18enne protagonista dell'attacco di ieri. Il "sogno americano" per costoro è diventato un incubo.
Altro fattore, la giovane età: a parte un caso, tutti i protagonisti degli assalti alle scuole dal 2012 a oggi vanno dai 15 ai 25 anni. E tutti avevano situazioni familiari complicate, genitori divisi, assenti, storie di abusi, e ovviamente anche problemi psicologici o psichiatrici. Giovani, soli, infelici, disperati. E suicidi: già, perché ognuno di loro o si è suicidato dopo aver sparato o si è lasciato uccidere dalla polizia. Tutti hanno ucciso volendo morire loro stessi: quasi un ultimo, disperato, tentativo di sperimentare una compagnia, almeno nella morte.
Mettere sotto controllo le armi; impedire che possano andare in mano a persone già segnalate per problemi mentali; prevenire manifestazioni estreme non abbandonando a se stesse persone problematiche, può certo aiutare a limitare i danni, forse ad evitare alcune tragedie, ma è pur sempre un intervento sui sintomi.
Quello che è necessario è però andare alla radice del male: c'è bisogno di un senso per vivere, anzitutto, un incontro che corrisponda alle esigenze vere del cuore. Ma è un tesoro sempre più raro da trovare in una società che pretende di costruirsi senza o addirittura contro Dio. È su questo anzitutto che si dovrebbe riflettere.
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