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«Il risultato ultimo della nostra correzione e della nostra tranquillità non dipende dalla volontà degli altri, poiché un tale esito non potrà mai essere in nostro potere; esso invece dipende ben più dalla nostra volontà» (Istituzioni Cenobitiche, VIII, 17).
Questo testo di san Giovanni Cassiano ci sorprende, ci spiazza; ma nell'accoglierlo e meditarlo sta uno dei segreti della santità. Se la virtù e la pace interiore dipendessero dal comportamento degli altri, poveri noi! Saremmo come delle banderuole che si agitano e si afflosciano a seconda che ci sia vento o bonaccia. Cassiano applica questo principio, tra l'altro, alla lotta contro la collera: «Il fatto di non adirarci non deve essere legato alla condotta ineccepibile degli altri, ma derivare dalla nostra virtù, la quale non s'acquista grazie alla pazienza degli altri, ma si conquista attraverso l'esercizio della propria longanimità».
IL VELENO DELLA COLLERA
Quante volte abbiamo pensato che abbiamo perso a ragione la pazienza, perché Tizio è veramente insopportabile, perché Caio è un arrogante, perché Sempronio è un provocatore. Tizio, Caio e Sempronio probabilmente saranno anche così, ma la nostra escandescenza è segno della nostra miseria, non di quella altrui.
Anche ai tempi di Cassiano c'era qualcuno che pensava che vivendo isolato dagli altri avrebbe finalmente risolto il problema dell'ira. Ma egli ricordava molto bene quando, solo nella sua cella, era preso da «irritazione contro la penna, perché era troppo larga o troppo sottile; oppure contro il coltello, perché [...] tagliava tropo lentamente» (VIII, 19.2).
Il veleno della collera è dentro di noi; le circostanze esterne sono soltanto occasioni che fanno uscire questo veleno; un po' come un serpente che, anche quando è a riposo, mantiene però in sé il veleno. È per questa ragione che i Padri del monachesimo indicano che buona parte della terapia deve andare alla radice del problema e consiste perciò nel silenzio dei pensieri, padre del silenzio delle parole e freno degli atteggiamenti collerici. Se ci pensiamo bene, è anzitutto a livello dei pensieri, del cuore, che alimentiamo la nostra ira contro gli uni o contro gli altri: e quando il malcapitato ci capita sotto tiro, la pressione interna è già montata al punto di un'eruzione violenta.
LE RADICI DELLA PAZIENZA
Ecco perché Cassiano insiste che l'ira e l'impazienza «possono essere sanate con la meditazione del cuore e l'attenzione vigile e costante». Bisogna frenare quel borbottio interiore che se la prende con la pioggia o con il vento, con il troppo freddo o il troppo caldo, e qualsiasi altra cosa che contrasta le nostre voglie.
Le radici della pazienza e della dolcezza - che non ha nulla a che vedere con la mollezza o con il lasciar passare tutto - si trovano quindi anzitutto a livello della pacificazione del cuore. Ne "La scala", san Giovanni Climaco definisce la dolcezza come «uno stato immobile dell'anima che rimane uguale a se stessa tanto nelle umiliazioni quanto davanti alle lodi» (VIII, 3). Non è il menefreghismo di chi non si interessa di nulla, né l'impassibilità dell'egoista e di chi ha il cuore indurito; è invece una serenità di fondo, che proviene dall'avere sempre dinanzi ai propri occhi la presenza di Dio, nelle proprie orecchie la sua voce e sulle proprie labbra la sua parola. Ancora, poiché la collera ci scaglia contro il nostro prossimo, l'elemosina, la beneficenza, la compassione diventano un balsamo che placa la potenza irascibile e alterata.
Non è male togliere anche alla collera un po' del suo combustibile, affliggendo il nostro corpo con il digiuno e l'astinenza, togliendogli un po' di riposo, e in generale con la penitenza, che ci fanno avvertire la nostra miseria e debolezza e così estinguono il nocivo fuoco interiore.
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