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« Torna agli articoli di Marina Corradi

Anche a Pesaro i centri sociali all’attacco del comizio di Giuliano Ferrara. Non essendo i manifestanti riusciti a srotolare sul palco il loro striscione di protesta hanno emesso un comunicato : gravissimo ed intollerabile che un paese che si definisce democratico non ammetta il diritto a manifestare dissenso verso una lista 'fascista e medioevale'. E noi che ci eravamo abituati alla monotonia di questa campagna di grigie polemiche e prevedibili contumelie vediamo, da Bologna a Pesaro, scendere in campo la variabile del lancio di sassi e sedie contro la lista pro-life.
Qualcosa, sia pure esecrabile, di nuovo sotto il sole di questo aprile? No, qualcosa invece di antico, anzi di vetusto. Lo diciamo per chi ha meno di quarant’anni, e non c’era negli anni del 'fascista!' urlato nelle scuole, nelle università a chiunque non era in linea con il Verbo Unico Collettivo. Quante volte, al liceo, porte sprangate da picchetti di studenti col pugno alzato. Sul polso, appena sotto quel saluto proletario, si poteva notare il luccichio dei Rolex, giacchè in quella scuola borghese i proletari in verità non li avevano mai visti. Tuttavia, quei ragazzi avevano ben chiara una nozione: tutti quelli che non stavano con loro, eran 'fascisti'. I 'fascisti', ovviamente, non avevano diritto di parola, sicché non si sapeva cosa realmente pensassero, né se, poi, fascisti eran davvero. Ma già domandarsi cosa realmente dicessero i reietti, era chiaro segno di fascismo. Quindi, quando c’erano i picchetti, era meglio lasciar stare. (Al venerdì però i picchetti finivano presto, perché i compagni dovevano andare a sciare).
Dunque, la folata di uova e pietre di Bologna ha un gusto vecchio, da anni Settanta, di parole brandite come clave senza sapere cosa significano. Di insulti urlati per stare da una immaginaria parte giusta, senza ascoltare cosa dice il 'nemico', giacchè si è certi di saper già tutto di lui e delle sue ignobili ragioni. Quel saper tutto a priori che non guarda in faccia e non sta a ascoltare urla, soltanto, perché l’altro non possa parlare. Poi lancia: pomodori per disprezzo, pietre per fare male - nell’astio viscerale, la differenza si fa sottile. A volte, insidiosamente e rapidamente inafferrabile.
La cifra anni Settanta che ritorna con il suo inconfondibile odore a Bologna è quella di un’ideologia cieca.
Conforta, certo, che tutti, da Cofferati a Bertinotti, abbiano espresso solidarietà a Ferrara. Benché poi i dirigenti del Prc da quella solidarietà abbiano preso le distanze.
Benché la capogruppo dei Verdi-Pdci al Senato abbia esortato alle uova contro i prolife in tutte le piazze d’Italia. Certi vizi, si sa, sono difficili da perdere. E così nella lotta di popolo 'in difesa delle donne' la candidata Matilde Leonardi, medico specialista in disabilità infantile, se ne è andata da Bologna con una costola incrinata, ed è andata ancora bene. E’ quel discrimine fondamentale fra il non essere d’accordo e il picchiare, ciò che ancora una volta sfugge a certi sinceri democratici.
L’ex sessantottino Ferrara dopo Bologna ha commentato: 'Certe cose, noi le facevamo contro Almirante'. C’è tutta una storia, nel viaggio di quest’uomo che da ragazzo gridava come i suoi coetanei 'fascista!' agli avversari fino a quel palco emiliano dove ragiona sulla disumanità dell’aborto. Ma la metamorfosi del compagno di un tempo non sfiora i ragazzi delle uova, anzi, è per loro soltanto 'tradimento'. La storia, è vero, ricomincia a ogni generazione. Ma nemmeno la questione fondante: lascia parlare l’avversario, non toccarlo, neanche questa volta è passata. Di nuovo quel boato di fischi e insulti, ad annientare le ragioni altrui. E le tasche piene di sassi. Qualcuno poi, dal Parlamento, a esortare: di nuovo.
E quarant’anni dopo gridano ancora: 'Fascisti!' Come un virus endemico che ritorna in un organismo debole. In quest’Italia che ai figli non ha detto abbastanza delle illusioni fallite dei padri.
Ciò che sfugge a certi «democratici» è il discrimine tra il non essere d’accordo e il picchiare. E in certe contestazioni riaffiora qualcosa che si sperava superato.
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